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Autore: Ardesis    10/07/2019    8 recensioni
E se una piccola deviazione di percorso avesse compromesso l’intera vicenda?
Genere: Erotico, Introspettivo, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, André Grandier, Oscar François de Jarjayes
Note: Lime, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Gli era capitato molto spesso in vita sua di arrivare sveglio ad assistere allo spettacolo dell’alba, a quel lento, fiacco e struggente incedere della luce del sole. Ma quel giorno, quando il nero della notte aveva cominciato ad evaporare e lui era riuscito ad intravedere le prime sagome opache degli oggetti, invece che sentirsi rincuorato, aveva provato un senso di vertigine, di vuoto.

Come osava il sole sorgere ancora, costringendolo ad alzarsi dal letto per vivere un’altra grigia giornata di nulla?

Rimase immobile sul materasso rigido a guardare i contorni sempre più nitidi delle travi del soffitto.

Pensò con asprezza che d’ora in avanti se ne sarebbe fatto ben poco di una vista buona. Si era preso tanta cura di quell’occhio superstite, ma a quale scopo? Solo per poter vedere Oscar camminare verso un altare?

-Ti giuro, Oscar, che il giorno delle tue nozze con Girodelle io farò in modo di essere o cieco o morto.-

Promise fissando un piccolo ragno che tesseva la tela nell’angolo del soffitto.

In pochi secondi, la stanza fu inondata da una soffusa luce grigiazzura, perlacea, che filtrava attraverso la finestra appannata. 

André sospirò e si portò le mani sopra gli occhi irritati dal chiarore celeste dell’alba ed ebbe un fremito quando le sue dita sfiorarono la fronte. Era calda, rovente, e madida di sudore.

“Febbre”, una gran bella seccatura. Attribuì poeticamente la colpa del malanno alla propria tristezza, poi scelse di credere ad un’ipotesi più scientifica: il freddo.

Comunque, febbre o non febbre, non poteva permettersi di rimanere a casa ad affliggersi. Si obbligò a lasciare il letto spostando le gambe oltre il bordo del materasso e si issò a sedere con un gemito. Nessun muscolo gli faceva la grazia di non provocargli dolore e le ossa gli sembravano fragili come vetro. Si alzò, ma gli ci volle qualche secondo più del solito per trovare l’equilibrio. Si avventò sulle ante della finestra, le spalancò per prendere una boccata d’aria e trovò il davanzale coperto da un cuscino di neve fresca, bianchissima e invitante. Vi immerse di slancio la faccia, godette del beneficio del freddo sulla fronte, poi si tirò su, si ricompose, si vestì in fretta e uscì di casa per recarsi a lavoro.

Raggiunse lo studio di Moreau a cavallo, perché non era certo di avere abbastanza forza per camminare. Gli ci volle, comunque, un considerevole sforzo per tenere dritto in sella quel corpo fiacco e pesante dentro cui si era svegliato quella mattina.

-Hai un’aria stanca oggi. Non ti senti bene, André?-

Inquisì Moreau, non appena lo vide, con l’aria di chi crede che nulla gli possa sfuggire.

-Ho dormito poco.-

Glissò André, lasciandosi cadere sulla sedia del proprio scrittoio e chinandosi subito sulle carte.

-Hai saputo che il Marchese di Nardien è stato ucciso, André?-

Una scintilla di interesse fece subito scattare la testa del ragazzo verso Moreau.

-Hai proprio una pessima cera.-

Commentò l’avvocato con un sorriso storto, come se si fosse servito di quella domanda solo per poter esaminare la faccia di André. Poi però tornò serio, quasi cupo, e ribadì:

-Ebbene, hai sentito la notizia?-

André si limitò ad annuire e solo allora si ricordò dello scambio di lettere tra Moreau e Nardien. Quando Alain gli aveva dato la notizia dell’omicidio, non si era soffermato molto sulla corrispondenza tra i fatti. Non ne aveva avuto il tempo. Era stato troppo occupato a preoccuparsi per il matrimonio di Oscar.

-Ti sarà sembrato strano che io abbia mandato una lettera al Marchese proprio la sera precedente al fatto.-

Lo provocò Moreau, con finta noncuranza.

