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Autore: KaterinaVipera    20/06/2019    1 recensioni
Amira si reca in un piccolo villaggio sperduto nella campagna inglese a trovare la cugina, in cerca di un posto dove iniziare la sua nuova vita, lontana da casa e da tutte quelle persone che le hanno voltato le spalle quando ne aveva più bisogno.
Ciò che cerca è la possibilità di ripartire e, soprattutto, la tranquillità che negli ultimi mesi le è stata negata.
Ma, la vita, ha in serbo per lei tutt'altro e fin da subito si ritrova in una realtà che non sapeva esistesse; le persone che, all'inizio le sembrano solo strane si riveleranno per quello che sono veramente: creature straordinarie che credeva fossero solo fantasia e lei dovrà decidere se essere solo lei, una semplice ragazza, o, al contrario, farne parte ed accettare ciò che le dice il suo cuore: lei appartiene a lui, è sua, solo che ancora non lo sa.
Genere: Fantasy, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sono passata dai Morrison per ringraziarli e riprendermi le poche cose personali che avevo lasciato, avvisandoli che avrei avuto un ospite e che avrei dovuto badare a lui durante il suo soggiorno.

“E’ il tuo ragazzo?” mi aveva chiesto Judy, a bassa voce, cospiratoria, e con un’espressione ammiccante.

“Cos… NO!” le ho quasi urlato in faccia, tanto da far voltare verso di noi il resto della famiglia.

“E’ solo un amico, credimi. Tra di noi, non potrà MAI esserci niente.” le ho assicurato, sperando di convincerla per non farla andare a giro e farle dire che Edo è il mio ragazzo.

Ci mancherebbe solo questa.

Lei, però, mi ha sorriso, come chi non ci crede e mi ha salutata dicendomi che ci saremmo riviste a giro e che glielo avrei dovuto far conoscere.
Certo, così poi Garreth avrebbe sbranato anche lei.
Perché l’alfa non può essere come lei, amichevole, sociale e cordiale con tutti? Anche con gli umani?
Non siamo mica tutti dei cacciatori, uccisori di licantropi.
Non dovrebbe essere così… così… chiuso e razzista. Ecco!
Sto ripensando a questo e anche alla sfuriata del ‘Grande Lupo’ in questione non appena mi ha visto ballare con Edoardo.
Capisco che tema per il suo branco e lo voglia proteggere ad ogni costo, ma minacciare lui e me, mi pare esagerato, dal momento in cui ha capito – dovrebbe averlo capito almeno – che da me, quindi anche da Edoardo, non ha niente da temere.
Se solo avesse un po' più fiducia negli altri… se solo ce l’avesse in me.
Se si fidasse di me, saprebbe che io per prima non andrei a sbandierare ai quattro venti il loro segreto, nemmeno al mio migliore amico.
Ma no!, lui deve fare lo schizzato isterico da capobranco mestruato e aggredire tutti perché lui è il ‘Grande e Potente alfa Garreth’!
Ma fammi il piacere!
Grande e grosso e poi fa tanto il cagnolino ammaestrato con quella smorfiosa moretta.

Ho il vomito!

Continuo per la mia strada, passando per la piazza, con la speranza che la camminata mi aiuti a calmarmi e a farmi riflettere con lucidità.
Oggi c’è un gran movimento per il paese, incontro e saluto alcune persone, principalmente amici di Anna ed Alan, che mi chiedono loro notizie.

“Stanno bene. Si rilassano. Torneranno tra qualche giorno.”

Almeno loro due si stanno godendo il meritato riposo e il relax che sono andati a cercare, nella casa paterna di lui.
Infilo le cuffie e starei per far partire la musica, ma alcune voci concitate catturano la mia attenzione e mi spingono ad avvicinarmi al gruppetto di persone, per sentire meglio cosa dicono.
Fingo comunque di stare per conto mio, di non badare a loro, di ascoltare la musica, senza nemmeno alzare lo sguardo da terra o dal display del telefono, ma con le orecchie sto ben attenta.

“E’ essenziale trovarlo!”

“Sappiamo che si nasconde da queste parti… non lo possiamo permettere.”

A parlare sono due uomini, ma a parte questo non riesco a capire altro su di loro.

“E noi non lo permetteremo!”

Questa voce la potrei riconoscere ovunque.

Garreth.

Il resto del gruppo si ammutolisce, in attesa che lui continui a parlare; ed anche io, spinta da una forza invisibile, forse magica, alzo la testa aspettando che l’alfa finisca il suo discorso.

“Sappiamo che è un maschio, giovane, sui 25-30 anni. Corporatura esile, alto circa un metro e settanta. E sopratutto: è umano.”

Non ci posso credere.

Edoardo.

Gli sta dando la caccia.

