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Autore: _Woodhouse_    01/07/2019    4 recensioni
❝Lo osservò dormire, sfiorando di tanto in tanto le linee insidiose delle sue costole, incastrata negli occhi di un altro, nel ricordo del suo respiro, affogata, vittima masochista del piacere che le procurava il ricordo della tensione che si librava fra i loro corpi e della complicità che aveva avvertito, mentendo insieme a lui, due volte e senza ragioni.❞
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago
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O cara speranza,
quel giorno sapremo anche noi
che sei la vita e sei il nulla.


Cesare Pavese



Capitolo 18.

 
 

Robb osservava la città dalla finestra della piccola camera di Josephine, con lo sguardo penetrante, la testa brulicante di pensieri. La sua vita, da quando era tornato in Inghilterra, era semplicemente tornata al punto di partenza. Casa, lavoro, Francis, Mark, riviste di moda, qualche matrimonio, campagne pubblicitarie e Jo. Probabilmente l'unica cosa di cui fosse veramente felice, tralasciando il fatto che lei fosse un puzzle impossibile da mettere insieme. Si voltò a guardarla, chinata com'era sugli appunti di una lezione che detestava, nelle sue sembianze da fata, coi suoi boccoli scuri a circondarla.

E' lei? Era lei ciò che aveva sempre desirato? Era lei o come lei lo faceva sentire? Era quel modo di guardarlo, quell'audacia sfrontata che la coglieva nei momenti più impensati, il suo sguardo magnetico, il suo corpo caldo, infinito? Era lei, doveva essere lei, perché era l'unica cosa al mondo che lo tenesse coi piedi per terra, rendendolo capace di sopportare quella stasi, quell'insoddisfazione. Ma doveva resistere. Sapeva di non potersi permettere il genere  di progetti a cui prima dello studio fotografico riusciva a dedicarsi più frequentemente. Aveva delle responsabilità, non era più un ragazzino. Sperava soltanto che presto o tardi, una volta che si fossero fatti  un nome e avessero espanso la lista di clienti, avrebbe potuto finalmente concerdersi più autonomia e magari sarebbbe anche riuscito a combinare il lavoro con il viaggio. Se fosse dipeso esclusivamente da lui, se non avesse dovuto badare a cose materiali come il farsi una carriera per vivere, sarebbe fuggito via in qualsiasi momento. La routine diventava ogni giorno più soffocante e tutta l'aria che gli serviva la traeva dai respiri di Jo. Da lei così distante e vicina, in un modo tutto suo, perfetto e assurdo.

Jo si voltò e i loro sguardi s'incontrarono. Si sorrisero dolcemente. Robb la raggiunse e s'inginocchiò di fronte a lei, circondandole i fianchi con le braccia e sprofondando il viso sul suo ventre.

– Tornerai mai da me? – chiese.
– Sono qui, – disse Jo, accarezzandogli lentamente i capelli.
– Tu non sei mai qui, – disse lui guardandola. – Dove sei, Jo? Dove vai?

Jo lo guardò intensamente, spaesata. Aveva notato qualcosa?

– Forse non ci incontriamo. Forse te ne vai prima tu, poi ritorni proprio quando io sono appena andata via. – Sorrise. – Poi torno, però, no?
– Io non vado mai via, Jo, – disse Robb, la voce ridotta ad un sussurro. –Sono sempre qui che ti aspetto. Non lo sai?
– Lo so, Robb. Lo so.
Si lasciò ricadere su di lui, baciandogli la morbida testa bionda che profumava di posti lontani.
– Io voglio incontrarti, ho bisogno che tu sia qui. Non perderti nella tua mente, perditi in me piuttosto. Puoi? La sua voce era soffocata, la bocca premuta sulle sue cosce.
No, non aveva notato niente nuovo, ma solo la vecchia, solita, stralunata Josephine. Sospirò.

