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Autore: BabaYagaIsBack    17/06/2019    0 recensioni
●Book I●
Aralyn e Arwen anelano alla libertà. Fin dall'alba dei tempi quelli come loro sono stati emarginati, sfruttati, ripudiati, ma adesso è giunto il momento di cambiare le cose, perché nessun licantropo ama sottomettersi, nessun uomo accetta la schiavitù. Armati di tenacia e coraggio, i fratelli Calhum compiono la più folle delle imprese, rubando a uno dei Clan più potenti d'Europa l'oggetto del loro potere. In una notte il destino di un'intera specie sembra cambiare, peccato che i Menalcan non siano disposti a farsi mettere i piedi in testa e, allora, lasciano a Joseph il compito di riappropriarsi del Pugnale di Fenrir - ma soprattutto di vendicarsi dell'affronto subìto.
Il Fato però si sa, non ama le cose semplici, così basta uno sguardo, un contatto, qualche frecciatina maliziosa e ogni cosa cambia forma, mettendo in dubbio qualsiasi dottrina.
Divisi tra il richiamo del sangue e l'assordante palpitare del cuore, Aralyn e Joseph si ritroveranno a dover compiere terribili scelte, mettendo a rischio ciò che di più importante hanno.
Genere: Fantasy, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: Contenuti forti, Incest, Triangolo
Capitoli:
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46. No more Happy Endings

Il rumore delle nocche di Gabriel contro lo zigomo di Aralyn fu un suono raccapricciante alle orecchie di Joseph che, improvvisamente sopraffatto dal desiderio di proteggerla, si scagliò addosso al fratello inchiodandolo con la schiena al muro.

Ringhiando cercò di rimarcare il proprio territorio, ma, invece, ottenne  il contrario della reazione sperata. Non c'era preoccupazione o paura nell'espressione di fronte al suo viso. L'uomo lo guardò con occhi confusi e, vedendosi riflesso in quello sguardo tanto simile al suo, il ragazzo capì di aver fatto un passo falso. Qualsiasi cosa a cui lui tenesse, si ricordò, il maggiore dei figli di Douglas lo avrebbe usato per ferirlo – figurarsi se si trattava della ragazza di cui si era innamorato!

«Sei scemo?» gli vennr domandato, riportandolo così brutalmente con i piedi per terra.

Doveva assolutamente trovare un modo per evitare al maggiore dei Menalcan di scoprire cosa provasse veramente per quell'Impura, soprattutto visto che Gabriel, a differenza di altri fratelli, non era per nulla indulgente su certe cose; la sua mentalità rasentava quasi totalmente quella di loro padre e dei licantropi più vecchi e radicali. Le donne della specie di Aralyn, per loro, erano buone solo per una questione di "sfogo" - che fosse questo riferito ai desideri violenti della bestia, o ai capricci carnali dell'uomo. Un sentimento d'amicizia, o d'amore rivolto nei loro confronti era un comportamento imperdonabile.

Che rispondergli, allora? Come avrebbe potuto giustificare un simile gesto?

I suoi pensieri si mossero veloci nella mente, cozzando a destra e manca senza alcuna apparente logica, ma trovando, alla fine, una specie di soluzione.

«Non azzardarti ad ammazzarla! Ci serve» sputò fuori, sentendo le parole provare a far resistenza in gola; dopotutto, ciò che stava per dire sarebbe potuto diventare un'arma a doppio taglio: suo fratello avrebbe potuto trovare quella confessiome proficua per tutti o, diversamente, pensare l'esatto contrario. Joseph, per la prima volta, pregò quindi che Gabriel non fosse l'energumeno tutto muscoli e violenza che per anni aveva creduto fosse, ma che, sotto-sotto, conservasse ancora qualche neurone capace di fargli mettere al mondo un pensiero logico.

L'uomo di fronte a lui prese a ringhiare a sua volta, forse pronto a ribellarsi alla sua mancanza di rispetto che, con quel gesto, aveva nuovamente sfidato il suo orgoglio – cosa che da anni capitava ciclicamente, ma che aveva avuto origine una notte di tanto tempo prima, quando il ragazzo era intervenuto nello scontro tra Arwen e lui, ferendo e mettendo in fuga il nemico.

«Parla» venne incitato Joseph.
E, seppur restio, il giovane non se lo fece ripetere due volte: «Arwen...»  iniziò, sentendosi sempre meno sicuro: «Arwen tiene a lei più che a qualsiasi altra cosa» ammise infine, stringendo maggiormente la presa sul colletto della giacca dell'altro. La tensione prese a irrigidirgli i muscoli, arrivando persino a fargli male.

