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Autore: NyxTNeko    30/06/2019    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 23 - Gli Stati Generali -

Versailles, 1°- 4 maggio

I singoli rappresentanti dei tre ordini furono accolti dal sovrano seguendo precisi rituali: gli appartenenti al Primo Stato, cioè il Clero,  furono ricevuti con entrambi i battenti della porta della stanza aperti. Quelli del Secondo Stato, ovvero la nobiltà, con un solo battente aperto. Quelli del Terzo Stato, ossia la Borghesia composta esclusivamente da medici, avvocati, notai, qualche mercante arricchito, i componenti ritenuti meno importanti agli occhi del sovrano e degli altri membri, lo erano direttamente nella sua stanza da letto.

Il giorno precedente all’apertura definitiva dei lavori, presso l’imponente e meravigliosa reggia, simbolo dell’assolutismo e del dispotismo del sovrano, partì una lunga processione per consacrare quell’evento che non si compiva da secoli, seguita da una messa nella Chiesa del Santo Spirito.

Fu, per i componenti dei due Stati più influenti, un’occasione per mostrare la loro importanza, considerata ancora indispensabile per il regno. L’abbigliamento era stato imposto dal Gran Maestro delle Cerimonie, il marchese Dreux de Brèzé, che aveva ripreso la moda da un’ordinanza del 1614. I rappresentanti del Clero sfoggiavano lunghe e sfarzose tuniche di seta bianca con una fascia rossa porpora intorno alla sottoveste, un ampio cappello rosso, qualche gioiello intorno al collo e pesanti anelli sulle dita.

La nobiltà indossava sontuosi abiti: la marsina e sotto marsina dai color più vivaci ed esuberantemente decorati con filamenti d’oro sui bordi delle maniche arrotolate, le culottes di seta nera lunghe fino al ginocchio, le calze di seta proveniente dall’estremo Oriente, le scarpe del miglior cuoio, un tricorno nero con le piume, una cravatta di pizzo, e la spada.

I membri del Terzo Stato erano i più sobri, indossavano un completo composto da frac, culottes e scarpe neri, privi di ogni decorazione, delle calze bianche di seta grezza, una mussola bianca, un tricorno e una mantellina nera simile a quello usato dagli avvocati. Non essendo considerati gentiluomini gli fu vietato di portare spade o altre armi.

Ognuno di loro aveva sottobraccio uno o più cahiers des dolèances: la loro arma più potente, più pericolosa di un intero reggimento d’artiglieria o di una flotta inglese. I Cahiers erano le grida di un popolo a cui le avevano strappato la voce. Erano i più credibili in quanto mostravano il vero volto del Regno di Francia e della crisi che la stava soffocando. 

5 maggio

Dopo tutte queste cerimonie, rituali e pavoneggiamenti, finalmente gli Stati Generali si riunirono nella stanza che era stata adibita allo scopo.

La regina Maria Antonietta raggiunse il marito indossando uno dei suoi abiti più sfarzosi seguiti, in ordine di importanza, dal Clero e dalla Nobiltà. Il lungo corteo si arrestò dinanzi l’immensa porta che fu aperta dalle guardie, dopo essersi inchinate per rispetto e timore.

I sovrani raggiunsero, con passi solenni e lenti, gli scranni più elevati sulle cui teste vi erano appesi delle lunghe ghirlande azzurre con sopra ricamati i gigli d’oro, simbolo dei Borbone, la Casata regnante, troneggiati da una corona interamente d’oro.

I 291 chierici si sedettero alla loro destra, i 270 aristocratici alla loro sinistra, formando una rappresentazione allegorica della Trinità, a conferma della divinità del loro potere e delle loro mansioni. I 578 membri del Terzo Stato, raddoppiati per volere del sovrano che accolse questa richiesta, erano entrati per una porta laterale e secondaria. Furono fatti sedere su scranni decisamente più semplici, quasi a sottolineare la quasi totale insignificanza.

La superbia dei privilegiati fece dimenticare loro che senza la sterminata manodopera del Terzo Stato, la quale permetteva alla nazione di sopravvivere, non avrebbero potuto godere dei privilegi e continuare a vivere come autentici parassiti. I non privilegiati erano ben consci di questo, insieme a quei pochi aristocratici e chierici che, come Sièyes e il marchese La Fayette, avevano abbracciato la corrente illuminista. Si mostrarono, nonostante tutto, dignitosi, quasi fieri di appartenere al loro Stato.

