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Autore: Servallo Curioso    26/07/2009    1 recensioni
Ham è un dio che vive in un pantheon fatto di ruoli assurdi. Lui, comunque, si sente costretto a quel ruolo fatto di studio e ricerca; privo di azione, fama ed esperienza. Non è capace di accettare la sua natura così impulsiva e sognante, all'opposto del suo ruolo: l'archivista che passa l'eternità nelle sue stanze. Conosce gli dei, conosce la storia, conosce qualsiasi cosa scritta fino a quel momento: ma non conosce il brivido di provare quelle avventure tanto sognate sulla propria pelle. Quando l'occasione finalmente si presenta, Ham, capisce di non essere adatto a quel genere di storie: quelle con l'azione, la paura della morte e il fragore delle armi di sfondo. Questa volta, però, non potrà decidere di ritirarsi: è scoppiata la guerra.
Genere: Drammatico, Azione, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 23 – Il primo passo verso la battaglia

Quando arrivai su uno dei fianchi esterni della struttura si apriva un'immensa voragine. Un segno dell'ultima battaglia di quel popolo: quando re Morv aveva opposto una feroce resistenza alle truppe dell'ovest. Una battaglia epocale. L'ultimo baluardo dell'alleanza tra uomini ed elfi, caduto dopo un mese di assedio.
A terra, nella neve, due sagome stese a terra. Chiusi gli occhi implorante.
Si trovavano al di fuori della fortezza, nella piccola valle circondata dai monti.

A Krost non era andata a genio l'idea di far parte di quella missione: lei era portata per altro. Nelunis l'aveva trascinata con sé, indicandola come la più adatta a quella situazione.
Al suo arrivo, dopo un'ora di interminabile viaggio, però aveva capito che il suo compito era solo di fare da 'esca' per il cane da guardia della dea. Arrivati alla fortezza le due si erano divise.
Nelunis si era mossa con agilità, nascondendosi e cercando un modo di entrare molto furtivo, l'altra aveva iniziato a chiamare a gran voce Elian, a sbraitare e agitarsi, solo per attirare su di sé gli sguardi.
Così fu e dopo pochi minuti era apparso il bruno dalla pelle impenetrabile, colui che durante l'attacco al Palazzo aveva intralciato la strada a lei e a Katyana. Si era scordata di lui e solo in quel momento si compiacque della missione.
Dopo una lunga battaglia, però, lei iniziava a pentirsi. Sandol, l'uomo che aveva davanti, sembrava fatto di dura pietra oppure resistente metallo. Qualsiasi colpo era pressoché inutile. Dardi, getti, spade o bestie fatte di inchiostro non lo avevano neppure graffiato. Lui, invece, aveva tempestato ilo corpo della dea con calci e pugni potenti come colpi di spranga. Krost si era accasciata a terra, approfittando di una pausa del suo nemico.
A terra un'enorme chiazza di quel liquido nero che macchiava la neve.
Neve. Per una qualche magia antica, in quella gola tra i monti era sempre inverno. Un soffice manto bianco la ricopriva anche durante l'estate.
Ansimava e sentiva i rigoli di sudore mischiarsi al sangue che sputava dolorante. Si toccò il ventre molle. Quante costole mi sarò rotta? Pensò. Quante ossa sono in frantumi, quanti organi sani rimangono?
Non aveva mai provato una simile sensazione, eppure, aveva preparato una strategia. Inizialmente la credeva geniale, ma infine l'aveva trovata un po' banale. In caso ci avesse scritto una storia sopra di sicuro avrebbe cambiato quella parte.
Lui ne era ignaro, ma durante la lotta il suo corpo si era macchiato di sangue nero. Gli ultimi attacchi erano stati quasi ed esclusivamente getti d'inchiostro, sudore e sangue mirati al volto e lui si faceva colpire, cosciente di uscirne immune. Stupido, pensava la dea lanciandogli occhiate ostili. Sandol aveva respirato e bevuto quell'inchiostro, una volta si era perfino pulito il volto con il dorso della mano e lo aveva leccato come monito della sua potenza, altre volte aveva sputato via quel liquido come si fa dopo un sorso di acqua salata.
Ormai la dea doveva solo aspettare che quel sangue fosse entrato in circolo per mettere fine al combattimento. Un infido veleno.
