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Autore: jakefan    03/06/2019    1 recensioni
Cos’hanno in comune Heath e Buck, il suo cane? Molte cose: entrambi sono giovani, pieni di energia e vivono sul confine tra due mondi. Buck è per metà lupo, Heath appartiene alla riserva Lakota e anche al mondo «di fuori», bianco e tecnologico. Ma c’è di più, anche se i due non lo sanno: un’eredità sconvolgente sepolta dentro a ricordi lontani.
Quando il richiamo della vita adulta diventa perentorio, per entrambi si prospettano scelte difficili, rivelazioni e incontri che cambieranno loro la vita.
E la scoperta di un terzo mondo nascosto, governato dalla magia che permea tutte le cose.
Ho ucciso sua madre. E' mio.
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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3.

 
 
 
Il sedere che si trovava circa all’altezza degli occhi di Heath era… notevole, ed era sempre come vederlo per la prima volta. I pantaloncini di raso rosa delle cheerleaders erano tipo l’incarto perfetto per un regalo di Natale, anche se il rosa non era esattamente il colore preferito del ragazzo.
La proprietaria del sedere, in cima a una scala di legno, sollevò le braccia per agganciare un festone all’applique. Si alzò sulla punta delle sneakers; le natiche si contrassero e la maglietta si sollevò scoprendo l’ombelico, dove un piercing con brillantino diede il colpo di grazia all’autocontrollo di Heath.
Ahia, gli faceva perfino male contro la cerniera dei jeans.
E se lei se ne fosse accorta?
Preso dal panico, Heath piazzò uno scapaccione a mano aperta su quelle natiche ipnotiche e, meno di un secondo più tardi, sbatteva il naso contro la scala. Faceva malissimo, davvero. Meglio così.
Heath tirò un sospiro di sollievo mentre riguadagnava il controllo della situazione; la proprietaria del sedere, che di notevole aveva anche un destro da peso massimo, scese un paio di scalini e lo guardò in cagnesco.
Rivkah, la sua… Rivkah.
– Lo sai che sei un cretino, vero?
– Lo sai che sei bellissima? Vieni giù e fatti stringere.
– Non adesso, devo finire con questo festone.
Lo stramaledetto ballo di fine anno.
– Lo odio. Quanto tempo è che noi due non…
– Non è colpa mia se tu sei un sociopatico maniaco sessuale. Sei l’unico in tutta la scuola a cui non frega niente del ballo.
– Non è vero. Tu ti stai occupando del ballo, anzi direi che ultimamente non pensi ad altro, e io non faccio che pensare a te, quindi…
La piega della bocca di Rivkah non assomigliava neanche lontanamente a un sorriso.
Donne.
Che cavolo c’era che non andava? Heath non sapeva da quando era cominciata la faccenda, ma sembrava che in tutta quella frenesia della fine della scuola Rivkah avesse perso il senso dell’umorismo. Tra loro era sempre filato tutto liscio, da sembrare un sogno, fin da quando erano piccoli.
Le previsioni del tempo davano temporale. Che diavolo, Rivkah era diventata meteopatica?
 
Prima ancora che Rivkah se ne rendesse conto, il suo piede destro si era spostato sullo scalino inferiore e lei si trovava un po’ più vicino a Heath, anzi, leggermente sbilanciata verso di lui.
Perché non riusciva ad essere come sua madre?
E già le girava la testa per via di quel suo odore di foresta, e sudore fresco ma pulito, e sapone. E nei capelli c’era ancora il profumo della colazione, pancakes probabilmente. Neena lo viziava troppo, lo dicevano tutti.
Rivkah scese un altro scalino.
Perché non aveva ereditato almeno questo, da sua madre? Dopo la morte di papà ci avevano provato in tanti e qualcuno c’era anche riuscito. Ma quando per una qualsiasi ragione non le andavano più bene, Deanna li lasciava sul pianerottolo a bocca asciutta, senza battere ciglio, i capelli perfetti e il sorriso di ghiaccio.
Perché non ci riusciva anche lei? Tutti le dicevano che era il ritratto di sua madre; invece dello stesso naso importante, avrebbe preferito avere un po’ della sua forza. L’energia che l’aveva fatta decidere, un giorno, di lasciare la camera da letto con le persiane chiuse dove si era rinchiusa dopo il funerale di papà.
Heath le posò una mano sulla vita e Rivkah l’allontanò con uno schiaffo, e poi si pentì e si morse l’interno della bocca, e lo odiò ancora di più.
Lei lo aveva sempre visto bello. Le piaceva anche quando era piccolo e aveva le spalle mingherline e gli occhi neri troppo grandi nella faccia minuta; era così bellino che sembrava una femmina. Poi un giorno si era svegliata e s’era accorta che lui assomigliava ai ragazzi di cui appendeva le foto nell’armadio, solo che dal vivo era molto più bello. Era cresciuto di quattro spanne in un’estate, gli era spuntata un’ombra di barba tra un brufolo e l’altro e le spalle si erano allargate, così che da lontano si poteva scambiarlo per suo padre. Così non si vergognava più di farsi vedere in giro con lui e neanche di raccontare a Debbie che si baciavano tutti i giorni. E poi lo stronzo si era fatto crescere i capelli, che erano scuri come tutti quelli della sua gente, ma avevano un riflesso ramato sotto il sole; li portava sciolti sulle spalle oppure legati in una coda, e così sembrava anche un po’ stronzo e un po’ ribelle e lei adesso era proprio fottuta.
Perché non riusciva a lasciarlo su qualche pianerottolo o magari anche in mezzo alla strada o lì sotto alla scala con il braccio teso come un cretino? Sua madre l’avrebbe fatto senza problemi.
Solo che lei non era sua madre.
 
