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Autore: Ardesis    02/07/2019    7 recensioni
E se una piccola deviazione di percorso avesse compromesso l’intera vicenda?
Genere: Erotico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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I pochi abiti che possedeva erano stati confezionati appositamente per essere indossati dall’attendente di un conte e perciò erano ben fatti, resistenti, comodi, ma anche spietatamente sobri. 

Nessuno di quei vestiti stinti e grossolani, si disse, era adatto per partecipare al matrimonio di un consanguineo, tantomeno per assistervi al fianco di Oscar, che André già immaginava avvolta in quel raffinato abito bordeaux attillato in vita e ricchissimo di ricami dorati, che le aveva visto indossare nelle occasioni più particolari.

-Beh, se anche ci scambiassimo i vestiti, lei apparirebbe comunque superba ed elegante ed io inadeguato e di cattivo gusto.-

Borbottò amaro.

Si sedette con aria scontenta sul bordo del letto e si trovò a divagare in un limbo di riflessioni, mentre accarezzava distratto la stoffa ruvida dei propri calzoni.

L’estetica, l’aspetto esteriore, l’indole hanno a che fare col sangue? Nascere nobile, piuttosto che nascere contadino, marchia una persona a vita? La superiorità e l’inferiorità dipendono dal grembo da cui si viene al mondo? Esistono davvero? Si celano in qualche tratto particolare del viso o forse nel modo di sbattere le palpebre? Un popolano resta popolanoper sempre, anche se lo si lustra, lo si educa e lo si istruisce? Un nobile spogliato di abiti, parrucca e belletto e costretto ad abbronzarsi la pelle bianca arando i campi, conserva la sua dignità di aristocratico?

Scosse la testa per rimandare quei pensieri complessi ad un altro momento e si decise ad afferrare, con un gesto stizzito, una giacca celeste con qualche semplice ricamo sugli orli e molti bottoni sui polsini delle maniche.

Aggrappandosi al dolce pensiero di rivedere Oscar a breve, scacciò via i malumori, piegò l’abito scelto su un avambraccio e si precipitò al pianterreno.

Il retro della casa accoglieva una piccola stanza che la padrona usava come magazzino per gli utensili e per le conserve e in cui teneva -quasi inutilizzato- un catino di legno.

André sistemò la tinozza al centro della stanza e vi trascinò accanto una piccola sedia di vimini sfondata su cui adagiò gli abiti puliti e la giacca cerulea, poi uscì nel piccolo cortiletto fangoso chiuso tra le schiene degli edifici e raccolse un paio di secchi d’acqua dal pozzo. 

Tornò nello stanzino, appoggiò i secchi accanto alla tinozza e prese a spogliarsi, in fretta, con rabbia, come se la stoffa gli urticasse la pelle. Calciò i vestiti lontano da sé in malo modo, sbuffando compiaciuto per essersene liberato e si mise in piedi dentro il catino.

Il fondo di un calderone di rame appeso alla parete gli restituì una vaga e distorta immagine di sé, del suo corpo nudo, del colore dorato della sua pelle tinta dalla luce ambrata del primissimo mattino. Distolse lo sguardo. 

Agguantò gli orli del secchio con entrambe le mani, lo sollevò sopra la testa e, senza darsi il tempo di pensare, se lo rovesciò addosso. L’acqua gelida lo travolse da capo a piedi con un’irruenza spietata. Gli mancò il respiro, tutti i muscoli si contrassero e, mentre gli ultimi rivoli d’acqua scorrevano lungo il suo corpo, gli sfuggì dalle labbra un rantolo soffocato. Spalancò gli occhi e strinse forte i denti, poi la tensione dell’impatto lentamente si sciolse e ogni muscolo del suo corpo cominciò a fremere. 

Un perverso senso di piacere fece vibrare i suoi nervi tesi, al di sotto della pelle d’oca. Ebbe come l’impressione di essersi svegliato bruscamente dopo giorni di sonnambulismo.

