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Autore: Lost In Donbass    29/06/2019    2 recensioni
Spaccone, arrogante, attaccabrighe, Denis non ha niente che non sia la sua voce meravigliosa e l'ottima prospettiva di capitanare la sua band nel mondo del metalcore. Peccato che per adesso sia solo un bullo di periferia qualunque vittima dell'alcol, delle sigarette e del sesso facile.
Sasha, al contrario, pensa troppo. Depressa, anoressica, inquietante, desidera follemente la storia d'amore che nessuno sembra in grado di darle.
Però poi si incontrano, ed è subito amore.
Ma come possono due ragazzi così persi ritrovarsi nella periferia violenta di Omsk, quando tutto sembra lottare per separarli? E soprattutto, quando ormai hanno superato il punto di non ritorno?
Genere: Angst, Commedia, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate | Contesto: Universitario
Capitoli:
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CAPITOLO TERZO: A GIRL FALLEN FROM THE SKY

She wonders what it’s like to be an astronaut in space
Cause she could barely wait to float among the angels
But could she tell me what she feel,
When I’m holding her so close?
[Drag Me Out – Pure]
 
Sasha stava pensando al bellissimo cantante di quella band metalcore – aveva degli occhi così sofferenti, eppure così belli, di un ambra pura e sincera sotto gli strati di dolore. Tutto di lui era fascinoso e doloroso: gli occhi, la camminata, il ciuffo. Quel ragazzo stava male, Sasha l’aveva percepito immediatamente e ne era stata disperatamente attratta. Non solo per l’innegabile bellezza, ma per quella rabbia a stento contenuta in quel viso, per quell’orgoglio che ardeva nel fondo di quelle iridi scure.
Si passò una mano tra i lunghi capelli biondi e sorrise al tempestoso cielo di Omsk. Sarebbe andata sulla Kirova a sentirli. Voleva rivederlo, voleva parlargli di nuovo. Voleva sentire quelle canzoni che parlavano di depressione cantate da quella voce melodiosa e malinconica. Era rimasta così colpita da lui, che quella notte lo aveva sognato. Non faceva niente se non prenderla per mano per poi voltarsi e andarsene. Non che non ci fosse abituata: tutti nella vita di Sasha erano arrivati e scomparsi con la marea. Sua madre, che era scappata col nuovo amante. Suo nonno, che era morto. Vera, la sua ex fidanzata, spaventata dai suoi demoni. Dmitrij, il suo migliore amico, che era andato a Tokyo per non tornare più indietro. Tutti, non c’era nessuno che fosse rimasto a tenere la mano della povera, terrorizzata, Aleksandra Bazarova. Ma adesso era arrivato quel ragazzo che cantava di anoressia e depressione, probabilmente sapendo benissimo di cosa stesse parlando, con quegli occhi distrutti da un dolore senza nome, con quel ciuffo ribelle che gli cadeva sul viso. Era arrivato lui, col suo mondo metalcore, la sua voce da angelo di periferia e il suo leggerissimo accento ucraino. Non sapeva nemmeno come si chiamasse, ma sapeva che non l’avrebbe lasciato andare tanto facilmente. L’avrebbe rincorso, come la pazza che era, avrebbe corso fino in capo al mondo per prenderlo per mano e dirgli “hey, ragazzo, non sei solo”.
-Oi,  Bazarova!
Si fermò e si voltò lentamente.
C’erano un gruppo di ragazzi intorno a lei, che, purtroppo, conosceva bene. Era sin dai tempi della scuola che la perseguitavano con i loro spintoni, i loro insulti e le loro minacce. Sì, era dai tempi della scuola che Sasha cercava di sopravvivere alle molestie di quel gruppo di disperati, ed era sempre da almeno sei anni che loro avevano continuato a importunarla, forse per ridere di quella ragazza depressa di una magrezza eccessiva, forse perché si sentivano potenti ad avere in loro balia una poveretta senza la forza di opporsi.
Sasha li guardò, con i suoi grandi occhi tristi. Non avrebbe corso. Non avrebbe pianto. Non avrebbe implorato. Non avrebbe fatto come faceva al liceo. Avrebbe semplicemente continuato a camminare e a ricevere gli spintoni e gli insulti finché non si fossero stancati di lei. Era arrivata a un tale livello di insensibilità che oramai non le faceva più male niente. Il dolore era così compenetrato in lei da averla lasciata anestetizzata da tutto il resto. Lei soffriva, punto, qualunque cosa succedesse. Ed era stato questo dolore a renderla pronta a ricevere qualunque urto: ormai era così distrutta che niente avrebbe più potuto romperla. Il suo cuore era un ammasso di cocci e si sa che i cocci non puoi più romperli. Almeno, così credeva.
-Dai, bionda, perché non giochi un po’ con noi?
-Su, Bazarova, sorridi, siamo arrivati!
-Mi chiedo se mai qualcuno ti scopi, magra come sei!
