VI
In The Same Room
La prima cosa che avvertii fu un
lancinante mal di testa, che mi riscosse con prepotenza dal sonno; qualsiasi
speranza di riposare ancora, si infranse in quel momento.
Dovevo darci un taglio con
l’alcol, sopportare gli effetti del post-sbronza stava diventando difficile per
me.
Man mano che riprendevo
conoscenza, mi rendevo conto di diversi dettagli: prima di tutto avevo
scalciato via le coperte, che ora avvolgevano soltanto le mie gambe e
lasciavano il resto del corpo a contatto con l’aria fresca. Tuttavia non
rabbrividii, avevo una fonte di calore alla mia sinistra, alla quale ero
addossato e che mi intiepidiva il fianco e parte della schiena.
Cercai di trovare una risposta a
quella presenza, ma il mio cervello non voleva saperne di funzionare; allora mi
scostai appena dalla persona sdraiata accanto a me, mi voltai lentamente e
schiusi gli occhi, permettendo alla luce del mattino di ferirli.
Allora il mio cuore perse un
battito, mentre i ricordi della sera precedente mi ripiombavano addosso come
una pioggia di proiettili.
Myles, proprio lui, il mio Myles.
Era supino sul materasso, stipato in un angolino, immerso in un sonno profondo
e sereno, come suggeriva il suo viso disteso e il suo corpo privo di tensioni.
I capelli lunghi e scarmigliati erano sparsi sul cuscino candido, in netto
contrasto con la sua pelle fin troppo pallida, e la leggera maglia nera a
maniche lunghe che gli fasciava il corpo si sollevava e abbassava all’altezza
del petto, regolare, al ritmo del suo respiro.
Per me, di buon mattino e in
pieno stato confusionale, quella era una visione talmente celestiale da essere
scioccante. Avevo dormito accanto a lui, mi ci ero rannicchiato contro, mi ero
beato del suo calore.
Avevo trovato una marea di scuse
per fare in modo di portarlo in camera mia, la sera prima: non sapevo quale
fosse il suo albergo e non mi andava di lasciarlo da solo; una volta giunto al
mio hotel avrei potuto chiedere una stanza tutta per lui, ma ero troppo sbronzo
e stanco per pensarci, e poi avevo capito che Myles aveva bisogno di aiuto e
assistenza, mi sentivo più sicuro a monitorarlo durante la nottata. Queste
erano le scuse che mi ero raccontato e che anche in quel momento continuavo ad
accampare, ma ero talmente ridicolo che mi veniva spontaneo ridere di me
stesso.
Immerso com’ero nei miei
pensieri, quasi non mi accorsi che avevo preso a fissare Myles con insistenza:
lasciavo scorrere il mio sguardo sul suo corpo, lo esaminavo in ogni suo
dettaglio affinché si imprimesse nella mia memoria. Un’occasione del genere non
sarebbe mai più capitata, dovevo approfittarne.
Quanto avrei voluto far scorrere
anche le mie dita sulla sua pelle così perfetta… ma ancora una volta mi
trattenni, non potevo, avrei rischiato di svegliarlo.
Desideroso di stare a contatto con
lui, decisi di godermi fino all’ultimo quel momento e mi rannicchiai nuovamente
contro di lui, poggiando la testa sulla sua spalla e inspirando il suo profumo
delizioso. Myles, nell’inconsapevolezza del sonno, si fece ancora più vicino a
me fino a ritrovarsi con il petto premuto contro la mia schiena.
Io avvertii un intenso calore
infiammare ogni singola cellula del mio corpo, ero in imbarazzo ma allo stesso
tempo quel gesto era tutto ciò che speravo. Mi imposi di reprimere i miei
istinti più viscerali, presi un respiro profondo, tentai di rilassare i muscoli
e mi portai una mano sul petto, all’altezza del cuore: batteva all’impazzata,
faceva pulsare ancora più forte le mie tempie già devastate.
Potevo ridurmi in quelle
condizioni alla veneranda età di quarantasette anni? Io, Slash, la leggendaria
rockstar che non aveva mai temuto niente, che non si lasciava ammorbidire da
niente, ero preda di una stupida cotta come un adolescente in crisi ormonale, e
non muovevo un dito per concretizzare questo curioso e sconosciuto sentimento.