Quanto tempo era passato da quando Oscar gli aveva gettato addosso quella secchiata gelida di parole -Girodelle ha chiesto la mia mano- aggrappandosi al suo braccio? A cosa aveva pensato lui nei giorni successivi? Cosa aveva fatto?

Vuoto. Giorni vuoti.

Aveva trascorso le ore perseguitato da pensieri sconnessi, aveva affogato i turbamenti tra i libri e le scartoffie dello studio di Moreau e aveva ricacciato a forza in un angolo della mente le parole di Oscar, la sua voce, la sensazione della sua stretta. E solo in quel momento si era finalmente svegliato.

-No,- si ripeté più volte sottovoce -Oscar non potrebbe mai accettare di sposare Girodelle.-

Mentre osservava con sguardo assente le piccole semisfere liquide e trasparenti sparse sulla propria pelle, d’improvviso realizzò di essersi negato, per giorni, il permesso di soffrire.

Prese il sapone e cominciò a strofinarselo sul corpo, lentamente, per godere della sua scivolosa carezza.

-Se si sposa, mi uccido.-

Mormorò tragico e mentre si massaggiava la schiuma biancastra sul petto avvertì il proprio cuore compiere un balzo. 

“Sarei davvero capace di piantarmi un pugnale tra le costole se Oscar si sposasse?”

Pregò che non fosse necessario scoprirlo.

-Oscar non sposerà Girodelle.-

Decise infine, un po’ per consolarsi un po’ per convincersi. Afferrò il secondo secchio d’acqua, lo sollevò, raccolse un profondo respiro nel petto e strinse forte le mandibole, poi lasciò che l’acqua gelida lo investisse, sciacquando a fondo sia il suo corpo che la sua mente.

 

 

 

 

 

La chiesa era quasi vuota. I pochi invitati, tutti pressapoco dell’età dei due sposi, erano sparsi nei primi banchi e nessuno di essi, osservò André con sollievo, indossava broccati o merletti.

Alcuni uomini vestiti di nero, con sguardi vividi e lineamenti spigolosi, confabulavano tra loro coprendosi la bocca con la mano come se stessero parlando di argomenti che Dio non dovesse ascoltare. Si interruppero un momento al passaggio di André, poi ricominciarono a borbottare con arie misteriose.

Un chierichetto bruno e magro prese a spargere i fumi profumati dell’incenso intorno all’altare e un altro accese uno ad uno tutti i ceri, mentre l’organista riempiva il vuoto della chiesa di note lunghe e solenni.

André scelse di prendere posto nel primo banco di destra, accanto ad un uomo panciuto che lo salutò con un verso gutturale e un gesto stanco della mano. Si sedette e incrociò le mani in grembo.

Rosalie e Bernard avevano scelto una chiesa semplice per una cerimonia altrettanto semplice. Non si erano preoccupati di smorzare l’austerità dell’architettura con qualche festosa decorazione. L’unica nota di colore era concessa da un sobrio mazzo di fiori bianchi e gialli collocato sopra l’altare. 

Ad André venne spontaneo pensare, con un accento di amaro sarcasmo, che se Oscar avesse sposato Victor de Girodelle, le due famiglie si sarebbero ostinate ad organizzare un matrimonio di pomposità memorabile. Quale chiesa sarebbe stata scelta? Quanti fiori sarebbero stati recisi? Quante persone sarebbero accorse ad assistervi? Forse avrebbero partecipato alla cerimonia i Sovrani, oltre alla crema dell’aristocrazia e ad uno stuolo incalcolabile di curiosi di ogni rango. Quel matrimonio sarebbe potuto diventare un evento clamoroso quasi quanto un matrimonio reale, con un trionfo di sete, pizzi, veli, fibbie dorate, parrucche eccentriche, gioielli, ciprie, fiori freschissimi, pianti commossi, congratulazioni, pettegolezzi, maldicenze, musiche solenni, canti in latino.

Per qualche motivo, quelle fantasie non lo avvilirono, ma riuscirono a confortarlo. Oscar non avrebbe maipotuto accettare di subire una pantomima simile.  

