«Mi
chiamo Euridice.»
Un
nome da poter cantare,
pensò Orfeo, le cui dita già si muovevano fra le
corde della lira, alla ricerca
della melodia adatta, della nota perfetta che sospirasse quel nome
tanto bello.
Stava
per sfiorare una corda, quando si trattenne.
«Non
suoni?» gli chiese Euridice.
«Vorrei
dedicarti un canto, ma non posso», rispose lui, afflitto.
«Perché?»
Orfeo
la guardò, con gli occhi arrossati da lacrime che non
riusciva a versare.
«Perché
non ricorderesti più chi sei, perderesti te stessa. La
musica, che è dono degli
dèi, ha un prezzo.»
Euridice
gli sorrise e il cuore di Orfeo parve sprofondare.
«Magari,
se dovessi perdermi anch’io, riuscirei a
ritrovarti.»