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Autore: MadLucy    13/06/2019    1 recensioni
{Tomarry | Harrymort | what if | post Chamber of Secrets | grey!Harry}
Il ricordo del diario di Tom Riddle riesce nel suo intento: riacquistare un corpo. Una nuova profezia gli indica la strada: Harry Potter è l'unico che può sconfiggerlo, ma anche l'unico che può portarlo al trionfo. Tutto ciò che Tom deve fare è usare la sua arma più potente contro di lui: l'amore. Harry viene rapito ed introdotto suo malgrado ad una nuova vita, inspiegabile ma affascinante. Avviluppato in un seducente, caleidoscopico vortice dove verità e menzogna finiscono per confondersi sempre di più, il suo obiettivo è non perdere se stesso.
Genere: Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Tom O. Riddle | Coppie: Harry/Voldemort
Note: What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Primi anni ad Hogwarts/Libri 1-4
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Quarto atto

«... la Sala Grande, ovviamente» cominciò Harry, lo sguardo rivolto verso il soffitto della stanza, come se potesse magicamente animarsi come quello di Hogwarts. «E il cibo. Non ho mai mangiato qualcosa di così buono. Il primo sorso di succo di zucca... me lo ricordo ancora. E poi la Galleria delle Armature, la Guferia, la Torre di Astronomia...»

«... ci andavo sempre, durante il plenilunio» rammentò Tom, rivolgendogli un sorriso strano, quasi distorto da una punta di amarezza -non semplice malinconia, qualcosa di più vicino al rimpianto. «Il laboratorio di pozioni...»
«Persino la biblioteca» si stupì di se stesso Harry. «Persino quella mi manca.»
«Soprattutto la biblioteca, vorrai dire» lo bacchettò Tom, fingendo di rimproverarlo. «In nessun'altra parte del mondo in cui io sia stato il palpito della magia è così distintamente percepibile... Come se le mani di tutti i maghi della storia si tendessero da quelle pagine per toccarti.» Parve riscuotersi da quelle fantasie per restituire alla propria voce il solito tono pedante di quando impersonava il professore. «Non puoi nemmeno immaginare quanto potere sia sopito lì dentro, in attesa di essere scatenato.»
Harry sorrise trasognato. «Mi sembrava l'unico posto al mondo dove potessi essere me stesso. Voglio dire, quando varcavo le sue porte mi sentivo diverso. Come...»
«... come se al di fuori non fossi nessuno, ma una volta dentro fossi esattamente chi volevi essere» completò Tom, atono, assorto.
Harry annuì con il capo, colpito. Quelle parole sembravano essere state lette nella sua mente. 
«Beh, non c'è nessun bisogno di imbronciarsi. Presto ci tornerai» promise Tom, pazientemente. 
«E mi manca tanto salire su una scopa. La sensazione che mi dà è indescrivibile» raccontò Harry, ormai sulla cresta dell'onda dei ricordi. «Tu non hai mai volato?»
Tom inarcò il sopracciglio, come se trovasse quella domanda segretamente esilarante. «Avevo interessi prioritari a terra, diciamo.»
«La mia passione è ereditaria. Anche mio padre era Cercatore... Era molto bravo, sai? Aveva vinto delle coppe.» Ora Harry aveva abbassato gli occhi, sconfitto dalle proprie stesse parole. «Avrei tanto voluto che mi vedesse volare, almeno una volta» confessò, con un sospiro. 
Tom non rispose subito. «Forse è meglio perdere i genitori prima di averli conosciuti. Altrimenti la nostalgia sarebbe più forte» osservò, senza lasciar trasparire nessuna emozione. 
«Però non sapere com'erano fatti mi fa male» spiegò Harry. «Cerco di... visualizzarli nella mia mente. Di immaginarli mentre mi parlano, quando sono in difficoltà, o quando ho bisogno di conforto.» Tirò un sorriso imbarazzato, come se avesse appena detto una cosa molto stupida. «Forse me li sono in parte inventati. Ma aiuta. È meglio di niente.»
Tom lo scrutò a lungo, mentre il suo volto s'oscurava, lo sguardo attraversato da un pensiero sgradevole. 
«I tuoi genitori sono morti per te. Ti amavano incondizionatamente, a quanto pare» gli ricordò. «Dei miei non si può dire lo stesso. Mio padre abbandonò mia madre prima che partorisse, e lei ebbe la faccia tosta di darmi il suo nome, come se fosse qualcosa di cui andare fieri. Nessuno dei miei parenti, maghi o babbani che fossero, mi cercò mai. Non c'è mai stata alcuna dignità nella mia nascita, nessuna storia che valesse la pena raccontare. Certe storie hanno più valore della realtà, Harry Potter.»
Ma le storie non hanno un corpo con cui scaldarti, pensò Harry. 
«Mi ricordo quando zio Vernon e zia Petunia si inventavano storie per screditare i miei genitori. Mi dicevano che ero il figlio inutile di due falliti. Ti senti... così condannato. Come se ormai quello che fai non contasse più niente, e fosse tutto già deciso come un... errore.» Le sue labbra scandirono quell'ultima parola con una masochistica precisione, e Tom gli sfiorò il braccio, nel punto in cui era bendato. 
«Cercavano di distruggerci perchè avevano compreso la nostra superiorità» dichiarò, con acuto disprezzo. «Perchè li abbiamo costretti a realizzare la mediocre insulsaggine che è la loro vita.»
Harry trovò che fossero parole un po' troppo spietate. «O semplicemente la gente teme ciò che è diverso.»
«La nostra diversità non è qualunque. È molto speciale» lo corresse Tom, come avrebbe fatto con un bambino. «Quella dei maghi in generale, e quella che io e te condividiamo in particolare.»
Harry stava per chiedergli cosa volesse dire, ma un rumore prodotto da scarpe con tacco lo distrasse. I passi proseguirono fino davanti alla porta della sua stanza, poi fecero il percorso al contrario, allontanandosi nervosamente. Non era la prima volta. La più fidata amica di Tom vigilava quasi sempre, quando non le erano affidati altri compiti. 
«Dimmi, Tom» lo interpellò, vivacemente. «Bellatrix è la tua fidanzata?»
«No» negò lui immediatamente, con una lieve smorfia di disgusto. 
«Però le piacerebbe» lo canzonò Harry. Per tutta risposta ottenne una scrollata di spalle. 
«Penso di sì. Non sono motivato ad indagare in proposito.»
«Non dovrebbe essere così ossessiva. Con tutto il tempo che abbiamo passato insieme, mi sembra evidente che ormai non ti ucciderò» scherzò. Tom però non sorrise. 
«Potrebbe trattarsi di banale gelosia per quello che c'è tra noi.»
Le ciglia di Harry frullarono, di genuina meraviglia. «Quello che c'è tra noi?»
«Sì» ribadì Tom, come se niente fosse. «Perchè saresti qui, altrimenti?»
Harry non aveva una risposta pronta. Inesorabilmente, puntualmente, il suo sguardo scivolò sulle labbra di Tom. Lisce, algide, accomodate l'una sull'altra in un incastro carnoso ma asciugato di ogni legame con il sudiciume dell'umanità, come neve solida. Non era come immaginare di baciare una vera persona. Era etereo, sfuggente, e tutto quello che diceva era così esatto, così armonizzato sulle note corrette, quasi fosse appositamente studiato allo scopo di essere giusto per Harry. 
Lo guardò. I loro visi erano vicini, adesso. Chi sei? avrebbe voluto chiedergli. Cosa ho fatto per meritare di essere raccolto da te?
«Perchè dobbiamo spostarci in continuazione?» chiese invece.
Tom serrò quelle labbra bellissime. «Lascia che ci pensi io. Tu devi solo aiutarmi ad aiutarti.»
Harry lasciava sempre che fosse Tom a pensarci. 