Oh, sì che avevo fatto qualcosa,
invece… proprio la sera prima, mi ero lasciato andare a una stronzata di cui mi
ero subito pentito. Una volta in camera, complice l’alcol che annebbiava il mio
buon senso, avevo baciato Myles. Era stato un gesto fugace, gli avevo sfiorato
le labbra per pochi istanti, prima che lui corresse in bagno a vomitare. In
quel momento avevo ringraziato di cuore i suoi conati, che mi avevano distolto
dal commettere qualche altra cazzata; stordito, l’avevo seguito all’interno
della piccola stanza e l’avevo sorretto, tenendogli indietro i capelli mentre
lui si liberava lo stomaco dall’eccessiva quantità di alcol ingerita.
In fondo era stato divertente
prendermi cura di lui, rispondere ai suoi sproloqui deliranti e aiutarlo a
stendersi sul letto… ma ovviamente la mia più grande speranza era che al suo
risveglio nessun ricordo riemergesse nella sua mente, non era il caso che
venisse a sapere cos’avevo fatto, approfittandomi della sua debolezza.
Mentre quelle riflessioni mi
affollavano la mente, accompagnate dal furioso martellare del mal di testa,
avevo preso a giocare con una ciocca dei capelli di Myles quasi in maniera
automatica, lasciandola scorrere tra le mie dita e avvicinandola al mio viso.
Non c’era nulla da fare: mi stavo
rimbambendo.
♫ ♫ ♫
Nonostante mi fossi svegliato, i
miei sensi erano ovattati come se mi trovassi all’interno di una bolla
isolante. Io, da solo, con il mio mal di testa lancinante.
Non sapevo quanto avessi bevuto
la notte prima, ma una cosa era certa: da quando avevo smesso di abusare di
alcol, tanti anni prima, non lo reggevo più tanto bene.
Quando aprii gli occhi e mi
gettai un’occhiata attorno, mi accorsi subito che mi trovavo in una stanza
sconosciuta, abbastanza lussuosa e luminosa. Giacevo sul materasso di un letto
matrimoniale – il bianco delle lenzuola mi accecò non appena vi posai lo
sguardo – e avevo freddo, qualche brivido mi increspava la pelle.
Non ero solo, mi resi subito
conto di una presenza alla mia sinistra, anche se mi ci volle un po’ per
voltarmi in quella direzione e scoprire la sua identità.
Slash era appollaiato sul bordo
del materasso e stringeva una chitarra tra le braccia, lo riconobbi nonostante
mi stesse dando le spalle, e allora ricordai un po’ di cose: la cerimonia di
premiazione della Rock’N’Roll Hall Of Fame. Già, e
poi cos’era successo? Come ci ero finito in camera con Slash? O forse era lui a
trovarsi nella mia… ah, non ci capivo più niente, e di certo il dolore
pressante che provavo alla testa non mi aiutava a ragionare e ricordare.
Mi lasciai sfuggire un mugugno
lamentoso e tentai di arrotolarmi ancora di più nelle coperte per vincere il
freddo. Questo attirò l’attenzione del chitarrista, che si sfilò entrambi gli
auricolari e ruotò il busto per potermi osservare. “Buongiorno” mormorò in tono
vagamente divertito.
“Buongiorno” biascicai,
incrociando i suoi occhi scuri, stanchi almeno quanto i miei. “Ho fame. Cosa è
successo ieri?”
“Mah, niente di che, diciamo che…
abbiamo alzato un po’ il gomito, tutti quanti.”
“Grazie per avermelo detto, non
l’avevo notato” borbottai sarcastico. “Intendo: cos’è successo mentre ero
ubriaco? Non ricordo niente…”
“Non lo so, dimmi quello che ti
ricordi e io provo a ricostruire il resto. Anche se non ti assicuro niente,
sai, non ero proprio lucido.”
Mi concentrai per cercare di
richiamare alla mente le scene della sera prima. “Allora, ricordo la nostra
esibizione, che se non sbaglio è andata bene, e il pubblico che se la prendeva
con Axl durante il discorso d’apertura di Billie Joe… poi ricordo che eravamo tutti insieme nel backstage,
abbiamo cominciato a brindare e festeggiare, abbiamo riso un sacco… e fine, non
ricordo altro. Non so dove sono e nemmeno come ci sono arrivato.” Feci
spallucce.
Slash annuì. “È comprensibile,
eri talmente fuori controllo che non hai fatto che delirare. Comunque, questa è
la mia stanza d’albergo e sono le tre del pomeriggio.”
Mi passai una mano sulla fronte
con fare esasperato. “Oddio, scusami, non volevo invadere così i tuoi spazi!