Alzo la testa, consapevole che Garreth stia facendo sul serio, ed ecco che i nostri sguardi si incrociano per un breve, interminabile, spaventoso momento.
Sconvolta dal suo odio nei nostri confronti e anche terrorizzata dalle sue decisioni drastiche, non lo lascio avvicinare quando lo vedo prendere congedo dal gruppo dei suoi, muoversi verso di me e voltandogli le spalle inizio ad allontanarmi, correndo quasi, ritornandomene a casa di Anna per spedire il mio amico così tanto indesiderato a casa, anche a costo di doverlo prendere a calci nel sedere.
E a questo giro non voglio sentire obiezioni da parte sua, salirà sul primo volo, dovessi portarcelo io stessa. Dovessi andare con lui per non rimettere più piede in questo posto di matti.
Entro in casa, trovandolo seduto sul divano, in attesa del mio ritorno.

“Mira, va tutto bene?” chiede alzandosi e venendomi incontro, usando il solito nomignolo di sempre.

Non gli rispondo, ma cerco con lo sguardo le sue valigie ancora da disfare, poste educatamente in un angolo per non essere d’intralcio – a chi poi, siamo soli - .

“Te ne devi andare. Devi andartene subito.” trascino verso di lui i suoi borsoni – non sembravano così pesanti quando li portava – e glieli piazzo davanti ai piedi.

“Ma che stai dicendo?” mi domanda, senza realmente capire.

“Sto dicendo che devi andare via, immediatamente.”

Non riesco nemmeno a guardarlo negli occhi, sono una codarda. “Non puoi rimanere.” gli volto le spalle, incapace persino di sapere che lui mi sta guardando.

“Non puoi lasciarti condizionare da quel pallone gonfiato. Non è giusto.” si lamenta, allibito dal mio cambiamento repentino di idee.

Lo so benissimo pure io che è una cosa del tutto ingiusta, ma come faccio a farglielo capire che lo sto facendo per il suo bene, per la sua vita, senza rivelargli niente del segreto?
Che situazione del cavolo!
Mi porto le mani tra i capelli, cercando di non avere una crisi di nervi, ma credo che sia troppo tardi.

“Tesoruccio, che ti succede?” mi si mette di fronte, poggiando le mani sulle spalle e massaggiandole delicatamente. “E’ successo altro mentre eri fuori?” mi bacia una tempia.

Solo che il suo gesto, anziché rilassarmi, mi manda ancora di più su di giri.

“Che palle! Che palle! Che palle!” sbotto urlando, allontanandomi da lui, con gesto repentino e stizzito.

Non è giusto che Edoardo se ne debba andare e che io mi comporti da vigliacca, lasciando che Garreth gli dia la caccia senza una ragione, solo perché… non lo so!
Il mio amico mi guarda sempre più confuso, vorrebbe farmi una marea di domande, ma sa bene che in questo momento non otterrebbe nessuna risposta, solo la mia completa furia; perché ovviamente non sa niente delle persone del villaggio, figurarsi se può sapere cosa mi passa per la testa.
Io ho il dovere di tentare almeno di spiegare – posso provare – a Garreth che Edoardo non è una minaccia e che non c’è bisogno di essere così crudeli.
Sì, farò così.
Andrò a parlarci e gli farò cambiare idea.
Se lo ha infastidito la nostra presenza nella stanza delle riunioni, chiederò scusa e non ci vedrà mai più lì e se invece è così cattivo e perfido che non vuole né scuse né dare seconde opportunità – dovrebbe ancora dare la prima, ma sorvoliamo – vorrà dire che me ne andrò via con Edo e ce ne ritorneremo entrambi in Italia, in questo modo non avrà mai più a che fare con due essere umani.

“Tu rimani qui, io torno subito. Fai come fossi a casa tua.”

“Ehi, ma adesso dove vai?” lo sento gridare, sconcertato, ma ormai ho già imboccato la porta d’ingresso e non gli risponderò.

