Anime & Manga > Lady Oscar
Segui la storia  |       
Autore: _Agrifoglio_    03/07/2019    15 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Il matrimonio segreto
 
A Palazzo Jarjayes, i festeggiamenti natalizi furono particolarmente gioiosi, giacché il 1790 aveva portato con sé ben due nascite e, anzi, addirittura tre, se si teneva conto anche della piccola Bernadette.
La secondogenita di Oscar e di André, forte e sana sebbene prematura, era nata il diciotto dicembre, esattamente una settimana prima di Natale e del genetliaco della madre. Era stata battezzata coi nomi di Antigone Auguste Marie Antoinette Marguerite Mahaut e aveva avuto gli stessi padrini e le stesse madrine del fratello. L’analogia, però, si arrestava qui, perché Antigone era fisicamente e caratterialmente molto diversa da Honoré François. Bionda e con gli occhi azzurri, la bambina faceva già mostra di un’indole nervosa, prepotente, impaziente e volitiva e piangeva spesso, soprattutto quando non era tenuta in braccio. Il vocione di lei si estendeva ben oltre i confini della nursery, tanto che i genitori avevano deciso di alloggiarla in una stanza diversa da quella del fratello, per evitare che ne disturbasse il sonno e la quiete. Madame de Jarjayes sperava che l’ultimo nome dato alla bambina che, poi, era lo stesso appartenuto alla Contessa Mahaut di Artois, non fosse il presagio di un carattere egemonico e autoritario.
Rosalie, che allattava personalmente Bernadette, si era offerta di fare da nutrice ad Antigone e di farlo, per giunta, gratuitamente, ma Oscar e André si erano rifiutati, per non approfittare della generosità della donna e per non moltiplicarne gli sforzi a ridosso di una vedovanza traumatica. Avevano, pertanto, assunto una seconda balia oltre a quella destinata al piccolo Honoré.
Fra ghirlande di aghi di pino, pigne, rametti di vischio e di agrifoglio, muschio e bacche rosse, i festeggiamenti si erano protratti per due settimane e ciò aveva offerto l’opportunità ai Signori de Jarjayes di celebrare le nascite e di dimenticare, almeno per un po’, i problemi che assillavano la Francia.
I giacobini, dopo il primo entusiasmo per l’avvio delle riforme, avevano ricominciato a premere affinché fosse promulgata la Costituzione che la Regina, invece, osteggiava mentre Robespierre e Saint Just facevano a gara a chi formulava la proposta più balzana al solo fine di mettersi in mostra. Questa situazione, secondo il Generale de Jarjayes, non era un male, perché mostrava alla Francia e al mondo la vera indole di quegli uomini nuovi, ma Oscar e André erano preoccupati per l’instabilità che ne sarebbe conseguita. Come aveva previsto Mirabeau, la nomina di Robespierre a Ministro di Giustizia aveva sortito l’effetto di scavare un baratro fra l’Avvocato di Arras e Saint Just che, ora, biasimava l’antico compagno di lotte per l’eccessiva vicinanza al potere, se non, addirittura, per essersi venduto ad esso. Robespierre, dal canto suo, rimproverava a Saint Just di non apprezzare l’acume politico e gli sforzi di lui. Mirabeau, in mezzo a loro, se la rideva di cuore, ostentando indifferenza. L’affare Lavoisier aveva, per breve tempo, riunito i due uomini, ma, poi, Saint Just non aveva gradito che Robespierre si fosse schierato dalla parte dello scienziato contro lui e Marat e che, per giunta, non si fosse recato di persona ai piedi della Grande Force a tenere il discorso, mandandoci, invece, il suo segretario personale, come avrebbe fatto un qualsiasi nobile vanesio e svogliato.
Sul fronte estero, invece, il nuovo Sacro Romano Imperatore, Leopoldo II, deprecava il trattato stipulato dalla Francia e dall’Austria, reputandolo svantaggioso per sé e pretendendo che la sorella gli cedesse l’Alsazia e la Lorena, come era previsto nei patti originari o che, in alternativa, gli restituisse il contingente militare di cinquantamila uomini. Maria Antonietta non voleva saperne di fare l’una o l’altra cosa, considerando il trattato regolarmente stipulato, valido ed efficace. Il nuovo Imperatore scalpitava e mordeva il freno e, a quanto si diceva, aveva avviato delle indagini per appurare la giustificazione dei poteri dell’Arciduchessa Maria Cristina di Sassonia Teschen.
La situazione non era, quindi, rassicurante, ma, a ben vedere, mai lo era stata. Era Natale e tutti volevano festeggiare allegramente, dimenticandosi, per un attimo, i problemi personali, familiari, nazionali e internazionali.
 
********
 
Con l’inizio dell’anno nuovo, Oscar aveva ripreso il suo servizio nelle Guardie Reali e, una mattina, era stata convocata negli appartamenti privati di Maria Antonietta.
Chi sa di cosa vorrà parlarmi la Regina – pensava la donna mentre percorreva i monumentali corridoi della reggia.
Escludeva che la Sovrana volesse congratularsi con lei per la nascita di Antigone Auguste, perché non soltanto lo aveva già fatto, ma, sebbene per il tramite di Madame Élisabeth, era anche stata la madrina della neonata alla quale aveva donato una preziosa parure di perle e di diamanti.