-Una coincidenza, immagino.-

Rispose André, sincero.

-Sei sempre molto cauto nelle tue risposte, André.- borbottò Moreau dopo un mugolio -Per questo ancora non comprendo se tu sia bianconero.-

André corrugò la fronte.

-Non capisco a cosa vi riferiate.-

-Intendo dire che sono assolutamente convinto che tu non sappia scegliere da quale parte della scacchiera stare.-

Gli occhi arrossati di Andrè si ridussero a fessure. Moreau gli stava forse facendo intendere che non si fidava di lui, che lo riteneva volubile, doppiogiochista, indolente? Gli stava chiedendo una garanzia di affidabilità per capire se avrebbe potuto confidargli il vero significato di quelle lettere? Quello scambio epistolare era stato più di una semplice coincidenza, forse? O era una tutta una messa in scena?

-Permettetemi di provare a tradurre la vostra metafora, signore.- Azzardò André passandosi una mano sulla fronte. -Con bianco intendete designare l’aristocrazia e con nero il popolo, giusto?-

Moreau non batté ciglio. André prese il suo silenzio come una conferma e continuò:

-Io sono nato nero e sono cresciuto tra i bianchi. Perciò credo di essere... ecco, un po’ grigio.-

-Il grigio non esiste, ragazzo.-

André scrollò la testa esasperato.

-Non capisco il senso di questo discorso, signore.-

Non aveva la forza né la voglia di decifrare le allusioni di Moreau. Era seviziato da continui brividi in tutto il corpo, aveva le labbra secche, gli occhi stanchi, la vista debole e fastidiosi ciuffi di capelli continuavano ad appiccicarsi sulla sua fronte bollente e sudata.

Mentre aspettava che Moreau si degnasse di dargli una spiegazione per quei suoi strani giochetti di parole, il garzone si affacciò dalla porta e informò l’avvocato che “un riguardoso ospite” era nell’atrio in attesa di essere ricevuto.

Moreau scattò in piedi come se un insetto l’avesse punto, raggiunse André e gli prese le spalle con una stretta nervosa.

-Tu non stai bene, ragazzo, quindi ora vai a casa. Non mi servi a nulla in questo stato. Rimettiti in senso per l’udienza di mercoledì.-

André lo guardò perplesso, ma non si fece pregare.

-Vi ringrazio.-

Biascicò sollevandosi dalla sedia. Gli sembrò evidente che quello sfoggio di premura servisse a Moreau solo per garantirsi un colloquio privato con la persona che attendeva nell’atrio, ma André non si risentì per la scarsa fiducia. Fu felice di aver ottenuto qualche giorno di riposo. 

Mentre usciva dallo studio, urtò la spalla dell’uomo che entrava. Lo scontro fu breve, i due si scambiarono delle scuse distratte e si guardarono di sfuggita solo per mormorarsi un educato saluto. André notò che l’ospite di Moreau era un signore distinto, alto, accigliato e con dei tratti che gli sembrarono familiari. Non si sforzò di ricordare dove l’avesse già visto. Ipotizzò che fosse qualche noto personaggio incrociato in passato a Versailles, probabilmente un illustre cliente di Moreau con qualche segretuccio scomodo che l’avvocato aveva il compito di custodire con la discrezione di un confessore.

Salutò distrattamente il garzone e uscì sulla strada. Attraversò il pantano di fango e neve della via e si infilò sotto la tettoia del maniscalco che aveva accettato di custodire il suo cavallo.

-Un decotto di mia nonna e mi riprenderò nel giro di una notte.-

Mormorò all’orecchio di Alexander mentre gli lisciava il pelo lucido del muso con la mano.

Era stato un buon affare chiedere al Generale quel cavallo come unica ricompensa per tutti gli anni di fedele servizio accanto ad Oscar. Certo, non era un animale giovane e nemmeno molto bello, ma era solido, robusto e docile. Spesso, in passato, André aveva fatto osservare scherzosamente ad Oscar quanto loro due fossero simili ai rispettivi cavalli, ma a ben pensare non c’era niente di buffo in quel paragone. E, inoltre, sarebbe stato più corretto ribaltare i termini dell’analogia. Erano i cavalli ad essere simili, o meglio, adeguati a coloro che li cavalcavano.

