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Autore: Mary P_Stark    10/06/2019    1 recensioni
Una serie di OS dedicate ai personaggi della Trilogia della Luna. Qui raccoglierò le avventure, i segreti e le speranze di Brianna, Duncan, Alec e tutti gli altri personaggi facenti parte dell'universo di licantropi di cui vi ho narrato in "Figli della Luna", "Vendetta al chiaro di Luna", "All'ombra dell'eclissi" e "Avventura al chiaro di Luna" - AVVERTENZA: prima di leggere queste OS, è preferibile aver letto prima tutta la trilogia + lo Spin Off di Cecily
Genere: Azione, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lemon, Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'TRILOGIA DELLA LUNA'
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4.
 
 
 
 
Lasciata Sarah a casa sua con un gran sorriso e la promessa di essere al suo fianco, in quella sgangherata situazione, Joshua se ne andò con la certezza che nulla, in quella faccenda, sarebbe stato facile.

Si era quasi slogato la faccia, per sfoderare un sorriso convincente, ma dubitava che Sarah vi fosse cascata.

Dopo ciò che era successo, non poteva pensare che lei fosse una qualsiasi ragazza infatuata e persa nel suo sogno. Era una donna che sapeva cosa voleva, e il lupo che voleva le stava facendo vedere i sorci verdi.

Niente di strano se, quando era scesa dall’auto, le avesse visto il dolore cocente negli occhi.

Non poteva però fare altro. Era tutto nelle mani di Keath, ormai. La decisione spettava a lui.
 
***

Sarah salì lentamente fino al suo appartamento. Il passo strascicato e l’aria stanca, aprì la porta di casa come se pesasse cento chili e lì, nell’osservare la maglietta di Keath sul divano, pianse.

Si era sentita molto coraggiosa a porre quell’ultimatum a Keath, ma non era affatto sicura di sapere se esistesse un modo per smettere di sentire ciò che aveva dentro.

Poteva davvero pensare di riuscire a cancellarlo dalla sua vita, di non posare più lo sguardo su di lui, di non avere la possibilità di scoprire come fosse, oltre la facciata di Freki?

Lei voleva conoscerlo, stare al suo fianco, amarlo, ma era possibile avverare tutto questo, con lui che era convinto unicamente di averle fatto del male?

Perché non poteva accettare i suoi sentimenti? Perché non voleva provare a conoscerla come donna?

Stringendosi la maglietta al volto e inspirando il suo profumo di lupo e di uomo, Sarah crollò sul divano e lasciò che le lacrime che aveva fin lì trattenuto sgorgassero libere da freni.

Era difficile essere sempre forte, avere sempre – o quasi – il controllo sulla propria vita, e trovare sempre il modo migliore per reagire ai comportamenti altrui.

Ogni tanto, sentiva il desiderio di avere qualcuno che lo facesse per lei. Giusto per riprendere un po’ il fiato, per non essere sempre perfetta, o preparata a tutto, o forte e determinata.

Qualche volta, voleva tornare a essere la studentessa timida e impacciata che Keath aveva ammirato per la sua intelligenza e sagacia.

Voleva essere un po’ vezzeggiata. Non tanto, ma almeno un pochino.

Ma la persona che poteva farla sentire bene – o malissimo – non voleva le umane al suo fianco, solo le lupe, e lei non voleva accettare che un cambio di casacca, per così dire, la rendesse migliore ai suoi occhi.

Desiderava andargli bene com’era adesso. Il fatto di diventare una lupa doveva essere un di più, non l’unica soluzione per piacergli.

Qualcosa era scattato tra di loro, senza che vi fosse di mezzo la sua licantropia, perciò desiderava capire cosa fosse nello specifico quel qualcosa. Se lui non voleva, però, tutto sarebbe stato vano.

Fu tra quelle lacrime colme di dolore che si assopì, desiderando un lupo che mai l’avrebbe voluta per quella che era.
 
***

Riprendendosi dal sonno dolente che l’aveva presa, Sarah fece per muoversi e alzarsi dal divano ma, quando tentò di farlo, si rese conto di non trovarsi affatto su un divano, ma accoccolata in braccio a Keath.

Sgomenta, fece per scostarsi, non comprendendo quello che era successo mentre era addormentata ma lui, trattenendola contro di sé, mormorò: «Non dovresti lasciare aperta la porta di casa. Potrebbe entrare chiunque.»

Lei si limitò a sbirciare sopra la spalla, ricordando suo malgrado che, quando era entrata, il dolore provato era stato così forte da farle dimenticare anche una banalità come quella.

