Libri > Good Omens
Segui la storia  |       
Autore: Bethesda    22/06/2019    1 recensioni
Una serie di flash-fic con tema tanto banale quanto piacevole: i sette vizi capitali.
Genere: Erotico, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Dopo seimila anni sulla terra, Aziraphale aveva sviluppato una serie di comportamenti tali da permettergli di mescolarsi con gli esseri umani.
Batteva le ciglia, respirava – il più delle volte -, dormiva – o, perlomeno, aveva comprato un letto e ogni tanto vi si sdraiava -, si faceva lunghi bagni caldi e, ultimo ma sicuramente non meno importante, mangiava.
 
Aveva imparato ad apprezzare l’arte degli umani di trasformare semplici ingredienti in pure opere d’arte, sopraffine.
Aveva visto la prima pagnotta di pane essere sfornata e ancora ricordava la fragranza della crosta, il calore e il profumo che emanava. E il sapore, oh, il sapore! Un qualcosa di così genuino.
Quello era stato il suo “frutto proibito”, ciò che lo aveva trascinato nel peccato.
Che poi, peccato.
Come poteva essere peccaminoso un arrosto con patate? E la ratatouille? Non poteva certo essere opera del demonio. Certe torte poi avevano anche nomi molto puri.
Tipo la torta paradiso, con la sua morbidezza, o il pan degli angeli.
Assolutamente portate non sante, ma quasi.
Aveva qualche dubbio sulla profiterole ed era quasi convinto che fosse stato Crowley stesso ad ispirare il pasticcere di corte di Caterina de Medici, ma se da una tentazione altrui ne era derivato qualcosa di così estatico, non poteva certo essere così malvagio.
 
Ancora si commuoveva al pensiero delle cene di Lucullo, povero Diav—no. Povera anima.
Anni e anni di bagordi con cibo incredibile, bellissimo a vedersi e delizioso al palato, andati in fumo per via dei soldi. Ecco, i soldi erano il vero problema, non il cibo.
Il cibo era quanto di più puro potesse esserci sulla terra.
Certo, a parte i bambini, ma loro erano in divenire e avrebbero potuto scegliere cosa essere in futuro, se buoni o cattivi.
Mentre il cibo esisteva unicamente per sfamare e per far godere l’uomo.
 
E dal momento che Aziraphale non aveva alcun bisogno di saziarsi, si limitava a goderne.
 
Crowley a volte lo osservava – in realtà ciò avveniva sempre –, accompagnandolo nei vari locali dove con lentezza ma caparbietà ordinava tutto ciò che lo ispirasse.
Le espressioni che comparivano sul volto dell’angelo quando era in estasi da cibo erano uno spettacolo imperdibile:
dapprima vi era la sua curiosità, che faceva sì che lo tempestasse di domande su cosa potesse esserci nei vari piatti e su quale fosse il più buono. Aziraphale più volte lo aveva accusato di averlo tentato nel scegliere così tanti piatti per un solo pasto, ma non essendo la sazietà prerogativa angelica, finiva sempre il tutto con un finto sguardo di ammonimento nei confronti del demonio seguita dalla lettura del menù dei dolci.
A volte aveva anche provato a precisare di non essere fautore di alcuna tentazione nei suoi confronti, perlomeno non voluta, ma ormai sapeva a memoria tutto quel teatrino e si divertiva quasi a prendervi parte. Ovviamente non lo dimostrava: non poteva dargli tutta quella soddisfazione.
 
Dopo la curiosità vi era l’attesa. Ogni cameriere sembrava stesse portando il suo piatto, per poi cambiare direzione repentinamente. Il suo stomaco borbottava di aspettativa e le sue dita tamburellavano sul tavolo con fare irrequieto. Quella era la fase della cena in cui Crowley avrebbe potuto parlare di qualsiasi cosa, importante o meno che fosse, che tanto le informazioni sarebbero entrate in un orecchio dell’angelo e uscite dall’altro. L’attesa di solito veniva tappata con il vino, cosa che il diavolo apprezzava ben più del cibo stesso.
 
Quando infine veniva portato il cibo, era un costante susseguirsi di emozioni: gli occhi gli si ingrandivano e passavano qualche istante buono a saziarsi a loro volta con l’immagine del piatto; arricciava il naso, cercando di farvi entrare quanto più profumo possibile, come ad anticipare il sapore che ne sarebbe venuto di lì a poco e infine, con la delicatezza di un chirurgo, utilizzava le posate per portare alla bocca la varia pletora di piatti che offriva la cucina.
E ancora, le labbra andavano a chiudersi, subito seguite dalle palpebre, per emettere una serie di mugolii sommessi che solo Crowley stesso aveva il piacere di udire.
E dopo tutto questo assurdo e piacevolissimo teatrino riapriva gli occhi, sospirando, per emettere il proprio verdetto.
 
«Delizioso».
   
 
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Good Omens / Vai alla pagina dell'autore: Bethesda