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Autore: WhiteWitch    12/06/2019    3 recensioni
Ora, Crowley si era abituato al gelo intorno a sé, al sangue ghiacciato che scorreva in lui. Si era abituato a specchiarsi nell'acqua e a vedere un serpente fissarlo di rimando, come se le parole di Michele fossero state profezia o maledizione. E si era abituato alla vita ai Piani Bassi, perché sapeva che non avrebbe mai più conosciuto altro.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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In the days of my youth



Capì che Azraphel non ricordava di averlo incontrato prima della Caduta e di questo Crowley era un po' dispiaciuto, perché così l'angelo avrebbe saputo che c'era del buono in lui, che poteva esserci ancora.

In realtà non ricordava di averlo incontrato perché Crowley era molto diverso; non era così affilato, così magro, come se gli mancasse la linfa vitale. E i suoi occhi erano normali occhi angelici, rispendenti dall'interno. E la sua aura era più pulita, meno inquinata.

 

Ricordava bene la Caduta, così come la battaglia prima di essa.

Ricordava della strana sensazione di irrealtà che lo aveva pervaso. Non avrebbe mai creduto che si arrivasse a tanto, solo per una domanda, solo per aver sperato che ci fosse qualcosa di più, oltre il servire Dio.

Ricordava di essere stato impavido, all'inizio, di aver ingaggiato la lotta con angeli e serafini, con le virtù e i cherubini, su nelle sfere più alte.

Ricordava di aver ferito Pietà: lei era alta, dai capelli color del fuoco, e aveva sanguinato. Ricordava di averla quasi distrutta, ma Temperanza era giunta in suo soccorso, bella e bionda, di bianco vestita, molto simile ad Azraphel ora.

Esteriormente, Crowley aveva mostrato loro la sua rabbia; dentro di sé sapeva che non si sarebbe perdonato la violenza fatta a Pietà.

Era scappato, non per paura, ma per ciò che aveva fatto. Aveva ferito una virtù, non una qualsiasi, ma quella di loro che gli era stata più amica. Colei che si era sempre mostrata... pietosa nei suoi confronti. Ed era volato via, perché Temperanza lo avrebbe trafitto con la sua lancia dorata.



Era stato Michele a trovarlo; Crowley, che all'epoca non si chiamava ancora così, era stato sorpreso mentre portava in salvo Asmodeo, sanguinante e privo di conoscenza.

Non era stato tanto il dolore fisico di quando Michele lo aveva colpito, quando lo sguardo che gli aveva rivolto.

Ricordava ancora le sue parole.

“Traditore”, lo aveva chiamato. “Raphael, serpente! Sei e sarai sempre una nullità”.

Crowley all'epoca non aveva ancora manifestato il desiderio di essere speciale. Non aveva mai voluto spiccare nel gruppo, ma solo conoscere e capire.

Le parole di Michele avevano scavato un solco profondo nella sua anima angelica e Crowley se le portava ancora dietro.

Era stato allora che aveva visto Azraphel per la prima volta: era piombato tra Michele e Asmodeo. Aveva i capelli chiari come il ghiaccio e portava una spada fiammeggiante con sé, la teneva saldamente nelle mani.

“Non cedere alla rabbia!”, aveva esclamato. “Sono perduti! Non dobbiamo odiarli, ma compatirli”.

“Perduti?”, aveva ripetuto Michele.

Crowley non aveva parlato, portandosi davanti ad Asmodeo, ancora svenuto, per fargli scudo con il suo corpo.

“Lucifero è caduto”, aveva detto Azraphel. “Presto toccherà anche a loro”.

Crowley non sapeva cosa volesse dire “cadere”. O meglio, gli era capitato di cadere, quando le sue ali erano troppo stanche per sostenerlo. La Caduta, però, era un'altra cosa.

I cieli avevano iniziato a tingersi: poco a poco, tutto era divenuto rosso, le nubi da bianche erano diventate grigie. Non c'era più la pallida e cristallina luminosità che aveva pervaso fino a quel momento i cieli: c'era solo oscurità. Ovunque scoppiavano lampi di luce, scariche di colpi tra angeli. Tra fratelli.

Nell'aria si era diffuso uno strano odore. Odore di terra, di sale e di morte.

Crowley non aveva mai conosciuto la morte. Nessuno di loro fino a quel momento la conosceva.

Fu allora che cominciò il dolore.

Veniva da dentro, dentro di lui. Era come fuoco nel petto.

Crowley non sapeva cosa fosse e aveva cominciato a urlare, tentando di strapparsi la veste e graffiandosi la carne come per estirpare quella pena.

Michele e Azraphel li avevano lasciati soli senza guardarli una seconda volta e ancora oggi Crowley di quando in quando si chiedeva cosa sarebbe accaduto se avesse chiesto aiuto. Azraphel si sarebbe girato, se lo avesse chiamato?

Non l'aveva fatto.

Al calore, violento e insopportabile, si era sommata una nuova sensazione: un freddo glaciale tutto intorno a sé.

Dentro, Crowley stava bruciando vivo; fuori, stava congelando.

Quando le prime lacrime erano scese, lui si era spaventato, perché non erano lacrime qualsiasi: era sangue, quello che sgorgava dai suoi occhi. Era sangue, copioso, vischioso e lucido, quello che lo aveva accecato, portando via la luce da dentro di lui, togliendogli quel luccichio divino dal viso.

Cieco e spaventato, Crowley aveva tastato intorno a sé in cerca di Asmodeo, ma lui non c’era più. Solo dopo avrebbe scoperto che era caduto molto più in fretta.

Non aveva mai provato tutto quel dolore, né quella paura. Gli toglieva il respiro e gli strappava via la vita.