Sospirando, poggiò mani sul torace di Keath per alzarsi, ma ancora lui la trattenne e Sarah, cominciando a scocciarsi, borbottò: «Se sei venuto per scusarti, o perché temevi che io potessi essere triste, prendi pure la via della porta, perché…»

Keath la azzittì con un bacio e, con movenze sinuose, la fece distendere sul divano e sotto di sé, che ora la sovrastava completamente.

Sorridendo poi malizioso, mormorò: «Dio, parli come una radio! Anche a casa dei miei, era impossibile farti tacere.»

«Per forza, eri sotto coercizione» brontolò lei, cercando di non fare caso all’erezione di lui, che premeva come un maglio contro il suo fianco.

Era più che evidente quanto fosse eccitato, neppure un idiota avrebbe omesso quel particolare, nondimeno sembrava tranquillo e, in qualche oscuro modo, appagato.

Lui accentuò il sorriso, le leccò la base del collo fino a farla mugolare di piacere e, roco, ammise: «E’ stato un errore morderti e, prima che tu ti arrabbi, è giusto che io lo dica. Che tu volessi diventare lupa o meno, era tuo diritto decidere quando, e da chi farti mordere.»

Sarah annuì controvoglia, trovando estremamente difficile essere coerente, con lui che la guardava con aria così truffaldina e maliziosa. Ugualmente, cercò di non apparire una deficiente e rispose con qualche monosillabo borbottato tra i denti.

Accettando quell’assenso, Keath sfiorò con la punta del naso la ferita da lui inferta – ora coperta da un pesante cerotto – e, per un attimo, il suo corpo tremò tutto. Sarah non seppe dire se per il dispiacere, o qualche altro sentimento.

«E’ terribile pensare che la tua pelle perfetta sia stata ferita da un mio morso… ma è stranamente appagante sapere che io sono dentro di te, pur non essendoci mai stato» sussurrò roco lui, calando con la bocca a mordere l’orlo della camicia di Sarah.

Lei ansimò di piacere a stento trattenuto, ma riuscì ugualmente a dire: «Essere mutata da te… è un sogno che diventa realtà.»

«Perché? Perché pensi questo di me?» volle sapere lui, poggiandosi sui gomiti per poterla guardare meglio.

Sarah sapeva di dover ponderare le parole, poiché la domanda di Keath era più che lecita e meritava una risposta seria, non le classiche banalità del genere ‘sei un bell’uomo’ e cose simili.

Levando perciò una mano per carezzargli il volto, mormorò: «Sento cose che non ho mai provato per nessuno, e sono sicura che vogliano dire qualcosa di più che ‘ho una cotta per qualcuno’. So che sei un lupo, e so anche che non hai mai voluto una donna umana nella tua vita, ma sei qui, ora, e qualcosa vorrà pur dire. Forse, anche tu senti qualcosa che non hai mai provato per nessuna.»

«L’affinità d’anima si prova solo tra lupi, ma…» mormorò lui, tornando a sfiorarla fino a poggiare il capo nell’incavo del suo collo. «…credo faccia stare così. Con un desiderio irrefrenabile di stare con qualcuno, di toccarlo, di possederlo, di averlo sempre con sé.»

«Sai, però, che non sono un oggetto, vero? Che non puoi possedermi?» domandò lei, non sapendo bene come interpretare quelle parole. Aveva sentito parlare delle affinità d’anima tra lupi, e sapeva che erano rare ma che, chi poteva vantarle, provava sensazioni mai provate.

Lui allora rise, una risata vera, spontanea, e annuì.

«Bright ha un’affinità d’anima con Kate, eppure la sua Prima Lupa è Estelle. Inoltre, so che non sei un oggetto, e che potrei anche volerti solo come amica, ma non è quello che voglio

«E cosa vuoi?» mormorò in un ansito Sarah, non sapendo cosa aspettarsi da lui.

Per tutta risposta, lui insinuò una mano tra di loro, le slacciò i jeans e incuneò le dita nei suoi slip, sfiorandola con delicatezza.

Sarah andò letteralmente a fuoco, si divincolò sotto quel tocco appena accennato volendo di più, bramando tutto, di lui e Keath la accontentò.

Le sfilò i pantaloni con una competenza sospetta, non in linea con un licantropo che avesse avuto solo lupe con cui accoppiarsi, ma lei non vi badò più di tanto.

Attese bramosa che anche lui si fosse liberato degli indumenti e, quando egli fu nudo e perfetto sopra di lei, non poté che provare aspettativa e piacere, ma niente affatto paura.

