Anime & Manga > Captain Tsubasa
Ricorda la storia  |       
Autore: Sanae77    26/06/2019    7 recensioni
Brevi racconti extra per approfondire il rapporto dei due protagonisti.
Genere: Fluff, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Taro Misaki/Tom, Tsubasa Ozora/Holly
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
   >>
- Questa storia fa parte della serie 'La Clessidra dei Mondiali'
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Spagna 2019


Avevano vinto.
Gli era costata una fatica immensa quella vittoria contro il suo compagno segreto. Taro e Pierre in campo gli avevano dato del filo da torcere. Ma niente era a confronto di quello che gli stavano dando adesso che erano tutti al rinfresco del dopo partita.
Ok, gli giravano i coglioni anche se avevano vinto. Rivaul si era avvicinato più volte con l’intento di coinvolgerlo nella festa, ma senza alcun risultato.
“Solitamente la vittoria ti fa sorridere, Tsubasa.”
“È soltanto la partita di andata, dobbiamo affrontare anche il ritorno e oggi c’hanno dato filo da torcere.”
“Ma abbiamo vinto, direi che puoi toglierti quel broncio, non credi?”
Il capitano non aveva risposto, aveva solamente alzato il bicchiere e sollevato un angolo della bocca mentre lo sguardo non si era mai staccato dall’oggetto del suo desiderio. Il discorso per lui si era concluso così con quel mezzo brindisi accennato, poi aveva cambiato colonna. Sì, perché da quando erano entrati nella sala del ricevimento aveva girato circa cinque colonne non perdendo mai di vista il suo obiettivo.
Obiettivo che si stava divertendo, doveva riconoscerlo. Lui e tutta la sua squadra si stavano divertendo un po’ troppo nonostante la sconfitta. Ad accentuare il problema, poi, l’impossibilità di stare troppo vicini.

Maledetti giornalisti!

Pensò mentre ne vedeva uno scattare delle foto nella sua direzione.
Vero che la Champions era una coppa importante, ma che palle!
Era solo un anno che si frequentavano e anche se quelle gare le vedeva come occasioni benedette adesso gli giravano i coglioni.
Il perché? Elementare: Pierre e la sua maledetta intesa con Misaki.
Il suo Misaki per l’esattezza.
E come era a suo agio, lo stronzo, con il suo capitano.
Che fosse una sorta di riverenza nei confronti del ruolo ricoperto?
Scosse la testa come a scacciare un pensiero così idiota, anche lui era il capitano della nazionale giapponese eppure Taro non era così riverente con lui.
Ma a ogni passo, a ogni movimento che faceva il numero undici gli giravano sempre di più i coglioni, era più forte di lui, non ne riusciva a capire il motivo ma era solo da quello che dipendeva il suo cattivo umore in quella serata di festa.

Fanculo! Masticò tra i denti senza emettere alcun suono.

Avrebbero dovuto essere loro di pessimo umore, vista la partita persa, e invece…
E invece erano lì che se la ridevano, troppo per i suoi canoni. Trangugiò velocemente la bibita nel bicchiere strizzando gli occhi. Fortuna che aveva scelto un alcolico di bassa gradazione.
Il numero undici ogni tanto si girava a osservarlo senza far trasparire la benché minima emozione. Di foto compromettenti ne avevano già rischiate abbastanza per quello stavano a debita distanza in occasioni del genere, ma dopo…
Dopo, quando sarebbero tornati a casa, gli avrebbe detto qualcosa, non aveva ancora ben chiaro cosa ma lo avrebbe trovato.
Non era certo la prima volta che litigavano per quisquilie. Ora non sapeva bene per cosa aveva voglia di discutere ma il fatto era che voleva polemizzare con Taro, punto! Per cosa era irrilevante.
Per la prima volta, da quando stavano insieme, sentiva la voglia di litigare, che fosse perché in campo gli aveva dato filo da torcere? Oppure perché al fianco di Pierre giocava bene? Troppo bene, cioè… solo con lui doveva giocare così, ecco!
Scosse nuovamente la testa sull’ultimo pensiero idiota e infantile, e allora perché sentiva tutto quel fastidio?
Lo stomaco gli si agitò quando Misaki sorrise al suo compagno di squadra.

Quel cazzo di sorriso.

Quello che solitamente riservava a lui.

Fanculo, sorriso del cazzo! Ancora un’imprecazione masticata tra i denti.

Quello che più di una volta li aveva messi nei casini.

Vabbè, è il suo modo di sorridere; gli suggerì la mente.
Ma è il modo che riserva a me. Pensò in un assurdo monologo con sé stesso.

