Anime & Manga > L'Attacco dei Giganti
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Autore: LazyBonesz_    28/06/2019    1 recensioni
“Questa canzone mi faceva pensare a te”, mormorò il ragazzo, contro un mio orecchio quando la musica cambiò. Mi concentrai sul testo. Ascoltammo la canzone in silenzio fin quando, verso la fine, Eren non parlò nuovamente, quasi cantando.
“But I just cannot manage to make it through the day without thinking of you, lately.”
Accennai un breve sorriso e mi sporsi verso di lui, senza aprire gli occhi. Riuscii a baciare le sue labbra piene e sentii il sapore delle lacrime su di esse.
“Eren”, sussurrai confuso. Sollevai le palpebre e vidi qualche goccia salata sulle sue guance. Però sorrideva.
“Sono felice, non preoccuparti. E penso che ti dedicherò un’altra canzone perché questa è fottutamente triste”, mormorò e decisi di bloccare la sua parlantina con un altro bacio. Un altro ancora e ancora un altro finché non ci addormentammo con le labbra stanche ma i cuori felici.
Genere: Angst, Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: Eren Jaeger, Levi Ackerman
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Los Angeles- 2 dicembre 2019

Eren 


Il mio fine settimana era stato fantastico: avevo giocato ai videogiochi per la maggior parte del mio tempo. Avevo anche studiacchiato per i test prima delle vacanze invernali anche se l’inverno non esisteva nella mia città. 

Ogni cosa bella doveva pur finire e, infatti, una nuova settimana era cominciata. Percorsi il corridoio della scuola per andare verso il refettorio, dove mi aspettava Armin. Mi aveva mandato un messaggio dicendo che aveva preso il pranzo anche per me dato che ero in notevole ritardo. Il professor Erwin mi aveva parlato ancora una volta, cercando di capire che problema ci fosse tra me e Levi. Non avevo reagito male per evitare un’altra punizione e mi ero limitato ad annuire senza ascoltare veramente. Dopo aver assisto al litigio con Petra e aver reagito così emotivamente, volevo allontanarmi dalla questione il più possibile. 

Entrai nella mensa e cercai con lo sguardo una massa di capelli biondi che formavano un’improbabile acconciatura. Prima di trovare Armin vidi Historia che mi sorrise. Le mie labbra ricambiarono. 

In fondo alla sala vidi il mio amico e lo raggiunsi, facendomi spazio fra gli studenti chiassosi che, a quanto pare, preferivano mangiare in piedi invece che comodamente seduti sulle panche. 

Armin mi fece un cenno con la mano e mi sedetti al suo fianco, guardando cosa avesse preso per me. Allungai una mano e mangiai delle patatine che si trovavano sul suo vassoio. 

“Com’è andato il tuo fine settimana?”, mi chiese per aprire una conversazione. Avevamo avuto l’ora di chimica assieme però ero arrivato in ritardo e non c’era stata la possibilità di chiacchierare. 

“Ho giocato alla play.”

“E lo studio?”, mi chiese, guardandomi in modo strano. Scrollai le spalle e decisi di iniziare a mangiare il panino che mi aveva preso. 

“Ho fatto anche quello, per un’oretta”, dissi prima di addentare il mio panino. Feci anche un piccolo verso di piacere perché stavo letteralmente morendo di fame. 

“Ti sei sprecato.”

“Dai, Arm, me la cavo, stai sereno”, borbottai prendendolo in giro e ripresi a mangiare. Il mio amico mi guardò dubbioso e forse anche un po’ schifato per il mio modo di mangiare. Il suo sguardo si spostò dalla mia bocca al mio zigomo. 

“Stai migliorando.”

“Si, non ne posso più di essere guardato per colpa di questo coso”, sbuffai, toccandomi una guancia per constatare che non facesse più tanto male. Quando quel livido sarebbe andato via, sarei tornato ad essere uno studente qualunque. Anche le voci sulla morte di Kuchel si stavano attenuando, fortunatamente. Doveva essere dura per Levi avere attorno gente che continuava a ricordargli che ora era da solo. Mi morsi il labbro inferiore con forza, punendomi per aver di nuovo pensato a lui. 

“Stai sanguinando!”, esclamò Armin, porgendomi subito un fazzoletto con cui mi pulii il labbro. Me l’ero morso altre volte, per lo stesso motivo, durante il fine settimana. 

Accartocciai il fazzoletto con la mia mano e lo lasciai sul vassoio, con le altre cose da buttare. 

“Ma stai bene?”, mi chiese Armin, ricordandomi lo stesso tono di voce di Ymir. Annuii e ripresi a mangiare il mio panino che stava quasi per finire. “Tu hai studiato?”