Durante la lotta aveva pensato a lungo. Mentre subita la violenza del suo nemico aveva viaggiato con la propria mente immaginando uno scontro diverso. Dove lei vinceva e lui rimaneva estasiato dalla sua potenza, ammirandola e scoprendosi innamorato solo al momento della morte.
Non era andata in questo modo ma lei l'avrebbe scritta un giorno. Quando tutto questo fosse finito, quando la guerra fosse diventata solo un ricordo da evitare durante le riunioni con i fratelli. Era una gran sognatrice.
Ora sentiva però una gran voglia di risposarsi. Avrebbe pensato a tutto una volta risvegliatasi da un lungo e sano sonno.
Si gettò a terra con il volto rivolto al cielo plumbeo e chiuse con forza i pugni. Era il segnale. In un solo istante quella microscopica quantità di sangue nero all'interno di Sandol si agitò, tremò, si trasformò con l'intento di ucciderlo. Lui urlò e cadde al suolo, mentre qualcosa sminuzzava, divorava e lacerava le sue carni dall'interno.
Che cosa inverosimile” sussurrò la dea impossibilitata a godersi la scena. Sentiva solo i lamenti di qualcuno che aveva dimenticato cos'era il dolore e che adesso lo riscopriva in maniera spiacevole. Un'ultima volta.
Si promise di leggere romanzi dedicati all'armonia, all'amore e non alla guerra e alla sofferenza, almeno per un po'. Ora che aveva provato sulla sua pelle tutto ciò era convinta di poterne fare a meno a lungo. Non era come se l'era immaginato, lo scontro mortale tra due potenti nemici.
Tutto era terribilmente sporco e doloroso.
Neppure io l'avevo sognata così: la guerra.
Appena atterrai, volatilizzando quella nube di fogli dietro di me, mi diressi verso di lei.
Krost aveva gli occhi socchiusi e respirava debole. Poco più in là, Sandol faceva degli strani rumori, grida sommesse, urla di dolore deboli.
Krost!” urlai gettandomi accanto a lei e sentendo le gambe e le mani gelarsi al contatto con la neve macchiata di nero. “Krost!”
Lei sospirò. “Ham, ho un'ispirazione per una storia”.
Non parlare” le ordinai. “Stai immobile e non fare sforzi inutili. Ora ti porto al Palazzo e ....”
Un fragore.
Un tonfo sordo mi bloccò.
Voltandomi vidi una torre di guardia crollare lontana e la polvere alzarsi. Due dee stavano affrontando una lotta, non dovevo dimenticarlo. Attirato da ciò abbandonai Krost lì, nel silenzio dello spazio bianco.

Evocai un'altra nuvola di fogli per arrivare in alto, alla cittadella e da lì seguii i rumori.
Elian però fu troppo rapida. Mi sorprese affacciato dalla muraglia più alta mentre osservavo lo scontro sotto di me. Erano due furie.
Nelunis evocava fiamme di forme e dimensioni differenti, Elian rispondeva con sfere di pura energia di morte, capace di assorbire vita dalle cose che toccava.
Dietro di loro lasciavano una scia di distruzione. Una mezz'ora e di Strobught sarebbero rimaste solo le macerie.
La sfera distrusse quella frazione di parete, ma io riuscii a evitare il colpo scivolando di lato. Volgendo lo sguardo la vidi arrivare alle mie spalle e mi decisi a correre rapido lungo la cinta. I suoi colpi facevano tremare la terra sotto i miei piedi, mentre Nelunis ci raggiungeva.
La lotta tra divinità guerriere è qualcosa di spettacolare. Spiccano balzi innaturali, quasi magici, e colpiscono con la forza di decine di uomini.
La dea della battaglia intervenne, tenendo occupata Elian lasciandomi il tempo per fuggire.
Senza perdere attimi preziosi mi lanciai di sotto, atterrano nella piazza della cittadella avvolto da un cuscino di fogli. Credetti di essere salvo, ma improvvisamente un ammasso di energia purpurea colpì il suolo a pochi metri da me, creando un'immensa esplosione.