Era tanto assorto nelle sue elucubrazioni mentali che non aveva visto Misaki avvicinarsi.
“Tsubasa, tutto bene?”
Il capitano si riscosse e lo mise a fuoco con lo sguardo. Sguardo che si era disperso nelle pippe mentali che si stava facendo da quando erano arrivati al ricevimento.
Si raddrizzò sulla schiena e arrossì violentemente come un bambino colto a rovistare nel portafoglio della madre.
Taro nascose un sorriso tra le dita e si guardò intorno per assicurarsi che occhi indiscreti non li stessero osservando.
“Che diavolo ci fai qua?” bisbigliò Ozora passandosi una mano sulle guance accaldate.
“Ti ho visto da solo e ho pensato che ti andasse di fare due chiacchiere.”
“Ci sei già tu che pensi a intrattenere gli ospiti…” rispose con tono scocciato.
“Ehi, che ti prende?” chiese Taro preoccupato allungando la mano per afferrargli il braccio e inclinando la testa per cercare di carpire meglio l’espressione imbronciata del compagno.
Ma Tsubasa, indietreggiando col busto, gli fece intendere che non voleva essere avvicinato.
“Non mi prende nulla. Questa festa è di una noia mortale, credo che andrò a casa.”
Misaki lo guardò un po’ stranito, non era certo da Tsubasa rinunciare ai convenevoli e all’occasione di parlare con i suoi avversari. Solitamente questi piccoli ricevimenti servivano proprio a questo; ma lui lo aveva osservato a tratti per tutta la sera e aveva visto che si era tenuto alla lontana da chiunque, mentre aveva sentito i suoi occhi addosso per tutta la sera.
Aveva imprecato anche un paio di improperi mentali, visto che tutte le volte si raccomandavano a vicenda di non fissarsi troppo anche da lontano. Insomma, la prudenza non era mai troppa e loro erano all’inizio.
“Non hai neppure scambiato due parole con Pierre.” Misaki lo disse come una sorta di suggerimento visto che non era da lui un atteggiamento del genere.
“Ah, giusto lui, ma ho visto che hai compensato tu le mie mancanze. Vado a casa.”
E, approfittando di un attimo di smarrimento del numero undici, Tsubasa si diresse verso l’uscita.
Scese di corsa nel garage dell’hotel e, dopo aver preso l’auto, si diresse a gran velocità verso casa.
In auto aveva mandato un messaggio a Misaki.



Taro aveva osservato il cellulare incredulo dopo lo scambio di messaggini scazzati. Certo, erano già d’accordo che non sarebbero andati via insieme per non destare sospetti, ma mai si sarebbe aspettato una reazione del genere dal suo compagno.
Inoltre non aveva capito il perché di quell’assurdo comportamento.
Pierre con un braccio lo stava chiamando da lontano, lentamente lo raggiuse studiando una possibile scusa per dileguarsi dalla festa così presto.
Aveva già detto che si sarebbe trattenuto in Spagna per qualche giorno, quindi gli altri sapevano che nel volo di ritorno non avrebbero avuto Misaki al loro fianco.
“Ozora è già andato via?” s’informò il capitano della squadra francese.
“Sì, era stanco e non si sentiva benissimo.”
“Strano, sembrava quasi arrabbiato. Hanno anche vinto, non oso immaginare come possa reagire a una sconfitta.”
“Non credo sia quello, Tsubasa ha qualche problema in famiglia.” Taro la buttò lì come possibile scusa, che poi alla fine tanto scusa non era. Lui la verità la conosceva più che bene, era arrivato il momento di seminare qualche carta vincente in giro. Pierre però, anche se all’apparenza non sembrava, era un ragazzo veramente discreto e affidabile.
“Non lo sapevo, mi dispiace. Come sono dispiaciuto di te e Azumi.” Le Blanc gli poggiò una mano sulla spalla e strinse forte in segno di comprensione.
“Sono cose che purtroppo capitano, il vero problema sono i bambini.”
“E lui ne ha due…” proseguì il capitano francese in un momento di condivisione e comprensione della situazione.
“Già. Senti, Pierre, credo che andrò via anch’io, vado a vedere che Ozora non si ubriachi in qualche bar malfamato…” lo disse scherzando e regalando un sorriso carico di ironia. Doveva fare la parte del buon amico che si preoccupava del compagno; e vista l’espressione di Pierre capì che ci era riuscito alla grande.
“Ti capisco – annuì proseguendo con la stretta alla spalla – salutamelo, visto che non riuscito in tempo a farlo di persona.” Così lo sospinse in direzione dell’uscita, invitandolo a raggiungere il compagno.
“Certamente!” esclamò voltandosi e sollevando un pollice verso l’alto.
 