Congratulazioni a parte, c’era soltanto l’imbarazzo della scelta degli argomenti che la Regina avrebbe potuto sottoporle.
Maria Antonietta intendeva, forse, lamentarsi di Mirabeau? Trovava ancora da ridire sullo spettrale Ministro di Giustizia e su quei ribelli senza Dio che pendevano dalle labbra di lui? Voleva manifestarle, una volta di più, la propria avversione per quell’innaturale Costituzione che sarebbe stata promulgata, forse, entro la fine del nuovo anno? O desiderava metterla a parte delle angosce che le stavano procurando i sempre più frequenti duelli epistolari col fratello?
Dopo essere stata annunciata, varcò la soglia degli appartamenti della Regina, si apprestò ad ascoltarla e, avendola udita, non poté reprimere lo sbalordimento e fare a meno di constatare che le supposizioni che le avevano attraversato la mente fino a un attimo prima erano del tutto prive di fondamento e lontanissime dalla realtà.
– SedeteVi, Madame Oscar – le disse Maria Antonietta, indicandole una poltroncina – La situazione è inusuale e complicata, ragion per cui verrò subito al dunque. Dovete sapere che, subito dopo l’incoronazione di mio figlio, a metà giugno, ho sposato il Conte di Fersen.
Oscar sgranò gli occhi e fissò, stupefatta, la Regina, ma si ricompose subito dopo.
– Si è trattato, naturalmente, di un matrimonio morganatico e segreto. Io resto sempre la sorella del Sacro Romano Imperatore, la vedova di Luigi XVI e la madre del nuovo Re di Francia e di Navarra e un mio secondo matrimonio con un uomo che, per giunta, è privo di sangue reale, oltre a scatenare una nuova bufera sulla monarchia, avrebbe delle ripercussioni inimmaginabili sulla politica interna ed estera.
– Capisco – mormorò Oscar che quasi non credeva alle sue orecchie.
– Questa unione – proseguì la Regina – ha dato i suoi frutti e io sono gravida. Partorirò il prossimo maggio, Madame Oscar. Il bambino, benché legittimo, essendo il frutto di un matrimonio con la mano sinistra, non avrà alcun diritto sul trono degli Asburgo. Io stessa, del resto, rinunciai ai miei diritti di successione prima di partire per la Francia. Mio figlio, pur avendo il mio sangue, non apparterrà ad alcuna famiglia reale. Non solo…. Neppure se ne dovrà conoscere l’esistenza…. I coniugi Girodel sono disposti ad accoglierlo nella loro famiglia e, a tal proposito, Madame de Girodel simulerà una gravidanza. Io partorirò in segreto e, subito dopo la nascita, consegnerò loro il bambino.
Maria Antonietta pronunciò queste ultime parole con voce incrinata dalla commozione, ma che si sforzò di mantenere ferma e regale.
– Fra poco, i vestiti vedovili, per quanto ampi, non saranno più sufficienti a mascherare il mio stato, ragion per cui, nel corso della prossima settimana, mi trasferirò al Petit Trianon. La Contessa Vostra madre, che è già al corrente di tutto, mi aveva suggerito di soggiornare nel castello di Meudon che è più lontano dalla reggia, ma, in tutta franchezza, io non me la sono sentita…. Mi ritirerò nel Petit Trianon che è pure isolato e nel quale mai ho ammesso i cortigiani. Nessuno, quindi, si stupirà di non essere da me ricevuto. Domani, inizierò ad accusare dei disturbi legati alla melanconia e li attribuirò alla difficile situazione in cui versa la Francia e ai lutti che mi hanno, di recente, colpita.
Si fermò per un attimo, guardò Oscar che aveva ripreso il controllo di sé e che non tradiva più la minima emozione e, subito dopo, riprese a parlare.
– Le mie uniche dame di compagnia saranno Vostra madre e Madame de Girodel che inizierà a farsi vedere in società con abiti ampi e che dirà di avere voluto rendere nota con ritardo la gravidanza perché, inizialmente, temeva di perdere il bambino a causa di alcuni disturbi. Cuochi, inservienti e giardinieri non hanno mai svolto il loro lavoro in mia presenza, le mie stanze vengono sempre pulite quando io non le occupo e così si continuerà a fare. Quando il bambino sarà nato, i vagiti saranno attribuiti al figlio dei coniugi Girodel. So che tutto ciò è rischioso, ma non c’è altra soluzione.
– Capisco, Maestà – disse Oscar con aria pensierosa e voce grave.
– A questo punto, entrate in gioco Voi, Madame Oscar. Voi e Vostro marito, il Conte di Lille, in mia assenza, sarete i miei occhi e le mie orecchie nel Consiglio di Reggenza e farete da tramite fra gli altri componenti e me.
– Sarà fatto, Maestà.
– Madame de Girodel mi deve molto e, comunque, ha accolto la mia proposta con gioia. E’ una brava donna, ama molto i bambini, ma i medici le hanno detto che non potrà più averne. Se il nascituro sarà maschio, sarà insignito di un titolo comitale e sarà sottratto al destino dei figli cadetti. Se sarà femmina, al momento opportuno, godrà di una ricca dote.
