«Qual
è il tuo nome?»
Orfeo
non rispose, ci pensò. Sentiva di aver perduto la propria
identità, che la
musica l’aveva portata via con sé, al cospetto di
chissà quale dio. Il suo
cuore pareva tacere nel petto, come quello di un morto, il suo animo
era
confuso. Cosa rispondere?
«Sono...
triste», disse infine.
La
fanciulla allungò una mano e gli sfiorò il
ginocchio. Aveva un tocco delicato e
fresco, come la pioggia di primavera. Non rispose, lo guardò
con quegli occhi verdi
come il mare in lontananza.
Che
fosse una dea? Nessuna mortale possedeva una bellezza così
pura.
«Dimmi
il tuo nome e, forse, io saprò dirti il mio.»