 
Il viaggio in auto non lo aveva calmato per niente. Anzi, più la strada si accorciava verso la meta e più l’incazzatura cresceva. Un’incazzatura strana che ancora non aveva saputo decifrare e collocare. Aveva parcheggiato da schifo, e poi aveva infilato l’ascensore di corsa e raggiunto l’attico. Solo quando la porta dell’ascensore si era aperta sull’ingresso dell’appartamento aveva tirato un respiro di sollievo.
Il loro nido lo accolse in silenzio e nella classica penombra ambrata tipica della notte barcellonese.
Lanciò le chiavi sulla consolle e la giacca sulla sedia posta all’ingresso; la guardò con un leggero sogghigno, perché sapeva che Misaki si sarebbe incazzato.

Ben gli stava, un po’ per uno.

Dondolò ancora la testa in segno di negazione su un altro pensiero infantile avuto nel giro di poche ore.
Ma che diavolo gli stava accadendo?
Tolse la camicia, i pantaloni e infilò al volo una tuta leggera restando a torso nudo.
Arrivato alla penisola della cucina afferrò un bicchiere e si versò dell’acqua fresca. Aveva bisogno di rilassarsi. A piedi nudi raggiunse la camera e restò incantato di fronte alla vetrata dalle luci di Barcellona. Amava quell’appartamento. Amava il loro nido e il calore che sprigionava.
 
 
 
Aveva controllato più volte il cellulare, ma dopo quei messaggi scazzati non ne erano arrivati altri; mentre si faceva lasciare due isolati più avanti dal tassista stava ragionando sul comportamento assurdo tenuto da Tsubasa e più ci pensava, più non capiva.
A passi veloci tornò indietro e imboccò la scala che conduceva al sotterraneo del garage. Non sarebbe mai entrato dall’ingresso principale, tastò le chiavi nel retro dei pantaloni e sorrise al ricordo di quando, sei mesi prima, Tsubasa gliele aveva lanciate nel corridoio dicendogli semplicemente: “Se una volta faccio tardi agli allenamenti almeno puoi metterti comodo.”
Sorrise al ricordo di quel momento così scanzonato all’apparenza, ma così definitivo: la consegna delle chiavi di casa. Ufficialmente, la loro casa.
Appena la porta dell’ascensore si aprì il silenzio lo avvolse mentre il cono di luce dell’ascensore scompariva dalle sue spalle appena le porte si chiusero; a quel punto anche la penombra lo avvolse come aveva fatto poco prima il silenzio.
“Tsubasa?” chiamò, mentre scuoteva la testa, osservando i vari indumenti lasciati sparsi in una scia che dall’ingresso si trascinava fino alla camera.
Arricciò il naso quando non ottenne nessuna risposta, oramai lo aveva capito: era incazzato, non restava che scoprirne il motivo.
Tolse la giacca e le scarpe, a piedi nudi arrivò in sala e dopo aver armeggiato con lo stereo scelse una canzone Dean Lewis - for the last time. Le note dolci si diffusero nell’aria riempiendo il silenzio di cui era saturo l’ambiente.
Iniziò ad allentare la cravatta quando passò dalla penisola per poi abbandonarla poco prima della camera da letto. Tsubasa era di spalle alla porta con il viso rivolto alla vetrata. Guardava fuori, il respiro tranquillo.
Misaki sbottonò anche la camicia e lasciò che cadesse a terra prima di raggiungere il compagno intento a contemplare l’esterno. Vederne la schiena nuda aveva fatto aumentare la voglia di sentirne la pelle.
Taro lo raggiunse e circondandogli la pancia con le braccia lo fece aderire a sé, mentre con il mento appoggiato sulla spalla nuda si avvicinava all’orecchio per parlare.
Il capitano si irrigidì appena sentì il suo abbraccio, una mano appoggiata alla vetrata e l’altra con il bicchiere di acqua tra le dita non accennò minimamente a contraccambiare il gesto d’affetto.

“Ehi, si può sapere che ti prende?”
“Nulla…”
Taro sbuffò un sorriso e tentò di scherzare: “Non ho cambiato sponda per sentirmi rispondere come una donna…”
“Che scemo…” ridacchiò l’altro per il paragone.
“Io?” rispose staccandosi e pretendendo che si girasse.
“Già, tu.” Rispose il capitano adagiando il bicchiere sul comodino lì vicino.
“Beh, insomma, che ti succede? Perché sei andato via?”
“Ci credi se ti dico che mi girano i coglioni e non ho capito il perché?”
Misaki sollevò le mani in segno di resa. “Che ti girino a elica era palese, speravo almeno che tu sapessi il motivo. Non hai neppure salutato Pierre. A proposito, ti saluta.”
“Ecco proprio lui, è odioso.”
“Odioso? E da quando esattamente? Non ti avevo mai sentito parlare così del mio capitano.”
“Sarei io il tuo capitano se proprio vogliamo puntualizzare, insomma un capitano della nazionale conterà un briciolo di più di una squadretta francese.” Stizzito. Il tono gli era uscito davvero troppo stizzito.
Taro spalancò gli occhi incredulo. “Non ci credo! Sei geloso?”