La Regina tacque un momento per riprendere fiato e raccogliere i pensieri e, poi, continuò:
– Mi rimane soltanto da cercare una cameriera fidata che si occupi della mia persona, portandomi il cibo in camera, servendomi a tavola e aiutandomi a vestirmi, ad acconciarmi e a lavarmi. Una donna che, di tanto in tanto, quando Vostra madre e Madame de Girodel non potranno farlo, mi legga qualcosa e conversi con me. Qualcuno che mi aiuti a tollerare questi lunghi mesi di solitudine, a riconciliarmi con la prospettiva di dovermi separare da mio figlio e a tenere a bada l’angoscia per il futuro, giacché questo parto non sarà facile, me lo sento….
– Maestà, conosco una donna onesta e fidata che potrebbe risultare adatta allo scopo. E’ la vedova di un giornalista, una persona estremamente affezionata e discreta. Da giovane, ebbe modo di assistere alcune partorienti. La accolsi a Palazzo Jarjayes quando era poco più di una bambina e tutti, in casa, le vogliamo un gran bene. Voi stessa la incontraste a Versailles, alcuni anni or sono e le rivolgeste la parola. Si chiama Rosalie Châtelet, nata Lamorlière. Devo ancora informarla, naturalmente, ma dubito che farà obiezioni. Ha anche una bambina di quasi due mesi che allatta personalmente e ciò sarà di grande aiuto a Voi…. ai coniugi Girodel…. che potranno avvalersi di lei prima di avere trovato una balia definitiva.
– Accolgo la Vostra proposta, Madame Oscar. Sarò lieta di assumere come cameriera la Vostra protetta, in questi mesi di allontanamento forzato dal mondo…. diciamo pure di prigionia…. Come si chiama la piccola?
– Bernadette, Maestà.
– Bernadette…. E’ un nome bellissimo! Mi affezionerò subito a lei! Anzi, sento già di volerle bene!
Oscar si accomiatò dalla Regina con mille pensieri che le si agitavano nella mente e tornò a Palazzo Jarjayes per discutere di quell’incredibile affare con André e con Rosalie.
 
********
 
Mademoiselle de Saint Quentin cavalcava per la campagna che si estendeva intorno alla cittadina di Versailles, nella mattina di un giorno di fine febbraio. Il freddo era pungente, ma secco e, quindi, sopportabile e la neve, caduta da poche ore, cedeva soffice sotto gli zoccoli del cavallo che correva con un’eleganza resa rarefatta dai rumori attutiti e dal paesaggio imbiancato.
La donna era giunta a Versailles due settimane prima, insieme al fratello, per portare all’attenzione della Regina una vertenza insorta col Duca di Germain e divenuta, di anno in anno, sempre più insostenibile. Gli sgherri dell’aristocratico, le cui terre nell’alta Francia confinavano, da un lato, con quelle del Marchese de Saint Quentin e, dall’altro, con una parte del feudo di André, non facevano che sconfinare nelle proprietà dei vicini e gli abusi erano, ormai, all’ordine del giorno. Grande era stata la delusione della nobildonna quando aveva appreso della malattia e della conseguente irraggiungibilità di Maria Antonietta, ma Oscar e André, in qualità di componenti del Consiglio di Reggenza, l’avevano rassicurata che avrebbero sottoposto, quanto prima, la questione alla Sovrana.
Il Generale de Jarjayes e Oscar erano stati ben lieti di ospitare a palazzo i due nobili del nord di cui André aveva parlato molto bene. Quanto a Oscar, un’altra ragione le suggeriva la convenienza di quel soggiorno, perché nessuna occasione sarebbe stata più propizia per valutare i rapporti intercorrenti fra la Marchesina e André e per verificare la vera natura dell’interesse della bella Victoire Aurélie per lui. Enorme era stato il sollievo di Oscar nel capire che la donna, ormai, provava soltanto amicizia per il marito e che nessun pericolo proveniva da quel fronte. Quando, poi, due giorni prima, il Conte di Canterbury, venuto a conoscenza del soggiorno a Versailles della giovane aristocratica, era giunto a palazzo con la scusa di fare visita ai lontani cugini, Oscar aveva constatato con viva soddisfazione che fra il parente e Mademoiselle de Saint Quentin c’era un affetto sincero, seppure non dichiarato, per comune riserbo e reciproco timore di subire un rifiuto.
Giunta vicino a un boschetto, la donna tirò leggermente le redini, trasformando il galoppo del cavallo in trotto. Attirata da un ciuffo di bucaneve spuntato alla base di un albero frondoso, la Marchesina, scostato leggermente il mantello di velluto verde bordato di pelliccia e sistematasi il cappuccio, scese da cavallo e si diresse verso quelle perle d’inverno mentre l’animale, agitando gli zoccoli, sollevava strati di neve friabile che, subito dopo, ricadeva al suolo silenziosa e leggera.
Aveva già mosso i primi passi verso il cespuglio, quando udì il suono secco di un rametto spezzato. Giratasi di scatto verso la direzione da cui proveniva il rumore, Mademoiselle de Saint Quentin vide il Conte di Compiègne che incedeva verso di lei, tirando per le redini la sua cavalcatura.
La donna ebbe un moto di fastidio mentre la sensazione di essere seguita, che le aveva attraversato la mente qualche minuto prima, trovò conferma.