– Ci provo, ma ogni tanto ho bisogno di perdermi. Soffoco se non lo faccio, – disse.
– Ed io soffoco qui! Questa città mi soffoca. Ho bisogno di te per sopportarlo, – fece lui.
– Stai lavorando troppo, – disse, accarezzandolo con la dedizione di una madre.
– Non è questo. E' il lavoro che faccio. Sono i matrimoni e tutti quei fottuti modelli insignificanti. – Sospirò. – E' arrivare alla sera stanco, con le loro stupide facce che mi si affollano in testa. Mangiare e dormire e tutto d'accapo di nuovo. – Scosse la testa, strofinandola su di lei. – Mi manca viaggiare, conoscere nuove persone. Mi manca stare con i miei amici, mi manca sognare. E' stupido?
– No che non lo è, – disse Jo. – Non c'è qualcosa che ti darebbe sollievo, adesso?
Robb la strinse più forte. – Tu.
– Sii serio.
– Lo sono.
Jo si morse le labbra, guardandosi intorno, sentendo il cuore che le si appiattiva fino a farla soffocare. Robb riversava su di lei ogni aspettativa di felicità, ma questo non faceva altro che demolirla, proprio perché consapevole di non meritare tanto amore e fiducia. Gli doveva troppo e non riusciva nemmeno a quantificarlo. Pensò a tutte le cose che avrebbero potuto dargli il sollievo che agognava e che lei, con solo se stessa in mano, non poteva offrirgli.

– Non so... – mormorò, improvvisamente inquieta. – Potremmo trascorrere il week-end dai tuoi. Così potresti vedere anche i tuoi amici. – Smise di accarezzarlo, come sospesa. – Che ne pensi?
Robb sollevò il capo, incredulo. – Chi sei tu?
Jo rise, avvicinando il volto al suo. – E' un sì?
– Ne sei sicura? - Le prese il viso tra le mani e la guardò, sorridendo.  Jo annuì.
– Non lo avrei mai sperato, – disse lui, illuminato, baciandola. – In cambio di questa ardente dichiarazione d'amore ti prometto che spedisco James ad Honululu.

Il sorriso di Jo appassì. Non voleva sentire il suo nome, non in quel momento.

– Non dire sciocchezze, – disse Jo, forzando le labbra in un sorriso.

Si tirarono su e si abbracciarono a lungo, poi Robb la baciò, un bacio caldo e lento che le procurò la solita, terribile fitta d'incomprensibile nostalgia al fianco. Jo lo vide uscire dal suo appartamento, spedito e rinvigorito, e per quanto vederlo così la rendesse lieta, non potè fare a meno di pentirsi della proposta maldestra che gli aveva rivolto. Si chiese se non fosse il caso di ritrattare, trovare una scusa, ma si accorse  - e non senza rabbrividire - di non volerlo.
Si chiuse in camera e lasciò che lo sguardo vagasse, sforzandosi di non farlo ricadere sul cuscino, sotto cui ormai da giorni riposava placida la poesia bruciante di Neruda. Ma non riuscì a trattenersi e vi corse incontro. Sollevò il cuscino e prese il libro tra le mani. Per giorni non aveva fatto altro che rileggere i versi che James aveva sottolineato, cercandovi un'accusa, una minaccia, un'insulto, ma i suoi sforzi si erano rivelati vani. Si era invece ritrovata ogni volta indissoubilmente avvinta ad ogni poesia, provando uno scotimento che le chiudeva lo stomaco. Le venne il sospetto di essere semplicemente stupida e cieca. Se lui credeva ci fosse qualcosa da capire - era questo che aveva inteso o non aveva capito nemmeno questo? - dopo tanti giorni di lettura avrebbe dovuto ottenere quantomeno un indizio che la conducesse nella giusta direzione. Ed invece  dopo tanto scervellarsi si ritrovava con niente in mano. Tutto quello che era riuscita ad ottenere era uno smarrimento perpetuo, totalizzante, pericolosamente simile a quello che l'aveva travolta nemmeno una settimana prima e altre volte prima di allora. Questo pensierò la bloccò, facendole gettare il libro sul letto come se le avesse dato la scossa. Perché si allarmava tanto? Non ce n'era motivo. Era sicura che niente di quello che risiedeva in quei versi, il trasporto, l'estasi, l'amore puro e quello erotico, avesse niente a che fare con l'avversione, il fastidio, il disgusto che provava per lui
Forse, pensò, dipendeva semplicemente dall'intensità di quelle sensazioni, entrambe così violente  da procurarle turbamento con la stessa forza. Probabilmente il punto era quello. Era sempre stata moderata nei sentimenti, non c'erano mai stati scossoni, non più dopo la cosa da cui rifuggiva ormai da anni. Aveva poi sempre vissuto di passioni astratte, profonde rivolte alle cose che le piacevano: i libri, i boschi, la storia. Quando aveva conosciuto Robb si era sentita felice da pazzi, incapace di credere che tanta gioia toccasse tutta a lei. Realizzò che non c'era un precedente a tanto scotimento e che le venisse causato da una poesia o da un insulto non le importava. Questa consapevolezza la fece rabbrividire. Raccolse il libro e lo aprì dove aveva piegato l'angolo di una pagina.