Così, mentre si osservava distrattamente intorno, assorto nel suo fantasticare, il suo sguardo si imbatté in quello di una giovane donna con un abito verde e una fascia azzurra in vita che subito gli sorrise civettuola. André non si preoccupò di notare i suoi lineamenti graziosi e le rispose con un sorriso cortese ma incolore. La ragazza assottigliò gli occhi, offesa dal suo disinteresse, e sollevò il piccolo naso rotondo enfatizzando un broncio arrogante. André non vi diede alcun peso. La sua mente era presa da altri pensieri. 

“Perché Oscar non arriva?”

I ritardi non erano contemplati nello spettro delle sue consuetudini. “Che le sia accaduto qualcosa?”

L’eccitante brivido dell’attesa si sporcò inevitabilmente di apprensione. 

Prese a giochicchiare nervoso con i bottoni che decoravano i polsi della sua giacca finché il filo non cedette e non se ne ritrovò uno in mano. Allora provò a rivolgere la parola al proprio vicino domandandogli se egli fosse amico o parente degli sposi, ma quello replicò vago che conosceva bene Bernard, senza specificare né come né perché. André desistette e tornò a tormentare i bottoni mentre lanciava occhiate nervose alle proprie spalle. 

Gli fu impossibile trattenere i sospiri e a stento riuscì a sopportare i battiti del cuore che risuonavano in ogni fibra del suo corpo con la stessa potenza delle note dell’organo nell’ampio spazio della navata.

Si convinse che fosse accaduto qualcosa di grave. L’assenza di Oscar non poteva essere giustificata altrimenti. Balzò in piedi di scatto, seguendo l’antico impulso di correre al fianco di Oscar, ovunque si trovasse, a costo di fuggire dalla chiesa e disertare il matrimonio del proprio fratello. Si voltò, pronto ad imboccare la navata, ed ebbe un fremito di stupore quando vide che tutti i presenti si erano alzati insieme a lui. 

Erano apparsi gli sposi sul portone della chiesa, fianco a fianco, affiatati, emozionati e raggianti e André fu costretto ad ammettere che sarebbe stato troppo sconveniente scappare sotto i loro occhi. Decise a malincuore di restare, pur sentendo i carboni ardenti sotto i piedi.

La coppia indugiò qualche istante sulla soglia della chiesa, poi Rosalie si aggrappò fiduciosa al braccio di Bernard ed entrambi si incamminarono verso l’altare seguendo il ritmo possente delle note dell’organo.

André indossò un sorriso composto, costringendosi ad inghiottire l’amarezza e la preoccupazione per l’assenza di Oscar, e seguì con lo sguardo il lento avanzare dei due sposi. Deglutì appena prima che gli occhi dolci e luccicanti di Rosalie incontrassero i suoi e quando lei lo vide lì, da solo, il suo passo si fece incerto, lo sguardo si intristì e il sorriso si spense. 

André la osservò rallentare fino a fermarsi a pochi passi dall’altare e intuì chiaramente la sua delusione mentre i suoi due occhioni azzurri sembravano chiedere “Perché Madamigella Oscar non è accanto a te?”

André le rispose scrollando la testa e lei si incupì ancora di più, come se, data l’assenza ingiustificata di Oscar, il matrimonio non avesse motivo di essere celebrato.

Ma la sua esitazione non passò inosservata e fu fraintesa. La ragazza con l’abito verde e la fascia azzurra che aveva sorriso ad André sussurrò ad una vicina “Che succede?” con una smorfia cattiva e il prete provò a richiamare l’attenzione con un eloquente colpo di tosse. 

Prima che la chiesa si riempisse di altri mormorii, Bernard si affrettò a tirare verso di sé con dolcezza il braccio di Rosalie, invitandola a raggiungere l’altare insieme a lui.

Il rito ebbe regolare inizio, ma André non riuscì ad ascoltare nemmeno una parola.

 

 

 

 

 

Oscar aveva appena finito di infilare l’ultimo bottone della sua giacca di morbido raso bordeaux, quando il viso tondeggiante di Marron fece capolino dalla porta della sua stanza per informarla che era giunto a Palazzo un soldato della Guardia con un messaggio urgente per lei.