In quelle due settimane di permanenza della nobildonna a Versailles, il Conte di Compiègne era stato molto insistente nell’avvicinarsi a lei, al punto che la giovane se lo era visto spuntare dal nulla in ogni occasione. Non vi era stata danza nella quale, dopo una giravolta, non se lo era ritrovato come cavaliere, partita a carte o a dama in cui non ci aveva condiviso il tavolo, rappresentazione teatrale o concerto durante i quali non le si era seduto al fianco e conversazione cui egli non si era unito.
Lo guardò con occhi severi ed espressione fredda come la neve che li circondava. Egli, di rimando, scrutò l’altera figura che lo fronteggiava con aria indecifrabile e, anziché patirne il rifiuto, se ne sentì irresistibilmente attratto. Quegli occhi verdi e sdegnosi, dardeggianti sul volto ovale e diafano, quelle ciglia scure, lunghe e nervose, quelle nere ciocche ribelli che spuntavano da sotto al cappuccio del mantello gliela facevano apparire simile a una divinità pagana sprezzante e battagliera. La sfida lo attraeva e lo esaltava. Egli mirava, senza dubbio, alla ricca dote della Marchesina, ma la fiera bellezza di lei lo abbagliava. Mentre Oscar, con il contegno imperioso e il piglio marziale che la contraddistinguevano, lo aveva spesso inibito, Mademoiselle de Saint Quentin, con la sua bellezza selvaggia e superba, ma squisitamente femminea, suscitava in lui una forte attrazione e gli faceva insorgere nella mente l’impulso prepotente di svelare il mistero di quella sfinge e di domare quel cavallo riottoso. Nessun amore provava per lei, giacché amava soltanto se stesso, ma un bruciante desiderio lo divorava, unito al puntiglio del giocatore incallito che vuole vincere ad ogni costo e al bisogno compulsivo di appagare la propria vanità.
Le si accostò con passo felino e con sguardo fisso in quello di lei ed ella non poté reprimere una smorfia di disappunto e, prima ancora di accorgersene e di controllarsi, indietreggiò. Egli percepì lo smarrimento di lei, se ne avvantaggiò e, con la sua voce carezzevole e insinuante, le disse:
– Se Vi interessano i bucaneve, Signora, sappiate che, un po’ più a nord, c’è un cespuglio ancora più grande di questo che, per giunta, è circondato da bacche rosse. Se avrete la compiacenza di seguirmi, sarò lieto di mostrarVelo.
– Vi ringrazio, Conte, ma comincio a sentire freddo – rispose lei con vivo disagio – Il gelo si sta insinuando nei miei stivali e voglio tornare a palazzo.
Detto ciò, si accostò al cavallo e appoggiò una mano sulla sella per montare.
Egli, con gesto fulmineo, le afferrò il polso, la bloccò e, con voce roca, le mormorò:
– I vostri occhi sono due stagni magnifici, splendidi, ma pericolosi, nei quali un uomo può trovare ristoro o restare impigliato e affogare.
– Conte, Vi prego….
– Siete più bella di Elena e più fiera di Atalanta! Vi voglio….
Subito dopo avere finito di parlare, le afferrò gli avambracci appena sotto le spalle e accostò le labbra a quelle di lei. Per effetto del movimento brusco, il cappuccio scivolò sulle spalle della donna, lasciandone scoperta la chioma nera, folta e ondulata che egli ghermì con la mano. Trovatasi il braccio libero, lei si riscosse immediatamente e, con un gesto secco e rapidissimo, gli schiaffeggiò una gota così forte da fargli reclinare il volto e socchiudere gli occhi. Quella reazione combattiva e repentina lo eccitò ancora di più, tanto che la afferrò per i polsi e la baciò con maggior vigore. Lei, allora, scostò il volto da quello di lui e gli sputò in faccia.
Quel gesto gelò il Conte e lo umiliò profondamente. Ricordò, nella frazione di un secondo, la risata di Oscar, seguita alla proposta di matrimonio che le aveva rivolto e una collera improvvisa, istigata dalla vanità ferita, gli esplose nella mente e si impossessò di lui. La inchiodò con uno sguardo irato e crudele, le portò le mani al collo e iniziò a stringerglielo. Una ciocca di capelli della donna, sfuggita alle forcine, le si agitava al lato del volto mentre il seno le ansava convulsamente e una manciata di neve, caduta da un ramo spoglio, le si infrangeva sul mantello.
Dopo il primo terrore, lo spirito battagliero di lei riprese il sopravvento e la indusse ad assestare una ginocchiata sulle parti basse dell’aggressore. Il colpo, sebbene non fosse troppo forte, fu, tuttavia, sufficiente a fargli mollare la presa, così che lei, con una mossa velocissima, afferrò dalla sella una pistola e gliela puntò sotto al mento. Al freddo contatto del metallo premuto sulla gola, l’uomo perse la ferocia e indietreggiò. Nello spazio di un istante, ella balzò sul cavallo e, spronando l’animale con un colpo di tacco sul fianco, lo lanciò al galoppo verso Palazzo Jarjayes, rossa in volto, sconvolta e scarmigliata.
