Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Alexa_02    30/06/2019    0 recensioni
Calliope Thompson e Thomas Clark non potrebbero essere più diversi. Lei una cheerleader popolare e invidiata. Lui un nerd invisibile ed emarginato. Le loro vite si sfiorano costantemente, senza mai scontrarsi.
Callie ha tutto quello che chiunque potrebbe mai desiderare. La sua vita risplende come un diamante puro e perfetto. Tutti i ragazzi la vorrebbero e tutte le ragazze vorrebbero essere lei.
La verità, però, è che Callie nasconde sotto il tappeto così tanta polvere, che farebbe cambiare idea a tutti quanti. Il suo diamante perfetto potrebbe essere in realtà uno zircone di poco valore, che viene lucidato solo quando deve essere osservato.
Dall'altro lato dell'emisfero sociale, Tom conduce una vita nell'ombra con i suoi amici e vive in previsione del diploma. Il suo obbiettivo è resistere fino al college e allontanarsi dal liceo il più possibile.
Per puro caso i loro mondi entrano in collisione creando scompiglio, rivoluzioni e mostrandogli che alla fine non sono poi così diversi.
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
 <<  
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Chapter 3

 

Callie

 

Sono sconvolta.

Esterrefatta.

Turbata.

E tutti i possibili sinonimi che vi vengono in mente. Troppe informazioni mi sono state lanciate addosso negli ultimi dieci minuti. Vorrei urlare e sbattere i piedi a terra dalla frustrazione. So di non essere mai piaciuta alla preside King, ma questo è un attacco personale. Ha deciso di chiudere le cheerleader! Le cheerleader. Quale scuola decente del mondo non ha le cheerleader!?
Io adoro la mia squadra. Beh, non siamo un team eccezionale, come ha dolcemente sottolineato la preside non vinciamo una gara dal 2012. Comunque non mi è mai importato, noi stiamo insieme, facciamo esercizio e ci divertiamo da morire. Non dovrebbe essere questo lo scopo di un club scolastico?
Poi c'è stato quel ragazzo...Come ha detto di chiamarsi? Tom. Ha l'aria così familiare, però non saprei dire dove l'ho già visto.
Mi ha chiamata CJ. Nessuno mi chiama più così da anni ormai. Però mi è piaciuto come è uscito dalle sue labbra. Bellissime labbra, oltretutto.
La campanella rimbomba nel corridoio facendomi sobbalzare. Ho perso tutta l'ora di filosofia. Meraviglioso.
Cammino spedita verso chimica ed entro in classe senza guardare nessuno negli occhi. Mi siedo al mio bancone e comincio a delineare un piano. Heidi si accomoda al mio fianco e sospira guardando il cellulare. «Paul e io siamo proprio una coppia stupenda» mi ficca lo schermo sotto il naso «Non trovi?».
Al momento la sua relazione scadente non è il mio primo pensiero. «Meravigliosi».
Sogghigna mentre colpisce lo schermo con le unghie finte. «La mia festa è stata un successo» giocherella con un ricciolo color ciliegia. «Tutta la scuola ne parla, anche chi non è stato invitato».