«Non l’ho mai fatto, con un’umana» tenne a precisare lui, a un passo dall’averla.

«Non l’ho mai fatto, con un licantropo» replicò lei e, con dolcezza, lo guidò verso di sé, verso il fulcro della sua femminilità.

Entrambi ansimarono di sorpresa, quando i loro corpi si fusero in uno solo. Le spinte furono lente, all’inizio, per abituare entrambi a quella danza del tutto nuova finché, per ognuno di loro, non giunse che il momento dell’oblio.

Keath la strinse a sé, affondò sempre di più, il volto a sfiorare il suo collo mentre Sarah emetteva dei brevi sospiri contro i suoi capelli, le mani artigliate alla sua schiena.

Non vi fu sangue, non vi fu la violenza tanto temuta da Keath, solo il piacere della scoperta, la brama accompagnata dall’appagamento, la sorpresa di mettere a nudo se stesso per la prima volta.

Forse, anche per questo non si era mai voluto unire a nessuna in quella forma. Si sentiva stranamente vulnerabile, come se il manto del lupo lo proteggesse da dolore e tradimento.

Lì con Sarah, sdraiati sul divano, avvinti l’uno all’altra in un abbraccio rovente, sapeva di essere in balia di quella donna umana. Di una sua parola. Di un suo rifiuto.

Sapeva che, se lei l’avesse rifiutato ora, non avrebbe avuto speranza.

Ora, in quel momento, il suo cuore era nudo.

Ma lei lo baciò, sfiorò entrambi con le sue mani calde, rise nel vedere il mezzo pasticcio combinato sul divano e, levatasi in piedi, gli allungò una mano perché andasse con lui.

Keath accettò, sapendo che sarebbe stato sempre così, da quel momento. E al diavolo il fatto di sapersi nudo, davvero nudo, dinanzi a Sarah.

Se sentirsi così esposti dava anche così tanto, avrebbe lottato per averlo per il resto della sua vita.

«Andiamo a fare una doccia. Ne abbiamo bisogno» mormorò lei, togliendosi di dosso ciò che rimaneva della sua camicia per poi avventurarsi verso il bagno.

Lui ne ammirò le forme voluttuose, desiderò farle sue in quell’istante ma, al tempo stesso, bramò di abbeverarsi semplicemente del suo sorriso, o di godere delle sue sole parole.

Fu per questo che disse con una certa ironia: «E’ tutto così strano.»

«Lo so» si limitò a dire lei, e una lacrima le sfuggì dagli occhi. «Ma è bello. Mi piace l’idea di imbarcarmi in questa avventura con te. Con nessuno è mai stato… come te.»

Keath la raggiunse subito, a quella vista, la strinse in un abbraccio e mormorò: «Con me non dovrai più piangere.»

«Mi farai piangere ancora, ma sarà solo di gioia» replicò lei nell’osservarlo, e lui le strappò la lacrima dalla gota con un bacio.

«Per ora, voglio sentirti urlare il mio nome mentre ti faccio mia» mormorò roco lui, facendola ridere.

«Queste non sono pareti insonorizzate, Keath. Non voglio che i miei vicini chiamino la polizia perché pensano mi stiano ammazzando» asserì lei, venendo letteralmente trascinata verso la vasca.

Lui la sollevò per farle oltrepassare il bordo, la schiacciò contro il muro gelido strappandole un mugolio di protesta e aggiunse: «Urlerai, ma dentro la mia bocca, così nessuno sentirà.»

«Vediamo che riusciamo a combinare, allora» assentì Sarah, aprendo il getto caldo della doccia, che li colpì con le sue gocce bollenti.

Keath ghignò malizioso, la afferrò alla vita per sollevarla e affondò in lei con una spinta indolente che la portò a sospirare e rabbrividire.

La prese così, lento, inesorabile, facendole sospirare ogni affondo e Sarah si perse nei suoi baci, finché non divenne troppo anche per lui, e non si lasciò infine andare a una possessione totale, senza pietà.

Keath, comunque, fu di parola. Ogni ansimo di Sarah venne catturato e, quando infine crollarono contro il muro piastrellato, lei mormorò roca: «Nessuno è mai stato come te.»

Lui ringhiò per diretta conseguenza e Sarah scoppiò a ridere, esalando: «Te l’ho detto che ho avuto altri ragazzi, no?»

«Non pensarci mentre sei con me.»

«Era solo per dirti che, come te, non ho mai vissuto niente di simile, perché nessuno è mai stato tuo pari» sottolineò lei.