Diede due monete al maniscalco e salì in sella.

Le strade di Parigi erano affollate, rumorose e caotiche, come tutte le mattine e forse anche più del solito. Alle imprecazioni dei passanti per il fastidio della neve si sommavano insulti, lamentele, sfuriate, cigolii, tonfi. Nessun suono allegro, niente che presagisse la festosità del Natale ormai prossimo, in quel groviglio di rumori.

Avvolto nel mantello e schiacciato dal suo malessere, André riuscì a stento a dirigere il cavallo, che, per sua fortuna, aveva buona memoria. Prese la strada che portava ad est, verso il sobborgo di Neuilly, in direzione di Palazzo Jarjayes, e lasciò morbide le redini.

Nella turbinante giostra di corpi, carri, merci e cavalli che lo circondava, non riuscì a distinguere quasi nulla. Fu attratto solo da una disputa particolarmente accesa tra un uomo a cavallo e un uomo sulla strada. Quest’ultimo ruggiva e gesticolava con rabbia investendo il giovane in sella con acide accuse e fantasiose bestemmie.

-Il tuo dannato ronzino mi ha urtato e mi ha fatto cadere la legna! Ora è tutta impregnata di neve!-

Sbraitava indicando una serie di ciocchi sparsi nella fanghiglia grumosa della strada.

André si passò il dorso della mano sull’occhio per schiarire la vista appannata e quando guardò di nuovo, riuscì a riconoscere il ragazzo a cavallo. Era Louis de Saint Just, lo studente della stanza al piano intermedio, l’uomo da cui Bernard aveva detto di tenersi alla larga.

André rallentò e gli dedicò tutta la propria attenzione.

Dopo aver replicato con calma stoica alle invettive, Saint Just diede un colpo di talloni al ventre del proprio cavallo e si inserì nel flusso della strada, dando le spalle ad André e cavalcando anch’egli verso Neuilly. 

Per un motivo che lui stesso non riuscì a spiegarsi, André decise di ignorare i consigli di Bernard. Si coprì al meglio il volto con il cappuccio del mantello e si tenne dietro Saint Just ad una cauta distanza.

 

 

 

 

 

-Ah, Jarjayes!-

Esclamò con voce grossa il Generale Bouillet mentre scendeva le scale del cortile reale di Versailles, appesantito da un grosso mantello grigio orlato di pelliccia e sorretto dal suo inseparabile bastone.

-Vi cercavo.-

Aggiunse quando gli fu abbastanza vicino per non dover alzare troppo il tono.

Il Generale Jarjayes stirò le labbra in un sorriso freddo quanto il vento nordico che soffiava leggero sullo spiazzo e osservò Bouillet con malcelata impazienza mentre questi arrancava verso di lui sul suo ginocchio guasto.

-Stavo facendo ritorno a casa.-

Spiegò calmo, quando Bouillet lo raggiunse.

-Allora permettetemi di accompagnarvi sulla mia carrozza, Jarjayes. Scambieremo due parole durante il tragitto.-

Jarjayes acconsentì con un rigido gesto del capo e seguì Bouillet verso la sua carrozza. Provò una punta di fastidio nel dover costringere le proprie gambe, ancora agili e sane, ad adeguarsi all’andatura lenta e difficoltosa del compagno. Detestava camminare piano, soprattutto quando faceva freddo.

-Devo parlarvi di Oscar.-

Borbottò cupo Bouillet mentre affondava passi goffi nella neve fresca.

Jarjayes fece una smorfia cortese per far intendere che quell’anticipazione non era necessaria. Lui e Bouillet non avevano mai parlato di altro.

Rimasero entrambi in silenzio finché non si trovarono chiusi nel cocchio, che Bouillet definì con ironia e soddisfazione  “il proprio confessionale da viaggio”, per poi elencare, senza che Jarjayes gli avesse chiesto di farlo, tutti i vantaggi del riservare le conversazioni più intime ai viaggi in carrozza. 