 
********
 
Oscar e André tornarono a Palazzo Jarjayes intorno a mezzogiorno e mezza e, entrati nell’atrio, vi trovarono il Conte di Canterbury e Mademoiselle de Saint Quentin che discutevano animatamente. Lei era visibilmente agitata e, contrariamente all’ordinario, scarmigliata e poco padrona di sé mentre lui era scuro in volto e, pur non avendo perso l’abituale compostezza, appariva irato.
– Che cosa succede? – domandò André, costernato perché i guai sembravano non avere mai fine.
– Camille Alexandre è andato a Parigi a cercare il Conte di Compiègne. Vuole sfidarlo a duello! – rispose Mademoiselle Victoire Aurélie, col fiato spezzato dall’agitazione.
– Cosa?! – esclamò Oscar fra l’incredulo e lo sbigottito – Quale affare può mai legare il Conte di Compiègne al giovane Marchese?
In breve, la Marchesina de Saint Quentin raccontò a Oscar e ad André ciò che le era capitato quella mattina.
– Quando ho fatto ritorno qui, mio fratello ha notato subito la mia agitazione, il mio aspetto disordinato e i segni rossi che ho sul collo. Io, purtroppo, ero sconvolta e non ho saputo trovare una spiegazione plausibile…. Camille Alexandre era fuori di sé dalla rabbia e assolutamente deciso a vendicare il mio onore…. Invano ho tentato di fermarlo, dicendogli che nulla di grave e di irreparabile era accaduto, ma lui è fatto così…. Ha l’impulsività tipica degli adolescenti e prende fuoco facilmente….
La donna si fermò un attimo per tirare il fiato e, subito dopo, riprese a parlare con crescente agitazione.
– Purtroppo, non basta avere ragione per prevalere e Camille Alexandre spara e tira di scherma in modo accettabile soltanto da un paio di anni mentre quell’uomo ha quasi vent’anni più di lui e non brilla certo per senso dell’onore…. Se gli succedesse qualcosa, non me lo perdonerei…. Sono sempre stata onesta e ossequiosa delle leggi, ma, se quell’infingardo ucciderà mio fratello, giuro che libererò questo mondo dalla sua deplorevole presenza, a costo di essere condannata alla scure o di essere deportata nelle colonie….
– CalmateVi – le ingiunse Oscar – Nessuno morirà e nessuno sarà condannato! Da quanto tempo è uscito di casa Vostro fratello?
– Da circa venti minuti…. – mormorò Mademoiselle de Saint Quentin.
– Vostro fratello non sa dove abita il Conte di Compiègne, vero? – domandò André.
– Sa soltanto che vive nel quartiere di Marais, ma non conosce, di preciso, la via….
– Bene, questo ci consentirà di recuperare lo svantaggio – disse Oscar con aria decisa – Andiamo!
I quattro montarono su altrettanti cavalli che spronarono al galoppo verso Parigi. La strada che conduceva alla capitale, per fortuna, era meno ingombra rispetto alle campagne e la neve, essendo caduta da poche ore, era ancora soffice e non si era tramutata in ghiaccio. Ciò consentì a Oscar e ai compagni di lei di raggiungere il quartiere di Marais senza incidenti e in un tempo relativamente breve.
Giunti di fronte al portone dell’appartamento che il Conte di Compiègne conduceva in locazione, Oscar iniziò a scuotere freneticamente l’anello del battiporta di ottone, finché un valletto in livrea aprì la porta.
– Cosa desiderano Lor Signori? – domandò l’uomo, con aria ampollosa.
– Sono Oscar François de Jarjayes, Comandante Supremo delle Guardie Reali. Voglio parlare col Conte Maxence Florimond de Compiègne!
– Sono spiacente, Comandante, ma il Signor Conte, in questo momento, è occupato e….
Non ebbe modo di terminare la frase, perché Oscar lo aveva spinto di lato ed era entrata in casa come una furia, seguita a ruota dagli altri. Percorsero l’abitazione per tutta la lunghezza di essa, inseguiti dal valletto che correva dietro di loro per tenere il passo, intimando a più riprese di andarsene. Giunti vicino al salone, udirono delle voci concitate.
– Riprendetevi questo guanto, piccolo idiota e pulitevici la bocca dal latte della vostra nutrice. Non duello con i bambini, tutt’al più assesto loro due sculacciate!
– Siete un reprobo, un vigliacco e un villanzone!
– Adesso mi avete stufato, marmocchio che non siete altro! Toglietevi di torno e tornate ad aggrapparvi alle gonne di vostra sorella…. Io l’ho già fatto questa mattina!
– Siete un debosciato e un mentitore! La vostra famiglia è meno antica della mia e inferiore ad essa per rango e ricchezza! Non siete degno di pensare a mia sorella e tanto meno di nominarla! Esigo soddisfazione!
– Raffreddate i bollenti spiriti, bamboccio! Se non sapete come fare, ho giusto un postribolo da consigliarvi….
– Non sono solito frequentare certi posti, ma sarò ben lieto di andarci unicamente per fare la conoscenza di vostra madre!
– Mi avete scocciato, piccolo furfante! Come volete voi, incroceremo le spade domani!
Oscar spalancò la porta ed entrò nel salone, seguita da André, dal Conte di Canterbury e da Mademoiselle de Saint Quentin.