Keath allora la fissò con profonda malizia e asserì: «E’ ovvio che nessuno sia stato come me. E quando sarai lupa, capirai fino a che punto.»

«Mi porterai nel bosco, alla luce della luna, e correremo insieme come lupi?»

«Se lo vorrai. Ma, ora che ti ho avuta così, dubito che apprezzerò mai più la mia forma di lupo per quel genere di cose. Non avevo davvero la più pallida idea di cosa mi stessi perdendo.»

Ciò detto, si chinò a succhiarle i seni e fece capire anche a Sarah cosa intendesse dire, con quelle parole.
 
***

Mezzanotte era passata da poco. Sdraiato sul letto di Sarah mentre, con lentezza, le passava un acino d’uva alla volta, Keath stava godendosi quei momenti di pace dopo l’amplesso.

Non aveva mai apprezzato quegli istanti, trovandoli davvero sopravvalutati e inutili, ai fini pratici.

Lui e le sue compagne si erano sempre divisi in amicizia, lasciandosi come si erano ritrovati, e nessuna aveva mai preteso che fosse diverso da così.

Con Sarah, invece, era tutto così piacevole da renderlo quasi sospettoso. Era mai possibile che vi fosse un inganno, dietro a tanta gioia?

Scrutandola in volto, glielo chiese con un candore tale da far tremare d’emozione la giovane e lei, arrampicandosi su di lui per offrirgli un acino, mormorò: «Non hai mai avuto una relazione, perciò immagino sia strano, per te. Si sta così, i primi tempi, ma io spero di poterlo dire anche tra cinquant’anni.»

Lui ghignò per puro orgoglio maschile e Sarah, ridacchiando, si sedette sopra di lui e aggiunse: «Ma guarda quanto sei tronfio, ora che te l’ho detto…»

«Mi piace stare così, perciò mi impegnerò a che la cosa duri a lungo… molto a lungo…»

Assottigliando lo sguardo, Sarah borbottò: «Non ti stai riferendo solo alla nostra relazione, vero?»

Sistemandosi meglio sotto di lei, si inarcò per immergersi nel suo corpo caldo e, con un sospiro deliziato, ansimò: «No, non mi stavo riferendo solo a quello… e ora cavalcami, mia lupa.»

«Anche se sono ancora umana?» domandò lei, inarcandosi all’indietro per assaporare appieno la sua forza.

«Sbagliavo a pensare che sarebbe stato meno intenso» ammise lui, facendola arrossire per l’intensità del suo sguardo e la franchezza delle sue parole. «Tu sai darmi cose che nessuna lupa è mai stata in grado di darmi… e non parlo di questo, adesso. Parlo di quello che viene prima. E dopo.»

Il piacere che aveva saputo donargli non era la sola spiegazione alla sensazione di calore che provava nel petto. C’era ben altro, e sapeva che aveva a che fare con lei in quanto donna, e non per ciò che sapeva donargli a letto.

Sarah allora sorrise, si mosse sopra di lui e mormorò: «Piacersi anche prima, e dopo, è molto importante. Sono contenta che tu me l’abbia detto.»

Lui grugnì un assenso, quasi trascinato via dal lento movimento di lei sul suo membro e, nel reclinare il capo all’indietro, gorgogliò: «Ti va se ne parliamo dopo?»

Lei rise, si mosse nuovamente fino a farlo tremare e, nell’annuire, Keath perse la sua battaglia e raggiunse la vetta prima della sua amante.

Era davvero la giornata delle prime volte, quella.
 
***
 
Camminando lungo la passeggiata dello Stoneridge Park per raggiungere Albion Square, dove si trovava la villetta degli Ellison, Keath lanciò un’occhiata a una soddisfatta Sarah e rise.
 
Lei lo scrutò incuriosita e l’uomo, scrollando le spalle, chiosò: «Sembri un gatto che ha mangiato il canarino.»
 
«Qualcosa di simile. Di certo non speravo che, nel mio futuro prossimo, potessi esserci compreso anche tu, perciò sono contenta. Sei un canarino molto saporito, sai?»
 
Keath si fece dubbioso e ammise: «Non sai se tra un mese ci andrà ancora di stare insieme. Magari, quando sarai diventata lupa, i tuoi interessi cambieranno e vorrai stare con altri lupi… oppure, io mi stancherò di questa novità e tornerò a fare il solitario.»
 
Sarah lo prese sottobraccio, annuendo alle sue parole e, fattasi seria, asserì: «Lo so bene che è tutto in divenire, per noi due, ma mi godo il presente e spero che diventi anche futuro. Se non succederà, saprò di aver almeno tentato. Non mi piace rimanere con il dubbio e non sapere le cose.»
 