Camminare. Camminare e non guardarli.
-Hey, perché non ci guardi?
-Non fare la cafona, Bazarova!
Camminare. Camminare e non guardarli.
Primo spintone. Barcolli. Scappa. No. Se scappi è peggio.
Secondo spintone e uno sputo. Corri.
Aumentò la velocità, stringendo la borsa a tracolla, cercando di nascondersi sotto lo spesso ciuffo.
Terzo spintone. Allora oggi vogliono proprio vederti cadere per terra.
-Si può sapere che cazzo fate?
Si immobilizzarono tutti, Sasha compresa. Avrebbe dovuto correre in quel momento, approfittarne della distrazione e correre verso casa a tutta velocità. Invece no, rimase. E solo perché aveva riconosciuto quella voce.
Era lui.
Era il cantante della sera prima.
Alzò la testa di scatto e lui era lì, chiodo di pelle, ciuffo sull’occhio, coltello sfoderato e catene appese agli skinny.
-E tu chi cazzo saresti?
-L’angelo delle bionde e so usare il coltello meglio di voi, coglioni.
Sasha fece qualche passo indietro e osservò il ragazzo cominciare a roteare una delle catene, avvicinandosi minaccioso col coltello. Bastò quello per farli scappare. Un coltello, uno sguardo killer e delle catene dall’aria pericolosa. Sasha pensò a quanto avrebbe avuto bisogno di qualcuno che li mandasse via così, quando era a scuola. Forse una parte dei suoi problemi si sarebbe diradata. Forse.
Li guardò fuggire e lui le si avvicinò, posandole una mano sulla spalla. Sorrideva, ma anche in quel sorriso Sasha vi lesse tanti, troppi demoni.
-Tutto okay, ragazza?
-Sì, sto bene. Grazie.- sfarfallò un pochino le ciglia, e si rese conto di essere arrossita.
-Dovere, tesoro.- lui le strizzò l’occhio. Poi la guardò meglio, e in quell’attimo lei lo fissò dritto negli occhi. Erano meno alterati rispetto alla sera precedente, erano più presenti, più veri. Ma non per questo meno tormentati – Hey, ma tu sei la ragazza di ieri. Quella del concerto.
-In persona.- arrossì di nuovo.
Perché lui era bellissimo, era coraggioso, era distrutto, era troppo per una come lei.
-Ti tormentano da tanto?
Sì, ragazzo, da quando sono una ragazzina.
-Da un po’.
-Allora ti accompagno a casa.- le rivolse un largo sorriso e lei si ritrovò a sorridere a sua volta. – Non vorrei che tornassero a infastidirti.
-Ma non ce n’è bisogno, io …
-Figurati. Non posso lasciare una bella ragazza in balia di quattro coglioni qualunque.
Le strizzò l’occhio e lei scosse appena i lunghi capelli, cominciando a rilassare la presa ferrea sulla tracolla della borsa. Era quasi stranita dalla piega che avevano preso gli eventi: a lei non  doveva andare bene niente, era ormai assodato. Doveva rimanere quella sola, malata, stanca e sfiduciata, non la principessa che veniva tratta in salvo. Anche se lei era una principessa anoressica e il suo principe un cantante metalcore. Gli sorrise, abbassando i grandi occhi verdi e lui le porse la mano
-Comunque, io sono Denis. Piacere.
-Sasha, piacere mio.
Denis. Denis il cosacco. Denis il cosacco ucraino. Suonava bene, le piaceva.
-Sei ucraino?- gli chiese, quando cominciarono ad avviarsi fianco a fianco.
-Si sente tanto?- rise lui, e lei pensò che avesse un bellissimo modo di ridere.
-Un pochino.
-Recensione estemporanea del concerto di ieri?
Sasha si passò una mano tra i capelli e fece una smorfia pensierosa. Le era piaciuto? Da morire. Si era sentita a casa sentendo quella voce melodiosa e triste? Sì, assolutamente. Aveva sentito suoi i testi delle canzoni? Mai così tanto.
-Siete molto bravi.- si limitò a dire, guardandolo da sotto il ciuffo. Poi prese coraggio e si arrischiò a chiedere – Ma i testi … li scrivi tutti tu?
Denis annuì e per un attimo Sasha vide un lampo strano attraversagli gli occhi scuri. Qualcosa che aveva paura, qualcosa di incerto, qualcosa di fanciullesco, come se un piccolo, spaventato Denis fosse tornato a galla per un minuto. Come se avesse racchiuso in quelle canzoni molto più di quanto volesse davvero dare a vedere. Come se anche solo parlarne risvegliasse in lui un dolore intimo, vero, profondo.
-Sono molto tristi, ma anche molto veri.- continuò lei, sorridendo gentile.
Avrebbe tanto voluto posargli affettuosamente una mano sulla spalla ma si trattenne.