Elian aveva scagliato Nelunis già dalla fortezza, usando un energetico. Il volo era stato grande eppure la dea, con il corpo conficcato nella neve, sembrava intatta. La nostra nemica però mi aveva bloccato in una nuvola di polvere, impedendomi di fare qualsiasi mossa. Sentii i suoi passi, poi una mano mi afferrò per il collo. Con una forza spaventosa mi lanciò contro una parete.
L'impatto fu incredibilmente doloroso. Il muro contro cui mi schiantai era quello della cinta muraria e resistette incolume. Cadi a terra e sentii un fitto dolore provenire dalla mia schiena.
Ero però ancora impegnato a cercare di capire cosa fosse quando Elian si avventò nuovamente su di me. Riuscì ad atterrarmi con facilità e solo a quel punto la sua espressione cambiò. Capii che voleva dirmi qualcosa. Qualcosa di importante.
Sospirò e fuggì rapida evitando un preciso colpo di spada di Nelunis, che si accertò immediatamente del mio stato.
Le risposi distratto, pensieroso.
Quella donna dagli occhi dorati e i boccoli castani non era la stessa che aveva assalito il Palazzo. Era: sciupata. Il suo volto non era più vivace e giovane ma incredibilmente stanco e preoccupato. Il corpo di Elian era lento, come se non le importasse. Mi sembrò rassegnata alla sconfitta, desiderosa della morte.
Si scambiarono un'altra serie di colpi ma, prima che Nelunis avesse l'opportunità di assestare un affondo mortale, intervenni con un vortice di fogli. La raffica fermò dea guerriera, oscurandone la visuale, e io riuscii ad avvicinarmi a Elian, immobile. Mi aveva lanciato delle occhiate rapide, durante lo scontro, come se mi stesse chiamando.
Appena le fui davanti sussurrò un'unica, chiara parola. “Uccidimi”. Mi spiazzò.
Approfittando della mia immobilità, Elian, mi sferrò un poderoso calcio scagliandomi contro la solida corazza di Nelunis alle mie spalle.
I fogli ormai erano tutti caduti per terra e la battaglia poteva continuare.
Intervenni altre due volte, stordito.
La prima volta avvenne per un caso fortuito. Mentre ero preso dai miei pensieri la vidi venirmi incontro. Era di schiena, intenta a parare e respingere gli attacchi di Nelunis, troppo indaffarata per accorgersi di me. La colsi alla sprovvista con un fiume di spade di carta, che però riuscì a evitare con prontezza non appena se ne accorse. Fece un grande balzo con il quale passò sopra la serie di fogli e me, arrivandomi alle spalle. Lì lo ripeté di nuovo. “Uccidimi, Ham!”. Aspettava quel momento, aspettava la sua morte.
La terza volta decisi crearmi l'occasione giusta per colpirla. Mi resi conto che per evitare i colpi, quando era in difficoltà, utilizzava dei salti agili, saettando da una parte all'altra delle mura o delle città. Nelunis la inseguiva, rallentata ma non appesantita dalla corazza, poiché doveva ingaggiare un combattimento corpo a corpo. Io invece rimanevo sulla muraglia, seguendo i suoi movimenti con lo sguardo e lanciandole contro lunghe scie di fogli affilati.
Quella volta spiccò un balzo veramente imponente. Dal centro della cittadella si ritrovò al di fuori delle mura di cinta che racchiudevano la stessa, sopra la città. Sotto di lei, decine e decine di metri di vuoto. Prima che potesse atterrare e allungare quell'inutile scontro, io la travolsi con quello che era un vortice di carta bianca. I fogli le si attaccarono al corpo, bloccandola e avvolgendola come in un bozzolo da quale usciva solo la testa. Controllando i fogli feci sì che la dea, tenuta immobile, si avvicinasse a me.
In pochi secondi fummo uno davanti all'altra. Lei sospesa in aria a circa un metro dalla cinta, mentre io ero al sicuro sulla cinta, poggiato contro il parapetto. Lei non perse occasione per dirmelo un'altra volta. “Perché aspetti, Ham? Uccidimi!”. Io feci scivolare le mie mani sul merlo decorato e logoro mentre preparavo una risposta.
Perché io? C'è Nelunis che ci sta provando da una mezz'ora buona!” sbottai lanciando un'occhiata alla città sottostante. La dea delle cose infiammabili sarebbe riuscita a raggiungerci molto velocemente; non c'era tempo da perdere.