La sua mancanza di attenzione verso qualcosa che non la riguarda mi stupisce ogni volta. Era con me a filosofia quando l'assistente mi ha chiamata nell'ufficio della preside, eppure l'idea di chiedermi cosa mi ha detto non la sfiora nemmeno.
«Heidi...» comincio.
«Che vacca schifosa!» sbraita facendo girare metà classe. «Non ci posso credere!».
«Cosa?».
Mi mostra il cellulare. «Taylor Stonecold! Ecco cosa!».
Taylor è una delle ragazze più popolari della scuola. È raffinata, intelligente e delicata. Tre qualità che Heidi si può solo sognare. È una fanatica religiosa, adora studiare e odia le cheerleader. Altre tre cose che non ha in comune con la mia amica. Tra loro scorre una strana amicizia/odio da praticamente sempre. Fanno a gara in ogni cosa e di solito è Taylor a trionfare.
«Cosa ha fatto?» chiedo con poco entusiasmo. Qualsiasi cosa sia non è di sicuro una questione di stato come la fa sembrare Heidi.
«Ha deciso di indossare la mia stessa gonna oggi!» squittisce scuotendomi il cellulare davanti alla faccia «Ho impiegato due settimane a scegliere l'outfit da primo giorno e lei decide di mettere la stessa identica cosa!».
Come dicevo, non è una cosa così importante. «Non mi sembra la stessa gonna».
Mi rendo conto dell'errore solo dopo che ho lasciato le parole scivolare fuori dalla mia boccaccia. Heidi mi inchioda al pavimento con un'occhiata glaciale. «È la Stessa. Identica. Gonna! Diavolo, Calliope, come cavolo fai ad essere così cieca!?».
Non bisogna mai contraddire Heidi quando si tratta della sua faida contro Taylor. È uno sbaglio da principiante che ti può portare alla morte sociale in un secondo. Annuisco velocemente e guardo con più attenzione la foto. «Si, ora che la guardo meglio è proprio uguale».
Sbuffa dal naso e si rilassa. «Ti sarai confusa perché la sua è lunga come la gonna di una suora e il suo sedere enorme sta malissimo stretto in quel tessuto».
La gonna di Taylor è lunga fino al ginocchio, come è giusto che sia, e il suo sedere minuscolo sta alla perfezione nella stoffa di raso. Non ho voglia di litigare perciò acconsento «Hai proprio ragione».
Sorride compiaciuta. «Mi dispiace per la piccola Taylor, ma qualcuno deve farglielo notare» agita le dita sullo schermo, tronfia.
Spero solo che Taylor non ci rimanga male, Heidi sa essere davvero perfida. «Didi ho bisogno di parlare con te». Spero che riesca a staccare la faccia da Instagram per ascoltarmi, ho bisogno di trovare una soluzione alla storia delle cheerleader.
«Se stai per chiedermi un parere su quei jeans, ti dico subito che ti fanno il sedere più grosso» si ravviva i capelli «Non che sia un male, c'è a chi piace».
Mi pizzico la coscia nel tentativo di ignorare il suo commento. «No, si tratta...».
«Sì, dovresti indossare decisamente un push-up» continua a scorrere sulle schermo «Scommetto che le tue meline farebbero un figurone con un po' più di spinta».
Sbuffo. «Heidi».
Mi fa l'occhiolino. «Non te la devi prendere, io sono sempre onesta» mi accarezza una spalla «E poi non tutte posso avere il mio fisico, se no la vita sarebbe troppo bella».
Il professore entra il classe interrompendo il mio tentativo di ricevere un parere dalla mia amica. Alla fine l'ho avuto, anche se quello non era richiesto. È inutile provare ad avere una conversazione con Heidi, lei si concentra su una cosa alla volta e quella cosa è quasi sempre se stessa.
 

 

 