-Comodità e impareggiabile segretezza. Non ci sentirà neppure il cocchiere.-

Jarjayes abbozzò un sorriso deducendo senza sforzo che Bouillet avesse già sperimentato quei vantaggi in gioventù, durante gli occasionali incontri amorosi. Mise subito da parte quei pensieri e rabbrividì.

-Ebbene?-

Lo sollecitò sfregandosi le mani per riscaldarle.

-Vedete, Jarjayes, ieri ho ricevuto una lettera molto esplicita da parte dei soldati della Guardia di Parigi. Non vogliono accettare il comando di Oscar.-

Jarjayes si mosse sul sedile come se dita invisibili l’avessero pizzicato, ma non disse nulla.

-Non posso ignorare le proteste dei soldati, ma non posso nemmeno ripristinare il ruolo di Oscar nella Guardia Reale. Non ve lo dico per sfiducia nei confronti di vostra figlia, ma spero che capiate che è una situazione complicata e sono in dubbio su come gestirla. Se Oscar non riuscisse a farsi accettare dai suoi uomini, io sarei costretto a trasferirla e a degradarla.-

-Forse posso offrirvi una soluzione.-

-Ve ne sarei grato.-

-Oscar potrebbe sposarsi.-

Il collo di Bouillet sparì dentro il bavero di pelliccia.

-Sposarsi...- ripetè piano, come se fosse una parola straniera dal suono impronunciabile -Sposarsi con... con un uomo?-

Jarjayes sbuffò e sorrise, sforzandosi di alleggerire l’imbarazzo.

-Certo, certo! Con un uomo.-

 

 

 

 

Neuilly era un sobborgo tranquillo, sereno, con tante belle case di villeggiatura sparse tra i parchi e molte botteghe di mercanti che sfruttavano il commercio fluviale. Subito oltre il porticciolo sulla Senna, dopo il ponte, la via diventava più stretta e sterrata e si tuffava in una fitta boscaglia fino a raggiungere e sfociare in un’altra strada, quella che, costeggiando un canale parallelo alla Senna da Sèvres fino a Saint-Denis, congiungeva Versailles alle campagne di nordest di Parigi, dove si trovava Palazzo Jarjayes. Saint Just prese proprio quella direzione.

Superati gli ultimi edifici di Neuilly, la strada si spopolò e André fu costretto, per prudenza, a concedere a Saint Just un netto vantaggio. Lo perse di vista nel candore accecante della neve e dovette rassegnarsi a seguire la successione di orme lasciate dal suo cavallo, che fortunatamente erano le uniche tracce che deformavano la patina compatta di neve sulla strada. Poi, però, all’altezza dell’incrocio con la strada che collegava Versailles al nord di Parigi, si materializzarono, ad un tratto, altre due scie di solchi di zoccoli, che si originavano dagli arbusti a lato della strada, come se due cavalli fossero emersi dal boschetto per proseguire ai fianchi di Saint Just. 

Dunque due uomini si erano uniti a lui?

André provò a sollevare lo sguardo e si portò una mano sulla fronte per proteggere gli occhi dalla luce e dagli sbuffi d’aria fredda, ma non riuscì a vedere altro che sagome distanti, scure e sfocate, immerse in una distesa di bianco accecante.

“Se io non vedo loro, non è detto che loro non vedano me.”

Non poteva rischiare di essere notato, così decise di addentrarsi tra i tronchi spogli del boschetto, riguadagnare terreno e pedinarli quasi lateralmente, protetto dagli arbusti e dalla foschia opalina. Conosceva bene la zona tra Versailles e Palazzo Jarjayes, era stata teatro di buona parte della sua vita.

Proseguì con sicurezza nella boscaglia e si avvicinò al gruppo di Saint Just favorito dal velo di nebbia e dalla neve soffice e spessa che attutiva il rumore degli zoccoli di Alexander. Concesse un po’ di riposo alla vista e si lasciò condurre soltanto dal rumore cadenzato e regolare degli zoccoli dei tre cavalli e dallo sciabordio del canale che essi stavano costeggiando.