– Sono desolato, Signore, ma …. – mormorò il valletto, rosso in volto e visibilmente agitato.
– Ci rincontriamo, Conte e, come al solito, in circostanze spiacevoli – disse Oscar, senza neppure fingere cortesia.
Mademoiselle de Saint Quentin, nel rivedere il suo aggressore, ebbe un sussulto, ma non abbassò lo sguardo. Il Conte di Compiègne la scrutò beffardamente e, subito dopo, rivolse lo sguardo a Oscar e a tutta la comitiva.
– Siete venuti a riprenderVi il ragazzo, vedo. Mi dispiace, ma è troppo tardi, perché quest’impudente mi ha offeso e deve darmi soddisfazione.
– Bugiardo, siete voi che avete offeso me!
– Abbiamo punti di vista diversi – sghignazzò il Conte – ma su una cosa andiamo d’accordo: domani, ci sarà un duello all’ultimo sangue!
– Camille, no! Non ne vale la pena, torniamo a casa! – lo pregò la sorella, in preda all’agitazione.
– E’ troppo tardi, Victoire. Questo verme ti ha offesa e, se mi tirassi indietro, non sarei un uomo!
– Ma infatti non lo siete – continuò a farsi beffe di lui il Conte di Compiègne – Siete soltanto un bambino, per giunta debole d’ingegno!
– Preparatevi a morire, villano!
Vedendo che la situazione era, ormai, del tutto compromessa e che non c’era alcuna possibilità di venirne fuori pacificamente, il Conte di Canterbury prese la parola e disse:
– Non incrocerete la lama col Marchese de Saint Quentin, Conte, ma con me. Sarò io a esigere soddisfazione per riparare l’offesa che avete arrecato a Mademoiselle Victoire Aurélie.
– E con quale diritto, di grazia?
– Col mio diritto di fidanzato.
Mademoiselle de Saint Quentin e Camille Alexandre guardarono il Conte di Canterbury con vivo stupore mentre il Conte di Compiègne, altrettanto colpito, gli rispose:
– Bene, allora! Domani io sarò vincitore e voi sarete cadavere!
– Domani mattina alle sette, sul retro della Chiesa di Saint Eustache – gli rispose il nobiluomo inglese che, subito dopo, si ritirò, seguito da tutti gli altri.
Giunti di nuovo in strada, Mademoiselle de Saint Quentin e il Conte di Canterbury – che non la finivano più di guardarsi – e il giovane Marchese rimontarono a cavallo, accomiatandosi da Oscar e da André che si separarono da loro con la scusa di dovere sbrigare una faccenda riguardante il Consiglio di Reggenza. Quando i tre ebbero svoltato l’angolo, Oscar e André salirono di nuovo le scale e bussarono un’altra volta alla porta dell’appartamento ove abitava il Conte di Compiègne.
– Ancora Voi, Signori! – esclamò il valletto, questa volta non più confuso, ma seccato – Il Conte di Compiègne non desidera riceverVi e mi ha tassativamente proibito di farVi entrare.
– Siete uno screanzato come il vostro padrone – lo apostrofò André.
– Di quello che desidera il vostro padrone, francamente me ne infischio! – sibilò Oscar – E ora spostatevi, se non volete che vi faccia rotolare giù dalle scale!
– Ma…. ma…. E’ inaudito…. Signor Conte! Signor Conte!
Oscar e André, però, avevano di nuovo raggiunto il salone dove entrarono con aria truce e indispettita.
– La mia pazienza ha un limite, Generale de Jarjayes – disse il Conte di Compiègne, alzandosi dal divano.
– La mia, invece, è già esaurita, Conte…. Conosciamo tutti la vostra scorrettezza nel duellare! Se torcerete un solo capello a mio cugino o farete vergognare un’altra volta il vostro, vi giuro che vi scoverò e ve la farò pagare, doveste nascondervi financo all’inferno!
– Perdonatemi, Signora – rispose il Conte, passando all’appellativo femminile con l’evidente intenzione di sminuirla – ma questi non sono affari vostri.
– Lo sono e come! Siete una spina nel fianco per vostro cugino che, a differenza di voi, è un galantuomo e, adesso, volete uccidere il mio!
– E ve la prendete con me?! Andatevi a lamentare con quella poco di buono di….
Non riuscì a finire, perché Oscar gli si avventò addosso e lo afferrò dal giustacuore.
– Finitela di spargere il vostro veleno e andatevene! Lasciate Parigi oggi stesso e restatene lontano fintanto che il Conte di Canterbury, il Marchese de Saint Quentin e la di lui sorella non avranno fatto ritorno nelle loro terre!
– Dovrei fuggire via come un coniglio e fare la figura del vigliacco!
– Farete la figura che più vi si addice! Vi avverto, Conte, presentatevi domani al duello e io non avrò pace finché non vi avrò completamente rovinato, quanto è vero che mi chiamo Oscar François de Jarjayes!
Detto questo, si voltò di scatto e uscì dalla stanza senza salutare. André si attardò un attimo, fissò il Conte con aria severa e minacciosa e, senza aprire bocca, si allontanò anche lui.