Nuda sei semplice come una delle tue mani,
liscia, terrestre, minima, rotonda, trasparente,
hai linee di luna, strade di mela,
nuda sei sottile come il grano nudo.


Nuda sei azzurra come la notte a Cuba,
hai rampicanti e stelle nei tuoi capelli,

nuda sei enorme e gialla
come l'estate in una chiesa d'oro.

Nuda sei piccola come una delle tue unghie,
curva, sottile, rosea finché nasce il giorno
e t'addentri nel sotterraneo del mondo.

come in una lunga galleria di vestiti e di lavori:
la tua chiarezza si spegne, si veste, si sfoglia
e di nuovo torna a essere una mano nuda.


Richiuse il libro fissando un punto nel vuoto, il cuore impazzito nel petto, un languore alla gola, dolce, corrosivo.
Le sue mani hanno toccato questa pagina, pensò inorridendo, ed è come se avessero toccato anche me.




 

***




Quella sera, James, arenato sul divano, si godeva il vento di settembre che, strisciando dall'ampia finestra del salotto, gli soffiava sul viso. John invece, in cucina, preparava la cena per entrambi.

– Potresti dare una mano, sai? – disse, sbucando dalla porta, intorrompendo la stasi di James.
– Ti aiuterò a mangiare, – rispose James sprofondando meglio tra i cuscini.
– Grazie del prezioso contributo. – Si sedette di fronte a lui, su di una poltrona. – Le costolette sono in forno. Impazzirai.
– Vedremo, – disse l'altro, facendo spallucce.
– Ti permetto quest'atteggiamento solo perché non mi fido di quello che cucini tu.
– Pensavo fosse un invito, il tuo. Gli invitati bivaccano, gli ospiti sgobbano. E' la regola.
– Va' al diavolo, Jamie, – disse l'altro, liquidando la discussione con un gesto della mano.
– Non ero io quello permaloso, una volta? – rispose James, d'un tratto sospettoso. Acuì lo sguardo per osservare meglio John.
– Sì infatti, sono solo delle stupide costolette. – Sospirò, poggiandosi allo schienale.
– Credo che il problema qui non sia io, né tantomeno le costolette, – osservò James.
– Sono io che faccio questo genere di osservazioni, di solito, – fece l'altro. – E ti anticipo che non c'e niente su cui indagare.
– Balle, – sentenziò James. – Hai litigato con Betty?
– Sì, come sempre, – disse. – Ti prego di non insistere.
James sollevò le mani in aria. – Come vuoi.