Per alcuni istanti rimasero fermi a fissarsi: uno cercando di capire se il consanguineo stesse mentendo, l'altro pregando mutamente qualsiasi divinità di sua conoscenza per scongiurare il peggio.

«Perché dovrei crederti?»

Il cuore del secondogenito di Douglas prese a pompare fin troppo velocemente: «È sua sorella, Gabe» soffiò, mollando la stoffa scura e lasciandosi cadere sulla moquette.
Lo aveva detto.
Alla fine aveva svelato la cosa che meno sarebbe stata opportuno dire.

Con gli occhi fissi in quelli dell'altro rimase seduto e in attesa, scongiurando la tragedia. E se avesse deciso di ucciderla proprio per via di quella parentela? E se la sua vendetta nei confronti di Arwen Calhum non fosse più un piatto da servire freddo?

Gabriel spostò lo sguardo sul corpo accasciato accanto al fratello minore, osservandolo ora con un nuovo e macabro interesse. 
Lo stomaco del ragazzo si ribaltò su se stesso.

Chissà quale folle idea stava vorticando nella mente dell'uomo.

«Il vecchio sarà felice della cosa» sibilò, lisciandosi il pizzetto curato: «Se portiamo questa cosetta a casa avremo un vantaggio su quel bastardo, inoltre potrei divertirmici un po'...»

Udendo quelle ultime parole, Joseph scattò nuovamente, questa volta senza ritrarre gli artigli e le zanne. Con un movimento lesto si frappose tra lo sguardo dell'uomo e la sagoma di Aralyn, ringhiando pericolosamente: «Scordati di avvicinarti a lei!» tuonò con voce gutturale. Anche a costo di farsi massacrare, non gli avrebbe permesso di avvicinarsi alla ragazza. Solo le sue mani avrebbero avuto il permesso di posarsi su quella pelle diafana, così come solo lui avrebbe potuto vederla umiliata – non avrebbe concesso né a suo fratello, suo padre o qualsiasi altro licantropo di riempirsi gli occhi con l'immagine agonizzante e ferita della donna che amava. Tra tutti, lui era l'unico da potersi permettere una tale visione; in fin dei conti sarebbe stata la punizione migliore per un infame del suo calibro.

«Oh... non dirmi che la cagnetta ti piace» lo provocò Gabriel avvicinando il viso al suo, forse provando a vedere se le sue parole generassero nel giovane una qualche sorta di reazione capace di tradirlo, ma Joseph resistette.

Ringhiò ancora, sentendo la rabbia smuoversi: «Non ti accaparrerai il mio successo. Sono stato io a catturarla»
«Chi mi dice che sotto a quelle lenzuola non sia stata lei a catturarti, fratellino? La carne dei maschi è debole» con una mano, l'uomo provò ad accarezzare la coscia nuda dell'Impura, ma prima che le sue dita potessero sfiorarla, l'altro lo bloccò. Il secondogenito di Douglas sapeva bene d'avere negli occhi una luce assassina, eppure non provò a nasconderla in alcun modo – in una maniera, o nell'altra, sarebbe riuscito a impedirgli di averla.

«Non se la mente è salda» rispose, stringendo la presa sul braccio del fratello.

«Nessuno mi assicura che la tua lo sia» Gabriel si liberò dalla morsa di Joseph, poi si rimise dritto e, nell'alto dei suoi centonovanta centimetri, parve diventare una minacciosa montagna: «Ma sarà il vecchio a decidere chi avrà il piacere di godere delle grida di questa... cosa» e, così dicendo, si volse verso l'uscita della stanza, dove le imprecazioni dei sottoposti li avvertivano della fuga degli altri membri della squadra.

Garrel e i gemelli Vogel erano riusciti a scampare quel massacro, ma l'unica persona che lui avrebbe voluto vedere salva, pensò abbassando lo sguardo sul livido che aveva iniziato a riempire lo zigomo di Aralyn, era stata l'unica a restare intrappolata nell'hotel.
 

Dal nero più totale, un odore nauseante prese possesso della coscienza di Aralyn, cullandola lungo il risveglio. Le prime cose che riuscì a distinguere furono il dolore atroce alla schiena, ai polsi e, infine, con meno intensità, al viso. Provò, nel dormiveglia, a ricordare come fosse riuscita a farsi male, ma ogni pensiero sfumava nel nulla. 
La testa le doleva, quasi una bomba vi fosse scoppiata all'interno e riportare a galla i ricordi, o mettere insieme un pensiero, pareva una tortura – eppure sapeva di dover rimembrare qualcosa: ma cosa, esattamente?