-È stato assassinato il Marchese di Nardien, Comandante Jarjayes. Si richiede la vostra immediata presenza.-

Le comunicò il soldato sull’attenti nell’atrio inspessendo la voce, quando Oscar si affacciò dalla balaustra delle scale.

Fu costretta a trattenere tra i denti il disappunto e a rispondere che si sarebbe presentata in caserma il prima possibile. 

-Il dovere prima di tutto...-

Si ripeté più volte sottovoce, mentre tornava nella propria camera, nervosa ma rassegnata. Si sfilò il bell’abito da cerimonia con un sospiro ed scivolò dentro l’uniforme con un altro sospiro. 

Arrivò in caserma meno di mezz’ora dopo e fu accolta sulla porta delle scuderie da un pallido e tesissimo D’Agoult.

-Il Marchese è stato ucciso nei pressi di Gentilly, appena fuori dal Parigi, sulla strada verso le sue tenute in Borgogna.-

Le spiegò con l’aria piccata di chi è stato buttato giù dal letto presto in un giorno di riposo, mentre la accompagnava nel suo ufficio. Oscar annuì.

-Radunate un esiguo gruppo di uomini. Ci recheremo subito sul luogo dell’omicidio. Prima, però,- soggiunse fermando lo sguardo nel vuoto davanti a sé -mandate nel mio ufficio un soldato che ritenete affidabile e sveglio. Ho bisogno di qualcuno che esegua una commissione per me.-

 

 

 

 

 

André fu vittima di un terremoto interiore per tutta la durata della cerimonia. Si concentrò a tal punto sul contenere il fermento della sua ansia, che non riuscì a provare nessun’altra emozione e quando finalmente Rosalie e Bernard furono dichiarati marito e moglie, si trovò travolto da una violenta mescolanza di commozione e di impazienza che ebbe sul suo corpo lo stesso effetto della secchiata d’acqua fredda che si era versato addosso quella stessa mattina. La dolorosa tensione che gli aveva impedito di seguire la liturgia, si allentò non appena il prete pronunciò il rituale Missa est, ma gli rimase addosso uno spiacevole senso di angoscia. L’incertezza sulla sorte di Oscar lo faceva impazzire.

Scivolò rapidamente fuori dal banco della chiesa e raggiunse i due sposi accanto all’altare prima che gli altri invitati si accalcassero intorno a loro per congratularsi.

Li abbracciò forte, sorridendo con una dolcezza artificiosa, e trovandosi a corto di parole, prese a complimentarsi con Rosalie per il suo sobrio e grazioso abito bianco, che senza dubbio si era confezionata da sola.

-André, grazie di essere qui.- 

Rispose lei con un sorriso dolce, ma chiaramente triste.

-Madamigella Oscar?-

Chiese abbassando la voce, come se temesse di aver formulato una domanda indiscreta. André sospirò, pronto ad inventare qualche scusa plausibile per tamponare la delusione di Rosalie e al medesimo tempo per non metterla in allarme, ma prima che riuscisse ad articolare una risposta, la chiesa si riempì del suono di una voce grossa e squillante che chiamava il suo nome.

-André Grandier!-

L’interpellato sobbalzò e si voltò verso la parte posteriore della chiesa. Alain stava avanzando baldanzoso nella navata con un sorriso vispo sul volto e la divisa aperta sul petto. Tutti i presenti si accigliarono, infastiditi dai modi guasconi del nuovo arrivato, e rivolsero ad André sguardi di biasimo come se la colpa di quel baccano fosse sua. 

Alain si fece largo tra la piccola folla e si piantò a gambe aperte davanti ad André, riempiendosi il petto col profumo dell’incenso prima di parlare.

-Mi manda il Comandante Jarjayes.-

Cominciò a dire con l’aria tronfia di chi è orgoglioso di essere stato scelto per eseguire un compito importante.

