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Autore: LondonRiver16    26/06/2019    5 recensioni
Quando aprì nuovamente l’Impala, si concesse un momento per osservare come si era ridotto Sam e sospirò abbattuto: suo fratello era zuppo dalla testa ai piedi. Sotto la spessa coperta di lana che un vigile del fuoco gli aveva messo addosso, i suoi vestiti estivi gocciolavano quanto le ciocche di capelli e l’adolescente tremava violentemente per il gelo che doveva esserglisi infiltrato nelle ossa. Le mani, paonazze, stringevano i lembi della coltre; i piedi, coperti solo da calzini che ormai sembravano alghe masticate, non avevano mai smesso di strofinarsi uno contro l’altro nel vano tentativo di recuperare almeno una scintilla di calore.
"Sedici anni di pane perso", aveva pensato Dean con fare implacabile quando, nemmeno un’ora prima, aveva capito in che razza di guaio si fosse ficcato Sam.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bobby, Dean Winchester, John Winchester, Sam Winchester
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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2. L’attesa

 


Tomorrow is another day
And you won’t have to hide away
You’ll be a man, boy

But for now it’s time to run

(Run boy run, Woodkid)

 


Come promesso, John lo stava aspettando in soggiorno. Era seduto sulla sua poltrona - a Dean e Sam toccava sempre il divano, quando guardavano la televisione -, ma in una posizione volutamente scomoda, come in procinto di alzarsi. Con i gomiti sulle ginocchia, le dita intrecciate e le labbra premute su di esse come in preghiera, non mosse un muscolo quando Dean comparve sulla soglia. Ma puntò il suo cipiglio militare su di lui e d’istinto il ragazzo alzò il mento e raddrizzò le spalle.

- Se ho capito almeno un poco gli eventi di questa notte, immagino sarai distrutto quanto tuo fratello - esordì l’uomo, l’apparente emblema della pacatezza. - Ma ho bisogno di sapere ora cosa diamine è successo e per prima cosa voglio sentirlo da te, date le condizioni di Sam.

- Sissignore - annuì Dean.

- Così stanotte potrò pensarci e domani ascoltare che cosa ha da aggiungere tuo fratello prima di decidere che cosa devo fare con voi due.

- Sissignore - ripeté Dean, deglutendo un attimo prima di infrangere la promessa fatta a Sam. - È stata colpa mia.

- Guardami negli occhi quando ti rivolgi a me, ragazzo - Dean obbedì all’istante, percependo la nota vibrante del suo rimprovero. - Perché dici che è stata colpa tua?

Suo padre non stava cercando di rincuorarlo. Stava semplicemente scavando per raggiungere la verità.

- C’ero io di guardia. Avevi lasciato la gestione della casa e delle regole e la sicurezza di Sam in mano a me - riassunse Dean. - Mi sembra ovvio che ho fallito nel tenere Sam al sicuro, come hai potuto vedere, quindi è colpa mia. È successo durante la mia guardia.

John Winchester si concesse un respiro lungo e profondo prima di replicare e Dean cominciò ad avvertire il sudore bagnare il palmo della mano che stava reggendo l’altra dietro la schiena. Odiava quelle attese più di qualsiasi altro momento del rapporto con suo padre.

- Da un lato mi fa piacere che tu ti prenda le tue responsabilità senza esitare - dichiarò l’uomo. - Ma questo lo hai sempre fatto, giusto? Dall’altro, mi innervosisce che cerchi di nascondermi quelle di tuo fratello con altrettanta nonchalance.

- Io non…

- Non. Mi. Interrompere - lo bruciò suo padre, le nocche leggermente sbiancate a mo’ di avvertimento.

Dean sentì un nodo alla gola. - Chiedo scusa, signore.

- Tuo fratello ha sedici anni. Si prenderà le colpe che gli spettano e ne affronterà le conseguenze - Senza badare allo spaesamento di Dean, l’uomo proseguì imperterrito: - E ora raccontami i fatti. E stai bene attento, Dean. Sai che so capire quando menti.

- Sì - esalò il ragazzo, impotente.

Si prese un istante per schiarirsi la voce, per ponderare su come impostare il racconto in modo che Sam ne uscisse il più pulito possibile, ma capì presto che stava inseguendo una possibilità già morta in partenza. Suo padre non gli staccava gli occhi di dosso e lo avrebbe tenuto lì, in piedi, finché non fosse stato sicuro che ogni sua singola parola corrispondesse a ciò che era successo realmente.