Osservavano ogni loro sfarzo, lusso, eccesso, lanciando occhiatine maligne e rancorose verso l’Austriaca, considerata la causa di ogni male, che aveva nelle mani quell’inetto del marito.

Prima che ci fosse la seduta separata di ogni Stato per la votazione per ordine, i rappresentanti del Terzo Stato, che fino a quel momento non ebbero alcuna voce in capitolo, chiesero la parola. Il re e i ministri, per evitare di inimicarseli, accettarono.

Uno dei membri, si alzò dal suo posto, diede un’occhiata veloce ai presenti e disse - Vostra maestà e tutti i presenti, come rappresentante diretto del popolo francese, vi chiedo di modificare il metodo di valutazione per quest’assemblea - esordì il giovane deputato, per nulla intimorito dalle occhiatacce che la gran parte dei membri dei due Stati gli lanciavano - Reclamiamo che il voto non sia più per ordine, come da consuetudine, ma per testa, in modo che questa rappresentanza, di cui io faccio parte con orgoglio, possa contribuire al miglioramento del nostro amato Paese, sull’orlo del baratro

Finì di parlare e si sedette, mentre i suoi colleghi, tra i quali vi era un giovane e promettente avvocato di provincia Maximilien Robespierre, si congratularono con lui attraverso sguardi complici e pacche sulle spalle. Il discorso non era minaccioso, anzi aveva l’aspetto di un consiglio pacifico, lineare, semplice, eppure da molti fu percepito come un pericolo che avrebbe fatto fallire i piani predisposti, se fossero riusciti ad imporsi. Il brusio divenne sempre più forte fino a quando il sovrano si alzò.

Tutti zittirono all’istante. Tutti sperarono che il sovrano avrebbe preso le loro difese. Quello fu l’unico pensiero che accomunava i pensieri dei tre ordini, con fini diversi. Lo osservavano come un malato con il proprio medico nella speranza di ricevere una buona notizia.

Il discorso del re, però, non rispose a nessuna delle aspettative del Terzo Stato. Si limitò solamente a ribadire il compito di ogni Stato che avrebbe dovuto riunirsi separatamente con il sovrano per discutere della situazione, e risolvere al più presto la difficile la questione del deficit. La sua mente era rivolta alla battuta caccia che si sarebbe svolta subito dopo quella seduta. Si augurava di poter uscire prima del previsto da quel luogo così affollato,  incapace di suscitargli coinvolgimento ed eccitazione.

Fu poi il turno di Necker, che aveva riacquistato la sua carica di ministro delle Finanze, dopo le dimissioni di Loménie de Brienne. Il ginevrino aveva a cuore la situazione economica e godeva della stima dei membri del Terzo Stato, ma nello stesso tempo, cercava di non perdere nuovamente il posto.

Il suo discorso fu, in realtà, l'elenco delle cifre che costituivano il disavanzo delle Casse dello Stato, seppur queste furono alleggerite, e le proposte da lui elencate non avrebbero fruttato a lungo. Durò più di tre ore e gli unici che rimasero attenti furono i borghesi, che coglievano e trascrivevano ogni sillaba.

Il resto della sala era caduta in un sonno profondo, persino il re non riuscì a resistere per più di mezz’ora. Al termine della seduta, Luigi XVI si congedò, e così quello che per la Borghesia avrebbe dovuto rappresentare il giorno della svolta, si risolse in un fiasco senza precedenti.

Ma non si persero d’animo e nei giorni seguenti riuscirono ad unire alla loro causa comune moltissimi esponenti del Clero e della Nobiltà, speranzosi di poter sempre ottenere il mutamento della modalità del voto e dare l’avvio finalmente alle riforme. Solo in quel momento, il re e la sua stretta cerchia di sostenitori e consiglieri,  compresero quale fosse la loro vera minaccia.

20 giugno

Dopo circa sei settimane di accese discussioni e risse evitate per un soffio, i membri del Terzo Stato, stufi di questi temporeggiamenti, decisero di passare all’azione e di utilizzare tutti i mezzi che avevano a disposizione per cambiare la Francia. Sapevano di essere la forza portante del Paese, conoscevano la loro fondamentale importanza, perciò decisero di autoproclamarsi ‘Assemblée Nationale’. 

Quel giorno il re ordinò la chiusura della sala dell'Hôtel des Menus-Plaisirs, dove l'Assemblée si riuniva, con la scusa di eseguire dei lavori di ristrutturazione. Fu un fievole tentativo di bloccare queste riunioni, considerate illegali e fuorvianti agli occhi del sovrano, ancora manovrato dai privilegiati più intransigenti.