-Il Colonnello vi porge le sue scuse per non essere stata presente alla celebrazione. Questa mattina è stato assassinato il Marchese di Nardien, perciò è stata trattenuta dal dovere.-

-Ah ecco, ora si spiega.-

Commentò Bernard con un sorriso distratto accarezzando la spalla della moglie. Le ansie di André si dileguarono e il suo cuore si concesse finalmente una tregua dopo aver galoppato a ritmo folle per quasi un’ora intera.

-Ti ringrazio, Alain.-

Tacque un momento e poi riprese incredulo:

-Hai detto “il Marchese di Nardien”?-

Alain annuì e spiegò che l’aristocratico era stato passato a fil di spada nella sua stessa carrozza mentre viaggiava verso la Borgogna.

-Di sicuro, un tentativo di furto.-

Concluse, poi passò a scusarsi con gli sposi per la propria intromissione e lasciò la chiesa senza preoccuparsi di farsi il segno della croce.

-Oh, che bell’impiccio! Mi spiace per Madamigella Oscar.-

Mormorò Rosalie con un tono leggero, sistemandosi sulla testa la coroncina di fiori d’arancio. Si staccò dal braccio del marito e si inoltrò tra i suoi invitati che la accolsero festosi per porgerle gli auguri. Bernard, invece, non la seguì. Cupo in volto, posò una mano sul braccio di André e avvicinò le labbra al suo orecchio.

 -André, hai conosciuto Louis de Saint Just? Abita nella tua stessa casa, nella stanza al piano intermedio.-

-Sì, l’ho incontrato una volta. Perché me lo chiedi, Bernard?-

Il fratello guardò la moglie che dispensava sorrisi e ringraziamenti e sembrò indeciso se rispondergli o raggiungere lei. Poi disse d’un fiato, in tono perentorio:

-Non dargli confidenza.-

André sollevò le sopracciglia e non capì quale nesso potesse mai esserci tra Bernard, se stesso, Nardien e Saint Just. Fece un cenno di assenso con la testa e pensò tra sé che molto spesso, con quel genere di atteggiamenti, Bernard sembrasse convinto di essere lui il fratello maggiore.

-D’accordo.-

Gli promise.

 

 

 

 

 

Al ritorno dal matrimonio di Bernard e Rosalie, André decise che fosse giunto il momento di fare una visita a Palazzo Jarjayes. Pur dubitando di trovarvi Oscar, pensò che almeno avrebbe potuto approfittare delle doti culinarie della nonna per riempirsi lo stomaco di buon cibo.

Ma soprattutto, avrebbe finalmente parlato con Annette.

Giunse a Palazzo poco prima del tramonto, nel momento in cui tutta la servitù entrava in fermento per i consueti riti serali -i preparativi della cena, l’accensione dei camini e dei lampadari, la predisposizione delle camere da letto dei signori- a cui anche lui fino a poco tempo prima aveva preso regolarmente parte.

Non appena si trovò nell’atrio del Palazzo, tutti coloro che passavano, lo salutarono con sorrisi gentili e sguardi ammirati, come se lui fosse un ospite di riguardo. Rispose educato, ma non si fermò a parlare con nessuno. 

Scivolò discreto verso l’ala di servizio, guardandosi intorno con la sensazione di essere stato lontano per anni e provò a sfidare se stesso a rintracciare qualche cambiamento. Ma ogni cosa, notò, era rimasta esattamente uguale a come l’aveva lasciata, anzi, realizzò con sgomento che tutto fosse sempre stato uguale. Gli stessi mobili, gli stessi oggetti, le stesse collocazioni, gli stessi pieni, gli stessi vuoti, gli stessi colori, le stesse luci e le stesse ombre. 

Chissà, si disse, forse un servo di cento o duecento anni prima aveva visto le stesse identiche cose che ora vedeva lui e forse sarebbe stato così anche per un servo di cento o duecento anni dopo.

In tanti anni non era cambiato mai nulla e lui non vi aveva mai fatto caso.

Mentre attraversava i corridoi, provò un languore allo stomaco che chiamò nostalgia, ma che nostalgia vera e propria non era. Prese atto che quel Palazzo si conservasse immutato nel tempo come un trancio di carne sotto sale, cristallizzato nella sua stessa tradizione.