 
********
 
Il Conte di Canterbury e Mademoiselle de Saint Quentin erano seduti nel salone azzurro di Palazzo Jarjayes, sorseggiando del the da due tazze di raffinata porcellana di Sèvres, decorate con scene di caccia. Lei era deliziosa, abbigliata con un completo di velluto color crema e coi capelli adornati da fiorellini d’organza di una delicata tonalità di glicine. Lui vestiva con un’eleganza discreta e impeccabile, grazie a una marsina e a dei polpes color miele e a un gilet e a uno jabot avorio.
– Quell’esecrabile individuo ha avuto la decenza di eclissarsi, risparmiando a Voi un duello al quale non eravate obbligato – disse la donna, guardando il suo interlocutore con aria indecifrabile.
– Come tutti i cialtroni, è stato lesto con le parole e inconsistente nei fatti – rispose il Conte, un po’ deluso perché lei ne aveva rimarcato l’assenza di interesse e di legittimazione al duello.
Posò la tazza sul tavolino di noce intarsiato d’oro e proseguì:
– Mi dispiace di averVi messa in imbarazzo, proclamandomi Vostro fidanzato, ma volevo mettere al riparo Vostro fratello e, per farlo, dovevo giustificare il mio diritto a duellare, facendo mostra di un legame con Voi che mi desse la precedenza su di lui.
– Le Vostre motivazioni sono state le più nobili, Conte e sono io a rammaricarmi per il fatto che Vi siate dovuto esporre in quel modo….
– Oh, ma io non me ne rammarico affatto! – disse lui di getto, pentendosi, subito dopo, della sua audacia.
– In che senso, Signore? – domandò la donna, arrossendo e tacendo immediatamente.
Egli non osò rispondere, sopraffatto dall’emozione e dal pudore.
– Conte di Canterbury – lo incalzò lei, fingendo gaiezza, pur essendo visibilmente emozionata – Non capita spesso che qualcuno mi faccia arrossire né, tanto meno, che mi lasci senza parole…. Approfittatene dunque….
– Nel senso che avrei desiderato…. Mi sarebbe piaciuto…. Che si trattasse della realtà e non di un pretesto per salvare Vostro fratello – pronunciò le ultime parole in un soffio, ma senza distogliere lo sguardo da lei.
– Davvero lo avreste desiderato? – gli chiese la donna, cauta, ma speranzosa.
– Più di ogni altra cosa al mondo! Siete la donna migliore che abbia mai conosciuto…. Di Voi ammiro tutto…. Eccellete in ogni campo e, cosa rara negli individui di ambo i sessi, la Vostra bellezza eguaglia il Vostro spirito e il Vostro intelletto! E’ da quando Vi conosco che vorrei essere il Vostro promesso!
– Da oggi, non dovrete più desiderare….
– Oh, mia cara! Posso sperare?
– Dal più profondo del mio cuore…. sì!
– Posso, quindi, chiedere la Vostra mano a Vostro fratello?
– Oh, sì – lo esortò lei con fare scherzoso, ma col cuore colmo di felicità – Lo renderete felice, trattandolo da adulto, dopo avergli sottratto l’opportunità di duellare!
I due risero divertiti, ma con l’anima proiettata verso una nuova vita di progetti e di felicità.
 
********
 
Oscar attraversò a grandi e rapide falcate l’atrio del Petit Trianon e si immise nella scala monumentale, diretta al primo piano, ove si trovava la stanza di Maria Antonietta.
Madame de Jarjayes l’aveva mandata a chiamare, consegnando una breve missiva a un servitore analfabeta, con la quale l’informava che il parto di Madame aveva avuto inizio nella notte e che si preannunciava lungo e complicato.
Era la fine di aprile del 1791 e Maria Antonietta non avrebbe dovuto partorire che il mese dopo.
Giunta nell’anticamera della stanza da letto della Sovrana, Oscar scorse il Conte di Fersen seduto su una poltrona, con la fronte sorretta dalla mano destra e il volto disfatto. L’uomo appariva assente a se stesso, immerso in un mondo popolato da incubi e da fantasmi, ma, quando si accorse della presenza di lei, sollevò il capo e, guardandola con gli occhi velati di lacrime, mormorò disperato:
– Madame Oscar, non voglio che ella muoia…. Senza di lei mi sentirei perso…. Senza di lei sarei un uomo finito…. E’ tutta la mia vita e soltanto a lei appartiene il mio cuore….
– Conte, vedrete che non morrà – gli rispose Oscar, spinta più dal desiderio di consolarlo che da un’effettiva convinzione.
Lo guardò impietosita e costernata. Un tempo, quelle parole le avrebbero straziato l’anima mentre, ora che era felicemente sposata con André, le pareva normale che Fersen fosse di Maria Antonietta e di nessun’altra donna e provava una sincera pietà per entrambi. Si stupì di come, per quasi quindici anni, avesse potuto struggersi per un amore immaginario e impossibile, quando la realtà era chiara a tutti e riassunta in quelle poche e semplici parole: il cuore del Conte apparteneva soltanto alla Regina e, senza di lei, sarebbe stato un uomo finito. Lo capiva perfettamente adesso e non se ne rammaricava, ma, anzi, le sembrava giusto e, con tutto il cuore, augurava ogni bene all’uno e all’altra.