Lo osservò a lungo, mentre l'altro si massaggiava il viso e gli occhi, apparendogli stremato. Il suo incarnato chiarissimo era più pallido del solito e solo adesso notava quanto il suo sguardo fosse sfuggente e in alcuni istanti completamente assente. John era sempre stato un ragazzo vivace, pieno di iniziativa e di idee. Si erano conosciuti negli anni dell'università, grazie a degli amici in comune e forse proprio la loro profonda diversità, accompagnata da un reciproco rispetto, li aveva legati immediatamente. Col tempo, però, riuscivano a vedersi sempre meno a causa dei rispettivi impegni di lavoro, impelagati l'uno in vicende aziendali e l'altro tra i suoi appunti. Proprio in virtù del mestiere di John, James era riuscito ad aprirsi con lui in più di una situazione delicata: glielo aveva concesso in quanto psicologo, sedendosi sul lettino e lasciando che lui gli desse nient'altro che consigli - per quanto possibile - oggettivi. Ma se inizialmente era servito quest'escamotage, ideato dallo stesso John, per cavargli di bocca una serie di sfoghi che altrimenti lo avrebbe incenerito dall'interno, in seguito James si era mostrato più propenso ad aprirsi con lui in maniera spontanea, con o senza lettino. In linea di massima, si manteneva sulla superficie del problema, ma John si accontentava, comprendendo la profonda riservatezza dell'amico. Del resto, aveva intuito quanto lui fosse geloso dei suoi pensieri e delle sue emozioni, oltre che essere incredibilmente orgoglioso e incapace di ammettere una debolezza o una disfatta, anche la più triviale. John era un uomo molto dolce ed attraente, almeno quanto la sua ragazza, Betty, con cui stava ormai da tre anni e con la quale intratteneva una relazione simbiotica, ma farcita di litigi ed incomprensioni continue. James lo aveva sempre consigliato di buon grado, ma molto spesso era rimasto in silenzio, cercando di non pronunciarsi troppo sul loro rapporto, a suo avviso destinato a non durare per molto. Non lo pensava per un motivo particolare, ma piuttosto li considerava malassortiti al punto che non credeva possibile che una relazione con simili ritmi di litigio potesse spingersi molto lontano. Sono innamorato ed anche lei lo è. Era la frase più inflazionata, pronunciata da John ogni volta che credeva che tutto stesse per finire. James ogni volta annuiva, senza aggiungere una parola. L'amore non basta, pensava.

– Ho visto Madison l'altra sera, – disse d'un tratto.
– Sei stato al Limbo? – chiese John, guardandolo finalmente negli occhi.
– Sì, sono andato. Avevo voglia di suonare e di bere qualcosa, – disse James.
– Avresti potuto dirmelo! Lo sai che ormai senza di te non vado, – fece l'altro con un tono lamentoso.
– Non era programmato. – James gli scoccò un'occhiata malvagia. – E comunque, Betty non ti avrebbe dato il permesso così su due piedi.
– Sai essere così bastardo, – sospirò l'altro, d'un tratto rassegnato. – Ma hai ragione, – ammise.
– Cerco solo di non litigare, capisci? Non mi serve il suo permesso: mi serve che si incazzi il meno possibile!
James scuotè la testa, mordendosi le labbra.
– Che si incazzi, poi le passa! – disse. – Non puoi regolare la tua vita in base alle sue sfuriate. Ti ho detto mille volte cosa dovresti fare.
John si sporse sulla poltrona. – La tua tecnica è una vera schifezza. Non posso farla arrabbiare e fregarmene aspettando che le passi, mentre continuo a farla incazzare in un circolo infinito. Non funziona così. Non è un animale che puoi addestrare. E' fatta così, è tremenda, ma se voglio stare con lei devo fare un passo verso di lei.
– Molti passi versi di lei, – ridacchiò James. – Una maratona, direi!
John trattenne una risatina, ormai era abituato a commenti di questo tipo e non poteva dirsi completamente in disaccordo, ma James non capiva cosa volesse dire lottare, sacrificarsi per tenere in piedi un amore.