Al di fuori, invece, il tempo scorreva veloce, travolgendo uomini e cose nell’impetuoso fiume della Storia. Il mondo subiva una costante metamorfosi, si rinnovava, si evolveva e tutti avanzavano verso il progresso. 

André ebbe la sensazione che se non si fosse sottratto alla legge di conservazione di quel Palazzo, non avrebbe mai potuto sperare di essere qualcosa di più di ciò che era sempre stato.

L’allegro brontolio che arrivò dalle cucine lo salvò dalle sue divagazioni e non appena mise piede nel regno indiscusso della nonna, fu accolto da un coro di esclamazioni gioviali. La sovrana della cucina abbandonò i calderoni di rame che stava maneggiando e gli saltò al collo per stampargli un forte bacio sulla guancia.

-Oh, il mio ragazzo! Che bella sorpresa!-

Gli catturò il braccio e lo trascinò a sedersi con sé all’ampio tavolo nel centro della stanza, su cui i cuochi trituravano verdure e impastavano focacce.

-Come sono contenta che tu sia qui.-

André le sorrise e si accomodò su una sedia.

-Come stai? Mi sembri dimagrito.-

-Io sto benissimo, nonna. E tu?-

-Ah! Ogni giorno mi sveglio con un dolore nuovo, ma che ci vuoi fare? È l’età!-

Ridacchiò allegra poi allungò le mani rugose verso di lui e gli sistemò il colletto della giacca con un gesto nervoso.

-Oggi si è sposata la nostra Rosalie, dico bene?-

-Sì.-

-Una cara ragazza...-

Commentò Marron con un sospiro nostalgico.

-Sai, nonna, Oscar non ha partecipato al matrimonio.-

-Oh sì, lo so.-

-È in casa ora?-

Marron scosse la testa. 

-Non è tornata. Penso che il dovere la terrà lontana da qui per qualche giorno.-

Sbuffò e cominciò a spiegare quanto poco le piacesse il nuovo regime di vita di Oscar.

-È sempre così pallida.-

Si lamentò con aria tragica, passando ad elencare tutti gli insoliti comportamenti che Oscar aveva iniziato ad assumere. Mentre la ascoltava,André agganciò lo sguardo alle mani grassocce del cuoco che stendevano la pasta della focaccia su una teglia cosparsa d’olio e pensò amaro che quelle parole confermassero tutte le sue recenti riflessioni. Palazzo Jarjayes non digeriva facilmente le novità.

-Madame Marron, il maggiordomo vorrebbe parlare con voi.-

Disse ad un tratto una voce fiacca alle spalle di Andrè. La governante rispose che sarebbe arrivata subito e mentre si alzava dalla sedia, promise al nipote che al proprio ritorno gli avrebbe cucinato un piatto speciale.

Non appena la nonna ebbe lasciato la stanza, André sentì una mano posarsi leggera sulla sua spalla. Sollevò gli occhi e si trovò davanti il viso smunto e spigoloso di Annette.

-Buonasera, André.-

Mormorò languida con un sorriso sottile.

-Vieni con me.-

André non esitò a seguirla e si lasciò condurre nella stanza della dispensa, al riparo da orecchie e sguardi indiscreti.

-Dunque, Annette, come ti trovi a Palazzo?-

Lei glissò la domanda e gli lanciò un sguardo malizioso.

-Non mi avevi detto che la figlia del Generale gioca a fare il soldato.-

Lui non rispose.

-Beh, ieri si è presentato qui a Palazzo il Visconte Victor de Girodelle. Un bell’uomo, molto raffinato.-

Cominciò a raccontare lei, sistemandosi i ciuffi di capelli dietro le orecchie con un gesto civettuolo.

-Ha consumato il pranzo insieme a Madamigella Oscar e, durante il dessert, si è dichiarato. L’ho sentito con le mie orecchie. Ero presente nella stanza.-

-E lei?-

Annette si protese verso il suo viso e ridusse gli occhi a due sottilissime fessure.