Continuò a guardare il Conte di Fersen e le venne naturale e spontaneo paragonarlo ad André. Lui non se ne sarebbe stato così inoperoso, affondato in una poltrona, nell’anticamera della stanza della lotta, a sorreggersi la fronte e a tormentarsi le ciocche dei capelli, cogliendo, da lontano, i gemiti di dolore della donna amata, soffocati dalla dignità e dal contegno. André si sarebbe dato da fare, avrebbe preteso di entrare nella stanza, non si sarebbe allontanato un attimo dal capezzale di lei, le avrebbe stretto la mano, avrebbe vissuto il dolore di lei attimo dopo attimo, rendendolo proprio e non staccandole mai gli occhi dal volto.
Era stato il Conte di Fersen a trascinare al Petit Trianon il suo medico personale, imponendogli l’assoluta segretezza, quando si era accorto che le esperte e affettuose cure di Rosalie non sarebbero state sufficienti a fronteggiare il travaglio. Bisognava dargliene atto. A parte questo, però e malgrado fosse un eroe di guerra di comprovato e riconosciuto coraggio, il nobiluomo svedese era sprofondato nella più disperata inerzia ed era stato totalmente incapace di reagire e di tramutare il suo strazio in qualcosa di reattivo e di utile. Pur amando profondamente e sinceramente la Regina, gli era stato impossibile recarle un concreto aiuto nel momento del maggior dolore. André non era così. André era una quercia robusta e dalle solide radici su cui contare sempre, nei momenti sereni come in quelli difficili.
Trascorse molte ore, la Contessa de Jarjayes e Madame de Girodel uscirono dalla camera della Regina e, dopo averli visti, si diressero verso Oscar e il Conte di Fersen.
– Vostra figlia è nata, Conte – disse Madame de Jarjayes.
– Lei come sta? – rispose lui, con voce disperata.
– Il medico non si pronuncia – si inserì Madame de Girodel – Dice soltanto che, se Sua Maestà supererà la notte, avrà molte più possibilità di sopravvivere.
– Si può entrare? – chiese Fersen.
– Sì, potete – disse Madame de Jarjayes – Ma non la agitate e sforzateVi di apparire sereno.
Oscar e il Conte di Fersen entrarono nella stanza e il loro cuore si strinse alla vista dei panni di lino inzuppati di sangue, gettati alla rinfusa sul pavimento di legno, che, col loro rosso tragico e violento, contrastavano atrocemente col crema pallido, col rosa e con l’azzurro della seta e della batista. Le loro narici furono investite dall’odore acre del sangue mentre le orecchie venivano graffiate dai vagiti della neonata.
Il Conte di Fersen guardò supplice il medico, rivolgendogli una muta domanda e quello non poté che rispondere al dubbio con l’incertezza:
– La vita della Regina è appesa a un filo. Può sopravvivere o morire, l’importante è che superi la notte.
Si accostarono al letto, dove Maria Antonietta giaceva sopraffatta dalla stanchezza e dallo strazio mentre la solerte Rosalie le detergeva la fronte dal sudore, desiderosa di recarle refrigerio e sollievo.
– Perché avete quelle espressioni? – chiese la Regina, rivolta al marito e a Oscar, con un soffio di voce appena percettibile – Sono un’Asburgo, vincerò questa battaglia….
Stringeva a sé una bambina all’apparenza fragile, ma molto bella.
Il Conte di Fersen le si avvicinò, le prese la mano e accarezzò la testa della neonata.
Oscar guardò il gruppo e provò una stretta al cuore, consapevole del fatto che, se l’amica non fosse morta, si sarebbe, comunque, dovuta separare dalla figlia. Questa era l’alternativa migliore che le si poneva dinnanzi e, con quell’amara prospettiva, la Regina doveva farsi forza e lottare. Oscar non poté che confrontare la sua situazione con quella di Maria Antonietta, giudicandosi molto fortunata e maledicendosi mille volte per avere dato il peggio di sé durante le sue gravidanze, facendo pesare a tutti il suo malessere per uno stato transitorio e reversibile.
– Vorrei chiamarla Élisabeth Clotilde – sussurrò la Regina al Conte di Fersen – Come le due sorelle di Re Luigi…. Almeno questo glielo devo….
– Sì, mia adorata – mormorò il Conte senza avere il coraggio di proseguire.
– Madame Oscar – disse, poi, Maria Antonietta, rivolgendosi alla sua amica – PrendeteVi cura di questa bambina e degli altri miei figli, se io non ce la dovessi fare…. Giuratemelo!
– Ve lo giuro, Maestà! – disse Oscar con fierezza e decisione – Ma Voi non morirete! Vi giuro anche questo! – e pianse calde lacrime.







Questo capitolo contiene una celebre citazione, sta a voi individuarla!
Vorrei precisare, anche se la tempistica della pubblicazione del mio precedente capitolo e della mia one shot intitolata: “La selva” lo esclude palesemente, che il titolo del quarantesimo capitolo, le citazioni in esso e nella one shot contenute e il nome della figlia di Oscar e di André – da me deciso già da qualche anno – nulla hanno a che vedere con i recenti eventi di cronaca.
Buona lettura a tutti!
   
 
Leggi le 15 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Lady Oscar / Vai alla pagina dell'autore: _Agrifoglio_