– Adesso smettila di fare il predicatore e dimmi che hai combinato al Limbo, – disse John, ammiccante.
– Te l'ho detto, – disse, poi si accese una sigaretta e ne inspirò il fumo. – Ho bevuto qualcosa, ho suonato un pezzo e ho chiacchierato un po' con Madison.
– Come sta? – chiese l'altro.
– Bene. Era più bella che mai, – disse, sollevando un sopracciglio con aria impercettibilmente maliziosa.
– Quella donna è il cruccio della mia vita, – fece John, ridacchiando.
– Ma piantala. – Il sorriso di James si confuse in una nube di fumo. – Mi ha fatto una ramanzina su Claire.
– Claire, la rossa? – chiese improvvisamente interessato. – La vedi ancora?
– No. E' per questo che mi ha rimproverato, – disse ponendo un accento ironico sull'ultima parola. – Dice che avrei dovuto richiamarla, che ci siamo visti per ben due mesi eccetera eccetera. Morale? Sono un bastardo che non l'ha più richiamata.
– Dicono sempre così, – sentenziò l'altro, incredulo di fronte alla sfacciataggine femminile.
– Non capisco cosa si aspettino. Tanto divertimento per un po' di settimane e poi cos'altro?
– Un maledetto anello al dito. Di quelli un po' pacchiani, magari, – disse John.
James sbuffò del fumo, divertito.
– Magari la richiamo, però.

In quel momento, sul tavolino, il telefono di James prese a squillare.

– Mamma?
John osservò l'amico parlare al telefono. Nell'arco di pochi istanti, notò, il suo volto aveva dato sfoggio di una serie di espressioni tutte contrastanti tra loro, impossibili da decifrare.
– D'accordo. Certo. – Si liberò della sigaretta, schiacciandola sul fondo del posacenere. – Non preoccuparti. Buona notte.
Nel frattempo, dalla cucina, il forno trillò.
– Prendi le birre in frigo. Si mangia! – disse John, scattando dalla poltrona, impaziente.
James si sollevò, sovrappensiero, e si diresse in direzione del freezer. Prese la confezione di birre e l'adagiò sul top della cucina. Guardò John e le sue mani che predisponevano le costolette su dei piatti, ma era ormai lontanissimo, improvvisamente angosciato ed incomprensibilmente impaziente.

Indovina chi viene nel week-end?
Non riesco proprio ad immaginarlo.


– Torna sulla terra! – La voce di John gli arrivò come da un posto lontano. – Tua madre sta bene? Qualcosa non va?
- Va tutto bene. - disse, sedendosi su di uno sgabello intorno all'isolotto della cucina. - Mi ha solo detto che questo week-end mio fratello sarà in città. - prese un sorso di birra. - Insieme alla sua fidanzata.
- Ah! Sembra una cosa seria. - disse John. - Come si chiama?
James bevve un sorso di birra, poi lo guardò fingendo un'aria indifferente. - Josephine.
– Com'è? Simpatica?
– Non la definirei simpatica, – disse serafico. – Non la definirei in nessun modo.
– Credevo l'avessi già conosciuta.
– Infatti. – James si sentiva spazientito. Non voleva in alcun modo e per nessun motivo parlare ancora di lei. – E' una ragazza qualunque che piace a mio fratello. Non c'è molto da dire.
– Niente di eccezionale, insomma, – commentò l'altro, osservandolo.
– Già.
Il tonfo secco del suo bicchiere sul tavolo annunciò che l'argomento era concluso.

Certo che non era niente di eccezionale. Non era particolarmente bella e di certo non era simpatica. Era solo una strega impertinente che risvegliava in lui un calore violento ed incontrollabile. Ma questo non poteva dirlo ed in realtà nemmeno pensarlo. Lei sarebbe arrivata il giorno dopo e avrebbe dovuto rivederla, sebbene forse, in qualche modo, avrebbe potuto evitarlo. Nessuno si sarebbe dispiaciuto troppo. Si accorse solo dopo molto pensare a delle scuse da propinare ai suoi che, in realtà, non c'era niente che potesse fare per starle lontano, semplicemente perché non c'era niente che volesse fare.