Dopo la lezione, Heidi ed io ci dirigiamo verso la mensa. Appoggiamo sui vassoi delle insalate scondite e dell'acqua tiepida e ci avviamo al nostro tavolo. La mensa della South Eugene High School è composta da tavoli circolari viola, accerchiati da sedie di plastica nera. La stanza è ampia e piena di finestre ma questo non basta a scacciare la puzza di polpettone e carne stantia. Il pavimento a scacchi è lucido come uno specchio e le colonne di cemento sono ricoperte da piastrelle color uva. La disposizione dei tavoli è stata ideata dal primo gruppetto di ragazzi che hanno frequentato questo liceo. Se si osserva la stanza dall'alto, si nota il tavolo centrale, quello più grande e rumoroso, che è quello delle persone più in alto nella piramide sociale, come Heidi e me. I tavoli intorno sono per le persone immediatamente sotto, come Taylor Stonecold. E man mano che ci si allontana dal centro, si scende lungo la scala della popolarità fino ad arrivare ai tavoli più brutti, quelli vicini alle porte.
Heidi ed io ci avviciniamo al tavolo centrale dove siedono Dawn, una delle cheerleader e Scott, il ragazzo di Angie.
«Quella gonna è una visione» cinguetta Dawn verso Heidi, con il solito tono da leccapiedi.
Heidi sculetta con il vassoio in mano e fa una piroetta facendo ruzzolare la bottiglia a terra. «Lo so, sono un sogno».
Paul raccoglie l'acqua da terra e agguanta la sua ragazza come un puma affamato. «Sei il mio di sogno, baby». Lei ridacchia e lo trascina a sedere al suo fianco. Mi accomodo con meno enfasi e giocherello con la mia insalata.
Dawn mi da un buffetto sulla mano. «Il maglioncino è un amore. Prada?».
Non capisco questa loro fissazione per le marche. Cosa cavolo cambia se è Prada o no? Se non lo fosse sarebbe meno un amore?
Alzo lo sguardo verso di lei con poco entusiasmo. «No. Moschino».
Il mio tono freddo la fa innervosire. Suda e si irrigidisce sulla sedia, non capendo perché la tratto male. Nulla di personale, Dawn, ma ho problemi più grandi delle tue insicurezze.
Heidi mi da un colpetto con il piede e sussurra. «Non essere acida, Calliope». Quello che dice è solo per dare scena, il buffetto sotto il tavolo mi ha fatto capire che è fiera di me. Adora quando mi comporto come la regina malvagia. Ignoro entrambe e cerco di mangiare un po' del mio cibo.
Angie e Nich ci raggiungono dopo poco e si siedono con noi.
Quando cominciano con le effusioni verbali e fisiche tra le varie coppie, sento l'insalata risalirmi lungo l'esofago e smetto di mangiare. Fisso i pomodorini mezzi verdi e la lattuga molle cercando una soluzione alla catastrofe del secolo.
«Sei sexy quando sei così corrucciata, baby» mi sospira Nich nell'orecchio. La sua mano mi scivola lungo la schiena, stringendomi contro il suo petto, mentre la sua bocca mi scende lungo il collo. Il suo assalto, per quanto piacevole, non è affatto benefico alla mia concentrazione. «Che ne dici di mollare questi sfigati e di trovare un posto dove possiamo parlare un po'».
La prima volta che mi ha fatto questa proposta pensavo di uscire per fare due chiacchiere, invece mi sono ritrovata mezza-nuda, stesa sul pavimento degli spogliatoi, con Nich attaccato al collo come un vampiro arrapato.
Allontano la mano che sta giocherellano con il bottone dei pantaloni. «L'ultima volta il coach ci ha quasi beccati, non ho intenzione di farmi espellere perché non riesci a tenerlo nei pantaloni».
Ridacchia stringendomi una chiappa. «Te l'ho proposto perché mi sei sembrata un po' nervosa e poi perché ho trovato un nuovo posto dove nessuno potrà disturbarci».

Perché tentenno? In fin dei conti un po' di svago non può farmi male, no?

 

 

Il nuovo posto che Nich ha scoperto è il magazzino dei computer rotti. Ha allungato una banconota al bidello e si è fatto dare la chiave. Alla fine nessuno ci ha disturbato, è vero, ma ho così tanta polvere addosso che sembro un piumino per spolverare. Oltretutto nella foga del momento, Nich mi ha strappato le mutandine di pizzo che avevo appena comprato e, mentre cammino verso la macchina, maledico il momento in cui ho accettato di seguirlo in quella stupida stanza. Pensavo che mi avrebbe aiutata a sviluppare un buon piano su cosa fare, ma l'unica cosa che ho ottenuto sono un paio di costosi slip rotti.

«Callie!» strilla Heidi correndomi in contro nel parcheggio «Che ne dici di un po' di shopping terapia?».
In effetti devo comprare dell'intimo. «Terapia per cosa?».
Angie le saltella di fianco. «Per l'inizio dell'ultimo anno di liceo, siamo sopravvissute e ci meritiamo un premio».
«Va bene» annuisco «Tra l'altro devo parlarvi di una cosa, salite in macchina».