-Tu ne sei innamorato.-

Dedusse leggendogli la verità nel nero delle pupille. Lui sospirò e non smentì.

-Ebbene,- continuò lei abbassando la voce di qualche tono -Madamigella Oscar non ha detto una parola mentre il Visconte cinguettava di amarla “con passione, rispetto ed infinita tenerezza”, parole sue. Ma quando è arrivato il momento di rispondergli, ha guardato noi cameriere e ci ha chiesto di rimanere da sola con lui.-

André provò a prendere aria ma il respiro gli si bloccò in gola, dandogli l’impressione di soffocare.

-Nient’altro?-

Mormorò con voce rauca.

-Dopo il pranzo, lei lo ha accompagnato nell’atrio, in totale silenzio. Non si sono nemmeno salutati, si sono scambiati solo un sorriso.-

-Un sorriso?-

-Un sorriso complice.-

Precisò Annette. André si portò una mano sulla fronte e indietreggiò finché la sua schiena non incontrò il muro.

-Annette, dimmi, ti prego, qualcuno qui a Palazzo ha fatto riferimenti ad un eventuale matrimonio?-

-Oh beh, si sentono tanti mormorii. Le altre domestiche sostengono che il Generale non faccia altro che discutere con Madame Marguerite di quanto sarebbe vantaggiosa un’intesa con la famiglia Girodelle.-

André si sentì svuotato. Abbandonò la testa contro la parete e sollevò gli occhi verso il soffitto basso.

-Si sposerà...-

Quella consapevolezza divenne veleno nel suo sangue. Le immagini del pomposo matrimonio di Oscar, che si era disegnato nella mente poche ore prima, sembrarono sfondare i confini della sua fantasia e concretizzarsi intorno a lui. Si vide ad assistere alle solenni nozze della donna che amava, rintanato in un angolo, solo e inadeguato con la sua sciupata giacca celeste.

E mentre si faceva consumare da quelle allucinazioni, avvertì le mani di Annette prendergli il viso, il suo respiro caldo lambirgli la guancia e poi le sue labbra baciargli la bocca. Non reagì, non rispose, non chiuse gli occhi, non mosse le mani.

Udì, vago, il rumore metallico della cinghia della propria cintura che veniva sganciata e la voce roca di Annette che gli soffiava sulle labbra parole spezzate, sensuali, ma fredde.

-Rilassati, voglio darti po’ di conforto.-

Ma non fu conforto ciò che sentì quando la mano di Annette si insinuò sotto la stoffa dei suoi pantaloni per regalargli qualche carezza audace. Provò solo ribrezzo. Ribrezzo per quel piacere sporco e ribrezzo anche per tutte le illusioni di cui si era nutrito, per il suo ingenuo e sfiancante inseguimento di una felicità fittizia e impossibile, per le regole del mondo in cui era costretto a vivere.

Sollevò le mani a fatica, come se avesse dei pesi di piombo legati ai polsi, e respinse Annette gentilmente. Le spiegò con voce fragile che non voleva quel genere di conforto e mentre si riallacciava i pantaloni aggiunse che aveva già provato quei palliativi in passato, ma che non avessero mai avuto alcuna efficacia.

Annette gli rispose che capiva, ma in verità sentiva di non poter davvero comprendere quanto fosse profonda e dolorosa la passione che bruciava dentro il corpo di quell’uomo giovane e ben fatto. Il suo concetto d’amore era stato compromesso dal mestiere che aveva esercitato per anni, si era annacquato e inquinato, mescolandosi con la bassezza della pura soddisfazione dei bisogni fisici. Sebbene il suo cuore appartenesse segretamente ad un uomo, Annette prese atto che non sarebbe mai stata amata con la stessa forza e determinazione di André.