Cosa succede, si chiedeva.

Perché, Dio, perché questo dolore.

Ti prego, salvami.

Aveva iniziato a sentire intorno a sé grida simili alle sue: altri angeli, colpevoli di avere chiesto a Dio di sapere, che soffrivano e piangevano come lui.

A ricordare quel momento, anche adesso che era solo e al sicuro, i polsi gli tremavano e la saliva veniva a mancare.

Ricordava anche che, insieme a quel dolore, a quel fuoco che scavava nel suo corpo e a quel freddo che lo immobilizzava, insieme al buio davanti ai suoi occhi e alla paura folle, era arrivato qualcos'altro.

La perdita.

Improvvisa e categorica, la sensazione di vuoto nel cuore fu improvvisa e terribile. Non lasciava spazio al dubbio, la spiegazione poteva essere solo una: Dio lo aveva lasciato.

Lo aveva abbandonato molto rapidamente. Non era stato un rilascio graduale, ma uno strappo violento, una recisione. Prima Dio dimorava in lui, poi non c'era più, e basta.

Nel cuore, nell'anima di Crowley quel giorno si era spezzato qualcosa. Fu come farsi strappare un pezzo di sé. Un senso di abbandono e di solitudine lo aveva pervaso, insieme alla consapevolezza improvvisa che sarebbe stato così per sempre.

Solo. Senza nessuno. Senza amore.

Crowley urlò e pianse, quel giorno, il corpo che non riusciva più a muoversi dalla disperazione. Il dolore, la paura e la solitudine erano arrivate tutte insieme e questo lo aveva piegato.

Poi, il suolo sotto di lui si era fatto leggero, finché non aveva ceduto.

Crowley era caduto nel vuoto.



Quando infine aveva ripreso a vedere, aveva scoperto di essere in un posto buio e freddo come il ghiaccio.

Qualcuno, in fondo, aveva acceso un fuoco e Crowley aveva levato una mano davanti a sé, per proteggere gli occhi dalla luce improvvisa.

Tutti intorno a lui tremavano di freddo e erano corsi verso il fuoco acceso.

Fu il loro primo atto di egoismo: spingere via gli altri solo per avere più fiamme per sé. Crowley avrebbe voluto dire di non essere stato così meschino, invece aveva strattonato Yeter'el con tanta forza da graffiargli il braccio, solo per scavalcarlo e arrivare prima.

Alcuni piangevano. Crowley pensava di non avere più alcuna lacrima da versare e così se ne era stato in silenzio, lottando come una bestia messa all'angolo per tenere un po' di calore per sé.

Col tempo erano comparsi altri fuochi, altre fonti di luce e calore. Nei giorni seguenti, Crowley avrebbe scoperto di essere molto cambiato, le ali nere e gli occhi da serpe. E un cuore decisamente rotto, da buttare.



Ora, Crowley si era abituato al gelo intorno a sé, al sangue ghiacciato che scorreva in lui. Si era abituato a specchiarsi nell'acqua e a vedere un serpente fissarlo di rimando, come se le parole di Michele fossero state profezia o maledizione. E si era abituato alla vita ai Piani Bassi, perché sapeva che non avrebbe mai più conosciuto altro.

Ciò a cui non si era mai abituato era l'angoscia della vita con i suoi pari. Gli altri angeli caduti erano arrabbiati e si erano trasformati in ciò che Dio aveva fatto di loro. Lui non era arrabbiato quanto loro: era solamente stanco di sentirsi solo.



Per questo salì sul muro orientale.

Avrebbe riconosciuto Azraphel ovunque, quell'unico angelo che, anche se forse non per amore, si era frapposto fra lui e la distruzione, fra lui e la furia di Michele.

Vederlo lì, in piedi a guardare il deserto fuori dal Giardino, fu la prima cosa bella che Crowley percepì da migliaia di anni.

Lui non lo riconobbe, né sapeva il suo nome. Crowley invece sapeva tutto di lui, ricordava la dolcezza nel suo sguardo.

Finse noncuranza, cercò di non sorridere troppo.

Azraphel dimostrò una volta di più di essere un angelo strano perché, invece di cacciarlo, gli parlò. Non con sufficienza o disprezzo, ma con tranquillità, come avrebbe parlato a un vecchio amico.

Crowley pensò che avrebbe voluto dirgli che non era cattivo. Avrebbe voluto dirgli che tutto ciò che aveva voluto, da quando era venuto al mondo, era sapere: non tanto, non tutto, solo un po' di più di quanto gli fosse stato concesso.

Invece non parlò, facendo solo una sciocca battuta sul bene e sul male che angeli e demoni possono fare.

Quando piovve, Crowley lanciò al cielo uno sguardo preoccupato. Non conosceva i tuoni, ma gli ricordavano pericolosamente il rombo che lo aveva assordato mentre stava cadendo nel vuoto, l'aria che gli frustava le orecchie. E non conosceva la pioggia: cos'erano quelle cose che lo colpivano, fredde sulla sua pelle ancora più fredda? Doveva temerle? Avrebbero fatto male?

L'angelo Azraphel sollevò una delle sue ali candide e morbide e lo protesse dalle prime gocce, senza alcuna esitazione, come se non avesse mai fatto altro che quello da quando gli angeli erano nati.

Crowley si sentì fragile, più fragile del solito. Si fece più vicino e notò che Azraphel emanava calore: un calore intenso che non aveva nulla a che vedere con il fuoco che lo aveva divorato da dentro. No, questo era un tepore... morbido. Piumoso. Creatura a sangue freddo, Crowley si beò di quel calore.



Non era così vicino a Dio da quando era caduto.

   
 
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