 

Passo l'intero tragitto verso il centro commerciale a spiegare alle ragazze il problema cheerleader. Una volte arrivate al parcheggio, spengo la macchina e mi giro a guardarle. Angie si tortura i ricci mordicchiandoli come un castoro, mentre Heidi mi fissa confusa e perplessa, con la stessa espressione che sfoggia durante algebra.
Alza le manine nell'abitacolo. «Ferme». Siamo letteralmente immobili. «E chi saranno le cheerleader se non saremo noi?».
Datemi la forza. «Nessuno, Heidi» ripeto di nuovo.
Angie bruca come una capra e la fissa. Heidi scuota la chioma. «E allora chi farà il tifo e andrà alle gare?».

Apro la portiera con un colpo secco e mi allontano da lei, in cerca di spazio. «Heidi concentrati per favore». Mi seguono senza smettere di essere confuse o di masticare. «La preside ha chiuso l'attività, quindi nessuno farà il tifo, nessuno andrà alle gare e nessuno indosserà le nostre uniformi».
Heidi squittisce agitando la borsetta. «Ma come si è permessa quella stronza! Perché non ti sei opposta?!».
Il parcheggio rimbomba come uno stadio. «Ci ho provato, davvero, ma è stata irremovibile».
Heidi sbatte i piedi a terra mentre camminiamo verso l'ingresso. «Dovevi insistere, dovevi dirle chi sei. Hai usato papino?».

Stringo la mascella per non avventarmi sulla sua faccia indispettita. «Sì, Heidi, ho fatto di tutto, ma la risposta è stata no». Oltrepassiamo le porte di vetro. «Abbiamo tre mesi per sistemare la situazione. Dobbiamo classificarci in una categoria decente e mantenere il numero di partecipanti che abbiamo al momento. Tutto senza fondi, palestre o attrezzatura».
Angie molla la ciocca ormai fradicia e si volta. «Potremmo organizzare uno spettacolo di beneficenza e raccogliere così i fondi».
Heidi batte le mani. «Sì, mi piace».
Scuoto la testa. «Non possiamo organizzare un evento di beneficenza per le cheerleader».

«Perchè no?» squittisce Heidi contrariata.
«Prima di tutto perché non è beneficenza ma profitto» puntualizzo «Poi non siamo in grado di gestire le nostre vite, figuriamoci di mettere in piedi un evento. Oltretutto facciamo pena come cheerleader, quindi non ci sarebbe nessuno spettacolo».
Angie sospira angosciata e ricomincia a ruminare, mentre Heidi perde la concentrazione davanti ad una vetrina che luccica.

«Ragazze ho bisogno di voi» sbraito «Ci serve un piano».

Heidi alza le spalle mentre fotografa un paio di scarpe. «Potresti provare a chiedere a tua madre una mano, è lei che organizza tutti gli eventi di tuo padre, giusto?».

Preferirei strapparmi a morsi i piedi. «Non è mia madre» ringhio.

Lei annuisce senza guardarmi. «Lo so, ma potresti provarci». Armeggia con il telefono per postare la foto. «Ne varrebbe la pena, saresti la nostra salvatrice».

 

 

 

Fisso la porta di vetro colorato così a lungo che mi vanno insieme gli occhi. Le parole di Heidi mi riempiono la testa come dei palloni aerostatici. Dovrei parlare con papà e con Sherry, ma l'ultima volta che ci ho avuto a che fare lui non mi ha nemmeno notata, mentre lei mi ha colpita in faccia per aver disubbidito ai suoi ordini. Lo schiaffo ha lasciato un segno così scuro che è stato molto difficile nasconderlo sotto il fondotinta.

La porta di vetro si apre e lo sguardo severo di Bryan Thompson mi trapassa come un coltello nel burro.
«Calliope?» chiede monocorde. «Hai bisogno?».
Forza, Callie. «Avrei necessità di parlare, se è possibile».