Sei l'archivista, Ham. Uccidendomi acquisirai la mia conoscenza... vorrei che tu scrivessi la mia storia, sai?”
Cosa diavolo stai dicendo?” me ne accorsi solo in quel momento: Elian era cambiata. Aveva accettato la sua fine ormai da tempo, forse dopo il fallimento dell'assalto.
Uccidimi!”.
Alle sue spalle apparve Nelunis che preparava la sua spada infuocata a un potente fendente.
Non avevo scelta, né tempo per pensare. Dovevo essere più rapido della mia stessa alleata.
Muori!” esclamai trasformando gli stessi fogli che la immobilizzavano in lame taglienti. Vorticarono lacerando ogni lembo del suo corpo, separando con forza la testa dal collo. Nelunis interruppe la sua magia, lasciando che la spada fendesse l'aria.
Era arrivata lassù saltando sulla parete e usandola come appoggio, cose che erano incredibili perfino per una divinità. Si aggrappò al merlo con una mano, issandosi sulla cinta. Provò a parlarmi ma la mia mente era altrove.
Nella mia mente si erano insinuate informazioni nuove, strane. Ora conoscevo alla perfezione la storia di Elian, avevo i suoi ricordi, i suoi pensieri. Imparai in un solo attimo come si riusciva a impiantare il seme demoniaco in un uomo e conoscevo anche tutte le informazioni accumulate sull'argomento. Conobbi il suo sogno così ingenuo da sembrare umano: cioè annientare gli dei e mettere al loro posto uomini dotati del seme, affinché formassero una forza capace di mantenere l'equilibrio e la giustizia nel mondo.
Ma cosa più importante, vidi Ham: colui che ero stato, il dio di cui ero il rimpiazzo. Appariva poche volte nei suoi ricordi, sintomo che poco mi conosceva, ma nutriva una grande stima nei miei confronti. Mi somigliava in tutto, o per meglio dire, io gli ero identico. Eppure nelle sue mosse c'era una sicurezza che io non avevo, possedeva perfino un fascino che non avevo mai acquistato. Era una divinità forte, importante. Io potevo essere la sua ombra, non una copia.
Conobbi l'odio di Elian nei confronti di Sakroi, che aveva fatto pressioni affinché fosse cacciata e la sua ammirazione per Manius e Chube. Capii che aveva avuto perfino un'infatuazione per Arone, il dio dei colori. Sentii i suoi rimorsi per tutte le cattiverie che continuava a commettere, “colpa della mia indole” diceva, oppure “mi hanno creato così”. Giustificazioni che lei sapeva come false. Se solo ci avesse provato, forse, sarebbe riuscita a smettere. Eppure il sadismo era diventata una droga.
La sofferenza l'alimentava come l'acqua a un arbusto, ne fu assuefatta finché non ideò questo piano.
Iniziò a chiedere udienza al Grande Padre, sicura di convincerlo a creare un mondo nuovo, ma dopo i vari rifiuti del Palazzo pensò di ottenere con la forza quell'incontro.
Dopo aver instaurato quel regno governato da un'élite di giusti, lei sarebbe morta. Mi spaventò questa sua decisione, che forte apparve nella mia mente. Lei non sarebbe riuscita a cambiare, non sarebbe mai stata un buon giudice o guardiano dell'ordine: così sarebbe morta. Forse si sarebbe fatta uccidere dagli stessi cavalieri della pace, o come Kinsis si sarebbe consumata.
Era una vera stupida, a pensare una cosa del genere.
Era stata molto abile, a farmi arrivare lì. Aveva contattato Manius durante un rituale, usando Sandol, e le aveva consegnato questo messaggio. La dea delle passioni manteneva le promesse e accettò quella richiesta tanto assurda. In più aveva messo a punto questo incantesimo, incredibilmente utile, con il quale trasferire tutti i propri pensieri al proprio assassino.
Tutto questo però lo capii in un breve secondo.
Ham, tutto bene?” mi chiese Nelunis.
In realtà dovevo essere io a chiederle una cosa del genere, vedendone il volto affaticato e il respiro veloce. “Sì” risposi. Lanciando un'ultima occhiata giù dalla cinta scorsi una piccola macchia nella neve e ricordai.