“Ovvio, ci sono i test fra poco”, disse il mio amico, tornando ad essere normale. 

“Dovresti divertirti di più. Sabato prossimo possiamo andare a qualche festa, sicuro qualcuno del gruppo di teatro ne organizzerà una.”

“Non credo, non dopo quello che è successo a Levi.”

“A gente come loro non frega un cazzo di cose del genere. Gli importa di essere popolari, avere il tavolo nella mensa, fare feste e riuscire a fare sesso con chi vogliono.”

Forse dissi quella frase con troppo veleno, ripensando alle parole di Jean su Levi. Il tono con cui le aveva pronunciate mi aveva fatto sentire male, e anche quasi geloso di lui. Armin non sapeva che dire e mi guardò sorpreso per poi scuotere la testa. 

“Io penso che a loro importi di Levi. Lo dimostrano con arroganza, ma ci tengono”, disse ed entrambi guardammo verso il gruppo di teatro.

Levi aveva la testa bassa e stava girando la pasta nel suo piatto con una forchetta. Al suo fianco c’era Jean che lo guardava con un’espressione preoccupata. Gli altri erano silenziosi e sorridevano a malapena. Tra di loro avevo scambiato qualche frase amichevole solo con Marco, un ragazzo dal viso gentile e pieno di lentiggini. Lui si salvava tra tutti quanti.

Al momento aveva appoggiato una mano su una spalla di Levi e cercava di parlargli ma l’altro lo allontanò bruscamente. 

Aggrottai la fronte cercando di capire cosa stesse succedendo, Marco continuava a cercare di parlargli e riuscii a sentire qualcosa come ‘’mi dispiace’’ e ‘’voglio aiutarti.’’ Levi aveva sbattuto le mani sul tavolo, facendosi sentire da quelli vicini, e si era alzato in piedi. Non era molto alto ma incuteva comunque timore con quello sguardo. ‘’Dovete lasciarmi in pace, non voglio aiuto’’, aveva detto a voce alta, facendo tremare le parole per la rabbia. 

Un tipo che doveva chiamarsi Reiner gli si avvicinò per provare a parlargli. ‘’Siamo tuoi amici, non possiamo lasciarti in pace se stai così’’, disse con una voce calma. Quel tono fece impazzire Levi che gli diede uno spintone mentre rispondeva, ‘’fanculo gli amici, non ho bisogno di nessuno.’’

Io e Armin, ma anche tutta la scuola, eravamo davvero presi dal litigio. 

‘’Levi, per favore, parliamone più tardi’’, riprese Marco. 

‘’Non c’è nulla da dire.’’ Levi prese il suo vassoio e iniziò ad allontanarsi dal tavolo, seguito dagli sguardi di mezza scuola, anche da quello di Petra che era rimasta in disparte con le sue amiche. 

Marco gli prese un braccio, costringendolo a girarsi, ‘’volevo solo dirti che noi ci siamo se hai bisogno di parlare. Lo capisco che è una situazione brutta e so anche che non possiamo fare molto ma non devi tenere tutto dentro.’’

Non so se gli altri lo notarono ma io lo feci, vidi il lampo di furia negli occhi di Levi dopo aver sentito quella frase. Fu abbastanza veloce quando diede un colpo al petto di Marco, facendolo barcollare all’indietro. ‘’No, voi non capite un cazzo’’, sussurrò il ragazzo mentre Jean accorreva dall’altro per difenderlo. Alla mia destra vidi dei professori avvicinarsi. 

‘’Puoi chiuderti quanto vuoi ed evitarci, ma smettila di fare lo stronzo’’, sibilò Jean al suo amico. Levi fece un passo verso di lui, alzò la mano ma fu bloccato da un braccio di Reiner che lo tenne stretto per farlo allontanare. Ormai i professori erano già li e decisi di distogliere lo sguardo per portarlo su Armin. ‘’Anche quando eravate piccoli faceva così?’’, mi domandò curiosamente.

‘’Si chiudeva in se stesso ma non è mai successo nulla di così grave. Sua madre era molto importante per lui’’, mormorai prima che la campanella suonasse. 


Los Angeles- 3 dicembre 2019


Mi avviai verso l’uscita della scuola, seguendo la fiumana di persone che facevano la stessa cosa. Mi sentivo piuttosto stanco nonostante fosse solo martedì. Oltrepassai le porta in vetro e cercai di ricordarmi dove avevo lasciato la macchina. Vicino ad essa vidi la giovane donna che aveva parlato con Levi la settimana prima. 