Insomma, sei stato costretto a dormire con me…” Ero mortificato, lo conoscevo
abbastanza bene per sapere che era un tipo riservato e raramente lasciava
entrare qualcuno nei suoi ambienti personali.
“A te ha dato fastidio?” mi
interruppe, diretto come sempre.
Mi sciolsi in un sorriso
rassicurante. “Io? Ma figurati, nessun problema, lo dicevo per te!”
Slash sollevò un sopracciglio,
segno che stava soppesando le parole da pronunciare. “In realtà non ero
obbligato a ospitarti, potevo anche lasciarti in corridoio” commentò con finta
noncuranza.
Scoppiai a ridere. “Certo, con
tanto di bicchiere vuoto per chiedere l’elemosina!”
“Tuttavia,” proseguì lui,
continuando la sua scenetta, “ho deciso di compiere questo gesto di carità nei
tuoi confronti perché sono una persona generosa… e poi non penso che agli altri
ospiti dell’albergo interessasse il contenuto del tuo stomaco.”
Strabuzzai gli occhi, in parte
per la sorpresa, in parte per una fitta lancinante alla tempia destra. “Ho
vomitato? Oh mio dio, ecco perché mi sento così vuoto qui” mormorai, posandomi
una mano all’altezza dello stomaco.
“Chiamo e ci facciamo portare
qualcosa in camera, nemmeno io ho mangiato” propose Slash, mettendosi in piedi
e abbandonando la sua chitarra poco distante da me. Lo seguii con lo sguardo
mentre circumnavigava il letto e sollevava la cornetta del telefono, posto sul
comodino alla mia destra. “Cosa ti va di mangiare?”
Ci riflettei un attimo. “Non lo
so. Qualcosa di pesante e malsano, tipo… un kebab.”
“Bene. Io invece mi butterò sul
dolce” affermò lui.
“Come al solito” osservai.
Una volta terminata la chiamata,
il chitarrista tornò a sedersi al suo posto e mi lanciò un’occhiata.
“Mi dispiace che tu abbia dovuto
assistere a tutto ciò. Insomma, mi hai portato qui, hai dovuto sopportare i
miei conati, poi ti ho invaso il letto… ti ho rovinato la serata” ammisi,
sinceramente dispiaciuto. Slash era sempre molto gentile e disponibile con me,
ma nell’ultimo periodo mi pareva di starne approfittando un po’ troppo.
“Stai scherzando, vero?!”
“No, non scherzo. E poi mi sono
rovinato la reputazione…”
“Quale reputazione?”
Ci scambiammo un’occhiata e io
scoppiai a ridere, contagiando poi anche lui. “Ma che stronzo, e io che mi
preoccupo!” lo rimbeccai.
“Dai, stammi a sentire!” Slash si
fece nuovamente serio. “Quali parole devo usare per farti capire che non mi
disturbi?”
Gli sorrisi, riconoscente.
“Grazie, sei un amico.”
In quel momento sentimmo bussare
alla porta e il chitarrista si mise in piedi per andare a controllare chi
fosse. Dal canto mio, gli diedi le spalle e mi tirai le coperte fin sopra la
testa, sperando di passare inosservato allo sguardo del nuovo arrivato. Mi
sentivo un po’ a disagio nell’essere in quella stanza, più che altro mi
domandavo cosa avrebbe potuto peensare un’altra
persona se mi avesse trovato nella stanza di Slash.
Quest’ultimo intrattenne una
breve conversazione con il cameriere che era venuto a consegnarci il pranzo,
poi richiuse la porta e tornò a sedersi accanto a me con un grande vassoio in
mano.
“Dobbiamo mangiare a letto?” m’informai,
perplesso.
“Se la cosa non ti disturba…”
Scostai a fatica le lenzuola dal
mio corpo, poi feci leva sui gomiti e mi sollevai con lentezza, sperando che il
mio mal di testa momentaneamente assopito non si risvegliasse di colpo. Mi misi
a sedere con la schiena contro la testiera del letto, passai una mano tra i
miei capelli arruffati – più tardi avrei chiesto al mio amico se per caso
avesse una spazzola in più – e infine spostai lo sguardo su Slash, che mi
osservava in attesa.
“Ieri non ho sporcato in giro,
vero?” chiesi all’improvviso.
Lui piegò la testa di lato. “In
che senso?”
“Non ti ho vomitato addosso o,
che so, per terra…” precisai.