- Abbiamo cenato presto, verso le diciannove e trenta, poi io mi sono messo a lavare i piatti mentre Sam finiva i compiti qui in salotto. Dopo aver fatto, sono andato dritto sotto la doccia. Non posso dire di ricordarmi di aver controllato Sam prima di andare in bagno.

- Continua - lo incitò John, concentrato.

- Mi sono accorto che era sparito solo dopo essermi rivestito. L’ho chiamato per chiedergli cosa gli andasse di vedere in tivù e mi sono accorto che non c’era traccia di lui in tutta la casa - obbedì Dean, sentendosi male al ricordo di quel vuoto interiore. Per un attimo, era stato incapace di muoversi o anche solo di formulare un pensiero concreto. - Però non c’erano segni di colluttazione e mancavano le sue chiavi di casa e le scarpe che usa di più. Sono corso fuori e mentre portavo l’Impala fuori dal cortile mi sono sforzato di ricordare gli indirizzi dei suoi amici.

Suo padre non sembrò ammirare il suo impegno nell’averli imparati tutti a memoria. Continuò a fissarlo con la stessa espressione sul viso, rigida e imperscrutabile, in attesa che proseguisse.

- Per farla breve, ho scoperto che avevano organizzato una festa nel giardino di un certo Todd.

Suo padre lo interruppe, secco: - Tuo fratello ha bevuto?

Dean alzò le spalle, cercando di non farsi prendere in contropiede ma neanche di apparire troppo sulla difensiva: - C’erano delle lattine di birra su quel prato, ma Sam sa che non deve bere.

- Sa anche che non deve andarsene di casa senza permesso, non è vero? - insistette John Winchester, stringendo le palpebre. - La verità, Dean.

- Va bene - capitolò il ventenne. - Va bene, il vigile ha detto… ha detto di sì. Hanno fatto l’alcol test a tutti quanti dopo…

- Dopo?

Suo padre si stava spingendo talmente in avanti che gli mancava poco per non cadere oltre il ciglio della poltrona. Dean si morse il labbro con forza, ma non poté resistere più di qualche secondo.

- Dopo che li hanno ripescati dal fiume dove si erano tuffati.

Il genitore indietreggiò con la schiena, sconvolto.

- Fammi capire - articolò solo dopo qualche secondo. - Sam si è tuffato nel fiume di sua spontanea volontà?

Dean fece cenno di sì, spostando il peso da una gamba all’altra.

- Lo hanno fatto tutti. Lui e gli altri tre ragazzi. Stanno tutti bene, comunque, a parte il freddo che si sono presi, e…

Ancora una volta, l’uomo lo interruppe con un ringhio stanco: - Perché?

Se Dean sentì la necessità di farsi piccolo piccolo dinnanzi a quello sguardo di fuoco, poteva solo immaginare che reazione avrebbe avuto Sam il giorno dopo.

- Avevano scommesso - rivelò piano, per contrasto.

L’incredulità di suo padre non durò a lungo, presto sostituita da una furia cieca. L’uomo saltò in piedi e puntò un dito contro il figlio maggiore. Dean poteva vedere la vena sulla fronte e sul collo che pulsava in maniera preoccupante e dovette trattenersi dal fare un passo indietro quando suo padre avanzò verso di lui con le mani che tremavano.

- Tu mi stai dicendo - sibilò - che tuo fratello ha rischiato seriamente di morire per una scommessa?

Dean inghiottì, la gola riarsa ma la necessità di proteggere Sam più viva che mai.

- Penso desiderasse solo essere accettato dai suoi amici, papà - disse sinceramente, per quanto credesse che fosse stato un comportamento da imbecilli. - È stata una bravata, nient’altro, non…

- Una bravata, come la chiami tu, che avrebbe potuto facilmente costargli la vita!

Dean ingoiò a fatica di fronte a quelle urla e non seppe impedirsi di abbassare lo sguardo a terra.

- Ora è qui, è a casa, sta bene ed è questa l’unica cosa importante - riuscì a malapena a dire.

Quando rialzò il capo, suo padre si era fermato in mezzo al salotto, tra il divano e la televisione, e lo guardava come convinto che almeno metà della sua educazione fosse andata in pasto ai maiali. Almeno non era più così rosso in faccia, si consolò Dean, anche se i suoi polsi continuavano a sussultare.