Ozora prima si guardò la punta dei piedi, colto come un ladro in flagranza di reato, assaporando la stessa sensazione provata al ritiro in Russia nel 2018; quando Taro aveva baciato sua moglie. Lo stomaco gli aveva regalato: prima un cazzotto immaginario e dopo una stretta tanto forte da fargli risalire l’acqua ingoiata pochi attimi prima. Ecco, geloso, la parolina magica che finora non aveva trovato una collocazione e non si era palesata, restando ben nascosta; adesso esplodeva decisa e precisa in ogni poro del corpo.
Lui, che geloso non lo era mai stato. Ma che diavolo stava succedendo?

“Non sono geloso!” si difese in un ultimo barlume di lucidità prima di voltarsi e tornare a fissare il vecchio punto lasciato pochi istanti prima.

Il numero undici era rimasto esterrefatto da quella piccola scoperta serale. E se non fosse che Ozora era così serio, se la sarebbe risa senza alcun ritegno, ma come al solito avevano poco tempo da passare insieme e preferì non farlo arrabbiare. Il tempo era prezioso ed era stupido perderlo per un po’ di gelosia.
Gelosia che alla fine lo rendeva un pochino orgoglioso visto che era lui a provocarla.


 
 
“Adoro quando mi fai sentire così importante.” I polpastrelli avevano sfiorato la pelle dei fianchi facendola increspare sotto il loro passaggio. Il viaggio verso l’addome era costellato di piccoli pori rialzati mentre il respiro del capitano, sempre più pesante, appannava il vetro antistante. Le dita finalmente non trovarono ostacoli nell’intrecciarsi con quelle dell’amato.
“Che idiota, sembro un ragazzino di quindici anni.” Sbuffò Ozora mentre si godeva l’abbraccio.
“Cos’è che ti ha fatto tanto andare su di giri? Non ho fatto niente di diverso dal solito.”
“Il sorriso!” esclamò voltandosi tra le sue braccia.
Taro aggrottò le sopracciglia scettico. “Il sorriso?” chiese incuriosito.
“Sì, quel sorriso lo dovresti riservare solo a me.”
“Non ho neppure idea a quale sorriso tu possa riferirti.”

E lo aveva fatto, quel sorriso maledetto, quella leggera curvatura inconsapevolmente assassina che gli faceva perdere la ragione. Forse non se ne rendeva neppure conto di quanto potesse essere pericoloso con quelle labbra tutte da baciare. Gli afferrò la nuca tra le mani e lo attirò a sé prima di baciarlo con ardore.

“Questo – rispose il capitano tra un bacio a l’altro – e te lo toglierò a suon di baci…”

Misaki contraccambiò la stretta afferrandogli i glutei. Come due ubriachi annasparono verso il letto.
Il materasso li accolse, attenuando la caduta, mentre le risa venivano soffocate dai cuscini in cui sprofondarono.

“Mi piace questo tuo lato geloso” ansimò sulle labbra del capitano, mentre con il naso si strofinava a quello del compagno in un gesto d’affetto oramai noto a entrambi.
Tsubasa sollevò le iridi verso l’alto, mentre le luci ambrate di Barcellona facevano luccicare le punte corvine dei capelli. “Non sono geloso” ribatté verso il compagno.
“Ah, no? E allora che nome gli daresti: sentiamo!”
Fu in quel momento che Ozora cambiò espressione e gli afferrò le guance, schiacciandole delicatamente tra i palmi delle mani. Le due perle nere brillarono nelle iridi color cioccolato del numero undici mentre rispondeva: “L’amore.”
E fu solo amore quello che animò la stanza per tutta la notte.
 
 
 
 
 
Ringraziamenti
Questa shottina è totalmente 'colpa' di Ciotolina e i suoi disegni.
Non potevo certo lasciare questo magnifico capolavoro senza un briciolo di storia…
Ovviamente non posso scordare le mie betuzze Guiky80 e Melanto.
Grazie per il velocissimo lavoro di lettura e bataggio.
Baciotti
Sanae77

   
 
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Captain Tsubasa / Vai alla pagina dell'autore: Sanae77