Mi avvicinai all’auto e quindi anche a lei, rivolgendole uno sguardo troppo intenso dato che iniziò a parlarmi.

‘’Sei un compagno di Levi Ackerman?’’

Mi limitai ad annuire, prendendo dalla tasca le chiavi dell’auto, iniziando a sentire odore di guai. ‘’Siete amici?’’

‘’Non proprio.’’

‘’Credo di averti già visto, non so dove.’’

Scrollai le spalle e guardai la targhetta che aveva sulla giacca. C’era scritto il suo nome, Isabelle, e poi la professione, assistente sociale. Lei notò il mio sguardo in quel punto.

‘’Dopo una tragedia come quella che è successa a Levi, servono gli assistenti sociali per mettere in ordine le cose’’, mi spiegò come se fossi un bambino.

‘’Dovreste fare un lavoro migliore, lui non sta per niente bene’’, dissi senza pensarci e mi morsi poi la lingua. 

‘’Ci stiamo lavorando, non possiamo costringerlo ad andare in terapia. Per ora ci occupiamo di ciò che riguarda la sua custodia.’’

Annuii e vidi Levi venire verso di noi. Non sembrava per niente felice di vedermi. Salutai Isabelle e salii in auto, misi in moto e mi allontanai il più velocemente possibile da lì.

L’assistente di Levi doveva star svolgendo il suo primo incarico perché non credevo che potesse dirmi tutte quelle cose. Forse neanche lei lo sapeva o forse voleva che io venissi a conoscenza della situazione. Strinsi le mani sul volante, sentendo la mia testa pesare per i troppi pensieri che la occupavano.


Los Angeles-  6 dicembre 2019


Era l’ultima ora di venerdì e nessuno sembrava ascoltare quello che il professore di storia stesse dicendo. Ero seduto vicino ad Historia, mi aveva fatto cenno di mettermi al suo fianco, e osservavo la nuca di Levi davanti a me. Neanche lui sembrava molto interessato alla prima guerra mondiale. In compenso avevo scoperto che Historia fosse piuttosto brava in questa materia quindi avrei potuto chiedere lei gli appunti o cose del genere. Tra una nozione e l’altra sentii delle voci parlare di una certa festa per questa sera. Sembrava un argomento molto più interessante rispetto alla lezione. Capii che si sarebbe svolta a casa di questa Hitch che non avevo mai sentito nominare, ma non riuscii a sapere l’indirizzo poiché il professore zittì i bisbigli. Poco dopo suonò la campanella e mi affrettai a prendere le mie cose, tenendole fra le braccia. Levi fu il primo ad uscire, muovendosi con velocità per evitare la ressa. Io camminai al fianco di Historia, decidendo di andare con lei verso gli armadietti. In realtà era la seconda volta che avevamo una conversazione però non mi dispiaceva la sua compagnia. 

‘’Come stai?’’, mi chiese mentre apriva il suo armadietto e infilava i libri che non le servivano durante il finesettimana. Mi appoggiai a quello di fianco prima di rispondere, ‘’va tutto bene, finalmente il mio livido non si vede quasi più.’’

‘’Ti donava’’, rise lei dolcemente e chiuse l’armadietto. Andammo verso il mio dove lasciai il libro di storia e ne presi un altro, infilandolo nel mio vecchio zaino marrone. ‘’Dici che avrei potuto conquistare qualcuno?’’

Historia mi guardò confusa. ‘’E perché mai?’’

‘’I miei amici hanno detto che avrei potuto’’, spiegai e lei scosse la testa. ‘’A me piacciono i ragazzi che non fanno risse.’’

‘’Allora sono il tuo uomo’’, risposi ironicamente e iniziai a camminare verso l’uscita della scuola. Historia arrossì e finsi di non notarlo per non rendere strane le cose. Ci salutammo all’uscita e andai verso casa mia, dopo esser salito nella mia auto.

A casa trovai mia sorella Mikasa che stava per uscire e la salutai con un cenno della testa dato che stava anche parlando al telefono. Mia sorella era molto impegnata con il suo lavoro da psichiatra e non la vedevo molto spesso. 

Decidi di prepararmi un toast con il burro d’arachidi prima di uscire per andare da Ymir. Avevo detto ai miei amici che dovevo tornare molto prima cosi avevamo anticipato il nostro appuntamento. 

Dopo aver mangiato il mio panino andai al piano di sopra per cambiarmi, infilando dei jeans puliti e una maglia slabbrata di una band indie che non conosceva nessuno probabilmente. Mentre mi mettevo una felpa rossa della vans, guardai fuori dalla finestra e notai Kenny che usciva da casa. Al suo fianco c’era Isabelle e parlarono per un po’ prima che lei andasse via. Aspettai che Kenny rientrasse e poi scesi le scale e uscii da casa mia, raggiungendo la mia auto per poter andare da Ymir. Aspettavo questa sera da tutta la settimana e già immaginavo come avremmo continuato il gioco. 