Sono convinta che prima o poi, uno di loro due, mi ucciderà e conoscendo i caratteri di entrambi, so già chi sarà.
Sta calando il sole e con esso anche una fitta nebbia.
Mi stringo nel cappotto e a passo deciso, mi dirigo a casa di Garreth, rallentando l’andatura solo quando mi trovo in prossimità della villetta e vedo che tutte le luci sono spente.
Solo adesso realizzo che potrei avere fatto una mossa azzardata a venir qua, senza la certezza di trovarlo, perché potrebbe essere a giro o dalla sua amichetta Julia.
Decido comunque di fare un tentativo e con un passo meno convinto, mi avvicino alla porta d’ingresso. Sbircio attraverso una finestra per vedere se c’è del movimento, ma l’interno è buio e non si vede poi molto.
Prendo un respiro profondo e busso alla porta.
Trascorre qualche istante prima di sentire dei rumori, dei passi pesanti e subito dopo, vedere Garreth oltre la porta con un’espressione stupita dipinta in volto.
È meravigliato di vedermi qui.
Forse pensava che sarei scappata via spaventata. Oppure non aspettava me.
Su una cosa, però, ha maledettamente ragione: ho paura.
Di essere qui, perché non so come andrà a finire; paura che le mie parole non siano abbastanza convincenti e paura di lui, del suo sguardo assassino e ipnotico, del suo carattere imprevedibile ed irascibile e cosa che temo più di tutto è il mio, di comportamento, totalmente fuori dal mio controllo quando sono con lui.
Perché riesce a mandarmi fuori di testa in tutti i modi che esistono e mi fa fare, pensare e sperare cose che non dovrei nella maniera più assoluta desiderare, non con un tipo come lo è Garreth.
Però adesso sono qui e lui mi sta guardando, in attesa che gli dica il motivo della mia visita.
Raddrizzo la schiena, gonfio il petto, prendo fiato e sono pronta a far valere le mie ragioni.

“Dobbiamo parlare.” sono risoluta, senza tremolio nella voce, trionfando già per questa microscopica vittoria.

Ma Garreth, come al suo solito, mi spiazza.

“Va bene.” dice calmo e accondiscendente. “Immagino che tu preferisca stare al caldo, forza entra.” apre di più la porta, si fa da parte in modo tale da lasciarmi spazio per entrare.

Il suo tono e i suoi gesti mi fanno perdere momentaneamente la voglia di litigare e con mille pensieri che mi affollano la mente, mi lascio guidare nella cucina dove sono già stata.
Mi sembra una vita fa, quando sono stata trascinata qui contro la mia volontà.
Chissà come sarebbe finita se fossi rimasta… non sarebbe finita in nessun modo perché lui mi avrebbe comunque abbandonata da Eric, troppo occupato a fare le cose da alfa con la morettina.
Mi ribolle il sangue alla sola idea.
Ed è questo pensiero che mi da nuovamente la carica.
Nel frattempo lui ha riempito il bollitore e messo a scaldare sulla piastra, preso due tazze adagiandole sulla penisola.

“Senza zucchero, vero?” mi domanda, ma se lo ricorda benissimo a quanto pare.

“Garreth, dobbiamo parlare.” cerco di essere più tranquilla mentre parlo, ma sento già la voce che sta per tremare, insieme alle mani.

“Sì, lo avevo capito già la prima volta che lo hai detto.” ridacchia divertito dalla situazione.

Mi mordo la lingua per non mandarlo subito al diavolo, ricordandomi il motivo per cui sono qui, rendendomi conto che entrare nella tana del lupo – letteralmente – non è stata una delle mie mosse più geniali.

“Tu non puoi farlo.”

“Fare cosa?” mi domanda di rimando, come se non capisse a cosa sto alludendo.

Intanto, ha versato l’acqua bollente nelle due tazze, immergendo successivamente anche i filtri degli infusi. Lo guardo, rapita dai suoi gesti, dimenticandomi per un breve istante quello che ho da dire.

“Non fare finta di non saperlo, non gli puoi dare la caccia.” mi avvicino alla penisola, stando ben attenta a non essere troppo vicina a lui.

Il suo sguardo si rabbuia, perde quel poco di amichevole che aveva e persino i suoi lineamenti sembrano farsi più duri.

“E perché non dovrei, di grazia?” mi canzona.

“Mi pare ovvio...” dico allibita dalla sua faccia tosta. “Perché è una cosa crudele e ingiusta.”

Sbatte con violenza la tazza sul tavolo tanto da farmi credere che l’abbia rotta o anche solo scheggiata, continuando a guardarmi con due occhi accesi d’ira.

“Ingiusto e crudele è quello che lui ha fatto. Noi rispondiamo solo con la sua stessa moneta.” si trattiene a stento dal ringhiare anche contro di me, e la sua furia tenuta difficilmente sotto controllo, mi spingono a fare un passo indietro.

“Come puoi dire una cosa come questa? Lui è...” la voce adesso mi trema e mi pento seriamente di essere venuta.

Era meglio levare le tende e tornare in Italia.

“No, TU come puoi venirmi a chiedere una cosa simile, dopo che ad uno di loro gli hai sparato e che hai rischiato la tua stessa vita per me e la mia gente, per ben due volte!” gli viene quasi da gridare.