Compresero il motivo di fondo e decisero di non dargliela vinta, anche perché ormai, per loro, quella farsa chiamata Stati Generali, non aveva più alcun valore.

- Alla pallacorda! Alla pallacorda! - urlò l'astronomo, scienziato Jean Sylvain Bailly, allora presidente dell’Assemblée, incoraggiando il gruppo dei fedelissimi a seguirlo. Senza farselo ripetere due volte invasero la stanza della pallacorda, un gioco molto di moda all’epoca simile al moderno tennis, che era occupata da alcuni perditempo.

Dopo averli praticamente buttati fuori, gettarono all’aria tutto il superfluo e recuperarono un tavolo e una sedia - Prego presidente - invitò uno dei suoi fedelissimi a Bailly.

- Non ne ho ancora bisogno! - gridò lanciandola in aria - Ho energie da vendere - gli rispose determinato. Salì sul tavolo, alzò il braccio destro dinanzi a sé, invitò al silenzio,  e con tono solenne pronunciò il discorso che aveva preparato, invitando tutti i presenti a prestarvi giuramento e firmarlo per testare la loro lealtà verso la Nazione - Io, Jean Sylvain Bailly e i qui presenti membri dell’Assemblée Nationale giuriamo di non separarci mai e di riunirci ovunque le circostanze lo richiedano, fino a quando non sarà stata stabilita e affermata, su solide fondamenta, una Costituzione per il regno francese - concluse solennemente alla fine applaudito ed osannato.

Alcuni decisero di tirarsi indietro intimoriti dalle conseguenze che il giuramento avrebbe portato. Mentre altri individui, appartenenti in particolar modo agli strati più umili e bassi della società, vi aderirono con l’intenzione di far propagare con prepotenza la loro opinione.

Le basi per la Rivoluzione erano ormai gettate, ora mancava l’ultima scintilla per farla esplodere e dare così, da lì a poco, inizio all’evento che sconvolgerà per sempre la vita e il destino di ogni francese prima, europeo poi.

Auxonne, 21 giugno

- Le nazioni hanno le loro malattie proprio come le persone, la loro storia non sarebbe meno interessante da descrivere delle malattie del corpo umano, è giunto il momento di estirpare l’organo malato per poter ottenere la sopravvivenza del corpo - ridacchiò compiaciuto Napoleone, immerso nella vasca, lanciando via il giornale. Lo aveva preso solo per essere aggiornato sui lavori dopo la creazione dell'Assembleè Nationale, le altre notizie, le altre opinioni gli interessarono poco.

Approvava quello spirito di iniziativa e di rinnovamento, era gestito da persone preparate, consapevoli del loro ruolo e dei loro studi, a differenza della maggior parte dei parrucconi pidocchiosi di Versailles, Luigi XVI compreso, utili solo a scaldare le poltrone. I Borboni non gli erano mai andati a genio, escludendo il Re Sole, l'unico che aveva cercato di rendere grande, potente e gloriosa la Francia - Sono poco intelligenti, non hanno criterio di giudizio, né polso fermo, non sono in grado di capire quando e come agire veramente, eppure basterebbe una lettura del Machiavelli per sapere come mantenere in piedi uno Stato - guardava il soffitto scuro, poco illuminato con aria superiore e un sorriso beffardo formatosi sulle labbra sottili.

- Il popolo ha già dato il suo contributo con i Cahiers, tuttavia, non è capace di comprendere i suoi reali bisogni e quelli dello Stato - Si mosse un po' per non intorpidire gli arti, in particolare le gambe - A loro basta che gli si dia il pane, che i loro stomaci siano pieni, dei diritti s'interessano fino ad un certo punto, quelli servono più alle classi borghesi, per tutelare il loro lavoro e il loro contributo alla Nazione - pensò alla sua famiglia, in particolare a suo padre e a tutti gli sforzi che aveva fatto per ottenere un titolo nobiliare al fine di farlo studiare in maniera completa - Abbattere gli obsoleti ed inutili privilegi degli aristocratici e degli esponenti della Chiesa, per permettere la ristrutturazione totale dello Stato, è il primo, vero grande passo, il resto verrà da sé - aggiunse poi sorridendo più sinceramente.