«Ho notato» annuì lui, sogghignando malizioso.
 
Sarah allora arrossì e borbottò: «Non ti conviene farmi pensare adesso a quello che abbiamo fatto stanotte. Già non sono sicura che le mie tre docce siano bastate a eliminare del tutto il tuo odore dalla mia pelle, figurarsi se poi penserò a cose sconce davanti a mio padre. Potrei diventare paonazza nel giro di un secondo.»
 
«Non ho paura delle ire di tuo padre… o di tua madre, se è per questo. Voglio solo che sappiano che non ho cattive intenzioni nei tuoi confronti, accettando di frequentarti» replicò lui, serafico. «O è di Jasper che devo preoccuparmi? E’ un fratellino geloso?»
 
«Accettando… di frequentarmi? Ti senti obbligato perché siamo stati insieme?» borbottò Sarah, lasciando perdere il resto del suo discorso per fissarlo bieca.
 
Dopo un attimo, ebbe la soddisfazione di vederlo arrossire sotto la pelle bronzea.
 
«Beh, hai capito… non fare la noiosa» brontolò Keath, scostandosi dal suo braccio e infilando le mani nelle tasche.
 
Sarah allora sorrise comprensiva di fronte al suo palese imbarazzo e, nell’osservare le altre coppiette presenti in quel momento nel parco – liete di godersi quella giornata gradevole – mormorò: «Non è un problema se non vuoi dirlo ai tuoi amici, sai?»
 
Avvampando d’ira, Keath si bloccò a metà di un passo e sbottò dicendo: «Pensi che mi vergogni di te?!»
 
«Dimmelo tu» replicò lei, fissandolo con falsa ingenuità.
 
L’uomo la scrutò sempre più accigliato, borbottò un’imprecazione e infine disse: «Okay, scusa. Ho sbagliato a esprimermi. Volevo dire che voglio frequentarti… solo, non ho la più pallida idea di quello che fanno due persone che si frequentano. Tutto qui.»
 
Sgranando gli occhi, Sarah esalò sconcertata: «Ma neppure da ragazzo hai avuto la fidanzatina?»
 
Keath storse il naso al solo pensiero e scosse il capo, replicando fiero: «Joshua mi ha riconosciuto come suo futuro sicario quando avevo compiuto da poco tredici anni e, fino alla mia investitura ufficiale, ho seguito scrupolosamente gli insegnamenti del vecchio Freki così che fossi pronto, al mio ventiquattresimo anno di età, a succedergli. Non avevo tempo per le donne, in quel senso. Dovevo essere pronto per Joshua.»
 
Lo sguardo di Sarah si addolcì, a quelle parole e, gentilmente, mormorò: «Stavi con le lupe a quel modo perché non ti distraessero dal tuo compito, quindi?»
 
«Anche» ammise Keath, grattandosi pensieroso una guancia rasata di fresco. «In realtà, la cosa è più complessa di così, e anche abbastanza stupida, se ci penso.»
 
«In che senso?»
 
Keath si guardò attorno, intercettò una panchina e, nell’afferrare la mano di Sarah, la accompagnò fin lì e poi si accomodò assieme a lei.
 
Ciò fatto, strinse le mani tra loro e, pensieroso, asserì: «Mio padre… sì, quello che mise incinta mamma, se ne andò per stare con un’umana.»
 
Sarah sgranò gli occhi, sconcertata, e annuì cauta, aspettando impaziente che lui continuasse il suo racconto.
 
«Me lo disse mamma quando compii dieci anni, se non ricordo male. Mi domandavo come mai Karl non fosse il mio vero padre, pur essendo un grande amico di mia madre, così lei mi spiegò cosa successe. Lui fuggì non appena seppe che l’aveva messa incinta e, dopo la mia nascita, mia madre chiese a Randolf di scoprire dove fosse. Essendo un Fenrir molto protettivo, lui la accontentò e inviò Geri a cercarlo coi suoi corvi.»
 
«Lo trovò?» domandò preoccupata Sarah, non sapendo cosa aspettarsi da quella confessione.
 
Lui assentì e disse roco: «Viveva con la sua nuova donna… un’umana. Non hanno avuto figli, perciò niente fratellastri. Forse, detestava il fatto di essere un lupo, chissà, e sapere di aver messo al mondo un abominio lo ha inorridito, facendolo scappare via.»
 