“Perché devi sempre mettere di mezzo i cacciatori e quella sera?” sbotto, al limite anche io, della pazienza. “Edoardo è un mio amico, non è un cacciatore!” questa volta urlo, fuori di ogni grazia. “Stavamo solo ballando, non facevamo del male a nessuno. Perché lo vuoi uccidere come se fosse un tuo nemico?” mi sono spuntate le lacrime agli occhi e ormai le mani hanno perso ogni fermezza.

“Si può sapere di che cosa stai blaterando?” alza un sopracciglio, e tornando con la schiena dritta, pare calmarsi un poco.

Sorvolando sul termine che ha usato, perché io non ‘blatero’, cerco di darmi una controllata a mia volta, cercando di spiegargli il motivo della mia visita.

“Io… io mi riferivo a quello che hai visto… a quello che hai detto a me e al mio amico.” non riesco a trovare le parole giuste per sembrare meno sciocca di quello che mi sento.

Temo che ci sia stato un terribile malinteso ed adesso non so come uscirne.

“Sto dando la caccia a uno di quei farabutti che ha quasi ucciso uno del clan alleato. Non ho tempo da perdere con i bambini come voi.” ribatte risentito, ma molto meno adirato.

“Ah no? Scusami, forse sei troppo occupato ad aiutare la morettina che ti fa gli occhi dolci; così impegnato che ti dimentichi che io sono in un letto d’infermeria ad aspettarti.” gli ringhio contro, alzando la testa per fronteggiarlo ed avvicinandomi.

Ormai lui ha oltrepassato la penisola e siamo faccia a faccia.

“Ho visto che hai già trovato chi ti consola.” sputa inacidito all’inverosimile, riferendosi ad Edoardo.

“Ma io stavo aspettando te. Volevo te!” urlo, picchiettando un dito al suo petto.

Tardi, troppo tardi, mi rendo conto di quello che mi sono lasciata sfuggire, e sapendo che non ho modo per tornare indietro e cancellare ciò che ho detto, gli volto le spalle pronta a darmela a gambe levate.
Beh, guardiamo il lato positivo: non vuole far fuori Edo.
Ho la mano sospesa a mezz’aria, pronta ad afferrare la maniglia quando mi sento prendere per il polso e girare verso Garreth, che senza darmi il tempo di capire, mi tira a se baciandomi con una foga disarmante.
Le sue labbra catturano le mie, mentre con una mano mi tiene ferma per la nuca infilando le dita tra i capelli, e l’altra la posa poco delicatamente sulla schiena.
Non mi lascia tregua, né un attimo per rendermi conto di quello che sta accadendo e come ci siamo finiti.
La mia mente è totalmente annebbiata dalle sue labbra che non mi lasciano scampo e alzandomi sulle punte dei piedi, in maniera decisamente più goffa, cerco di ricambiare senza sapere – forse nemmeno lo voglio – perché lo sto facendo.
È come se ogni cosa fosse andata al suo posto, peccato che l’unica che non lo sia, sono io.
Perché un uomo come lui, una creatura magnifica come Garreth, si dovrebbe abbassare a baciare una come me?
Approfitto del momento in cui i suoi denti non mi stringono le labbra per allontanarmi, troppo imbarazzata per avere la forza di guardarlo.
Sento la bocca pulsare e le guance andare a fuoco, nonostante la mia domanda sia sempre lì, vorrei poter replicare quello che abbiamo appena fatto.
Il martellio del cuore mi impedisce di parlare e di prendere profondi respiri. È come se avessi corso una maratona, stando sempre ferma al solito punto.
Il silenzio che aleggia sopra di noi, non mi sta aiutando e interpretare il suo mutismo dietro il quale si è trincerato, un chiaro segno di pentimento dal quale non sa come uscirne, non giocano in mio favore.

Perché l’avrà mai fatto, mi domando.

Vorrei poter aprire bocca e dare voce a questa domanda, ma temo che avere la risposta lampante mi sconvolgerebbe più del suo stesso gesto.

E se fossi io a baciarlo?

Magari aspetta una mia mossa e anche lui starà pensando le stesse cose su cui sto riflettendo io.
No, queste sono solo vane illusioni di una povera sciocca.
Non credo che gli potrebbe far piacere una tale mossa, da parte mia.
Adocchio nella sua direzione, vedendo così che mi sta scrutando con i suoi occhi magnetici e profondi e lo sta facendo con una intensità caparbia che pare mi voglia leggere la mente e oltrepassare la carne.
Distolgo lo sguardo, colpevole di essermi fatta beccare a guardarlo.

“A cosa stai pensando, ragazzina?” la sua voce si è fatta più roca, bassa, lenta e ipnotica, ma sempre indagatrice ed autoritaria.

Che ti salterei addosso, in questo preciso istante.

“Forse è meglio se me ne vado.” dico con un filo di voce, sentendo le guance andare ancora una volta a fuoco.