Si scosta di lato facendomi entrare nel suo ufficio. È tutto così freddo e impersonale qui dentro. Una volta era pieno di foto, miei disegni e ninnoli colorati. Ora è tutto superfici riflettenti e legno scuro, rappresenta il guscio vuoto in cui si è trasformato lui.

Mi indica la sedia davanti al suo tavolo e io mi ci accomodo. Quando ero piccola passavo le ore seduta sul divano che era posizionato in fondo alla stanza. Lo guardavo lavorare e a modo mio cercavo di aiutarlo. Ogni volta che qualcosa non andava ci sedevamo su quel divano e parlavamo a cuore aperto. Ora nel nostro posto c'è un appendiabiti di design.

«Oggi sono stata convocata nell'ufficio del preside» comincio facendolo accigliare «la preside mi ha comunicato che ha eliminato le cheerleader come attività ricreativa per mancanza di fondi».
Stringe le braccia al petto spiegazzando la giacca. «Perchè proprio le cheerleader?».
«Non è stata l'unica attività ad essere stata chiusa...» sospiro.

«Non è questo che ti ho chiesto» puntualizza.

Stavo provando ad evitarlo, ma è inutile. «Noi...ecco...noi...».

«Calliope». Alza la voce facendomi sobbalzare. «Quando apri la bocca devi essere convinta di quello che dici, oppure il tuo interlocutore penserà che non sei sicura» sbuffa «Devo davvero ripetermi?».

«No, signore». Mi pizzico il gomito cercando di non scoppiare a piangere come una bambinetta. «Le cheerleader non si classificano in nessuna posizione significativa da diversi anni, spendiamo il budget ma non vinciamo nulla che possa aiutare la scuola».

La sua espressione severa si adombra maggiormente. «E di chi è la colpa?».

Espiro lentamente per non balbettare. «Mia».
Annuisce lentamente. «Hai fallito il tuo compito come capitano, Calliope. Ne sei consapevole?».

Versa sale sulle ferite ancora sanguinanti. «Sì» borbotto a mezza voce.

«Non ho sentito» afferma con durezza.

Mi raddrizzo alzando il mento. «Sì, ne sono consapevole, signore».

«Esserne consapevoli è già un passo verso il miglioramento». Congiunge le mani davanti a sé. «Però non mi è chiaro come mai sei qui con la coda tra le gambe, invece di essere alla ricerca di una soluzione».

Lo fisso negli occhi ostentando una sicurezza che non possiedo. «Sono qui perché vorrei il tuo aiuto per trovare una soluzione. Ho già delle idee però mi servirebbe...».
«No» asserisce con freddezza.

«Cosa?».

Scuote la testa e i capelli biondi e vagamente brizzolati restano immobili. «Ho detto di no. Non ti aiuterò a superare tutti i problemi che la vita che butterà davanti d'ora in poi».

«Ma...».
«Hai diciassette anni e stai per affacciarti al mondo dei college e poi del lavoro, non ti porterò più per mano come una bambina» tuona «Quando non ci sarò più dovrai portare avanti il nome dei Thompson e non ti permetterò di farlo come una perdente che ha sempre la pappa pronta».
Tremo come un foglia. «Volevo solo...».

Sbatte la mano sul tavolo facendomi saltare sulla sedia. «Non ho intenzione di ripetermi, Calliope! Trova una soluzione o vivi nella consapevolezza di essere un fallimento!».
Mordo l'interno della guancia finché il dolore non sovrasta quello che sento nel petto. «Sì, signore».
Mi indica la porta con la testa. «Ora vai in camera tua, ho mille cose da fare».
Mi alzo rapidamente e trotto fuori dal suo ufficio, chiudendomi la porta alle spalle. Infilo le mani nelle tasche della felpa per nascondere il tremore e mi dirigo verso le scale.
«Papino ti ha sculacciata?» ghigna la Mostrigna dalla porta della cucina. «Ora andrai a piangere nella tua cameretta come una poppante?».
Sopprimo i singhiozzi nel fondo della gola. «Vai all'inferno».