- No, Dean - fece. - Non è l’unica cosa importante e tu dovresti saperlo. È importante, è fondamentale che si renda conto di quello che ha fatto e che impari a non disobbedirmi mai più in un modo tanto degenere. Ne va della sua sicurezza e di quella di tutti noi.

Quegli occhi tolsero a Dean la capacità di respirare per un lungo momento, proprio come era successo quando era sceso in soggiorno e non aveva più trovato Sam chino sul libro di esercizi di fisica. Se si fece violenza per riprendere fiato fu solo per difendere quell’immagine.

- Dai papà, mi sembra chiaro che sia già stato punito abbastanza da quello stesso tuffo nel fiume…

- Silenzio! - abbaiò l’uomo, tornando a puntargli addosso l’indice a mo’ di avvertimento. - Non è una decisione che spetta a te. Ora va’ a dormire. Vi voglio vedere domani mattina alle sette in cucina, entrambi. E farete meglio a non piantare ulteriori grane.

- Papà, per favore - insistette ancora il ragazzo, gli occhi sgranati e il cuore a mille perché non aveva bisogno di chiedersi cosa sarebbe accaduto in cucina. - Non Sam…

Ma John Winchester alzò una mano per fermarlo.

- Questo è l’ultimo avvertimento che ti concedo, Dean - fremette con un tono che non avrebbe ammesso repliche. - Vai a letto immediatamente. Non una parola di più, per stasera.

Il ragazzo si morse le labbra, si stritolò la mano dietro la schiena. Ma poi non poté fare altro che assentire, fare marcia indietro e risalire le scale fino alla camera da letto col cuore che pesava addirittura più delle gambe stanche.

Suo padre si sarebbe calmato durante la notte, avrebbe lasciato che il furore gli scivolasse di dosso così che la decisione che avesse preso infine risultasse razionale, giusta, secondo la sua visione del mondo. Faceva sempre così. Se poteva, non confrontava mai i suoi ragazzi se non a mente fredda, dopo un’infrazione delle regole. Ma con ciò che sapeva riguardo a quella visione del mondo, Dean non poté comunque astenersi dall’angustiarsi.

 

Il mattino seguente, il ventenne si destò a causa della luce che filtrava dalla finestra spalancata. La notte era stata afosa e, come se non fosse sufficiente, il ricordo delle parole con cui suo padre lo aveva mandato a dormire la sera prima aveva agitato i suoi sogni.

Con le palpebre ancora semi-chiuse, Dean cacciò via le lenzuola con stizza e si mise a sedere con un grugnito. Una volta strofinatosi gli occhi con pollice e indice, posò lo sguardo sul letto di Sam: suo fratello stava dormendo con il volto rivolto al soffitto, una gamba che penzolava dal materasso e la bocca aperta. La borsa dell’acqua calda e metà delle coperte erano scivolate a terra durante la notte. Avvicinandosi, Dean notò che la fronte del sedicenne era coperta da un velo di sudore, ma quando vi appoggiò il palmo della mano trovò una temperatura nella norma e ringraziò il cielo. Apparentemente dimentico della notte precedente, suo fratello era di nuovo soltanto un adolescente alle prese con l’inizio dell’estate. A Dean dispiaceva svegliarlo, ma l’orologio analogico sul suo comodino segnava le sette meno dieci e John Winchester non necessitava di un altro motivo per irritarsi.

- Ehi, Sam - mormorò, scuotendolo piano per la spalla. Non appena il sedicenne schiuse le palpebre, Dean gli sorrise automaticamente. - Ehi. Come ti senti?

- Bene - ammise il minore con la voce del sonno, guardandosi attorno come per accertarsi di essere nella propria stanza. - E tu?

Dean sbuffò divertito a quella domanda di pura cortesia.

- Alla grande. Senti, se sei sicuro di stare bene, devi alzarti. Papà ci vuole parlare.

Qualcosa balenò negli occhi del sedicenne, ma Dean non avrebbe saputo darvi un nome.

- Ora?

- Ora.

Con un sospiro scocciato, Sam si trascinò in piedi. Non appena fu sicuro che non si sarebbe gettato di nuovo a capofitto tra le lenzuola, Dean pensò a vestirsi e lo precedette al piano di sotto. Trovò la cucina vuota, così come l’intero piano, e corrugando la fronte si domandò a che gioco stesse giocando suo padre. Quando suo fratello minore lo raggiunse, Dean stava cuocendo qualche uovo in padella e rispose allo sguardo interrogativo di Sam facendo spallucce.