Quest’uomo è in grado di farmi pensare a cose mai pensate prima.

“Meglio per chi, per te?” domanda subdolo, provocatorio, e leggermente infastidito.

“Per entrambi, credo.” sono onesta ed oso alzare il viso verso di lui, trovandolo ancora a guardarmi ma stavolta in modo totalmente diverso: come se si stesse trattenendo dal saltarmi addosso.

Non capisco però se è per sbranarmi una volta per tutte o per replicare quello che abbiamo fatto un minuto fa.

Dio santo, mai visto uno sguardo così intenso in una persona.

Si avvicina pericolosamente a me, tanto che riesco a sentire il suo calore nonostante gli abiti, china il viso e i suoi capelli mi solleticano la fronte e il naso, il suo profumo mi manda completamente fuori di testa.
Cerco di respirare normalmente, non badando al suo odore, di tenere sotto controllo il battito impazzito del cuore per non farglielo sentire, ma con lui così vicino è del tutto impossibile.

“So che lo vorresti rifare, sento il tuo odore.” dice provocatorio, bisbigliandomi nell’orecchio e soffiando aria calda, producendo in me brividi lungo il collo e la schiena.

Con la mano dietro di me, cerco la maniglia e quando finalmente la trovo mi blocco, colpita da un pensiero.
Me ne voglio davvero andare? È veramente ciò che desidero?
La testa dice sì.
Il cuore supplica di no.
Il mio buon senso mi dice di girare la maniglia e andarmene, ma non credo di aver avuto così poco buon senso come in questo momento e mettendo a tacere le parti del mio corpo che mi vorrebbero lontana da lui, assecondo, invece, quelle che mi spingono tra le sue braccia.
Mi stacco dal pomello e affondando le dita tra i suoi capelli, lo bacio con un’irruenza che inizialmente lo lascia sorpreso.
Garreth ritorna presto padrone della situazione, e spingendomi contro la parete, mi fa sentire ancora la sua lingua e il suo sapore.
Mugolo colta alla sprovvista quando mi solleva con agilità, facendomi incrociare le gambe intorno al suo bacino, avendo in questo modo la possibilità di assaporarmi; le sue mani vagano sulla nuca, all’attaccatura dei capelli, per inclinarmi la testa ed avere un accesso migliore.
Mi stacco dalle sue labbra, costretta a boccheggiare per riprendere fiato, non sapendo come fuggire da questa posizione intima.
Certo, l’ho baciato e tutto ciò che ne è conseguito, ma non credo di essere ancora pronta per fare un altro passo avanti, anche perché è tutto confuso, è accaduto così alla svelta e non sappiamo quello che verrà dopo.

“Io… è meglio se… se vado.” dico al limite dell’imbarazzo, cercando di non guardarlo negli occhi, nemmeno fosse la Medusa e ci fosse il pericolo che mi tramuti in pietra.

“Va bene.” dice calmo e accondiscendente, ha gli occhi che gli brillano e un mezzo ghigno stampato sulla bocca. “Forse è meglio se prima scendi, che ne dici?”

Guardo lui, poi il pavimento, ritrovandomi ancora sollevata di circa mezzo metro.
Una volta poggiati i piedi a terra, sento immediata e prepotente la sua mancanza, ma a questo giro, mi impongo sui miei sentimenti e cerco la forza per parlare.

“Adesso dovrei andare.” bisbiglio, le parole intrappolate nella trachea, giocando con la punta delle dita per scaricare la tensione che mi sta corrodendo.

Vorrei, però, che non mi lasciasse andare.
Caccio via questo stupido pensiero, ben sapendo che non è normale, che io non lo sono e che tutta questa situazione non lo sia, ma la curiosità di sapere a cosa stia pensando, se si è pentito o se lo voglia rifare, se per lui è stato solo un enorme sbaglio oppure…

Oppure niente!

Non mi devo fare illusioni e vane speranze con un uomo… una creatura come lui, tanto meno con lui.

Questa volta la maniglia la afferro con decisione e in maniera molto più convinta la spingo verso il basso, aprendo la porta.

“Ciao Garreth.” esalo accorata, con gli occhi imploranti, nonostante le mie stesse raccomandazioni.

Gli volto le spalle, pronta – si fa per dire – ad uscire e gettarmi verso l’ignoto.

È probabile che da tutto questo ne nasca qualcosa, dato che non posso affermare di conoscerlo con certezza, ma quel poco che ho visto del suo carattere è più plausibile che tutto finisca qui. Posso sempre dire di aver avuto un’avventura estiva, fatta in pieno inverno.