***

Nel bel mezzo della notte, Tom entrò nella sua stanza. Le sue urla lo avevano destato. Harry era invischiato nella pece di un incubo. Si dibatteva tra le lenzuola, la fronte lucida, tentando di sottrarsi ai morsi della febbre. Gemeva un pianto senza lacrime, solo rantoli.
Tom sedette sul letto e si prese il suo capo in grembo, con fermezza. Cominciò a mormorare parole che non sapeva di conoscere -non così, in quell'ordine, in quella melodia. Va tutto bene, Harry. Non aveva idea di cosa intendesse con tutto. Forse intendeva se stesso. Va tutto bene perchè sono qui. Fa' il bravo, dormi. Lambì la sua pelle con la bocca. Ormai ci riusciva. Il bruciore si era ridotto a un tenue formicolio. Il sangue di Harry scorreva nelle sue vene, forte e pulsante. Scollò delle ciocche appiccicate dal sudore alle sue tempie con le dita. Le falangi lavoravano su di lui come se stesse tessendo una tela. Riposa, piccolo Harry. Riusciva a ricordarlo, ad un anno, nella sua culla, con quegli occhi spalancati e senza pianto anche allora. Occhi aperti su ciò che lui stava facendo, su ciò che lui era. Lo aveva sempre interpellato così, muto, provocatorio e intransigente, a mento alto. Con i suoi giudizi puri. 
Tom gli sfiorò la testa con la punta della bacchetta. Gli plasmò nella mente dei sogni pacifici, dorati, Ron e Hermione insieme a lui nel cortile interno di Hogwarts. Visioni di partite di Quidditch che aveva vinto, di pasti in Sala Grande, di fotografie in cui i suoi genitori volteggiavano, lo salutavano cento volte. Gli restituì tutto quello che gli aveva tolto per qualche ora. 
Al mattino, tutto si era sciolto al sole del giorno, come la nenia bianca dalle labbra di neve di Tom.
  
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