Mugolò cercando d'allontanare il fastidio, ma fu tutto inutile. Forse solo la pazienza avrebbe potuto aiutarla a mettere a tacere l'emicrania. Nonostante fosse la cosa migliore, si rese conto che il tempo era l'ultimo lusso che poteva concedersi e, sforzandosi, cercò d'aprire gli occhi. Le palpebre si separarono con estrema fatica, quasi le avessero incollato le ciglia insieme.

La luce fioca che si riversò nel suo campo visivo le strappò un altro verso e le venne quindi naturale alzare un braccio nel tentativo di proteggersi, ma il movimento le fu impossibile: un bracciale di qualche pesante e doloroso materiale le ancorava i polsi a terra.

Aralyn si sforzò di sollevare l'arto, senza però ottenere alcun risultato – il suo corpo era stremato, si opponeva brutalmente alla forza di gravità e quella di volontà, lanciandole stilettate paragonabili a tanti piccoli aghi infilzati nella carne. Perché?

C'impiegò qualche minuto, ma alla fine, vedendo le chiazze violacee sulla pelle e scavando nella memoria, riuscì ad associare quelle sensazioni a un ricordo: argento. La lega con cui erano fatte quelle dannatissime manette, altro non era che un metallo imbastardito dall'unica cosa realmente tossica per un licantropo.

Fu a quel punto che senza preavviso, ciò che era successo le tornò alla mente – portandosi dietro frustrazione, tristezza, paura e, soprattutto, un terribile male capace di andare ben oltre a qualsiasi altra sensazione fisica provata in precedenza. La consapevolezza di ciò che era Josh, o meglio, Joseph la uccise.

Il cuore prese a gonfiarsi nel petto.

Si era concessa al nemico.

Si era innamorata di un Menalcan e, per peggiorare la situazione, uno della più infima specie: l'erede diretto di Douglas, il frutto del suo seme malato.

Con che coraggio avrebbe potuto dire di avere ancora una dignità? O dei valori? Con che faccia tosta, persino nelle ultime preghiere, avrebbe chiesto perdono ad Arwen e tutto il suo clan?

La sensazione nello sterno si fece ancora più opprimente, schiacciandole i polmoni e provando a soffocarla. D'improvviso il bisogno d'ossigeno si fece impellente, ma l'aria intorno a lei sembrava essere troppo viziata e densa per riuscire a darle pace. Ogni respiro parve non riempirle le narici, così prese a boccheggiare, ma nulla: la sua mente si stava ribellando a quei pensieri, sfogandosi sul corpo.

Perché?

Strinse i pugni con rabbia, sentendosi una stupida.

Lo aveva sempre saputo, dannazione! Sin dal loro primo incontro si era detta che quel tizio le avrebbe portato guai, ma mai avrebbe sospettato una cosa del genere. Avrebbe dovuto restar fedele a se stessa e a suo fratello, tenendo a distanza Joseph e continuando a comportarsi come suo solito, invece aveva finito con il cadere nella più semplice e infame delle trappole: l'innamoramento.
 

Garrel guardò per un'ultima volta i gemelli. Sperava di trovare nei loro visi tumefatti e sguardi rabbiosi la forza per far partire la chiamata, ma ciò che vi lesse sopra fu tutto tranne che d'aiuto. C'era furia, desiderio di vendetta, ma c'erano anche frustrazione, sconforto e una tristezza che difficilmente si sarebbe potuta descrivere a parole; e tutto, a causa del fatto che sia Josh, sia Aralyn erano stati catturati dai Menalcan e, probabilmente, a quell'ora potevano essere morti – ma la certezza ancora non l'avevano.

Così, prendendo l'ennesimo grosso respiro, cercò nella rubrica il nome di Arwen. Grazie al cielo aveva avuto la premura di lasciare il proprio cellulare e la chiave di scorta nel portaoggetti dell'auto a cui, però, aveva dovuto sfondare un finestrino per poterla aprire.

Si erano messi in moto senza guardarsi indietro, del tutto sopraffatti dall'attacco nemico e, ora, ne pagavano le conseguenze: i sensi di colpa non sembravano sul punto di sparire. Ed era per quel motivo che dovevano avvertire il loro Alpha, consci però di star andando incontro a terribili conseguenze.

Non solo si erano lasciati sottrarre il Pugnale, avevano anche permesso ai Puri di prendere Aralyn – dettaglio che sicuramente avrebbe distrutto e infiammato Arwen come mai prima.

Alzò con riluttanza gli occhi al cielo e poi, con un unico colpo di dita, fece partire la chiamata.
Tolto il dente, tolto il dolore, si disse, conscio però di quanto fosse finta, in quel momento, una simile affermazione. Nulla avrebbe sanato il vuoto dato dalla perdita di quella ragazzina; non nel suo cuore o in quello dei gemelli e, men che meno, in quello del loro Alpha.