Che consolazione del cazz…

Mi volto verso Garreth che in un attimo mi ha richiuso la porta in faccia, tenendola ferma con una mano. Aspetto che dica qualcosa, il cuore palpitante, e non solo per la paura del suo gesto, ma dalle sue labbra non esce niente. Nemmeno un rantolio sommesso.
Prende profondi respiri, le pupille dilatate e lo sterno che si alza e abbassa al ritmo del battito del suo cuore.
E in un impeto di smisurata intraprendenza, parlo io.

“Garreth, io so… credo di sapere quello che voglio. Tu lo sai?”

Il suo braccio crolla così come la sua determinazione e ciò mi da la conferma, seria e inoppugnabile, che non vogliamo la stessa cosa.

“Ciao, ci si vede a giro.” perfino dire il suo nome, adesso, mi fa venire male al cuore.

Mi incammino velocemente lontano da casa sua, diretta nell’unico posto in cui voglio stare adesso: tra le braccia di Edoardo.
Quando sono finalmente tra le mura di casa e lo trovo seduto sul divano, intento a leggere un mensile per le neo mamme, corro da lui che prontamente mi stringe a sé, senza remore.

“E’ tutto un grande schifo.” dico rassegnata, parlando sopra la sua maglietta, ma iniziando a stare già un pochino meglio.

Mi accarezza i capelli e quando è sicuro che sia passato un poco il malumore, mi scosta da sé per guardarmi ed asciugarmi le due piccole lacrime nate agli angoli degli occhi, senza che me ne rendessi conto.
Non fa domande, non indaga sul perché o sul come, in questo momento sa che ho bisogno della sua vicinanza e null’altro.

“Perché non ci spariamo una maratona di cartoni animati, mangiando un sacco di schifezze?” propone dopo un breve attimo di silenzio, trovandola l’idea del secolo.

Rido divertita dalla sua proposta, perché non è la prima volta che me la dice, sopratutto in situazioni come queste, ed è per questo motivo che accetto senza problemi, felice di averlo al mio fianco.
E in un batter d’occhio, abbiamo preparato i pop-corn, i sandwich al burro d’arachidi e il barattolo di Nutella, trovato nella dispensa, che Anna aveva nascosto dietro a tutti gli atri barattoli, decisamente più alti, per custodirlo gelosamente.
Ce ne ritorniamo in salotto, con la nostra scorta, dando il via alla nostra maratona.

 

Tre giorni sono passati e non ho ancora ricevuto notizie di Garreth, né ho avuto modo di vederlo. È come se fosse sparito dal villaggio e dalla faccia della Terra.
Per fortuna, non sono mai rimasta sola, c’è sempre stato Edoardo con me, perché anche Judy e il suo gruppo avevano misteriosamente da fare con alcuni preparativi per non so che cosa, perché non mi è stato detto, e non ci siamo mai viste.
Credo che questo riserbo sia stato un ordine del grande alfa per tenermi e tenerci all’oscuro dei loro affari.
Una sorta di vendetta, ma spero proprio di no, perché se dovessi venire a sapere che ha dato ordine di evitarmi anche agli altri membri del branco, potrebbe ritrovarsi con una spiacevolissima sorpresa alle gomme del suo fuori strada.
Con questi pensieri vendicativi, vado intanto a fare rifornimento nell’alimentare del villaggio per poter cucinare qualcosa per il pranzo e, in teoria, tra un paio di giorni dovrebbero tornare anche Anna ed Alan, quindi ho tutta l’intenzione di far trovare loro la dispensa piena e la casa impeccabile.
Cammino assorta e soverchiata da mille domande che da qualche giorno non mi lasciano più in pace, facendomi dormire poco e mangiare ancora meno. Non si è più fatto sentire, quando fino a poco fa faceva tanto il grosso con frasi “Il mio villaggio”, “Le mie terre” e gnè gnè… e poi sparisce!
Bell’alfa!
Almeno si assumesse le sue responsabilità!
È lui che mi ha baciata e io, certo, non mi sono tirata indietro, però non gli sono saltata al collo – non la prima volta – se non voleva ci doveva pensare prima. Se è per il fatto che sono umana, beh, l’ha sempre saputo e anche per questa ragione, se non voleva impelagarsi con una come me, sarebbe bastato che ci pensasse prima, perché io non mi sarei MAI azzardata a fare la prima mossa.
Ascolto la playlist che mi ha selezionato Edo, un mix di metal classico e folk, cercando di concentrarmi sulle parole incomprensibili della cantante e di non pensar più a quel energumeno borioso.
Alzo la testa quando sento – nonostante la musica alta, ma ho sempre il timore che queste creature possano sentire i miei pensieri – delle voci farsi sempre più vicine, vedendo così un gruppo di persone venire verso di me, sorridenti, salutandomi con la mano alzata.
Non li conosco, mi pare però brutto e da maleducati non ricambiare, forse sono altri amici di mia cugina, quindi sorrido di rimando e alzo la mano per salutarli a mia volta, solo che quando siamo ad un paio di passi di distanza, loro continuano a tirare avanti a passo spedito, superandomi.
Mi fermo sul ciglio della strada come una povera deficiente e cercando di non dare ancora più nell’occhio – dubito che anche questa volta si accorgano di me – mi volto, spinta dalla curiosità, per vedere chi stavano salutando.
Il gruppo si è raccolto intorno ad una coppia che non avevo mai visto da queste parte e tutti sembrano molto entusiasti di vederli, benché non riesca a sentire tutte le parole.
Mi incanto ad osservare sopratutto la donna, sui sessant’anni circa, ma portati estremamente bene, si capisce – ora che lo so – che è una di loro, i capelli castani scuri, fatta eccezione per una piccolissima ciocca argentea, gli occhi dallo sguardo gentile. È accompagnata da un signore, a giudicare dagli anelli che entrambi portano all’anulare sinistro, dovrebbe essere suo marito, decisamente più alto di lei e di corporatura muscolosa, i capelli neri, corti, senza un cenno di grigiore, e gli occhi scuri, quasi quanto i capelli.