Aveva percorso un buon tratto, nascosto nel bosco quasi come un furfante in agguato, quando un’improvvisa e acuta fitta alle tempie gli fece rimpiangere di aver intrapreso quella strana avventura. A che proposito, poi? Stava pedinando un uomo soltanto sulla base di una vaga allusione di Bernard e di un proprio brutto presentimento? Non era nemmeno nelle condizioni adatte. Era infermo, disarmato e solo. Per giunta non aveva idea di dove fosse diretto Saint Just né per quanto tempo avrebbe dovuto stargli alle calcagna e nemmeno se ne sarebbe valsa la pena, e intanto riusciva a stento ad impedirsi di perdere i sensi. Se, svenendo, fosse caduto da cavallo, in breve tempo e senza neanche accorgersene sarebbe morto assiderato nella neve e forse il suo corpo sarebbe stato ritrovato solo dopo diversi giorni. Sarebbe stata una fine piuttosto ingloriosa e perfino imbarazzante.

Il suo buon senso cominciò a rimproverare severamente la sua avventatezza. 

-Avrei dovuto prendere la scorciatoia per Palazzo Jarjayes quando ero ancora a Neuilly e senza pensarci due volte! Ora mi troverei davanti ad un bel fuoco, con una ciotola di buon brodo caldo tra le mani e una pezza umida sulla fronte.-

 

 

 

 

 

-Jarjayes, voi avete la straordinaria capacità di lasciarmi senza parole.-

Borbottò Bouillet con un tono che non aveva nulla di sarcastico. I suoi mustacchi grigi ondeggiarono più volte per esibire il suo turbamento per quella bizzarra novità, e anche una sfumatura dissenso.

-Vorreste che vostra figlia si sposasse? Farei meno fatica a credere che stiate scherzando, pur conoscendo molto bene la vostra rigida opinione in merito alle burle.-

-Sto invecchiando, Bouillet.-

Ammise Jarjayes, determinato a non concedersi il minimo tremito della voce, mentre osservava le acque opache del canale che scorreva a lato della strada.

-Vedete, ormai la mia mente è scattante quanto lo siete voi con il vostro ginocchio, mio caro amico, eppure ho scoperto che ragionando lentamente, si ragiona meglio.-

-E a quale conclusione vi hanno condotto le vostre caludicanti riflessioni?-

-Mia figlia Oscar è molto sola.-

Bouillet emise un sospiro assorto e incrociò le dita sullo stomaco prominente. 

-Comprendo la vostra preoccupazione, Jarjayes, ma siete certo che Oscar desideri sposarsi?-

-Ebbene, non ne ho la certezza. Ha già rifiutato una recente proposta.-

-Se non vuole, che farete? Pensate di costringerla? Mi sembra una contraddizione bella e buona.-

-Non ho alcuna intenzione di obbligarla. Le vorrei soltanto offrire la possibilità di trovare un compagno. Che si scelga l’uomo che più le piace!-

-E lascereste che il vostro illustre cognome si estingua insieme a voi?-

-Pare che questo sia il volere di Dio. Il nome degli Jarjayes comunque non sopravviverebbe oltre Oscar, per ovvi motivi. Forse riuscirò a guadagnarmi un po’ di pace nella tomba se toglierò questo peso dalle sue spalle e lascerò che resti sopra le mie. Così deve essere.-

Jarjayes tacque e si perse a seguire la sfilata di tronchi spogli che scorrevano dietro ai vetri dello sportello. 

Gli venne in mente, senza un apparente motivo, Victor de Girodelle. Ripensò ai suoi occhi affilati, duri e limpidi come tormaline, che si erano fatti cupi e timidi quando gli aveva confessato i suoi sentimenti per Oscar. Mai, assolutamente mai, da quando Oscar era venuta al mondo, l’immaginazione del Generale era stata sfiorata dall’idea che, un giorno, il rampollo di una ricca e prestigiosa famiglia potesse spingersi al suo cospetto per chiedere, con voce tremante e guance arrossate, la mano della sua ultima figlia. Girodelle era un uomo stimato dalla corte, ambito dalle donne, erede di un casato illustre e avrebbe potuto -anzi, dovuto- scegliere una moglie giovane, con un corpo e un’educazione approntati per dargli molti figli e poche noie. Invece, lui voleva proprio Oscar e la voleva moltissimo. 