La sua espressione tronfia si dissolve sostituita da puro odio. «Attenta a quello che dici, ragazzina, non sono sicura che tu voglia un altro bel segno su quel visetto pallido». Chiudo la bocca e inizio a salire le scale. «Ottima scelta» ridacchia la Mostrigna. Il suono della sua risata da strega mi segue lungo la tromba delle scale e fino alla soglia della camera. Una volta chiusa la porta e girata la chiave nella toppa, lascio che il fiume si riversi fuori dagli argini. Scivolo lungo il legno come se tutto il peso del mondo mi trascinasse a terra. Tengo la mano premuta sulla bocca nel tentativo di silenziare i singhiozzi e di non dargli la soddisfazione di sentirmi crollare. Le lacrime cariche di trucco mi rigano il viso, macchiandomi il maglione ogni volta che le asciugo con la manica. Vorrei poter fermare questo dolore che mi lacera il petto, questa sensazione di inadeguatezza che mi provoca ogni confronto con mio padre, ma non ci riesco. Non c'è niente che possa evitare che la sua delusione mi logori lentamente. Quindi smetto di lottare e aspetto che l'onda passi, che mi travolga e che si porti via altri pezzi di me.

 

Resto raggomitolata tra la porta e il pavimento finché il dolore non si attenua o finché non diventa così forte che non lo sento più. Mi trascino lentamente alla borsa, frugo finché non trovo la pochette e spalanco la finestra. Raccolgo una coperta, esco e scivolo su una sdraio da giardino posizionata sulla balconata. Tiro fuori il tabacco, la cartina, il filtro e rollo una sigaretta. Raccolgo l'accendino pieno di lustrini e accendo il drum. Una volta che il tabacco mi scorre in circolo, mollo la coperta e mi arrampico sul parapetto di marmo. Mi siedo con le gambe a penzoloni e osservo il vuoto sotto di me. È inebriante la sensazione che si prova quando si ha la possibilità di scegliere il proprio destino, senza che nessuno possa dire la propria. Potrei lasciarmi cadere. O potrei tenermi. Però tutto dipende da me e da nessun altro.
 

 

Indosso un abito color malva con le maniche larghe e la vita stretta e un paio di ballerine. Scendo le scale infilandomi la giacca di pelle bianca e riempiendo la borsa con le cose che mi servono. Entro un cucina e bacio la guancia di Rosario. «Buongiorno, Rosy».
Lei sorride facendo saltare le uova nella padella. «Buenos dias, bonita» tuba «Dormito bene?».
Appoggio la borsa sul bancone di marmo scuro e mi arrampico su uno sgabello. «Come al solito». Che nella mia lingua significa che ho dormito un paio di ore.

Appoggia una mano sul fianco e mi lancia un'occhiata preoccupata. «Ti prendi troppa poca cura di te, hija».

Giocherello con la cintura. «Non è vero, mi coccolo un sacco».
Sbuffa. «Quelle cose che fumi non sono coccole, sono un'altra punizione che ti auto-imponi».

È troppo presto per discutere. «Lo so, però ci sei tu che mi coccoli».
Addolcisce lo sguardo e annuisce. «Verdad». Trasferisce le uova, il bacon e una scodella di frutta su un bel piatto e me lo appoggia davanti. «Ora vedi di mangiare, se dimagrisci ancora scompari».
Recupero una forchetta e infilzo una fragola, ma prima che possa portarmela alla bocca la mano artigliata della Mostrigna me la toglie. «Oddio, no» mi sfila il piatto da sotto il naso «Ci manca solo questo».
«Ma...» sospiro.
Mi affonda le unghie della mano libera nella spalla. «Non avevi intenzione di mangiarlo, vero? Non pesi di essere già abbastanza grassa?».
Vuole davvero che le risponda? «Io...».
Inclina il labbro carico di rossetto. «Sei già un disastro sotto ogni aspetto, vuoi anche aggiungere obesa alla lista dei tuoi fallimenti?» butta il piatto pieno nel lavandino «Non lascerò che diventi una balena, cosa penserebbe la gente di me se lo facessi?».