Poi accade quello che avrei voluto assolutamente evitare: lei si volta e mi vede osservarla.

Non so perché, ma scappo via.

Metto più distanza possibile tra me e quella signora, non capendo perché io abbia reagito in modo tanto stupido, quando bastava voltarsi con calma e continuare il proprio cammino.
Adesso sono passata da impicciona e da maleducata.

Perfetto!

Arrivata all’alimentare, mi sento più al sicuro, quindi prendo il cestello e inizio a muovermi tra le corsie.
Guardo i prodotti esposti, senza prestare molta attenzione, senza avere un’idea precisa di quello che mi servirà, ritrovandomi così a fare molti giri a vuoto.
Mi fermo davanti al reparto dei cereali, indecisa su quali prendere perché in realtà non sono convinta che ci servano.
Vengo affiancata da una persona alla quale non presterei attenzione se non fosse per il fatto che credo che mi abbia appena rivolto parola.
Veloce, mi sfilo entrambe le cuffie, facendo riecheggiare la musica intorno a noi, guardando la persona, la donna, che mi ha parlato, scoprendo con infinito sconcerto, che è la stessa signora di prima.

Ma di tutti i posti, proprio qui?!

“Scelta difficile, non trovi?” mi domanda, sorridendomi.

“Sì, un po'.” è la mia stupida risposta, tornandomene poi a guardare le confezioni colorate, piene di scritte e disegni.

Poi però, torna la curiosità e sposto la testa per osservarla meglio, tanto ormai il danno è fatto, perché ha qualcosa di estremamente familiare. Sono altresì sicura di non averla mai vista a giro per il villaggio, quindi dove?

“Tu devi essere Amira, ho sentito tanto parlare di te.”

“Mia cugina è un po' troppo chiacchierona.” dico a disagio, preparandomi a farle una ramanzina e a cucirle la bocca, appena tornerà.

“Cugina?” domanda la signora, non capendo a chi io mi riferisca. “No, io ho sentito parlare di te da mio figlio.”

Spalanco gli occhi, il sangue congelato.
Suo figlio.
Ti prego, fa che non sia…
Dio, se mi stai punendo perché a cinque anni scappai dalla mamma in chiesa e andai a tirare la tovaglia sull’altare, facendo rovesciare tutto, sappi che sono profondamente pentita, ma ero solo una bambina. Mi hai già punita abbastanza.
Fa che sia la madre di Eric o di qualsiasi altra persona presente in questo maledetto villaggio!

“In verità, non è stato di molte parole da quando siamo arrivati. Sono stati più i silenzi, mugolii e versi strani, ma…” sospira rassegnata al carattere riservato del figlio “lui è come suo padre. Ad una madre ci sono cose, però, che non sfuggono. E poi per fortuna Eric ci ha fatto un resoconto molto dettagliato.” sorride raggiante, afferrando poi una scatola di cereali e li mette nel carrello.

Non è la madre del farmacista.
Perché non me ne va MAI bene una. Perché?!

“Ti va di accompagnarmi?” chiede come fosse la cosa più naturale del mondo, che si fa tra due amiche.

Continuo a non spiccicare parola, troppo impegnata a capire da dove sia sbucata e di chi sia la madre.
Forse è la mamma dell’amico di Judy, Giulian, ma dubito perché non si assomigliano affatto e poi, sono convinta che me lo avrebbe detto.

“Perdonami, penserai che sono una povera pazza. Mi chiamo Ellie Duval, piacere di fare la tua conoscenza.”