Quando entrai in casa sua trovai Connie e Sasha che mangiavano qualcosa, seduti sul divano. Salutai i miei amici e presi posto sulla poltrona li vicino, sospirando. 

‘’Sembri piuttosto stanco, ultimamente’’, commentò Ymir, guardandomi dubbiosa. In effetti non facevo altro che pensare e ripensare a certe cose e quasi tutte riguardavano Levi. Pensavo che la morte di sua madre non mi avrebbe cambiato così tanto la vita ma mi sbagliavo. Avrei dovuto aspettarmelo. 

‘’Lo studio.’’

‘’Ma se fai pena a scuola’’, si intromise Connie. 

‘’Tu cosa ne sai?’’

‘’Lo dici tu stesso che non studi mai’’, rispose Sasha, stavolta. Alzai gli occhi al cielo e sbuffai, ‘’perché non ne ho bisogno’’, dissi ironicamente, facendo ridere tutti quanti. Poi iniziammo a giocare e non ci furono altre domande per cui dovetti inventarmi una scusa. 

Alle dieci e mezza uscii dalla casa di Ymir e mi avviai verso la mia, usando la mia auto. Mentre spegnevo il motore vidi Levi uscire di casa. Aveva la testa coperta dal cappuccio della sua felpa e stava raggiungendo un auto accesa poco distante dalla mia. Per essere uno piuttosto sveglio trovai strano che non si accorse di me. 

Cercai di capire chi ci fosse in macchina ma non riconobbi il ragazzo dai capelli scuri e con un taglio improbabile da frate. Non so cosa mi successe ma decisi di seguire l’auto, stando a una giusta distanza per non essere scoperto. 

Il tragitto non fu lungo e arrivammo in un bel quartiere residenziale, formato da villette carine, munite di piscina. L’auto si fermò davanti a una casa bianca dove stava entrando parecchia gente e infatti dovetti allontanarmi per cercare un posto. Spensi il motore e scesi dalla vettura, portando con me solo le chiavi e il telefono, evitando di guardarlo, sapendo bene di trovarci le chiamate di mia madre. Seguii altre persone che stavano andando alla stessa festa e iniziai a pensare che fosse quella di Hitch, la ragazza di cui avevo sentito parlare a scuola. 

Entrai nella casa, sentendo la musica pulsare nelle mie orecchie e notando i litri di alcol presenti nella cucina. La canzone che stavano ascoltando era terribile eppure tutti sembravano divertirsi, ballando e bevendo. Mi guardai attorno per cercare Levi ma non lo trovai e non avevo intenzione di guardare stanza per stanza. Era già stato da stupidi seguirlo fino a qui. 

Andai verso la cucina e afferrai una bottiglia di vodka, versandone un po’ in un bicchiere in carta assieme a della limonata per non berla liscia. Mentre bevevo vidi Petra in un angolo, piangendo e parlando con una sua amica. Distolsi lo sguardo per non farmi notare e continuai a bere, sentendo il telefono vibrare nella mia tasca. Lo ignorai e decisi di uscire in giardino per prendere aria, sentendo fin troppo caldo là dentro. 

Anche quella casa aveva la piscina e al suo interno notai delle persone vestite che sembravano nel pieno del divertimento. Mi sedetti su una sdraio e dopo un po’ mi distesi completamente su di essa, sentendo l’effetto dell’erba fumata da Ymir crearmi sonnolenza. Chiusi gli occhi e forse rimasi così per venti minuti o giù di li, ignorando il chiasso attorno a me. 

Li riaprii quando sentii delle voci un po’ troppo forti vicino a me. Mi misi seduto e vidi la gente che entrava in casa per vedere qualcosa. Li seguii e mi ritrovai davanti Levi che stava litigando con il ragazzo della macchina. Non sembrava per niente in se e ogni cosa che diceva non aveva del tutto senso ne era corretta grammaticalmente. 

L’altro continuava a dirgli che era il caso di tornare a casa, non avendo tutti i torti, e cercava di prendergli un braccio per trascinarlo via. A quel punto Levi gli diede un pugno contro una spalla, facendolo allontanare da se. Stava per ripetere l’azione ma misi in mezzo, oltrepassando le altre persone. 

Gli afferrai i fianchi da dietro e cercai di trascinarlo via da quella situazione ma, nonostante l’altezza, era piuttosto forte e più volte rischiò di sfuggirmi. 