Lo disse con un ghigno, ma Sarah percepì nel suo sguardo una buona dose di risentimento e sì, di dispiacere.
 
Accentuando la stretta sulla mano di Keath, Sarah domandò: «Gli parlasti mai?»
 
«No. Aveva fatto del male a mamma, e solo per andarsene con un’umana, spezzando così la nostra famiglia. Non volevo dargli importanza, ma ne ebbe, a conti fatti, perché finii per escludere dalla mia vita coloro che, secondo me, erano state la causa di questa spaccatura» ammise lui, sorridendole spiacente.
 
«Le umane» chiosò Sarah, annuendo.
 
«Se fossi stato meno arrabbiato e più consapevole, avrei dovuto capire che i miei preconcetti erano del tutto sbagliati. Mamma sposò Karl da umano. Solo in seguito, lui volle essere mutato e la donna umana che sposò mio padre non lo fece di certo per fare un torto a mia madre, che neppure conosceva» le spiegò Keath, sbuffando con autoironia.
 
«Quindi, non ce l’hai più con le umane?»
 
«Con questa in particolare, direi proprio di no. E non solo perché mi piace, ma perché mi ha aiutato a capire dove sbagliavo» mormorò lui, baciandola teneramente sulle labbra.
 
Lei accettò il bacio ma la curiosità ebbe il sopravvento e, nell’appoggiarsi contro di lui, domandò: «Toglimi un dubbio…»
 
«Quale, stavolta?» ironizzò lui, ritrovandosi addosso lo sguardo glaciale di Sarah. «Avanti, parla, curiosona.»
 
«Com’è che sai baciare così bene, visto che hai avuto rapporti con le lupe solo in forma animale?»
 
Grattandosi una guancia con espressione esasperata, mugugnò: «Se avessi saputo che le lupe tendono a essere così chiacchierone riguardo ai propri amanti, avrei fatto firmare una clausola sulla privacy.»
 
Sarah scoppiò a ridere e Keath, con un sospiro, aggiunse: «Mi piace baciare, tutto qui. Il fatto che copulassi con le lupe in forma animale non vuol dire che, prima, non mi piacesse baciarle in forma umana, o fare un po’ di petting. Tutto qui.»
 
«Beh, meglio per me, allora» chiosò Sarah, levandosi in piedi e trascinandolo con sé.
 
«Sicura di non esserne gelosa? Molte le conosci» sottolineò lui.
 
«Keath, hai scelto di tentare una nuova strada con me. Non credi che questo basti a farmi sentire come un’Eletta?» ironizzò lei, prendendolo per entrambe le mani e saltellando allegra nell’avanzare con lui.
 
L’uomo la fissò vagamente accigliato, non certo avvezzo a quell’esternazione così palese dei sentimenti – e alla conseguente curiosità scatenata nei presenti – ma, con un borbottio, chiosò: «Contenta tu…»
 
«Sì. Contenta io. E ora andiamo, o arriveremo dai miei genitori per Natale» celiò Sarah, aprendosi in un sorriso sbarazzino.
 
A Keath non restò altro che accodarsi e, presala sottobraccio di sua spontanea volontà, si preparò mentalmente a essere presentato, per la prima volta, ai genitori della propria ragazza.
 
***
 
La casa degli Ellison era una graziosa villetta a due piani dai mattoni chiari, con un elegante bovindo in stucco bianco che si apriva sulla piazza, e tende di batista alle finestre.
 
Dinanzi all’entrata, un piccolo giardino si estendeva sui due lati del marciapiede d’ingresso e Keath, nel passarvi accanto, se lo immaginò in estate, ricolmo di rose in boccio e di tulipani a riempire le aiole.
 
In quel momento, le uniche piante verdi e rigogliose erano la siepe di bosso e un piccolo sempreverde potato a forma di spirale.
 
«Vieni?» domandò Sarah, già sulla porta d’entrata.
 
Lui la raggiunse facendo gli scalini a due a due e, non appena furono entrati, vennero avvolti dal profumo di arrosto di verdure e di patate al forno.
 
«Amo già tua madre» mugolò deliziato Keath, prima di guardarla e domandare: «Tu sai cucinare?»
 
«Uova al tegamino e poco altro. A Parigi, pensavo più che altro a studiare» ammise con un risolino Sarah.
 
«Più che altro a studiare, eh?» ripeté con ironia Keath, prima di veder comparire Greg Ellison, il padrone di casa.
 
L’uomo li squadrò con evidente curiosità, confuso dall’aria accigliata della figlia e dall’evidente divertimento del Freki del branco.
 