A Heath faceva proprio strano che Rivkah lo trattasse così. Lei e quel rompicoglioni di Jaime erano una sorella e un fratello, gli unici che avesse mai avuto.
Rivkah una sorella?
Una specie, ecco. C’era questo dettaglio che facevano sesso, un sesso fantastico, ma prima di tutto erano amici del tipo come-fratelli-amici, cresciuti-insieme-amici, e a loro andava bene così. Perché la gente si lascia, si promette amore eterno e poi si sfancula, ma a loro questo non sarebbe successo mai, perché prima di tutto erano amici.
E gli amici non si lasciano mai.
Rivkah scese dalla scala e gli piantò in faccia gli occhi nerissimi. Aveva i capelli sciolti sulle spalle come un fiume d’acqua nera. La vide sotto di lui, le lunghe ciocche sparse attorno alla testa come una lucida corona d’inchiostro, la bocca rossa e dolce come le grosse ciliegie che maturavano nel loro giardino. Semiaperta, in un gemito.
Rivkah era scura e ardente. Ovunque.
Maledizione, si metteva male davvero. Heath arrossì e sistemò la cerniera dei jeans e desiderò intensamente che lei non lo conoscesse così bene.
Si beccò un altro ceffone, ma non troppo forte.
– Torna tra noi. Guarda che lo so a cosa stavi pensando.
– Io non…
– Sei un maiale.
– Dammi un bacio.
Rivkah fece una linguaccia, ma gli occhi non ridevano.
– Ti frega più della tua moto che di me. E anche del lupo ti frega più che di me. Anzi, quella bestiaccia è prima in classifica, tre metri sopra a tutti gli altri.
– Giuro che tra me e Buck non c’è niente, siamo solo amici.
La faccia da impunito gli veniva sempre bene, e sapeva che se fosse riuscito a farla ridere tutto si sarebbe sistemato. E infatti lei scoppiò a ridere, ma non era la solita risata a gola piena, coi capelli gettati all’indietro, la risata dei film stupidi o di quando loro due si alleavano e sfottevano Jaime. C’era una nota stonata nella canzone della risata di Rivkah, ma Heath non avrebbe saputo spiegare dov’era, la sentiva e basta. Afferrò la vita stretta della ragazza – poteva circondarla tutta con la mano sulla schiena liscia – e vi si aggrappò per tirarla a sé. Poi la baciò sulla bocca pulita; Rivkah non portava rossetto e sapeva solo di se stessa.
Anche baciarla funzionava sempre. O almeno, aveva sempre funzionato.
– Vengo a prenderti questa sera?
– No, vengo con le ragazze. E poi tu non devi occuparti della brace?
– Appunto. Mi daresti una scusa per sfuggire a Isaias, Il Re del Barbecue.
– Mh, no. Un po’ di lavoro non può farti che bene, sei troppo viziato.
– Ehi, si può sapere cosa ti ho fatto?
Era serio, questa volta, e un po’ stufo di essere preso a pesci in faccia per niente.
Rivkah sistemò i capelli dietro le orecchie.
– Niente. Non hai fatto niente. Sono arrivate due risposte per il college e sono un po’ nervosa, non ho ancora trovato il coraggio di aprire le buste.
– Anch’io ne ho una che mi aspetta ma non mi va di parlarne. Ti porto a casa?
– C’è Betty che mi aspetta. Ci vediamo stasera dai tuoi.
Heath riuscì a prenderle un braccio prima che fosse troppo lontana, così veloce era stato il movimento con cui si allontanava e lo lasciava lì come un cretino.
– Ehi. Un bacio o non ti mollo.
Il labbro inferiore di Rivkah tremò, come quando stava per entrare in classe e non aveva studiato niente, perché aveva passato il giorno prima nella rimessa con lui. Ma lo baciò, leggera e veloce, e poi se ne andò davvero.
   
 
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