Se suo padre potesse vedere quello che stava succedendo...Al momento non poteva contribuire molto, se non a riportare ordine dove gli veniva ordinato di farlo. Dopo aver esposto i suoi apprezzamenti, decise di rimettere mano ad un melodramma che scrisse tempo prima, ma che aveva bisogno di una revisione: il conte di Essex.

Le cupe vicende vissute dai protagonisti: il conte al servizio della corona inglese e la sua amata, circondati da complotti, assassini, amori, delitti, sospetti, ossessioni, premonizioni, rovesciamenti di potere la cui vittima principale fu il sovrano Giacomo II, anticiparono, in toni quasi profetici, l’atmosfera lugubre che avrebbe dominato per molto tempo in Francia.

'Le dita della contessa affondarono in profonde ferite, le mani erano lordate di sangue; lancia un grido, si nasconde ma, riaprendo gli occhi, non vede più nulla. Scossa, tremante, costernata, il cuore sconvolto da atroci presentimenti, la contessa sale in carrozza, si reca alla Torre'.

Versailles, 12 luglio

- Sire, permettetemi di darvi un consiglio - esordì preoccupato Necker - La scelta di arruolare reggimenti stranieri contro i parigini non farà altro che aumentare il loro astio verso le istituzioni, essi non guardano la divisa, ma solo gli uomini che la indossano e quelli non sanno una parola di francese…

- Non accetto che un ministro delle Finanze critichi le mie scelte di governo! - lo interruppe il re furente, sbattendo la mano sul tavolo. Da quando erano iniziati i disordini anche i ministri, che fino a qualche anno prima avevano sempre ubbidito senza controbattere, cominciavano ad esprimere opinioni opposte alle sue - Tutto questo non lo posso accettare! - esclamò - Io sono il re di Francia, il potere mi è stato conferito da Dio e solo lui può giudicarmi!

- Non mi permetterei mai di metterlo in dubbio, maestà, ma cercate di comprendere la situazione prima che possa sfuggirvi di mano - lo supplicò quasi in ginocchio.

Ma il sovrano guardava dall’alto, con disprezzo e una punta di delusione, quell’uomo a cui aveva offerto una seconda chance, per rifarsi una posizione ai suoi occhi. Era, però, intenzionato a non cedere alle pressioni, determinato nel portare avanti la sua politica con il pugno di ferro. Se solo avesse mostrato tutto questo zelo e impegno molti anni prima... - I reggimenti stranieri sono più fedeli e disciplinati rispetto a quelli nazionali che proverebbero pietà verso i loro stessi concittadini - continuò Luigi XVI - In fondo non volevano una maggiore presenza del re nella vita del paese? Ed eccoli accontentati!

- Allora non mi resta che rassegnare le mie dimissioni e questa volta sono definitive maestà! - gli riferì consegnando il foglio al re che lo lesse e lo firmò senza pensarci due volte. Con la mano lo invitò gentilmente a lasciare la reggia per sempre - Con permesso - effuse l’ex ministro con un inchino, senza, però, mostrare alcun ripensamento verso la sua scelta.

Sapeva di essere stato sempre coerente con sé stesso e la nazione che aveva scelto di amministrare dal punto di vista economico, si era sempre fatto carico dei problemi che bloccavano la Francia, aveva rischiato più volte di rimetterci la vita, oltre alla carriera, ma ne era sempre uscito a testa alta. Il Terzo Stato sarebbe rimasto dalla sua parte, lo avrebbe continuato a sostenere, di questo poteva esserne certo.

Una carrozza lo attendeva per allontanarlo definitivamente da quella gabbia dorata, che era la causa, vera, di ogni male. Da simbolo del potere reale si era trasformato in un luogo frivolo, in cui ognuno pensava solamente al proprio tornaconto. Solo in pochi erano a conoscenza delle reali condizioni in cui il Paese versava. Versailles li aveva resi sempre più distanti, più indifferenti, più avidi e incapaci di provare quello spirito di sacrificio comune che necessitava alla Francia.

"Quando vi renderete conto dei vostri errori, maestà, sarà troppo tardi per porvi rimedio" pensò osservando lo splendido giardino intorno alla struttura. Meravigliose fontane stupivano per gli spettacolari giochi d’acqua. Era brulico di nobili ancora ignari del cambiamento che la loro storia stava subendo. Molti di essi discutevano di argomenti del tutto inutili o fuori luogo, come l’eredità o i cambiamenti della moda francese ed europea.

"Anche voi non sfuggirete alla vendetta del popolo". Il cancello dorato si chiuse dietro di lui. 
 

   
 
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