Il Generale ripensò anche al proprio imbarazzo di fronte all’emozione e al fervore con cui Girodelle gli aveva intessuto le lodi di Oscar. Con le sue parole intrise di entusiasmo, quel giovane Visconte gli aveva inconsapevolmente dato uno schiaffo alla coscienza. Da quell’incontro il Generale Jarjayes ne era uscito stravolto, completamente ribaltato, e aveva compreso che fosse giunto il momento di dimostrarsi fiero della propria straordinaria figlia e più attento alle sue necessità più intime.

-Potrei organizzare un ballo a corte, in onore di Oscar...- propose Bouillet interrompendo i pensieri del compagno e ravvivando il pelo di volpe che gli incorniciava il collo -Sono certo che parteciperanno numerosissimi gentiluomini di alto rango interessati a trovare una consorte, se Oscar acconsentirà ad indossare un abito da donna.-

Il volto del Generale Jarjayes si illuminò. 

-Mi sembra un’ottima idea, Bouillet.-

 

 

 

 

-Ho avuto proprio una pessima idea, Alexander.-

Mormorò André chinandosi ad accarezzare il collo massiccio del cavallo. Tirò le redini e lo fece rallentare.

-Lasciamo che loro vadano dove devono. Su, bello, ora torn...-

Lasciò cadere la frase e abbandonò l’intenzione della resa, quando, di colpo, il lento e regolare rumore di zoccoli che proveniva dalla strada si trasformò in un rullare impetuoso di cavalli al galoppo. Un secondo dopo riecheggiò tra i tronchi lo schiocco cupo di uno sparo e poi subito un altro. 

Lo spirito di Andrè si infervorò. Con la mente improvvisamente lucida e i muscoli tesi e reattivi, spronò con foga il cavallo ad affrontare la neve alta e ad uscire dal bosco. Sgusciò fuori dalla vegetazione, gettò lo sguardo in lontananza e riuscì a scorgere una carrozza di aspetto nobiliare che procedeva veloce sulla via sbandando ora verso il bosco ora verso il canale. Saint Just e i suoi due compagni avevano compiuto un agguato? Era stato lui ad aver assassinato, alla stessa maniera, il Marchese di Nardien?

Incitò Alexander a galoppare più veloce dei cavalli imbizzarriti che trainavano la carrozza e quando finalmente la raggiunse vide sul fianco della vettura lo stemma della famiglia Bouillet.

-Sono qui in soccorso!-

Gridò, senza sapere se qualcuno all’interno potesse ancora sentirlo, e si staccò dalla sella con un balzo per lanciarsi sul corpo inerme del cocchiere, freddato con un colpo alla testa. Agguantò le redini, le arrotolò intorno ai palmi per non farsele sfuggire, chiuse forte i pugni e le tirò, invocando l’aiuto di Dio. La carrozza sbandò ancora verso il fiume, una delle ruote emise un grido stridulo e sembrò volersi staccare dall’assale, ma i cavalli si arrestarono e il cocchio terminò la sua folle corsa lontano dal bordo del canale.

Con uno sbuffo di sollievo, André scese dalla cassetta ma, non appena posò i piedi a terra, le ginocchia cedettero e si trovò ad accasciarsi sulla neve, ansimante e frastornato, mentre lo sportello della carrozza si spalancava con uno schianto. Ne emerse un pallido e furioso Bouillet, che si avventò su di lui agitando una pistola carica. Lo infilzò con occhi feroci e iniettati di sangue e, puntandogli sul petto la canna dell’arma, sbraitò:

-Tu chi sei?-

-Mi chiamo André Grandier, signore. Non ho cattive intenzioni, voglio solo aiutarvi. Siete ferito?-

Il volto di Bouillet fu attraversato da un fremito che sgretolò la maschera di aggressività e ne esibì tutto lo spavento che aveva trattenuto. Puntò un dito tremante verso l’interno della carrozza e faticando a trovare un suono da dare alla propria voce, esclamò:

-Non io, ragazzo!-

 

 

 

 

 

Oscar cavalcò verso casa spingendo Cesar ad una velocità folle, tagliando l’aria gelida e tollerando gli schiaffi brutali del freddo sul viso. Riusciva a pensare soltanto “Più veloce! Più veloce!” e non tirò le redini finché non fu davanti al portone di Palazzo Jarjayes. 