Con un respiro profondo, il ragazzo ripristinò l’aria mite e serena con cui si era presentato a Palazzo. Controllò i propri vestiti per assicurarsi di essere in ordine e, sforzandosi di sorridere, ringraziò Annette della sua solerzia. Poi si avviò verso la porta con la testa alta e i pugni stretti, ma appena prima di uscire si fermò e senza voltarsi disse:

-Annette, per favore, dì a mia nonna che verrò a farle visita un’altra volta. E dille anche che le voglio bene e che la abbraccio.-

 

 

 

 

Cavalcò nelle strade di Parigi a lungo, senza meta, a testa china, come un pupazzo senza vita legato sulla sella. 

Gli soffiava addosso un vento gelido a cui i suoi abiti non erano per niente adatti, ma decise comunque di non tornare subito a casa. Il freddo lo aiutava a tamponare il dolore del cuore. I brividi erano più efficaci di una sbronza, sebbene non lo facessero sentire meglio. 

Gli venne in mente che presto sarebbe stato Natale, ma sembrava che Parigi non se ne ricordasse. Si percepivano nelle strade scarsamente illuminate solo mormorii fiochi, cigolii, timidi brandelli di frasi ovattate, l’odore gradevole di legna bruciata e quello pungente delle fognature. Nessuna aria di festa.

-Vuoi che ti predica il futuro?-

Gracchiò ad un tratto una voce acuta e stridula imponendosi sul silenzio della notte. André sollevò la testa svogliatamente e vide una vecchia zingara sull’angolo della strada avvolta in un mantello logoro, circondata da tre ragazzini magri e storti, tutti coperti di fuliggine.

-So già cosa mi aspetta.-

Rispose aspro.

-Ti dissi che non devi temere il futuro!-

La vecchia mandò via i marmocchi come se fossero mosche e arrancò sulla fanghiglia della strada verso il cavallo di André.

-Poiché so che hai un buon cuore, vorrei farti un dono. Ecco,- gli disse estraendo una mano dal mantello e porgendogli una fialetta azzurra -prendi, è un elisir d’amore.-

Le labbra di Andrè si arcuarono in un sorriso di sdegno, dietro cui nascose un senso di inquietudine ma anche una vaga tentazione di accettare.

-Non credo a queste sciocchezze.-

La zingara continuò a parlargli con voce melliflua, come se non lo avesse udito:

-Una goccia sulla pelle o in un bicchiere d’acqua aiuta a suscitare il desiderio. Ma fa’ attenzione. Questa essenza non va trattata con leggerezza. Con un uso eccessivo e sconsiderato diventa un veleno.-

André tese la mano, ma prima di prendere la boccetta borbottò:

-Non ho denaro con me.-

La vecchia scrollò la testa.

-Ti ho detto che è un dono.-

Gli lasciò la fiala nel palmo della mano e gli diede le spalle per andare a sparire nello stesso vicolo in cui si erano inoltrati anche i tre ragazzini.

André provò l’istinto di sbarazzarsi subito di quello strano ed inaspettato regalo, ma la curiosità prevalse e stappò la boccetta.

Mentre intorno a lui cominciava a volteggiare qualche solitario fiocco di neve, il profumo dell’elisir salì a stuzzicargli le narici e la memoria e di colpo la sua mente sprofondò nel passato. Si rivide da ragazzo, impacciato e insicuro, seduto sul letto del bordello mentre Cerise si profumava il collo. “Per aiutarti” gli aveva detto.

Un brivido doloroso corse lungo la sua schiena. Tappò la fialetta, la gettò nella tasca della giacca e incitò il cavallo al galoppo. Si diresse subito verso casa, tagliando velocemente l’aria gelida e lasciando che il vento freddo e la malinconia gli facessero lacrimare gli occhi.

-Forse è questo il veleno che ha ucciso Cerise.-

Se ne convinse, senza una vera ragione, e ne fu sopraffatto.

Quando giunse a casa, lasciò il cavallo sotto la tettoia nel cortile sul retro e salì nella propria stanza con i vestiti bagnati di nevischio e la testa pesante come se avesse bevuto un’intera botte di vino. Si lasciò cadere di schiena sul letto senza nemmeno togliere gli stivali e senza accendere la stufa.

Rimase immobile e sveglio a fissare una ragnatela sul soffitto fino all’alba.

   
 
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