Qualcosa peggio di quello che pensano già? Non credo.
«Rosita!» squittisce andandole incontro «Lei non deve mangiare queste cose!». Rosario lavora qui da quasi dieci anni e Sherry ancora non ha imparato il suo nome. Rosy la guarda con confusione e sufficienza, facendole credere di non capire e facendole alzare la voce. «Lei» scandisce ogni parola come se Rosario fosse sorda. «Non. Deve. Mangiare».

Rosy alza le spalle. «No entiendo».
La mostrigna si infilza la mano nei capelli perfettamente laccati. «No. Mangiare».
«Vaca estúpida estropeada» mormora. Trattengo una risata nascondendo la testa nella spalla.
La mostrigna sbuffa scocciata. «Perchè diavolo Bryan ha voluto una domestica straniera lo sa solo lui» borbotta uscendo dalla cucina.
Una volta che è lontana lascio andare la risata. «Sa che sputi nel suo cibo?».
Lei ridacchia. «Oh, non ha la minima idea di quello che faccio». Recupera il piatto e me lo rimette davanti. «Mangia qualcosa finché è lontana».
Scuoto la testa e mi alzo. «Sono in ritardo, mangialo tu».
«Hija».
«Ci vediamo dopo». Le do un bacio veloce e scappo.

 

 

Heidi sale in macchina con la lentezza di una lumaca e, quando ha finalmente posato il culo, parto senza darle il tempo di allacciarsi la cintura. «Piano!» brontola «Mi scompigli l'acconciatura».

«Stiamo facendo tardi» mi giustifico.
«E di chi è la colpa?».
«Tua» asserisco ingranando la marcia.
«Non è vero!» squittisce «Comunque, hai parlato con tuo padre?».
Angie si sporge in avanti per ascoltare meglio il racconto del mio fallimento. «Sì, ha detto no».
«Perchè?» chiede Heidi.
Sospiro. «Perchè ha detto che non ha tempo, è troppo impegnato» mento. È una bugia, è vero, ma non mi va di dire ad Heidi la verità. Farebbe i suoi soliti commenti e lo farebbe con quella faccia altezzosa che mi fa innervosire.

«Ha questioni più importanti delle cheerleader?» squittisce Heidi «Com'è possibile?».
«Quindi cosa facciamo?» chiede Angie dando un colpetto sulla spalla nudi di Heidi.

Stringo il volante e fisso l'asfalto. «Ho molte idee, lasciate fare a me». Mentire ormai mi viene naturale, quasi come respirare.

 

Passo la prima ora di e la seconda di fisica a spremermi le meningi. Sono così tanto sul mio pianeta che vengo richiamata almeno tre volte da ogni professore. Vorrei concentrarmi davvero sulle lezioni ma ho promesso ad Angie ed Heidi che avrei trovato una soluzione e ho intenzione di farlo. Non voglio essere una delusione anche per loro.

Mi accascio sulla sedia nell'aula di dibattito e tiro fuori il libro. Mentre rivedo mentalmente tutte le varie opzioni che ho formulato nelle ore precedenti, Tom entra nella classe. Indossa un maglioncino cobalto, dei jeans perfettamente stirati e ha sul naso un paio di occhiali scuri. Non guarda nessuno negli occhi e si siede in prima fila vicino ad un ragazzo un po' in carne. Lui lo saluta con un grosso sorriso che Tom ricambia.

Ho di nuovo quella strana sensazione di conoscerlo però non ho idea del perché. Ha un'aria così familiare eppure non riesco ad inquadrarlo. Gli fisso la nuca castana cercando di capire quando ci siamo conosciuti per la prima volta. Solo dopo che ho frugato in internet e ho sfogliato i social finalmente capisco che lui è la soluzione ad ogni mio problema.

   
 
Leggi le 0 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<  
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Alexa_02