«Ben arrivati» disse a quel punto Greg, non sapendo esattamente come comportarsi.
 
La telefonata di prima mattina della figlia era giunta più che a sorpresa e, quando aveva accennato alla sua novella relazione con Keath Harford, la sorpresa dei coniugi Ellison era salita alle stelle.
 
Naturalmente, sapeva che Sarah aveva avuto un paio di ragazzi, in Francia, che si era premurata di nominare durante una delle sue frequenti visite a casa, ma non voleva sapere quanti altri ragazzi avesse conosciuto.
 
 
Inoltre, forse solo i sassi non sapevano quali fossero le preferenze sessuali del Freki del branco di Londra perciò, quando Greg lo aveva sentito nominare, si era impensierito.
 
Nell’udire la voce tranquilla e gaia della figlia, però, aveva cominciato a porsi qualche domanda e, nel vederli assieme nel suo ingresso di casa, i dubbi non fecero che aumentare.
 
Era forse la prima volta in vita sua che vedeva Freki sorridere ma, soprattutto, lo incuriosiva il modo in cui guardava Sarah. Era lo sguardo di un uomo perso in quello della sua donna. Non di una donna qualunque.
 
Keath rispose con un saluto educato e una stretta di mano al padrone di casa e, senza tanti giri di parole, avvolse le spalle di Sarah e disse: «Intendo frequentare tua figlia, Greg, se non è un problema. Anzi, a dire la verità, anche se fosse un problema.»
 
Sarah strabuzzò gli occhi di fronte a quella frase davvero mal concepita e peggio esposta ma Greg scoppiò a ridere, assentì e disse per contro: «Dubito che avrei qualcosa da ridire, visto che Sarah ha sempre fatto di testa sua. Ma è piacevole sentirti dire che ti interessa così tanto frequentarla, a costo di metterti contro due lupi.»
 
Scrollando le spalle, Keath avanzò a un cenno di Greg, tirandosi dietro quasi di peso una sconcertata Sarah e, pacifico, chiosò: «Non mi piace litigare con le persone ma, per Sarah, potrei anche farlo.»
 
Ciò detto, entrò nel salotto di casa e lì trovò ad attenderli Emily – la madre di Sarah e moglie di Greg – e il piccolo Jasper, impegnati a sistemare le ultime cose in tavola.
 
La madre di Sarah li salutò con un sorriso, mentre Jasper fissò letteralmente strabiliato Keath prima di allungare un pugno a mo’ di saluto, contro cui Freki batté il proprio.
 
Lasciando che Jasper monopolizzasse l’attenzione di Keath, Emily ebbe il tempo di studiare sia Freki – che appariva tranquillo e sicuro di sé – che la figlia, che invece sembra volerlo schiaffeggiare.
 
Evidentemente, aveva previsto di dover essere lei, a fare la parte del leone, mentre Keath l’aveva sorpresa mettendosi in gioco in prima persona, senza aspettare che fosse Sarah a giustificare le sue azioni.
 
Presentandosi quindi a Freki con una stretta di mano, Emily chiosò: «Ho idea che la nostra ragazza sia furiosa.»
 
Keath si volse per scrutare il volto di Sarah, mentre Jasper sghignazzava spudoratamente, e sollevò sorpreso un sopracciglio.
 
«Adesso che ho fatto? Non hai detto che non dovevo esitare?»
 
«Beh, però… ecco, insomma… mi sarebbe piaciuto dire qualcosa!» brontolò lei, pur sapendo di apparire assai infantile.
 
Aveva immaginato di dover difendere l’onore di Keath, in qualche modo, invece tutti sembravano molto più rilassati di lei.
 
Il licantropo, allora, la lasciò andare, infilò le mani in tasca e disse: «Prego. Tanto, la patata bollente l’ho lasciata a te.»
 
Sarah lo squadrò confusa per alcuni istanti, prima di capire. Già, non c’era soltanto il fatto che Keath e lei si sarebbero frequentati. Doveva anche dire ai suoi genitori che, entro breve, sarebbe diventata un lupo, e che era stato proprio Keath a farle quel regalo.
 
Il punto era… come dirglielo senza apparire una figlia assatanata e ammaliatrice di uomini? Era risaputo che Keath non se la faceva con le umane, perciò… come spiegare perché lui l’aveva morsa senza accennare al fattaccio che lo aveva spinto a farlo?
 
Storcendo la bocca, si ritrovò suo malgrado a guardare Keath in cerca di aiuto e il licantropo, ghignando soddisfatto, domandò mellifluo: «Hai bisogno di una mano?»
 