-Se li hai capiti davvero vuol dire che anche tu stai male.- rispose lui, mordendosi appena il labbro inferiore. Non sorrideva più, ma solo una certa tristezza gli ammantava il viso bellissimo. Sasha si chiese quali demoni avesse dovuto affrontare quel ragazzo, quali mostri gli avessero perseguitato l’infanzia, quali orrori avesse subito. Perché era chiaro che era un’anima tormentata, che era un poeta maledetto, un nuovo Baudelaire perso nella periferia russa, che era un nuovo personaggio dostoevskijano che cercava disperatamente di inserirsi in qualche storia. Un nuovo Raskol’nikov, e lei sarebbe mai stata la sua Sonja? Un nuovo Vanja, ma lei non sarebbe mai stata Katja. Un nuovo, scanzonato, Onegin ma lei non sarebbe mai stata Tatjana.  – E questo mi dispiace molto.
-Non ti dispiacere. Tutti dobbiamo affrontare degli incubi. Ci sono solo certe persone che li hanno più spaventosi di altre.- lo consolò Sasha.
Denis annuì, passandosi una mano tra i capelli e lanciò uno sguardo al cielo nuvoloso della loro selvaggia Omsk. Sasha lo guardò di sottecchi e di nuovo pensò che era troppo bello per quel mondo, per quella città, per quella vita. Chissà cosa vedeva lui nel cielo siberiano. Magari rivedeva il caldo sole ucraino, magari la fama, magari la felicità. Magari una donna, magari un uomo. Magari chissà. Per quanto riguardava lei, ci vedeva la sua depressione riflessa nelle nuvole, ci vedeva la sua voglia di fuga, ci vedeva una disperazione che nessuno fino a quel momento era riuscito a lenire.
-Cosa vedi nel cielo, Denis?
-Ci vedo i demoni da cui sto tentando di fuggire da ventitre anni. Tu, Sasha?
-Vedo i miei fratelli angeli che mi aspettano a braccia aperte.
-Sei un angelo?
-Non sono né un angelo né un diavolo, solo una ragazza caduta dal cielo.
Lui rise e lei fece un risolino timido, arrossendo. Non si era mai sentita così bene che vicino a quel giovane cantante, così leggera, così al sicuro da un mondo che la voleva morta.
Camminarono per un po’ in silenzio, le braccia che quasi si sfioravano e Sasha si sentiva così protetta accanto a Denis, salvata almeno per un attimo da quegli occhi tempestosi. Non lo conosceva, non sapeva nulla di noi che non fosse il nome, il fatto che cantassa come un angelo, e che soffrisse come lei. Ma bastavano anche quelle poche cose per farla stare bene e per farla sorridere almeno un pochino, lei, la ragazza che aveva disimparato a sorridere.
Arrivarono davanti al palazzo popolare dove viveva lei e Sasha si ritrovò ad arrossire di nuovo, senza sapere bene il perché. Forse era il profumo di lui, che era fumo, colonia, disperazione e rabbia a stento trattenuta. Forse era il suo sguardo battagliero da cosacco disperso nelle steppe. Forse era la sua voce che sapeva di dolcezza e di terre perdute. Forse era tutto l’insieme.
-Grazie per avermi difesa e portata a casa.- sussurrò lei, chinando la testa.
-Non dirlo nemmeno.- lui le sorrise ancora – Allora, stasera ti aspetto. Suoniamo sulla Kirova, giuro che se non ti vedo interrompo il concerto e ti vengo a prendere.
Lei scoppiò a ridere, anche se la sua era una risata triste e dolorosa come tutto il suo essere. Non rideva da quando era una bambina.
-Va bene, ci sarò sicuramente.- indugiò un attimo e poi lo guardò negli occhi – Perché hai deciso di cantare?
-Per esorcizzare i miei demoni. Ho trovato nella musica tutto ciò che mi ha dato la forza di tirare avanti. Quando stavo male, le mie band preferite erano lì nelle casse a ricordarmi di tenere duro. Quando volevo morire, la mia voce mi ha detto “che cazzo fai, ragazzo”. E così ho fondato la mia band, e in lei ho riversato tutto quello che potevo per cercare di resistere in questo mondo maledetto. È la mia vita, Sasha, non posso farne a meno.- rispose Denis, e c’era una tale consapevolezza nei suoi occhi, un tale orgoglio, una tale convinzione.
Sasha annuì, tacendo. Poi lo guardò e sorrise appena
-Grazie ancora. Adesso forse è meglio che entro. A stasera.
-A stasera, bellezza.- lui le sorrise e si voltò, facendo per andarsene quando lei si fermò e gli disse, con voce spezzata
-Non ti salvi con la musica, ragazzo.
Lui si voltò lentamente e la guardò per un attimo, senza sorridere, senza stupore, senza niente. La guardò e basta.
-Non ti salvi non mangiando, ragazza.
Detto questo, se ne andò.
  
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