 
***


 

La facciata color avorio del villino dei Draper si palesò agli occhi di Josephine, emergendo all'improvviso da una cornice di alberi. Le mani le corsero sui bordi della gonna. La musica alla radio era semplicemente insopportabile, così come il sorriso di Robb che le guidava accanto. Era felice che lui fosse felice, ma che addirittura sorridesse tanto sfrontatamente in barba a quello che lei stava provando lo considerò una specie di affronto. Non c'era niente per cui agitarsi, pensò. Stava ingigantendo le cose. Una mano le corse sulla borsa, tastandola fino a percepire i contorni del libro al suo interno. Aveva deciso che lo avrebbe rimesso a posto, semplicemente.  con all'interno una bambola voodoo. Insomma, a conti fatti, stava assecondando un gioco malsano e senza senso, ideato da un uomo con cui non voleva condividere nulla.

– Ragazzi! – esclamò Susan Draper sulla soglia della porta, accogliendoli tra le braccia. – Tesoro! – aggiunse poi, prendendo il viso di Robb tra le mani. Lui le sorrise e le schioccò un bacio sulla guancia.
– Forza, entrate, siete giusto in tempo! – Prese per mano Jo, mentre li conduceva in giardino. – Ti trovo bene cara, – disse.
– Anche lei sta benissimo.
– Le giornate più fresche mi ringiovaniscono la pelle, – disse Susan.
– In tempo per cosa? – fece Robb, sovrapponendosi alla conversazione delle due.
– Per aiutare tuo padre col barbecue. Dio sa quanto detesti i fumi della carne!
– Non sia mai che i fumi della carne ti ingrigiscano i capelli!
– proruppe Ben Draper, accogliendoli in giardino.
– Ancora con questa storia? - fece Robb, abbracciandolo.
– Non ho ancora capito se ci creda davvero o sia una scusa ventennale per non aiutarmi col barbecue, – disse Ben, prima di rivolgersi a Josephine e prodigarsi in un baciamano.
– Come stai cara?
– Benone, Signor Draper, – disse lei.
– Signor Draper? Cielo, ragazza, chiamami Ben o ne sarò terribilmente ferito!
– Non le farei mai un torto simile!  
Jo si strinse nelle spalle, sorridendo e sentendosi in imbarazzo come la prima volta. Ben Draper era proprio un gentiluomo vecchio stampo e i suoi modi estremamente cordiali la mettevano paradossalmente in incredibile soggezione.
Dopo aver scambiato ancora qualche battuta coi padroni di casa, Jo e Robb raggiunsero la camera da letto per depositarvi i borsoni e per rinfrescarsi prima di dedicarsi completamente al barbecue e al pranzo.
Jo era in bagno quando sentì la voce di Robb al telefono.

Ne parlo con Jo, dai.

– Di cosa? – gli chiese, raggiungendolo, mentre lui infilava il telefono nella tasca posteriore dei jeans.
–Era Spencer. I ragazzi non sapevano del mio arrivo e avevano già organizzato una nottata di pesca tra uomini, – disse, l'aria delusa. – Li vedremo domani.
– Perché? – disse Jo, prendendogli le mani. –Sei uno stupido! Non sei qui per stare con me!
– Anche! – ribatté Robb.
– Anche, ma con me puoi stare ogni volta che vuoi. – Gli strinse le mani. –Vai, per favore.
– Ma tu...
– Io me la caverò.
– Be' in teoria, avresti un invito, – mormorò l'altro, sfregandosi la nuca con una mano. – Spencer mi aveva proposto di unirmi a lui e Roahd, aggiungendo che tu avresti potuto uscire con Sierra e Tracy. Sierra ha un po' di amiche...
– Non volevi che andassi con loro, per caso? – chiese Jo, con un accenno di sorriso sulle labbra.
– Perché dovrei? – Lo sguardo di Robb si fece sfuggente. Era in imbarazzo.
– Sei geloso, Robb? – fece Jo, insinuante, al suo orecchio.
– Come ti salta in mente? Mi conosci! Non sono per niente quel genere di persona. – Si schiarì la voce con un colpo di tosse. – Non volevo che pensassi che me ne infischiassi di te. Però se per te non è un problema...
Jo rise.
– Andrò con le ragazze e tu potrai passare una serata da vero duro con i tuoi amici. – Lo provocò, dandogli un pugnetto sul braccio.
Robb la guardò di sottecchi, lasciandosi contagiare dal suo sorriso, rilassandosi.
– Allora li richiamo. – Sfilò il cellulare dalla tasca, ma si fermò. – Non penserai di mettere una minigonna, per caso? – disse, fingendosi mortalmente serio.
Jo trattenne un sorriso ed iniziò a dondolarsi, allontanandosi da lui per raggiungere il corridoio. – Chissà.
Scomparve dietro la porta e Robb sorrise, beato.