«Sì, purtroppo. Sei più spudorato di me, perciò esponi i fatti ma, per carità, sii gentile! C’è mio fratello, qui!» borbottò infine lei, non sapendo davvero cosa avrebbe detto Keath.
 
«Quando mai non lo sono?» sottolineò Keath, serafico, prima di ammettere con candore: «Ho morso vostra figlia perché desiderava essere mutata da me. Vi risparmio i dettagli, ovviamente.»
 
Sarah sospirò esasperata, scuotendo il capo di fronte all’espressione ammaliata di Jasper e a quella allibita dei genitori. A quanto pareva, Jasper era già diventato un fan di Keath. Quanto ai genitori, non aveva davvero idea di cosa stessero pensando in quel momento.
 
Molto probabilmente, lei avrebbe usato tutt’altro genere di parole, nello spiegare il fattaccio, ma la scelta sbrigativa di Keath poteva anche andare. Lasciava intendere una quantità esagerata di allusioni più o meno osé, ma preferì non cementarsi troppo su quel particolare.
 
L’importante era che i genitori sapessero.
 
Greg ed Emily si limitarono a fissarla come se avesse le corna e la coda, ma non dissero nulla e Keath, soddisfatto, chiosò: «Sono o non sono un campione di oratoria?»
 
«Come no» sbuffò Sarah, più che certa che, a porte chiuse, sua madre l’avrebbe affogata di domande e Jasper l’avrebbe presa in giro a vita.
 
Tossicchiando, Emily prese in mano le redini della situazione e domandò: «Ci sediamo a tavola?»
 
«Volentieri. Il profumo che arriva dalla cucina è così buono che, se non fossi già sposata, ti sposerei io, Emily» dichiarò Keath, sfoderando il suo miglior sorriso da seduttore.
 
Il suo fascino, ovviamente, andò a segno. Avere un DNA così puro dava certi vantaggi, specialmente se la controparte era una mannara.
 
Sarah, allora, diede un calcio negli stinchi a Keath da sotto il tavolo e lui, per diretta conseguenza, borbottò: «Ho solo fatto un complimento.»
 
«Non fare il leccapiedi. Ormai sanno tutto quello che c’è da sapere, e non c’è bisogno di ingraziarseli» sottolineò però Sarah.
 
Keath, allora, si raddrizzò offeso e brontolò per contro: «Ma chi vuole fare il leccapiedi?! Se mia madre sapesse che suo figlio non si comporta bene a tavola e non omaggia la padrona di casa, mi castrerebbe.»
 
Greg non poté che ridere e annuire, di fronte alla sorpresa di Sarah, mentre Jasper rideva come un matto ed Emily tornava con l’arrosto profumato, facendo finta di niente e poggiando il piatto in mezzo al tavolo imbandito.
 
«Ha ragione lui, Sarah. Trisha è stata maniacale, in questo, e lo sanno tutti… beh, quelli dell’età di Trisha, per lo meno» chiosò il padre.
 
«Oh» esalò la giovane, ritrovandosi a chiedersi quanti altri particolari, di Keath, fossero per lei ancora oscuri.
 
Lui, allora, le sorrise gentilmente e aggiunse: «Avremo tutto il tempo di approfondire queste cose. Non temere.»
 
Sarah quindi annuì, un poco più tranquilla. C’era Keath a guidarla, quando e se ne avesse sentito la necessità. Esattamente come aveva sperato.
 
Non era un uomo che voleva essere sempre e comunque l’eroe della situazione, ma uno che le offriva una mano quando lei ne sentiva il bisogno. E che, nel contempo, apprezzava la sua indipendenza e intraprendenza.
 
Quando Keath prese per sé un pezzo più che generoso di arrosto, facendo nuovamente i complimenti alla cuoca, Sarah ne ebbe la certezza.
 
Keath era quello giusto.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
N.d.A.: direi che è andato tutto a posto. Keath si è finalmente lasciato andare ai suoi sentimenti, non si è barricato dietro alla paura di aver ferito Sarah e ha lasciato che la sua anima e il suo corpo parlassero per lui.
 
Sarah, a sua volta, si è lasciata andare a ciò che sentiva per Keath e, al tempo stesso, ha iniziato a scoprire un pezzo alla volta l’anima dell’uomo – e del lupo – di cui per lungo tempo è stata infatuata.
 
Che dite? Durerà? O, come dice Keath, di lì a qualche tempo, la loro spumeggiante relazione finirà? Lo scopriremo presto, promesso!
 
 
 
 
 
 
 
 

 
 
  
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