Sapeva bene quanto potesse essere intenso il dolore generato da una simile notizia, c'era passato anche lui molti anni prima, ma per il maggiore dei Calhum sarebbe stato ancora più atroce: lei era stata davvero il suo tutto.

La voce dell'albino, d'un tratto, fece capolino dal lato opposto della cornetta, riportando Garrel alla realtà.

Sentì il cuore stringersi sempre più e pregò con tutto se stesso di trovarsi all'interno di un incubo. Magari, strizzando forte gli occhi, avrebbe potuto svegliarsi e scoprire che nulla di ciò che era successo aveva realmente avuto luogo – il problema fu che, appena concepì quel pensiero, furono le lacrime a fare capolino.

«Sei da solo?» domandò al proprio capoclan, sperando che nessuno assistesse all'ennesima caduta di quello che, per anni, era stato considerato alla stregua di un dio dei lupi. Sì, perché Arwen alla fine era stato quello un tempo, poi i figli di Douglas Menalcan gli avevano portato via tutto.

«Ancora per poco, sto per andare a fare colazione» dal tono, Garrel poté capire che il suo migliore amico si stava già preparando a ricevere una brutta notizia, ma ancora non immaginava di quale entità si trattasse.

Bagnandosi le labbra, l'uomo si portò una mano alla fronte: «Forse è meglio che resti dove sei» gli suggerì poi. Ogni istante che passava lo rendeva sempre più nervoso e, se non fosse stato per la presenza di Hugo ed Eike, si sarebbe persino concesso il lusso di lasciarsi andare alle emozioni; eppure non poteva, doveva restare saldo per il bene di tutti, soprattutto lui.

«Vi hanno attaccati?» fu impossibile non notare l'agitazione nelle parole di Arwen, improvvisamente schiaffeggiato da una realtà che aveva certamente sperato fino all'ultimo non prendesse forma. Come dargli torto del resto? In ballo non c'era solo l'arma più mortale che un licantropo potesse maneggiare, c'era anche la vita della squadra d'élite del Clan del Nord.

L'uomo si morse il labbro. In che modo poteva dare al suo Alpha quella notizia? Come avrebbe evitato che si scatenasse il finimondo?

Sicuramente, si disse, se avesse avuto più tempo per riflettere e mettere insieme un buon discorso avrebbe potuto tentare di contenere la furia che di lì a poco sarebbe esplosa, ma così su due piedi, a nemmeno un'ora dall'accaduto, tutto ciò che riuscì a pronunciare fu un "sì".

«Ma non è l'unico problema...» aggiunse subito dopo, avvertendo la gola seccarsi: «Si sono portati via tutto. Il Pugnale, Joseph e... Aralyn» la voce di Garrel si ruppe proprio su quell'ultimo nome, tradendo il suo reale stato d'animo. Si sentiva in colpa per averla persa di vista, così come gli pareva di non essere altro che un fallito. Oltre a Freyja, aveva lasciato che i Menalcan si prendessero una parte della nuova famiglia che si era costruito e, il tutto, quasi senza lottare per proteggerla. Sì, perché in fin dei conti non aveva fatto altro che difendere se stesso e, vedendosi in svantaggio, sgattaiolare via alla ricerca di salvezza: ma a che costo?

Arwen tuonò: «Stai scherzando? Eh, Garrel?! Non puoi star dicendo sul serio... rispondimi! Dove diavolo è mia sorella?»

Con un sospiro l'uomo lo disse ancora, al pari di un mantra: «L'hanno portata via...» poi pigiò ancora di più gli incisivi nella carne: «Arwen... l'hanno portata via. Noi... noi non siamo riusciti a proteggerla» ci fu un lungo istante di silenzio, un momento in cui l'ansia prese a stringersi intorno allo stomaco, poi un frastuono assordante, colmo di grida disperate e al contempo furiose, gli ferì i timpani. Tutto il caos che Garrel udì provenire dall'altra parte della cornetta, fu la prova di quanto rumore potesse fare il cuore di un figlio di Mànagarmr mentre andava in pezzi – e persino nolente, in parte se lo sentì risuonare nel petto anche lui.



Ps. Dopo 46 capitoli mi auguro che la storia abbia iniziato a far breccia nel vostro cuore e, se così fosse e voleste saperne di più, vi informo che potete trovare i capitoli fino al 53 (se non di più) su Wattpad, dove aggiorno due volte a settimana.
Inoltre, citazioni e artwork sono disponibili sulla mia pagina instagram
( @aniayagalochuaine )

Mi auguro di ricevere vostri feedback e spero di ritrovarvi anche sul prossimo aggiornamento <3
A presto!

 
   
 
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