- Tanto vale che facciamo colazione - propose, mettendo a tostare due fette di pane. - Le vuoi due uova?

Sam si trascinò fino alla sedia più vicina, appoggiò i gomiti sul tavolo e seppellì il viso tra le mani prima di cavarsi di gola un verso astruso che Dean impiegò un po’ a interpretare.

- Caffè? - tentò, alzando un sopracciglio in direzione del fratello. - E basta?

- Sì - borbottò il sedicenne, scivolando con la testa sul tavolo e massaggiandosi le tempie.

- Non è una buona idea. Hai bisogno di mangiare qualcosa, dopo ieri sera.

Ma Sam non si fece scoraggiare e diede voce al suo miglior tono lamentoso e strascicato. Suo fratello maggiore non aveva mai avuto l’onere di sopportarlo la mattina dopo una sbronza, dato che quello della sera prima doveva essere stato il suo primo approccio serrato all’alcol, ma cominciava a pensare che valesse la pena convincere il sedicenne a diventare astemio.

- Non ce la farei a buttare giù niente, Dean, la nausea mi arriva fino al cervello.

Dean stava per replicare in malo modo, ma si bloccò a bocca aperta e con il mestolo sollevato a metà dell’atto di voltarsi verso il più piccolo.

- E tanto per capire fino a dove ti sei spinto, - esordì John, appoggiato con la spalla allo scheletro della porta, le braccia rigidamente incrociate, - quanto hai bevuto esattamente ieri sera, Sam?

Il chiamato in causa balzò in piedi non appena il tono glaciale di suo padre gli raggiunse le orecchie, gli occhi sgranati per lo spavento. Le gambe della sedia stridettero sul pavimento, Dean spense il gas sotto la padella delle uova e Sam mosse inconsciamente un paio di passi verso suo fratello mentre l’uomo lasciava andare le braccia lungo i fianchi ed entrava nella stanza. Dean notò che indossava le scarpe e si chiese dove fosse stato e com’era possibile che non lo avesse udito rientrare.

Malgrado la voce di Sam nel silenzio fu solo un soffio, parve riecheggiare.

- Papà…

- Sei uscito senza permesso, facendo preoccupare a morte tuo fratello e costringendolo a venire a cercarti - riprese John Winchester, arrivando fino alla tavola per appoggiarvisi con entrambe le mani. Solo allora tornò ad alzare lo sguardo per puntare gli occhi scuri, flemmatici ma duri, sul figlio minore. - Sei andato a bere abbastanza da arrivare a credere che una gita nel fiume potesse essere una buona idea - Si concesse un’altra pausa, strinse le palpebre e prese un respiro profondo, come se ogni frase gli facesse male da qualche parte nel petto. - E ti sei buttato nella corrente gelida per una scommessa. Mi è stato riferito male?

Dean lanciò un’occhiata a suo fratello, accanto a lui. Sam sembrò congelato per un momento, ma poi deglutì e provò a scuotere la testa.

- Papà, io…

Ma venne interrotto con tono perentorio, senza troppi manierismi: - Rispondi alla mia domanda.

Sam trattenne il fiato rumorosamente e si inumidì le labbra, asciugandosi i palmi delle mani sulla stoffa dei jeans.

- No, signore. È tutto corretto - si costrinse a dire.

- Mi manca qualcosa? - proseguì suo padre. - C’è altro che devi confessare, magari qualcosa che Dean non poteva sapere?

Sam degnò suo fratello di uno sguardo. Fu un istante, tornò subito agli occhi cerchiati di suo padre, ma Dean ebbe il tempo di riconoscere nelle sue iridi una scintilla di sfida che non prometteva niente di buono.

- Cinque birre. Quattro bicchieri di vino - lo sentì infatti spiattellare una frazione di secondo dopo, e se si trattenne dal mollargli una gomitata nel fianco fu solo perché suo padre non sembrava avere la minima intenzione di rivolgere il suo interesse a qualcosa che non fosse il figlio minore.

