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Autore: Bethesda    22/06/2019    1 recensioni
Una serie di flash-fic con tema tanto banale quanto piacevole: i sette vizi capitali.
Genere: Erotico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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In ginocchio, la spada di fronte a sé, teneva i palmi a terra su quella che poteva essere sabbia.
Si sentiva spossato, il peso delle ali quanto mai prepotente, come se gli fossero state impiantate pochi istanti prima e non sin dall’inizio dei tempi.
 
Avevano vinto.
 
Intorno a sé un silenzio angosciante e la solitudine, poiché gli altri angeli avevano lasciato il campo di battaglia subito dopo la sconfitta degli avversari.
 
Nemici.
 
Fratelli fino a pochi istanti prima, o forse tanto, tanto tempo addietro.
Il concetto del tempo non era importante ma non rendeva meno doloroso tutto ciò che era accaduto.
 
Lucifero si era sollevato contro tutti loro, portando se stesso e tanti altri alla rovina.
Li aveva visti.
Stelle cadenti, uno dopo l’altro.
Alcuni avevano urlato, implorando pietà, trafitti da armi celestiali e dalla punizione divina sul posto.
Altri no.
Altri non avevano imbracciato armi, ma erano rimasti in piedi di fronte alla volontà divina facendo una sola domanda.
 
“Perché?”
 
Perché non potevano sapere, non potevano fare ciò che ritenevano buono e giusto, perché non era loro permesso di guardare ciò che Dio aveva in mente?
Perché li aveva creati, in mezzo a tante schiere di angeli fedeli, se un giorno, quel giorno, sarebbero dovuti cadere?
 
Alcuni si erano lasciati semplicemente andare, senza un battito di ali né un rimorso.
Alcuni avevano lottato per questa domanda, e Lucifero, il più splendente fra gli serafini, era fra questi. Lo aveva visto affrontare Michele, faccia a faccia, ed era certo che da quello scontro il Cielo sarebbe crollato.
 
Quando anche lui cadde, non rimase più nulla.
 
Aziraphale pensò allo sguardo di Raffaele, triste ma sicuro, alle sue ali candide che esattamente di fronte ai suoi occhi cominciarono ad ardere come brace e alle ultime parole che stava per mormorargli, a un passo di distanza, ma che gli morirono in gola e che tenne per sé, prima di svanire in un battito.
 
Colpì la sabbia, Aziraphale.
La colpì con forza, con i pugni chiusi, più e più volte.
Dio lo stava guardando, lo sapeva e non gli importava.
 
Non era giusto tutto ciò.
Non era giusto che lui fosse rimasto fedele e che tanti altri fossero svaniti così, divenuti nemico senza motivo alcuno, il tutto per una domanda.
Non era giusta la gioia dei suoi compagni angeli nel sapersi vincitori, non era giusto il suo essere lì, su quel campo di battaglia.
 
Avrebbe voluto chiedere “perché” ad alta voce, avrebbe voluto alzare gli occhi al cielo terso e gridare la domanda proibita con tutta la forza che aveva in corpo, ma non lo fece.
Per paura, per reverenza nei confronti del suo Dio.
Si limitò ad urlare e a battere i pugni, con tutta la forza rimastagli, sino a sconquassarsi per il dolore le nocche candide.
 
Poi, all’improvviso, si sentì vuoto.
 
E fu di nuovo silenzio.
   
 
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