“Piacere mio, signora.” dico titubante, non sapendo che fare.

Nel mio paese non mi sarei mai sognata di seguire una perfetta sconosciuta, però qui la conoscono tutti, ed è amica di Eric, quindi credo che non ci sarà niente di male nel seguirla.
La signora Ellie mi dice che ha quasi finito di comprare tutto, ma quando guardo dentro il carrello lo vedo praticamente vuoto, fatta eccezione per un cartone del latte, una confezione di verdure surgelate, un sotto tegame a forma di coniglio e ovviamente quella di cereali, comunque la aiuto a insacchettare la spesa, ma prima che le possa mettere nuovamente dentro il carrello, veniamo affiancate dall’uomo che prima era con lei.

“Amira, ti voglio presentare mio marito, lui è Richard.”

La sua stretta di mano è salda e non si fa remore a stringere la mia come fossi una di loro, ciò mi mette ancora di più in ansia perché immagino che anche a lui non piacciano molto gli essere umani.
Seguo i coniugi fuori del market, cercando di essere meno d’intralcio possibile, rispondendo solo se Ellie mi pone delle domande, respirando il più piano e meno possibile. Quell’uomo mi mette così tanta agitazione che desidero solo andarmene alla svelta.

“Sei stata davvero gentile a farmi compagnia.”

“Di niente, si figuri.” sorrido, in imbarazzo, ritornando seria quando suo marito mi guarda.

“Ma alla fine te non hai comprato niente.” mi fa notare lei, dispiaciuta.

“A me non serviva niente, infatti.” rido come una scema, sprofondando ancora di più nella vergogna. “Perdonatemi, ma adesso devo andare.”

“Aspetta, nostro figlio sarà qui a momenti.”

Ed ecco che a pochi passi da noi, si ferma un fuori strada che – ahimè – riconosco fin troppo bene.

“Ah, eccolo, è arrivato.” dice Ellie, contenta, voltandosi verso di me, che so essere bianca come un fantasma.

Dio, se esisti, non farmi questo.
Loro due sono i genitori di…

“Garreth!” la donna è trillante, gli va incontro e non appena il ragazzo scende, lei gli da un bacio sulla guancia, mentre il padre rimane composto, mettendo l’unica busta nella macchina ed io…

Io vorrei solo sparire.

“Tesoro, guarda chi ho conosciuto.” cinguetta la signora, sorridendo contenta, non ricevendo però lo stesso trattamento dal figlio.

Garreth ed io ci guardiamo per un attimo, salutandoci con un affrettato “Ciao.”, poi distolgo immediatamente lo sguardo, per concentrarlo sui fili d’erba che crescono in mezzo alle mattonelle del parcheggio, diventati all’improvviso molto attraenti.

“E’ stato un piacere fare la tua conoscenza.” aggiunge la donna, rivolta a me, non perdendo lo sguardo dolce e affabile.

“Anche per me.” almeno su questo, sono estremamente onesta.

Con la coda dell’occhio vedo Garreth aprire lo sportello, pronto per salire e andarsene, aspettando però che la madre abbia finito.

“Arrivederci.” dico rivolta ai coniugi, anche se il marito è già vicino alla macchina. Infatti si volta e mi saluta con un cenno della testa, salendo poi dal lato del passeggero.

Ora ho capito da chi ha preso.
La donna si avvicina al veicolo, apre lo sportello, poi si ferma di colpo, come attraversata da un pensiero.

“Perché stasera non vieni a cena da noi?” domanda speranzosa.

Ah.

Garreth mi sta guardando attraverso lo specchietto e non so se lo fa perché è curioso o perché mi vuole minacciare di non andare. Rimane il fatto che non potrei andare a prescindere alla loro cena, e non è certo perché me lo sta proibendo lui.

“La ringrazio, ma ho un ospite e non posso lasciarlo solo.”

Il ringhio non tanto basso di fastidio, gorgogliato dalla gola di Garreth, non ci è passato inosservato, tant’è che ha fatto voltare pure sua madre per capire cosa fosse successo e se fosse stato veramente suo figlio a produrlo.
Lui non bada alla donna, continua a guardare me, fulminandomi con uno sguardo carico d’ira.

Poi sua mamma, si rivolge ancora a me, illuminata di nuova luce.

“Allora è perfetto, verrà anche il tuo ospite. A stasera cara.”

Salita in macchina, partono.

Non so cosa si diranno, ma so per certo che Garreth mi ucciderà prima di cena.








*Angolino mio, personale*

Salve a tutte/i.... scusate per il lungo silenzio, come sempre, ma ho cercato di mandare avanti la storia e la mia vita :-)
Spero che vi piacce e che possa ripagare il tempo di attesa.

Un bacione

Vostra Nina :-*

  
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