Entrambi videro l’uomo ergersi sopra il tavolo come se qualcosa lo avesse punto, le labbra appena curvate in un ringhio minaccioso: - Se stai cercando di farmi infuriare…

- Sei stato tu a chiedermi quanto ho bevuto! - esclamò allora Sam, alzando le mani sopra la testa con fare melodrammatico.

Dean avrebbe soltanto voluto essere un’apparizione per avvertire suo fratello che comportarsi da saputello come era abituato a fare a scuola, dove era uno dei cocchi degli insegnanti, o nei giorni normali, quando John era d’accordo nel limitarsi ad abbaiargli di tornare in linea, non era una buona idea. Quanto avrebbe voluto pestargli un piede per impedirgli di mettersi ulteriormente nei casini. Un momento dopo fu evidente che Sam non era in grado di leggergli nel pensiero.

- Sono solo uscito per andare a una maledetta festa, per stare un po’ con persone della mia età, per poter fingere di essere normale, per una volta! - seguitò, dimenticandosi che anche solo alzare la voce di fronte al sergente in comando era una pessima mossa.

- Oh, non cercare di muovermi a compassione col discorsetto del povero adolescente chiuso in casa mentre tutti i suoi coetanei si divertono, non osare nemmeno - gli intimò John, adeguandosi al tono. - Lo avrei accettato o perlomeno ascoltato se si fosse trattato solo di una scappatella per fare baldoria, ma mi pare evidente che sei andato molto oltre.

A quelle parole, Sam tornò a bagnarsi le labbra ed esse rimasero schiuse sul suo respiro accelerato.

- Non c’è stato nient’altro, oltre a quello.

- Ah no? E il tuffo nel fiume cos’è stato? Una nuova forma di ballo scolastico? - urlò suo padre, ormai rosso in viso. - Sono sicuro che tuo fratello ti avrà già detto che avresti potuto morire, ma non è il modo più adatto per dirlo: sei oltremodo fortunato a essere vivo!

Dean deglutì e serrò gli occhi un istante, costretto a rivivere il panico della sera prima. In qualsiasi altra occasione avrebbe pensato che, una volta arrivati a quel punto e a quel livello di grida da parte del loro padre, Sam avrebbe trovato una riserva di buonsenso utile a chinare il capo e a chiudere quella maledetta bocca. Dean non comprendeva come gli risultasse così difficile mettere in pratica un po’ di istinto di auto-conservazione. Eppure quel giorno c’era qualcosa di nuovo nella tensione che regnava sovrana tra le due persone a lui più care, qualcosa che suggeriva, ventilava, prometteva una resistenza strenua da parte di suo fratello minore.

- Era solo per gioco - seguitò infatti il sedicenne, esplorando nuove sadistiche strategie di ribellione senza riflettere troppo a lungo sulle possibili conseguenze. - L’acqua non era nemmeno tanto profonda e la corrente non era così…

Accadde talmente in fretta che non ebbe il tempo di scansarsi. Con la determinazione che sapeva renderlo impietoso, suo padre oltrepassò il tavolo, lo raggiunse in pochi passi e gli rifilò un ceffone la cui eco risuonò come il rilascio di un proiettile nella minuta cucina. Dean trasalì come se non se lo aspettasse e osservò suo fratello minore mantenere a stento l’equilibrio dopo essersi fatto scappare un gemito. L’intera scena sembrò durare per sempre, ma un attimo dopo Sam era di fronte a suo padre con l’impronta della sua mano sulla guancia sinistra e gli occhi carichi di lacrime che stava disperatamente provando a ricacciarsi in gola.

Il respiro di Dean accelerò a quella vista, ma il ventenne chiuse gli occhi un attimo e si strinse il polso sinistro con la mano destra per trattenere ogni impulso di difesa. Non era sua abitudine andare contro suo padre, e questa volta Sam se l’era decisamente andata a cercare.

- Vuoi ribattere ancora? Eh? - rimarcò John Winchester, alzando un braccio a indicare un non meglio definito “là fuori”. - Intendi continuare a fare lo spavaldo, anche dopo che i vigili ti hanno ripescato? Anche dopo che Dean è dovuto venire a recuperarti, cercando anche di salvarti il culo dal sottoscritto? Vederti in quelle condizioni ieri notte mi ha quasi fatto morire di crepacuore!

Questa volta, la prima da quando la discussione era iniziata, alle sue parole seguì un silenzio che sarebbe anche potuto passare per rispettoso. Dean non credeva che Sam avesse abbandonato del tutto l’idea di mostrarsi sfacciato fino all’ultimo, ma lo schiaffo era almeno riuscito a farlo riflettere per qualche secondo prima di parlare. Ma il suo sguardo bruciava di rabbia e vergogna e la sua voce, quando tornò, per quanto rotta dal pianto che stava trattenendo, gli faceva giustizia.

- L’ho già detto a Dean - disse tra i denti, la mandibola preda di un leggero tremore. - Mi dispiace di averlo fatto. È stata un’idiozia. Ora mettimi pure in punizione per tutta l’estate.

Dean soppesò il silenzio ancora più intenso che calò cercando di non far trasparire che stava trattenendo il fiato. L’atteggiamento di Sam non era cambiato e l’adolescente fissava suo padre con il petto che si alzava e riabbassava velocemente, le braccia rigide e i pugni chiusi, probabilmente sperando di sentire in fretta a che cosa gli sarebbe toccato rinunciare per tre mesi per poi andarsene dalla cucina sbattendo la porta.

Dean, dal canto suo, stava pregando perché suo padre glielo lasciasse fare. Più o meno consapevolmente, lo stava facendo dalla sera precedente. Non desiderava altro che il loro padre dicesse a Sam che non avrebbe toccato né la televisione né i divertimenti del mondo esterno né qualsiasi cosa fino a data da destinarsi, e poi lo lasciasse andarsene imbufalito. Forse perché Dean sapeva, lo aveva letto negli occhi di suo padre la sera prima, che John non aveva la minima intenzione di lasciare che la faccenda restasse in sospeso in quel modo. E avrebbe dato qualsiasi cosa per impedirlo.

Dean fu sicuro di ciò che stava per succedere non appena vide le sopracciglia di John Winchester abbassarsi, il suo sguardo tornare piatto e la voce misurata, ben calcolata in ogni virgola. Dean conosceva quell’insieme di fattori e ciò a cui conducevano.

- Sono certo che ti dispiaccia. Perlomeno per tuo fratello - affermò l’uomo, concedendo a ogni parola il tempo utile a colmare lo spazio che le spettava. - Ma ho bisogno che ti dispiaccia di più. Ho bisogno che tu comprenda del tutto quanto e perché sia fondamentale che una cosa del genere non accada mai più.

Diversamente dal fratello, Sam non capì dove stava andando a parare finché suo padre non cominciò a sfilarsi la cintura dai pantaloni. Allora sbarrò le palpebre, fece un passo indietro e cercò di dire qualcosa, ma la gola gli si era seccata sul posto. Dean non riuscì a guardarlo. Non dopo aver evitato per anni di parlargli di quell’eventualità.

John Winchester piegò in due la cinghia e Dean, malgrado l’idea che la adoperasse su Sam lo gelasse, ringraziò il cielo. Libera avrebbe fatto più male. Suo padre glielo aveva dimostrato solo una volta, quando lui per la frustrazione aveva fatto l’errore madornale di lanciare in aria una pistola carica e per poco non ci aveva rimesso un piede, ma era stato sufficiente. Aveva quattordici anni.

Il sospiro sofferto di suo padre fu ciò che riportò la sua piena attenzione su di lui.

- Vieni qui, Samuel - gli ingiunse, accennando al tavolo sgombro. - Faremo in fretta.

Sam non si mosse. Un fioco e vibrato “Cosa?” gli uscì dalle labbra nello stesso istante in cui Dean fremette piano: - No.

Il fatto che John non desse segno di intemperanza non significava che ogni rifiuto non lo portasse un po’ più vicino al limite oltre al quale non avrebbe più pazientato, ma per il momento rimase stoico.

- Hai sedici anni. Mi sembra un numero adatto alle tre infrazioni che hai commesso e a farti rammentare qual è il modo più opportuno di rivolgerti a tuo padre - Le sue mani rafforzarono la presa sulla cintura e il successivo cenno al figlio minore fu più risoluto. - Coraggio, o saranno di più.

Questa volta Sam si riprese più in fretta di Dean.

- No - ribadì guardandosi attorno prima di tornare agli occhi del genitore, col tono scioccato di chi crede che tutti siano impazziti con un singolo schiocco di dita. - Col cazzo che vengo lì.

Fu un ringhio a uscire dalla gola di John Winchester: - Finiscila.

Dean lo vide fare un altro passo verso suo fratello minore e fu improvvisamente consapevole di non poter rimanere fermo, zitto e obbediente un secondo di più. Con un tempismo che Sam avrebbe benedetto, avanzò più in fretta di suo padre e gli mise una mano sulla spalla, attirando il suo sguardo inflessibile su di sé.

- Papà - iniziò, mordendosi le labbra prima di cominciare a scuotere il capo. - Papà, ti prego, no. Non questo, non a Sam.

- Dean…

- Alla fine non è successo nulla di così tragico, non è vero? È qui, sta bene, ha chiesto scusa. So che non ti sta mostrando rispetto - si affrettò a snocciolare Dean, lanciando un’occhiata furente a Sam, immobile e colpevole alle sue spalle, prima di tornare a supplicare il suo vecchio. - So che devi correggerlo. Ma non così.

Con gentile fermezza, suo padre allontanò la sua mano.

- Dean, te l’ho già detto. Non è una decisione che spetta a te.

- D’accordo, allora punisci me - tornò all’attacco il ventenne. - Ero di guardia quando è uscito. Avrei dovuto essere io a bloccarlo e a impedire che succedesse tutto questo, incluso il tuffo fuori programma. La responsabilità è mia. Usala con me, quella.

Quando Dean chinò lo sguardo sulla cinghia, suo padre la abbassò a livello dei fianchi prima di scuotere la testa.

- Non funziona così e lo sai.

- Perché no? Ha sempre funzionato così. Mia la responsabilità, mio l’errore, mio il castigo.

- Sarete puniti entrambi - gli assicurò l’uomo, chiaramente sull’orlo di una nuova esplosione di collera. - Per quanto riguarda te, ho deciso che resterai a guardare. Visto quanto tieni all’incolumità di tuo fratello, e lo stai dimostrando anche in questo esatto momento, vederlo punito ti renderà più attento la prossima volta.

A Dean parve di dover inghiottire del cemento, ma corresse la sua postura.

- Signore, con tutto il rispetto, trattarlo così non porterà a niente. Non imparerà niente.

A quell’uscita suo padre parve sinceramente incredulo. Sorrise, quasi, anche se Dean fu quasi sicuro si trattasse di un tic nervoso.

- Ah no? Dimmi una cosa, allora: davi ascolto ai miei rimproveri e ai miei avvertimenti, quando ti vietavo di portare ragazze a casa? Mi stavi ad ascoltare, quando ti ripetevo che te lo proibivo unicamente per non metterle in pericolo? Cosa succedeva dopo le mie scenate, Dean?

Il ragazzo espulse l’aria dai polmoni e chinò lo sguardo, cosciente di dove suo padre voleva arrivare.

- Continuavo a portare ragazze a casa - ammise, ricordando come l’urgenza di essere un giovane adulto avesse come annebbiato la sua sensibilità alle urla di suo padre.

John Winchester gli mise la cinta davanti al naso.

- E quante sedute con questa sono servite per persuaderti a non farlo più, invece?

- Una - si sforzò di rispondere Dean, guardando lui oltre la resistente striscia di pelle. - Solo una, signore.

- E da allora che cosa hai sempre tenuto a mente?

- Che questo non è un posto adatto a delle ragazzine ignare - recitò a memoria Dean.

Suo padre prese un respiro profondo, calmandosi un poco dinnanzi alle sue ammissioni. Dean sapeva che trattare con lui era molto più facile che farlo con Sam, per un ex marine, e da una parte sperava che la sua remissività andasse anche a favore di quell’impulsivo di suo fratello minore.

- Ora capisci? - gli domandò l’uomo. - Tuo fratello non ha fatto una marachella. Ha dimostrato di non avere il minimo senso del pericolo e questo è qualcosa che né lui né questa intera famiglia possono permettersi. Mi sorprende dovertelo ricordare.

- Lo so, ma…

- Un’altra cosa che dovresti ricordare è che, in questi casi, l’attesa è la parte peggiore - lo interruppe John, riuscendo a zittirlo con qualcosa che Dean, effettivamente, rammentava bene.

Non c’era niente di peggio di un appuntamento con la cinghia di suo padre, escluso il dover rimandare il momento in cui i colpi sarebbero iniziati. Il ventenne gettò un’altra occhiata allo sgomento in cui stava lasciando che Sam annegasse e si sentì in colpa per aver prolungato la sua agonia. Stava quasi per scusarsi con lui quando suo padre gli afferrò un braccio per avere la sua piena attenzione.

- Fai spazio a tuo fratello e smetti di contrapporre i tuoi sentimenti a ciò che necessita di essere fatto per mantenerci tutti in vita, mi hai sentito? Non ti passi neanche per la testa che io provi soddisfazione a educare i miei figli in questo modo - digrignò, con una tristezza cupa in fondo agli occhi scuri. - Sono stato abbastanza chiaro?

Dean non esitò più.

- Sissignore - disse, facendosi indietro per ricacciare l’insubordinazione da dove era venuta.

Fosse stato per lui, non avrebbe mai scelto quel modo per insegnare qualcosa a Sam. Ma non poteva non riconoscere le ragioni di suo padre e, soprattutto, non sopportava l’idea di contravvenire a un ordine da parte dell’uomo che guardava con ammirazione e rispetto da tutta la vita. Suo padre sapeva quel che faceva. Per quanto gli fosse risultato difficile e doloroso, aveva preso le decisioni giuste con Dean e ora lo avrebbe fatto anche con il figlio minore, se questo avesse significato addestrarlo a stare all’erta e a tenersi stretta la vita.

John Winchester mosse nuovamente qualche passo verso il tavolo.

- Facciamola finita, Sam.

Questa volta, Dean lanciò a suo fratello un’occhiata non troppo dissimile da quella del loro genitore, anche se vi permaneva un fondo di compassione e supplica. Una supplica perché non tergiversasse. Ma Sam aveva gli stessi occhi atterriti e testardi di un momento prima e scosse la testa lentamente ma con convinzione.

- No - tornò a scandire.

Dean gli lanciò una delle occhiate peggiori della sua vita, ma avrebbe voluto urlarglielo in faccia.

Se non vai lì in fretta e di tua spontanea volontà, sarà peggio, molto peggio.

Stava per dire qualcosa quando la situazione si mosse senza di lui. Suo padre parve aver valicato il limite ed essere pronto a esplodere, mentre tornava a camminare deciso verso il figlio minore.

- Giuro su Dio che…

Riuscì ad afferrargli un polso, ma Sam approfittò della sua concitazione per usare tutta la forza della disperazione e svincolarsi abilmente. Prima che l’uomo potesse riacciuffarlo, quindi, infilò la porta di corsa e si precipitò in corridoio.

Dean urlò prima di suo padre: - Sam!

Udì la porta di casa sbattere violentemente un battito di ciglia prima di lanciarsi all’inseguimento. Suo padre lo seguì fino alla veranda, ma poi lasciò che fosse Dean a correre dietro a suo fratello.

Sam era quasi alto quanto suo fratello maggiore, ormai, e aveva delle buone gambe per la corsa fin dall’infanzia. Quando era piccolo, i suoi tempi di percorrenza erano stati qualcosa che aveva riempito John di orgoglio e di sollievo, perché avrebbero potuto salvarlo da chiunque lo avesse visto come una preda. Ora, mentre scorgeva la sua figura infilarsi nella boscaglia del parco vicino casa, Dean si ritrovò a maledire la genetica.

- Sam! - urlò di nuovo, cercando di non perderlo di vista.

Ma suo fratello era una saetta in mezzo al fogliame. La buona notizia era che quella mattina aveva indossato una maglietta color senape che lo faceva stagliare tra gli alberi. Quella cattiva era che filava come il demonio e sembrava non avere nessuna intenzione di fermarsi.







 



Angolino dell'autrice

Per prima cosa voglio ringraziare Biota e Vally1979 per aver recensito il primo capitolo e tutte/i coloro che hanno messo la storia tra le seguite o le preferite *distribuisce fragole e pasticcini come se non ci fosse un domani*
 

Sono sconvolta dalla velocità con cui sono riuscita ad aggiornare, perchè non succede spesso. Credo sia solo una conferma della necessità di dare sfogo a quanto mi sta piacendo Supernatural - so cosa state pensando, lo so: ho una maniera abbastanza degenerata di affermare il mio amore per i personaggi. Sono rea confessa e in riabilitazione da almeno otto anni, ma chissà perché non ci sono cambiamenti.

Spero che questa cosa continui a piacervi, per quanto malvagia, sadica e depravata - che alta opinione ho di me stessa.

A presto e continuate a splendere,


a.

 

 

 

   
 
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