Jo guardò il suo riflesso pallido allo specchio e le sue labbra truccate, in quel biancore, erano come tulipani. Si sistemò il vestito sui fianchi e lasciò che le balze della gonna a ruota roteassero un po'. Robb era già andato via, mentre i signori Draper dormivano da tempo. Corse giù per le scale, facendo attenzione a non far rumore coi tacchi, e raggiunse l'auto di Sierra, ferma sul vialetto.
– Jo!
Sierra e Tracy, sedute rispettivamente alla guida e sul sedile anteriore, la riempirono di chiacchere.
– Tieni! – disse Sierra d'un tratto, porgendole una maschera di pizzo nero.
Jo fece una smorfia di sorpresa. – E cosa dovrei farci?
– Devi indossarla, – disse Sierra, con un sorriso sornione e lo sguardo sulla strada.
– Ne ha data una anche a me! – fece Tracy, sventolandogliela di fronte. –Sarà eccitante! Anche se non sono abituata a certe cose!
– Mio dio, Tracy. – Sierra schioccò la lingua. – E' solo una serata un po' diversa da quelle che passi normalmente con Spencer. E menomale, direi!
– Oh, bruta!
– Ragazze, non capisco, – mormorò Jo, fissando la maschera che aveva tra le mani.
– Tranquilla. Ho pensato che sarebbe stato carino farvi provare uno dei miei tipici venerdì sera.
– Che sarebbero? – chiese Jo, guardandola di sbieco attraverso lo specchietto retrovisore.
– Una figata, – disse Sierra. – Una delle mie migliori amiche organizza eventi, serate, feste private e cose di questo genere. E niente, ogni weekend ci segnala gli eventi più interessanti tra qui e Londra e noi ovviamente andiamo!
– Stasera c'è questa festa in maschera, in pratica, – aggiunse Tracy, non propriamente entusiasta. – Le sue amiche ci aspettano lì.
– Sembra interessante, – disse Jo, sorridendo. L'idea solleticava sul serio il suo interesse.
– Lo sarà, fidati, – le assicurò Sierra, guardando fuori dal finestrino. –Eccoci arrivate.
Intorno a loro solo alberi e un vialetto illuminato dalle luci dei lampioni. Erano in una zona un po' fuori mano e la cosa angosciò sia Jo che Tracy, la quale non faceva altro che lamentarsi, già pentita di essere lì.
Le ragazze scesero dall'auto, guardandosi intorno. Jo si rigirò la maschera di pizzo tra le mani e il suo sguardo incontrò quello di Sierra.

– Indossala, su, – le disse, allacciando la sua maschera rossa dietro i capelli.

Josephine la imitò, legò lentamente i lacci scuri tra i capelli e osservò un po' intimorita l'ampio portone scuro che le si parò di fronte. Si trovavano al cospetto di un rudere sapientamente rimesso a nuovo, che proprio in virtù della sua facciata decadente, emanava un fascino irresistibile.
Jo sollevò il capo e i suoi occhi si posarono su quella che doveva essere l'insegna, sebbene sembrasse perlopiù un'iscrizione in pietra, solcata da poche lettere profondamente incise. Jo non poté trattenere un sorriso, stuzzicata.
L'aria frizzante di settembre le solleticò i capelli.
Erano di fronte al Limbo.
   
 
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