“Ma ti pare il momento di
parlarne, con tutto questo cibo davanti ai nostri occhi?” mi rimproverò
indignato, poi entrambi scoppiammo a ridere come due idioti.
Mangiammo con avidità e io sentii
quel fastidioso vuoto all’altezza dello stomaco che si colmava e scompariva.
Restammo tutto il pomeriggio e
buona parte della serata rintanati in quella stanza, tra musica, chiacchiere,
risate e antidolorifici per il mal di testa. Eravamo distrutti e spossati ma,
come al solito, ne approfittammo per lavorare al nuovo materiale, perfezionare
quello che avevamo già scritto e crearne di nuovo.
Solo verso le sei, dopo essermi
dato una sistemata e aver fatto una doccia, ebbi il coraggio di mettere il naso
fuori dalla stanza: non potevo permettermi di restare ancora lì, dovevo
raggiungere al più presto gli Alter Bridge, sarei dovuto ripartire quella
stessa notte.
Prima di lasciare l’albergo,
strinsi Slash in un abbraccio e lo ringraziai di cuore per avermi coinvolto in
quella splendida avventura; avrei voluto salutare e ringraziare anche gli altri
della band, ma di loro non c’era traccia in giro e, a essere sincero, non
sapevo nemmeno se alloggiassero in quello stesso hotel.
Una volta in taxi, diretto verso
il mio alloggio – in cui in realtà non avevo alloggiato per niente, vi avevo
solo appoggiato i bagagli – ricevetti una chiamata da Todd.
“Ehi” risposi, schiarendomi la
gola.
“Myles! Com’è andata ieri? Gira
voce che avete spaccato tutto!” esordì il bassista con il suo solito
entusiasmo.
“Oh sì, devo ammettere che è
andata abbastanza bene, ci siamo divertiti!”
“E scommetto che avete
festeggiato alla grande!”
Annuii, poi mi ricordai che il
mio amico non poteva vedermi. “Sì, talmente tanto che non ricordo nulla di cosa
è successo dopo il concerto…” ammisi.
Todd si esibì in un fischio di
approvazione. “Che figata, e dire che io non ti ho mai visto ubriaco!”
Risi. “Non ti sei perso niente, fidati!
Slash dice che deliravo e mi ha pure dovuto assistere mentre… insomma, svuotavo
il mio stomaco.”
“Si è preso cura di te?”
“Esatto, mi ha anche fatto
dormire in camera sua perché non ero nelle condizioni per tornare nel mio
albergo” raccontai.
“Ah, ma pensa un po’… e, fammi
indovinare, aveva un letto matrimoniale in cui avete dormito insieme” insinuò
il bassista in tono malizioso.
Sbuffai; non lo sopportavo quando
si comportava così, mi veniva quasi voglia di chiudergli il telefono in faccia.
“Todd, quante volte ti devo dire…”
“Andiamo, Myles, come puoi essere
così ingenuo?” mi interruppe lui. “Slash è riservatissimo, non lascia entrare
nemmeno le mosche in camera sua, però ha concesso a te di dormire nel suo
stesso letto. Questo cosa ti porta a pensare?”
“Che si fida di me, perché siamo
amici” affermai, ed era proprio ciò che pensavo.
“Sì, vabbè, lasciamo perdere… e
dimmi, chi hai incontrato nel backstage della Hall Of Fame?”
Così cambiammo finalmente
argomento e prendemmo a chiacchierare del più e del meno.
Una volta terminata la
conversazione, persi lo sguardo fuori dal finestrino. In fondo Slash mi sarebbe
mancato, era sempre piacevole trascorrere un po’ di tempo con lui.
Ma l’idea di stare di nuovo in
compagnia dei miei Alter Bridge mi elettrizzava ancora di più.
♠ ♠ ♠
Buon
lunedì a tutti, lettori miei!
Eh
sì, questa settimana ho aggiornato un giorno prima, e non a caso 😉 non vi anticipo altro,
ma occhio a questa categoria o al mio profilo, potrebbe apparire una piccola
sorpresa :D
Cooomunque… stavolta non ho grandi spiegazioni da dare,
ma sono molto curiosa di sapere cosa ne pensate! Secondo voi c’è speranza che Myles ricambi Slash? O per lui è veramente un semplice
amico?
Grazie
di cuore per essere ancora qui e per il supporto, sapere che la storia vi sta
piacendo mi rende davvero felice :3
Alla
prossima settimana… o forse no? O forse ci si vede un po’ prima? Eheheh… ♥