Riuscii ad entrare in una stanza a caso e chiusi la porta a chiave, ignorando gli sguardi straniti delle persone. Levi riprese a muoversi, dandomi un spintone, ma riuscii comunque a bloccarlo, spingendolo contro un divano. Doveva essere abbastanza ubriaco, a giudicare da come cadde sui cuscini in pelle. 

‘’Jaeger, sempre in mezzo, lasciami stare’’, biascicò, mettendosi seduto sul divano. I suoi capelli era scomposti sulla fronte e anche il resto del suo viso non era messo meglio. Sembrava sconvolto e davvero arrabbiato. 

‘’E tu devi smetterla di incazzarti con tutti’’, sbottai, rimanendo vicino alla porta per impedirgli di provare ad uscire. Non mi rispose e capii che non poteva negarlo, neanche da ubriaco. Rinunciò a cercare di alzarsi e lo raggiunsi, sedendomi al suo fianco. 

‘’Quanto hai bevuto?’’, domandai.

‘’Fatti gli affari tuoi.’’

‘’Dio, smettila. Domani non ricorderai nulla quindi possiamo fingere di andare d’accordo per un po’. Credimi, non fa piacere neanche a me parlarti.’’

‘’Mi scoppia la testa’’, sussurrò dopo alcuni secondi di silenzio mentre cercava di stendersi. Gli afferrai un polso e lo costrinsi a rimanere seduto, ‘’se ti sdrai è peggio’’, gli dissi con tono saccente. 

‘’Giusto, tu sei esperto’’, borbottò con ironia, tenendo lo sguardo fisso sulle proprie ginocchia. Lo guardai cercando di non farmi notare e vidi che la sua rabbia era sparita, lasciando posto a un espressione malinconica. 

‘’C’era bisogno di ubriacarsi? Hai dato un pugno al tuo amico.’’

‘’Non è mio amico e… si, c’era bisogno, cioè non lo so, io… sto fottutamente male’’, strascicò qualche parola e ci impiegò più tempo del dovuto a finire la frase. Mi limitai ad annuire e poi sospirai. 

‘’Mi dispiace per Kuchel, mi stava simpatica’’, ammisi senza sapere che altro dire. Mi aveva appena confessato di stare male, anche se già lo sapevo, ed era da troppo tempo che non lo faceva. 

Rimanemmo in silenzio per svariati istanti che mi parvero ore. Alla fine sollevai lo sguardo su Levi e notai la sua espressione vacua. Capii che fosse arrivato il momento di tornare a casa. 

Mi alzai in piedi e gli porsi una mano che lui prese senza protestare. Strinse la presa e, non so perché, ma mi sentii felice di quel gesto. Uscimmo dallo studio e poi dalla casa, portandoci dietro altri sguardi straniti e alcune domande. Sperai che pensassero fosse perché era ubriaco e in effetti barcollava abbastanza. Ancora presi per mano arrivammo alla mia auto e aiutai Levi a sedersi prima di entrare a mia volta. 

Durante il tragitto si addormentò contro il sedile e più volte osservai il suo viso che anche in questo momento non era del tutto rilassato. Sospirai, immaginando che non dovesse avere neanche un secondo di pace. Avrei voluto darglielo nonostante il dolore che avevo provato quando la nostra amicizia era finita. 

‘’Levi’’, mormorai per non farlo svegliare all’improvviso. Lui si mosse leggermente, aggrottando ancora di più la fronte, facendo anche qualche strano verso. ‘’Siamo a casa’’, riprovai, toccandogli anche una mano. Lui la prese e la strinse con la sua, senza svegliarsi. Iniziai ad infastidirmi perché avrei tanto voluto andare a dormire. Scesi dall’auto, feci il giro e aprii la sua portiera per poi riprovare a svegliarlo. 

La sua testa si poggiò contro un mio braccio e la sua espressione si rilassò leggermente. Iniziai a ricordare tutte le volte che avevamo dormito assieme e apprezzai il fatto che stesse avendo un sonno più sereno. Alzai una mano e la passai fra i suoi capelli, sentendolo sospirare appena e di sollievo. Qualche secondo dopo aprì gli occhi e mi affrettai a spostare la mano. 

Mi guardò, gli occhi pieni di stanchezza e dolore, e arrossì, segno che si fosse ben accorto della mia carezza. 

‘’Levati, Eren’’, borbottò alzandosi e barcollò fino alla porta. Decisi di non aiutarlo e mi diressi verso casa mia. Prima di entrare mi assicurai che Kenny aprisse a Levi, poi suonai al campanello, preparandomi alla sfuriata di mia madre.

   
 
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