La sua mente era vuota, lo stomaco sottosopra, gli occhi incapaci di vedere. Percepì la propria corsa furiosa nell’atrio, sulle scale e nel corridoio come uno stralcio confuso di un incubo e quando raggiunse la stanza di suo padre, non osò superare la soglia della porta. 

Nell’istante in cui si fermò, prese atto del bruciore nei polmoni, nella gola, negli occhi e in ogni muscolo del corpo. Non riuscì ad emettere altri suoni che non fossero profondi ansiti. Poi il velo nero che le oscurava la vista finalmente cadde e il suo sguardo attonito si insinuò sotto l’ombra del baldacchino del letto in cerca di un segno di vita sul corpo disteso e rigido di suo padre. Notò prima di tutto le bende sul suo petto e la macchia di sangue che rivelava in quale punto fosse stato colpito dal proiettile, poi si accorse che il torace si sollevava e si abbasta piano, seguendo il flusso lento e regolare del respiro.

-Tuo padre è vivo, Oscar.-

La voce di sua madre sembrò emergere quasi dal nulla per rispondere ad una domanda che Oscar non osava formulare nemmeno nel pensiero. Mosse gli occhi in cerca del dolce volto materno e lo trovò alla propria destra accanto a quello di Marron, entrambi distesi in sorrisi rincuoranti e illuminati dalla luce argentea che proveniva dalla vicina finestra. La serenità che vide nei loro occhi le diede la forza per inoltrarsi nella stanza fino a raggiungere il letto del padre. Lo chiamò in un sussurro e trasalì quando egli aprì gli occhi. 

-Oscar, non temere, gli Jarjayes hanno una fibra forte.-

Qualche lacrima salì a velarle gli occhi.

-Sono accorsa non appena ho saputo.-

-Dio mi ha assistito, Oscar.-

Mormorò il Generale, sollevando la mano per prenderle il polso.

-La ferita non è grave, ma se non fosse stato per André, io e Bouillet ora giaceremmo in fondo al canale.-

Oscar avvampò.

-André?-

-Sì. Che dono del Cielo! Pare che si trovasse sulla nostra stessa strada quando siamo stati assaliti. Si è precipitato in nostro soccorso, ha fermato i cavalli imbizzarriti prima che ci trascinassero nel fiume e poi ci ha condotti qui a Palazzo.-

Gli occhi lucidi di Oscar si affannarono invano a cercarlo nella stanza.

-Dov’é?-

-È a letto, nella sua stanza. Ha una brutta febbre.-

Si intromise Marron con voce tenue.

Oscar la guardò e annuì, poi prese la mano di suo padre tra le proprie e la strinse forte per comunicargli quanto fosse vigoroso il sollievo che provava e per confermargli che sì, gli Jarjayes avevano una fibra forte. Poi la riadagiò sul lenzuolo, gli sorrise con garbo, come se volesse scusarsi, e disse:

-Devo vedere André.-

 

 

 

 

 

Le finestre erano alti rettangoli di luce grigia che arrivavano a sfiorare il soffitto. Il cielo al di là dei vetri era un uniforme fondale d’argento brillante. Forse avrebbe nevicato ancora, pensò Oscar richiudendo lentamente la porta per non far cigolare i cardini. Rimase un momento sulla soglia a guardare quella piccola stanza silenziosa invasa dal lucore perlaceo del cielo che smorzava i colori verdi e azzurri dei mobili e dei tendaggi.

Il respiro lento e profondo di Andrè era l’unico palpito di vita in quel grigio regno di malinconici ricordi. Lui dormiva, supino, al centro del suo piccolo letto. Si era scostato il lenzuolo dal petto -Oscar vide che ne teneva ancora i lembi tra le mani- e si era aperto la camicia per tollerare meglio le vampe di calore della febbre. 

-Ti sono grata, André.-

Gli sussurrò con voce lieve, mentre raggiungeva il suo capezzale.

