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Autore: Bethesda    04/07/2019    1 recensioni
Crowley scopre della morte di Freddie Mercury. Forse all'origine della peculiarità della Bentely di trasformare tutta la musica in album dei Queen, forse solo sproloqui.
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Aziraphale/Azraphel, Crowley
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Buonasera. Due piccole note prima di cominciare. Questa storia l’ho prima scritta in inglese e questa è una traduzione. Vi linko l’originale, che per certi aspetti trovo più adatta. 
Secondariamente, grazie per essere qui. Spero che vi piaccia e che la parte filosofica non risulti eccessivamente banalotta.
 
 
Like a Shooting Star
 
Quella notte del Novembre 1991, Crowley non era solo.
Anche se in realtà era stato inizialmente.
Difatti quando accadde era a casa, sintonizzato su ITV a seguire le notizie. Non passò molto che la necessità di guidare lo prese per lo stomaco, trascinandolo fuori di casa.
 
 
Una volta giunto alla libreria di Aziraphale cominciò a suonare il clacson. Poco gli importava che ci fossero persone intente a dormire, dacché l’unica che gli interessava solitamente non lo faceva.
 
Vide la testa del suo amico far capolino dalla finestra del salottino al primo piano e riuscì subito ad intuire la sua perplessità. Nonostante ciò, un minuto dopo Aziraphale si trovava sul sedile passeggero della Bentley.
 
«È successo qualcosa? Ci sono notizie dell’A--»
«No, niente di tutto ciò»
 
Erano passati almeno tre anni dal loro ultimo incontro e questo non fceva che rendere Aziraphale particolarmente apprensivo dalla comparsa improvvisa dell’altro, nonostante sembrasse star bene fisicamente.
 
«Dunque cosa?»
 
«Ti dispiace se guido?»
 
L’angelo non disse nulla e bastò questo al demone per premere l’acceleratore.
 
 
------
 
Per quella che ad Aziraphale parve un’ora vi fu solo silenzio. La cosa era abbastanza strana da parte di entrambi, specialmente dopo tre anni senza vedersi e con quelle premesse.
Si lasciarono Londra alle spalle e si addentrarono per la periferia, sino a raggiungere zone in cui le luci della città erano abbastanza lontane da permettere loro di godere del cielo notturno.
Lente stradine li portarono ad addentrarsi fra zone verdeggianti e l’angelo si lasciò cullare, notando solo allora una piccola nota stonata: l’autoradio era spenta.
Assolutamente peculiare come cosa, visto l’amore spasmodico di Crowley per la musica moderna, e le poche volte che aveva approfittato di un passaggio dacché l’umanità l’aveva ideata non vi era stato un singolo istante di silenzio sulla Bentley.
 
Guidarono sin sul crinale di una morbida collina e lì si fermarono.
Potevano vedere le luci della città in lontananza e le poche sparute case che ingioiellavano la campagna intorno a loro.
Si lasciò sfuggire quanto fosse una vista deliziosa, giusto per rompere il giaccio, ma la cosa parve non fare effetto.
 
Crowley sedeva immobile, le mani ancora a stringere il volante e lo sguardo lontano.
 
«Pensi mai che certi umani soffrano un po’ troppo? Che non se lo meritino?»
 
Aziraphale venne colto di sorpresa. L’ultima cosa che si aspettava era di dover affrontare una discussione su cosa l’umanità meritasse o meno.
 
«Beh», cominciò non troppo sicuro, «Sono nati nel Peccato. Hanno scelto loro stessi quale strada intraprendere. Ma sì, diciamo che alcuni di loro soffrono un po’ troppo rispetto ad altri già qui sulla Terra. Ma qualche volta son ben ricompensati dopo».
 
Crowley sbuffò stizzito e mollò il volante, scivolando mollemente sul sedile, la testa in appoggio alla testiera, lo sguardo ancora una volta lontano.
«Ma ammetti tu stesso che alcuni di loro soffrono per nulla, e magari neanche per colpa loro. Magari perché sono nati in condizioni sfortunate, o con origini infami».
 
L’angelo si ruotò completamente verso di lui con il busto.
Osservava il demone con occhi da cucciolo ed era sicuro che l’altro se li stesse sentendo addosso ma non volesse darlo a vedere. Avevano già discusso in passato di certi argomenti filosofici riguardanti l’essere dannati o meno, e nelle occasioni in cui era accaduto ciò che aveva fatto la differenza era stata la presenza o meno di alcool, e ciò aveva l’implicato o il trovarsi a biascicare cose senza senso completamente ubriachi o il litigare furiosamente.
 
«Lo sai che non è così matematico. Ci sono santi ricchi e santi poveri, e non tutti i peccati ti trascinano direttamente all’inferno, così come non tutte le buone azioni ti aprono le porte del paradiso. Sta tutto nel mettere la propria vita su di una bilancia alla fine del proprio viaggio terreno».
 
Crowley si sfilò gli occhiami, afferrandosi l’attaccatura del naso fra pollice ed indice, chiudendo gli occhi giusto un istante.
 
«Mio caro, ti prego», continuò Aziraphale, ponendo una delle sue delicate mani angeliche sulla coscia più vicina. «Dimmi cosa è successo».
 
Il demonio lo guardò per svariati secondi, per posare poi lo sguardo all’autoradio della Bentley, che in tutta risposta si accese per trasmettere le ultime notizie, anche a quell’ora di notte.
 
Ascoltarono in silenzio mentre lo speaker raccontava, accorato, del numero di persone che in quell’istante si stavano recando a Kensington per portare omaggio al frontman dei Queen.
 
Aziraphale non disse nulla, cercando di capire.
Inizialmente aveva pensato si trattasse di un errore, che la vera notizia sarebbe arrivata di lì a poco, ma poi si ricordò di quella volta in cui Crowley, pochi anni orsono, lo aveva letteralmente trascinato ad un concerto per mostrargli cosa fosse diventata la musica.
 
Quel Freddie aveva davvero la voce di un angelo, si era ritrovato ad ammettere, e le movenze di un demone. