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Autore: itsrigel    26/06/2019    0 recensioni
Ilista è un mondo diviso da un antico rancore: da una parte il popolo magico, dall'altra il più numeroso popolo terreno. È dalla parte dei Maghi che Yera e Neil sono sempre vissuti, finché un lutto inaspettato non li costringere a prendere posizioni nettamente diverse nei confronti dei non magici. Yera è una ribelle, non vuole arrendersi alle evidenze: la vita da nobile le va stretta, ed è proprio per questo che non cede alle pressioni.
Non sa cosa il Destino e gli Dei abbiano in serbo per lei.
Genere: Avventura, Generale, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shonen-ai, Shoujo-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Yera e Thaik procedevano a passi veloci sotto il cielo carico d'acqua. Il vento era teso, l'odore della pioggia si poteva già sentire e a nessuno dei due andava di prendersi un raffreddore. In una ventina di minuti erano riusciti ad allontanarsi dal paesino, cercando di passare nelle le vie meno frequentate per non farsi vedere da anima viva. Barahel aveva già abbastanza problemi senza che i suoi figli gettassero altra vergogna sul nome della loro famiglia.

«Mi stai ascoltando, Neil?»

Lei camminava tenendo un braccio stretto alla vita del gemello, cercando di non fargli troppo male. Il ragazzo sbatté le palpebre, raddrizzandosi, per quanto poteva, sulla schiena. Gli faceva male tutto. «Scusa, stavo pensando».

Yera sospirò, cercando di nascondere la rabbia che la riempiva. Capendo di essersi allontanati abbastanza dalle strade principali del paese, Yera si fermò, sorreggendo dolcemente Neil: suo fratello era ferito e lei lo stava trascinando a forza. Aveva bisogno di cure.

«Nostro padre non sarà felice di questo. Ti sei fatto fare a pezzi. Si può sapere come fai a finire nei guai ogni volta che non ci sono?»

Neil si strofinò una mano sotto il naso, scuotendo la testa. «Voglio solo tornare a casa adesso».

Yera lo fece sedere a terra senza troppe cerimonie e senza dargli nemmeno il tempo di lamentarsi. Per un terrificante momento, Neil sentì la terra sparire sotto di lui e gli sembrò di precipitare. Strinse con forza gli occhi, aspettando che le vertigini passassero.

Yera gli impose una mano sul petto, premendola con leggerezza. Chiuse gli occhi, prese un respiro profondo e sgombrò la mente dai pensieri. Una fioca luce verde si accese sotto le palpebre chiuse e, dolcemente, cominciò a diffondersi sulle sue braccia fino ad arrivare alla punta delle dita. Un calore piacevole si irradiò per tutto il  corpo stanco di Neil, che tirò un sospiro di sollievo. Magia. Oh, Yera era decisamente la migliore maga che avesse mai messo piede a Ladomne—e lei stessa lo sapeva, fin troppo bene.

Neil riaprì gli occhi. Iniziò a guardare la fronte corrucciata della sorella come un malato che guarda la medicina che lo potrebbe salvare. Iniziò a sentirsi meglio dopo pochi istanti. Le ferite superficiali si chiusero, le costole smisero di dolere così tanto, i muscoli si rilassarono un minimo. Yera allontanò le mani nel momento in cui sentì la testa leggera, per evitare di perdere conoscenza per la strada. Alla fine, dopo pochi minuti di sforzi da parte di entrambi, rimasero seduti l’uno di fronte l’altro, senza parlarsi, riprendendo le forze.

La prima a tirarsi nuovamente in piedi fu Yera. Neil si lasciò scappare un sorriso tenero mentre la ragazza si rialzava e gli porgeva la mano, invitandolo a seguirla. Gli venne in mente quando erano ancora bambini ed era ancora lui a proteggerla quando giocavano. Yera era talmente scalmanata che riusciva a cadere anche da ferma, a farsi male anche quando non era lei a giocare. A quei tempi era lui a controllarla, a doverla tenere d’occhio per evitare di farla finire nei guai. Allora, gli era sembrato di essere in grado di capire cosa sarebbe successo. Gli era parso di riuscire a vedere le azioni della sorellina e le conseguenze che avrebbero portato prima che succedessero. 

Gli avevano dimostrato che non era così.

 

Il resto del tragitto lo percorsero in completo silenzio. Con quel brutto tempo, l’antica strada lastricata che, da est a nord, attraversava Ladomne e la collegava alle principali città di Flamek era praticamente deserta. I mercanti, che normalmente erano soliti attraversarla, sembravano già essere rintanati nelle loro case, al sicuro sotto un tetto accogliente, probabilmente con una buona ciotola di cibo caldo e un compagno amorevole con cui condividere lo spazio sotto le coperte per il resto della giornata.

Yera, un po’, di queste cose era gelosa. Non che loro non avessero cose del genere, anzi, ma le restava difficile riuscire ad apprezzare appieno la loro vita quando una buona parte di essa l’avevano passata a lottare con le unghie e coi denti per farsi rispettare.

 

Arrivarono nei pressi di casa a tarda mattinata, avendo rallentato di loro spontanea volontà per evitare di farsi vedere dal padre, che solitamente a quell’ora era chiuso nel suo ufficio a leggere: nonostante Yera avesse curato superficialmente le ferite di Neil, i vestiti del ragazzo erano comunque intrisi di terra e lacrime e macchiati dal sangue che aveva perso. Senza contare il fatto che lui, effettivamente, poteva ancora percepire il dolore causato dalle percosse, anche se da fuori i segni potevano non venire notati. Il Conte non avrebbe preso bene una mancanza di rispetto tale verso il proprio figlio, sangue del suo sangue, come era solito dire. E in quel momento, una scenata del padre era l’ultima cosa di cui i gemelli sentivano il bisogno.

L’imponente villa a tre piani sembrava giudicarli dalla strada, circondata da quella schiera di rovi di rose che loro madre aveva piantato quando lei e il marito avevano convolato a nozze. 

Yera si era sempre sentita piccola, di fronte alla maestosità del luogo. Soprattutto se pensava che quello era niente, confrontato a come immaginava essere il palazzo dove alloggiava l’Imperatore e la sua famiglia, o alle leggende che aveva sentito raccontare su come fosse la reggia regale di Auron, al di là della pesante catena montuosa che divideva i due regni.

Attraversarono in silenzio la lunga passeggiata di quasi mezzo miglio prima di arrivare ai piedi dell’abitazione. Entrarono senza dire una parola nella villa, cercando di fare il meno rumore possibile mentre salivano le scale di marmo bianco, tentando disperatamente di non ridere mentre si guardavano camminare in modo ridicolo ed estremamente lento. Appena entrati nell’androne, i fratelli si sentirono pieni di una pace che, fino a pochi istanti prima, non sembrava appartenere al loro mondo. Nonostante il senso di vergogna che ancora bruciava nel petto, quel posto era casa. Avevano sempre insegnato loro che lì sarebbero stati al sicuro, circondati da volti amici; ed era stato vero. Non c’era un solo luogo in quel crudele posto che li facesse sentire più sicuri, più protetti.

Si avviarono verso le loro camere cercando di evitare anche la servitù che, a quell’ora, era impegnata a fare avanti e indietro dalle cucine alla sala da pranzo.

Dopo aver percorso al contrario la strada che Yera aveva fatto di corsa poche ore prima, i gemelli arrivarono nei loro alloggi privati. Entrarono alla svelta nella camera di lei, dove Yera si assicurò che il fratello stesse abbastanza bene da poter presentarsi di fronte ai loro genitori senza troppi dolori. Ricontrollò le ferite aperte, i lividi, i punti gonfi, qualsiasi cosa. Neil per ringraziarla le passò una mano delicata fra i capelli.

«Mi dispiace, non sarei mai dovuto uscire».

Yera sentì il cuore sprofondare nel petto, come risucchiato da una forza che sembrava volerla prosciugare. Si sforzò di sorridergli, celando l’amarezza sotto un velo di compassione. «Non è colpa tua» ribatté, stringendo una mano di lui tra le sue. «Non sei tu ad aver sbagliato. Ti giuro che la pagheranno, tutti quanti».
 



C'era un ragazzo a casa che Yera amava quasi quanto Neil. Si chiamava Thaik, era un senza-poteri e faceva parte della servitù della famiglia. Yera gli fu affidata quando aveva appena compiuto nove anni, periodo che corrispondeva a quando Neil dovette andarsene di casa per gli studi obbligatori in collegio. La sua lontananza era stata talmente straziante che il padre aveva dovuto metterle accanto gente della servitù per non farla cadere a pezzi.

A quasi nove anni di distanza, Yera poteva affermare con certezza assoluta che Thaik era stato l'unica persona al di fuori della sua famiglia di cui si fosse mai fidata. Il fatto che ci fosse stata così tanto a contatto aiutava naturalmente, ma la complicità che c'era fra i due non si poteva minimizzare a una mera conoscenza. Si volevano bene, da morire. L'uno accanto all'altro avrebbero potuto affrontare qualsiasi cosa, di questo erano certi entrambi.

Forse era per questo che, ogni giorno, dopo aver sbrigato le faccende mattutine che gli venivano affidate, Thaik raggiungeva Yera ovunque fosse per farle compagnia prima del pranzo.

 

Quel giorno, non riuscendo a trovarla da nessuna parte, dopo una scrupolosa ricerca per l’intera magione, decise di andarle a bussare in camera. Intuì quasi istantaneamente che doveva esserci qualcosa che non andava: non era frequente che Yera si fermasse in camera sua se non per dormire e vestirsi. Quando Yera gli aprì la porta davanti e i loro sguardi si incontrarono, potè vedere chiaramente la sua espressione cambiare da tranquilla a preoccupata in pochi attimi.

«Va tutto bene, mia signora?»

Yera si strinse nelle spalle, incerta su come rispondere. «Neil sta poco bene, ti spiegherò tutto più tardi».

Thaik si prese un lungo istante per pensare al guaio in cui i gemelli avevano potuto infilarsi quel giorno, ma alla fine decise di rimandare i pensieri ad un momento più consono.

«I vostri genitori vi stanno aspettando. Vostro padre mi ha chiesto questa mattina di fare in modo che la contessina non mancasse al pasto».

Yera lanciò un’occhiata al fratello, ancora steso sul letto, che le fece cenno di andare. Si mordicchiò l’interno della guancia prima di aprire definitivamente la porta ed uscire dalla camera.

«Meglio non farli aspettare. Accompagnami da loro, per favore».

 

Thaik non era uno di quei ragazzi meravigliosi di cui si legge nei libri, ma, di sicuro, sotto le zazzera mal tagliata di capelli color oro sporco, c'era un fascino che non poteva sfuggire agli occhi di una persona attenta. Alto e magro, aveva circa sei di anni in più dei gemelli e lavorava lì da quando ne avevano memoria. Molte delle persone che andavano a far visita al Conte restavano impressionati dalla semplice bellezza del servo. Soprattutto, erano molte le giovani ragazze che chiedevano ai padri o ai mariti di comprarlo, ostentando ragioni assurde e palesemente false per quelle voglie improvvise. Yera aveva sempre rifiutato di mandarlo via, fiera non solo di ciò che lui era, ma anche di ciò che significava per lei.

«Se c’è bisogno di qualcuno che faccia compagnia a Neil posso pensarci io per il momento». Yera alzò lo sguardo su Thaik mentre si allontanavano dalla stanza. «Sapete di poter contare su di me se ne avete bisogno».

Yera gli sorrise dolcemente: era grata all’atteggiamento paterno che quel ragazzo aveva nei confronti di Neil. «Potresti andarlo a controllare durante il pranzo? Credo abbia bisogno di aiuto per cambiarsi d’abito».

Thaik annuì, stringendo le labbra in un’espressione buffa. «Non dovete nemmeno chiedermelo, mia signora. Sarà fatto senza che nessun altro venga a saperlo».

Yera si sentì immediatamente sollevata. Non voleva che si spargesse per la casa la voce che Neil si facesse mettere i piedi in testa. E, soprattutto, non voleva che il padre lo venisse a sapere.

Barahel non era un uomo cattivo, anzi. Amava i suoi figli più di ogni altra cosa, ma era una persona severa come poche. Non avrebbe fatto correre un oltraggio del genere; non avrebbe avuto problemi a rimproverare crudelmente i figli e a farla pagare a chi aveva causato quel dolore a Neil.

Non era questo ciò di cui avevano bisogno.

 

La tranquillità apparente di Yera andò via via scemando ogni passo che faceva verso la camera da pranzo. Già da lontano, appena a metà della scalinata che portava al piano terra, Yera era riuscita a vedere qualcuno in piedi proprio accanto alle colonne te che sorreggevano il corrimano della scala.

Barahel stava cercando sua figlia praticamente da due sere prima. Non essendo riuscito a trovarla né il primo giorno né il secondo, l’aveva mandata a chiamare e ora si era messo lì davanti, appena appoggiato con la schiena ad una colonnina. Non che gli servisse sostegno: quell'uomo, nonostante avesse ormai superato da qualche anno la quarantina, era in forma smagliante. Le prime ciocche di capelli grigi e le rughe ai lati della bocca non avevano deturpato la bellezza severa di quel viso tagliente, molto più scolpito e duro rispetto a quello dei figli. Yera rallentò il passo alla sola vista dell'uomo e il sorriso che fino a pochi attimi prima aveva occupato le sue labbra lasciò il posto ad un'espressione vagamente preoccupata.

Congedò Thaik appena vide suo padre. Raggiunse Barahel col mento in alto e il passo di chi sarebbe pronto a conquistare il mondo, mascherando il disagio che provava in quel momento con un atteggiamento fiero. Alla sola vista di quello spettacolo, Barahel rise, allargando le braccia per accogliere Yera in un affettuoso abbraccio. Nulla che promettesse buono, contando il fatto che quelle scenette solitamente conducevano ad un compito non poco gravoso per chi si fosse trovato al posto della ragazza, ma almeno era sicura che non avesse scoperto nulla di ciò che era accaduto in città poco prima.

«Figlia mia» esordì con un sorriso fiero. Yera ricambiò, chinando leggermente il capo in segno di rispetto. I capelli erano gonfi per l'umidità che avevano catturato all’esterno, ma Barahel sembrò non darci peso quando poggiò un braccio intorno alle spalle della ragazza e iniziò a condurla per il lungo corridoio che conduceva all’entrata della sala da pranzo. «Come è andata, oggi?»

Yera sorrise imbarazzata, cercando di tenere il passo del padre. La differenza di altezza, in fondo, non era molta, ma lì per lì la giovane si trovò in difficoltà. «Una giornata come tante altre, non ho nulla di cui potermi lamentare. La vostra, padre?»

Il sorriso sul volto di Barahel si allargò e Yera sentì un senso di irrequietezza nello stomaco. Nulla di buono arriva, pensò mentre lui si fermava e le si poneva di fronte. «Un ottima giornata, grazie per il tuo interessamento. Ho delle buone notizie per la famiglia, speravo tu volessi ascoltarle». Yera si costrinse a elargire un sorriso di circostanza e ad annuire sotto gli occhi fiduciosi del padre. «Bene! Ho proprio bisogno di un aiuto nell'organizzazione di una serata molto importante. Vieni con me, abbiamo molto di cui parlare».

Yera seguì il padre per una serie di corridoi e passaggi che, in preda all'ansia, le sembrarono infiniti. Lui le parlava di feste, balli, divertimento e musica, ma la sua testa traduceva tutte queste nozioni in un'unica, tragica parola: guai.

Camminarono fino ad arrivare all'ufficio di Barahel, dove il conte usava incontrare le persone che gli chiedevano udienza. Era una stanza con una forma singolarmente ottagonale, con pareti stondate che davano l'idea di essere chiusi dentro una specie di uovo deformato. Le pareti altissime, decorate con affreschi su sfondi damascati, culminavano con una volta a cassettoni, dentro i quali era raffigurato lo stemma di famiglia. Sopra il raffinato tappeto esotico era appoggiata una massiccia scrivania di quercia, circondata da tre poltrone dallo schienale alto, tappezzate in pelle. 

Ad un segno del padre, Yera si sedette su una delle due sedie che davano la schiena alla porta, proprio di fronte a quella del Conte. Lui appoggiò i gomiti sul tavolo, guardando per qualche istante la figlia negli occhi. Yera si sentì perforata dall'intensità di quello sguardo e dovette abbassare il suo.

«Non sono mai stato un uomo superstizioso» esordì, tirandosi indietro sulla poltrona e appoggiando la schiena. «Ma ultimamente non riesco a far a meno di pensare a cosa sarebbe della nostra casata se mai dovesse succedermi qualcosa». Yera adesso lo stava guardando con sospetto, di sottecchi, mentre con le mani giocava con i numerosi anelli che aveva alle dita. «Presto ci sarà la festa annuale in onore di Rajas alla Capitale. Come consuetudine, il re ha indetto un ballo e invitato i nobili. Vorrei che tu venissi in modo da poter trovare insieme un buon partito per maritarti».

Yera quasi saltò sulla sedia, sconvolta dalla notizia appena ricevuta. Rimase per qualche secondo a fissarlo senza saper bene cosa dire o fare, balbettando qualche risposta che lasciava intendere quanto la cosa non la entusiasmasse minimamente.

Barahel alzò una mano per fermarla e scosse la testa. «Non pensare che la mia fosse una richiesta. Ho già preso la mia decisione. Avresti dovuto essere promessa a qualcuno già da anni ormai. Ti ho messo al corrente della mia scelta solo per rispetto nei tuoi confronti. Che tu voglia venire o meno, al mio ritorno avresti comunque uno sposo».

Yera rimase a bocca aperta. Aveva sempre pensato di avere una specie di controllo sulla sua vita, che da adulta come da bambina avrebbe avuto la possibilità di scegliere da sé ciò che la riguardasse.

«Potrei chiedere qual è il motivo di tale decisione?» domandò cercando di ricomporsi.

Barahel si alzò in piedi e prese a percorrere la lunghezza della stanza in avanti e indietro, facendo respiri profondi. La verità era che, in fondo, nemmeno lui avrebbe mai voluto prendere una decisione del genere. Yera era la sua bambina, il solo pensiero di vederla andar via dal nido che con tanta cura aveva costruito per i suoi figli gli spezzava il cuore. Qualche mese prima, però, una donna che avevano accolto a palazzo per una notte gli aveva rivelato una profezia riguardante il futuro della famiglia che l'aveva turbato non poco. A lungo aveva maledetto la sera in cui aveva accettato di far entrare quell'indovina, che aveva portato cattive notizie in quel piccolo paradiso che si era creato con le sue stesse mani in anni di duro lavoro, e che prima di lui suo padre aveva duramente mantenuto, e suo padre ancor prima. Aveva passato lunghi giorni a pensare e ripensare a quanto quella donna gli avesse detto, a come la sua vita stesse inesorabilmente arrivando ad un termine.

«Sarò sincero con te, figlia mia. Voglio che tutto questo sia tuo». Si fermò davanti ad una finestrella che dava sul giardino della magione, dalla quale si poteva ammirare una buona parte dei terreni della famiglia. «Non fraintendermi: amo te quanto amo tuo fratello. Ma so che con te i nostri averi saranno in mani sicure e ho bisogno di un erede a cui destinare il titolo nobiliare».

Yera abbassò lo sguardo, vinta dalla rabbia. Non poteva dire di non capire le ragioni del padre, ma di sicuro poteva odiarle. In tutta la sua vita non aveva mai sentito la necessità di affiancarsi a qualcuno, aveva sempre pensato che se prima o poi si sarebbe mai sposata sarebbe stato con la persona che avrebbe amato.

«Verrò con Voi, padre, ma alla condizione che Neil possa accompagnarci. Non ho intenzione di spostarmi da Ladomne senza di lui». 

Barahel sembrò valutare attentamente la risposta. Yera sapeva di averlo messo di fronte ad una scelta difficile: portare con sé Neil era sempre una scommessa con la fortuna. Nessuno avrebbe potuto prevedere come le cose per il suo animo ingenuo sarebbero andate.

Alla fine, comunque, Barahel accettò. Un poco la cosa servì a rassicurare Yera, ma non la aiutò a ingoiare l’ansia che quella notizia le aveva provocato. Dopo un lungo attimo di silenzio, Yera si alzò in piedi e si esibì in un mezzo inchino di rispetto.

«Col Vostro permesso, credo che mia madre ci stia aspettando. Vorrei andare da lei».

Barahel guardò attentamente sua figlia prima di avvicinarlesi. Le poggiò i palmi delle mani sul volto, fissando i suoi occhi scuri in quelli eterocromi della figlia. «Sei l'orgoglio della famiglia. Non dimenticarlo».

Yera accennò un sorriso, ricambiando lo sguardo del padre. Sapeva quanto lui tenesse ai progressi che aveva fatto in quegli anni, e sapeva quanto fosse fiero di poter chiamare quel fuoco vivo racchiuso in corpo umano sua figlia.

Barahel guardò uscire dalla stanza immobile al suo posto, mentre con la mente ritornava alla misteriosa donna che si era presentata al palazzo e alla profezia che gli aveva donato. Prese un respiro profondo e una pallina di oppio da masticare, per poi seguire l’esempio della figlia e raggiungerla in sala da pranzo. 

   
 
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