 -Mi chiedo se potrò mai estinguere l’enorme debito che ho con te.-

Sollevò la pezza umida che gli copriva la fronte e la intinse nell’acqua del bacile accanto al letto per restituirgliela fresca. Esitò un momento a guardare le sue palpebre chiuse, aspettando di scorgervi un fremito che preannunciasse il suo risveglio, ma André doveva essere davvero esausto e non ebbe la minima reazione. Oscar decise di restare comunque. La presenza fisica di André era confortante, stemperava l’agitazione dei suoi nervi ancora tesi. Si sedette sul bordo del letto, facendo attenzione a non sfiorarlo né a muovere troppo il materasso. Vegliò sul suo sonno in silenzio, studiò i suoi lineamenti di uomo maturo e fu attratta dalle sue mani aggrappate morbidamente al lenzuolo. Gli prese la destra con dolcezza, gli dischiuse le dita e notò che il palmo era attraversato da una striscia rossastra, testimonianza della forza che aveva esercitato per tirare le redini dei cavalli imbizzarriti.

Mentre gli accarezzava la mano col police, avvertì un’improvvisa ed irrefrenabile necessità di ringraziarlo, non solo per aver salvato suo padre, ma anche per aver provato a salvare lei da se stessa, giorno dopo giorno, per tutti quegli anni. 

Sollevò gli occhi sul suo volto rilassato, si protese sopra di lui e allungò la mano verso la sua spalla, ma non lo toccò. Fu turbata da un caldo sentimento di tenerezza che si irradiò nel centro del suo petto. Anziché toccargli la spalla, gli sfiorò la mascella con la punta delle dita per dagli una leggera carezza. Non voleva strapparlo a quel sonno così dolce e profondo, ma non avrebbe saputo come sopprimere quell’impulso a dimostrargli riconoscenza. Avvicinò il viso al suo e gli baciò la bocca. Non fece altro che premere le labbra sulle sue e trattenersi su di esse, che trovò caldissime, umide e gradevoli. Non ebbe timore che si svegliasse. Aveva l’inspiegabile certezza che André non avrebbe aperto gli occhi.

Quando le labbra di staccarono, produssero un breve e debolissimo schiocco. Quel suono, così intimo e inequivocabile, la intimidì e il suo cuore prese a battere con irruenza improvvisa. 

Si alzò dal letto senza la delicatezza che aveva usato nel sedervisi e si tastò le labbra, disorientata dalla piacevolezza dell’impronta calda lasciata dalle labbra di lui. 

Si rese conto d’improvviso che quella bocca aveva già incontrato la sua, ma dopo un primo momento di sconcerto ritrovò la calma. Le parve che tutto fosse tornato in equilibrio, che quel bacio palliativo avesse finalmente sanato la ferita che André aveva aperto molte sere prima. Si riempì i polmoni e fu come respirare per la prima volta dopo mesi.

Ma il freddo e l’ansia che l’avevano accompagnata nella sua corsa verso il Palazzo di colpo manifestarono su di lei i loro effetti. Era meglio ritirarsi a riposare e a ritrovare la lucidità. Così cominciò ad indietreggiare verso la porta, attenta a non produrre il minimo rumore. Ma, nonostante tutta la sua cautela, quando la maniglia della porta cigolò sotto la spinta della sua mano, dalla gola di Andrè emerse un mugolio che la fece trasalire. Lo guardò aspettando nervosa che lui si destasse, poi capì che anche questa volta non sarebbe successo. Era stata solo un’innocua turbolenza del sonno. Rimase ad assistervi col fiato sospeso, come se stesse ammirando un raggrumarsi di nuvole grigie prima di una tempesta. André inclinò la testa sul cuscino, emise un suono simile ad un singhiozzo e mosse pianissimo le labbra borbottando parole confuse ma comprensibili:

-...non ti sposare, Oscar, ti prego...-

Lei percepì un guizzo di sofferenza nella sua voce rauca e, mentre lo guardava sprofondare di nuovo in un sonno quieto, sentì germogliare nel cuore lo stesso senso di tenerezza che aveva provato poco prima. Questa volta, però, le fece male.

-Credo che non mi sposerò tanto presto, André.-

Mormorò in un soffio. Esitò ancora un momento a guardarlo e sperò che le proprie parole risuonassero nei suoi sogni. Poi, con il cuore e la testa in subbuglio, uscì.

   
 
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