Corri a Palazzo e chiama Miun!” esclamai scuotendola appena. “Krost è molto ferita!” era così. L'inchiostro e il sangue erano una cosa sola: una chiazza color pece che tingeva il bianco della terra.
Lei lanciò uno sguardo preoccupato verso la dea della scrittura e capì. “Torno subito!” ignorò la stanchezza e la fatica, tutto per salvare una sorella.
Provai un gran rispetto nei suoi confronti.
Lanciando un debole urlo il suo corpo fu avvolto da un effimero vortice di fiamme che sparì in un istante: lei era già scivolata via. Era un incantesimo di alto livello, impegnativo, che creava una specie di teletrasporto verso il molo del Palazzo. Molti di noi ne conoscevano uno.

Quando arrivai a terra, Krost sorrideva con gli occhi chiusi, dopo aver immaginato chissà quale nuova storia; un'ultima volta.
Dentro di me si creò un vuoto, qualcosa che mi spaventò. Lei non sarebbe tornata, non avrei più potuto parlarci, scherzarci, vedere il suo tic degli occhi.
Sembrava dormire su un tappeto nero, pronta a svegliarsi in qualsiasi momento. Ciò non sarebbe accaduto, mai più.
La morte mi sembrò come una caduta. Per dirla da romanzetto, che lei leggeva con emozione: è una caduta nella lunga strada che è la vita; nell'immediato non senti molto, ma non appena riprendi il cammino ne senti il dolore. Ecco: era proprio così. Me ne rendevo conto. Quella era la punta di uno scoglio che avrei affrontato più avanti, nei giorni futuri.
Piansi come non facevo da moltissimo tempo. Ricordai cosa si provava quando con le lacrime scivolano via i problemi e le preoccupazioni. Fu qualcosa di potente, molto di più della magia, che riuscì a riportare la quiete dentro di me.
Piansi per Krost, per il vecchio Ham, per Elian, per Valanz, per Revery e per tutti gli altri che avrebbero sofferto durante la guerra, perché sapevo che anche altri sarebbero probabilmente morti. E faceva male.
Mi scaricai, appoggiando il volto al suo grembo.
Alla fine tornai l'archivista. Con gli occhi rossi posai una mano su entrambi i corpi come costretto da ciò che era il mio lavoro.
Acquisii tutte le loro informazioni, i ricordi e le idee. Un corpo morto è molto più facile da violare e se il decesso è recente tutti i pensieri sono nitidi e distinti.
Alla fine sarei tornato al Palazzo, avrei chiarito i conti con il mio assassino e avrei messo fine a questo stupido conflitto. Avevo deciso.

Nelunis era appena arrivata al molo. Il vortice di fiamme durò un secondo, facendola comparire su quel pontile di pietra dura, unico accesso al regno divino. Fu una cosa rapida.
Sentì immediatamente una fitta e strizzò gli occhi. Le ci vollero alcuni attimi per capire che era una spada di fattura sacra, fabbricata da Kodunai, che le aveva attraversato il petto.
Davanti a lei Crever, di spalle. Le aveva lanciato un affondo da quella posizione scomoda, con forza tale da romperne la corazza e ferirne il corpo. Che stupida, si disse, che morte idiota.
Lui non si voltò ma si sgranchì il collo.
Era giunta nell'attimo sbagliato, Nelunis, lo stesso del traditore. Un secondo più tardi e forse sarebbe riuscita a ingaggiare un combattimento, un attimo prima e gli avrebbe parato la strada. Invece, maledendo il fato, era accaduto in quel modo.
Lui era appena giunto e lei gli apparve alle spalle, ignara. Il dio scagliò il suo attacco troppo rapidamente per lasciarle un margine di reazione.
Una bella giornata, non trovi?” le chiese lui ironico.
Quando la lama scivolò fuori dalla dea essa era consapevole della propria sconfitta.
La battaglia iniziata nella Foresta Bianca era terminata in quella maniera, decretando il più forte. Colui che sarebbe sopravvissuto.
Lei aveva sempre creduto alla legge del più forte, la brutale regola della natura, e per quello accettò la morte come punizione della sua debolezza.
Che cosa sciocca, continuò a ripetersi Nelunis, mentre il corpo perdeva di peso e la mente si abbandonava a un improvviso sonno.
   
 
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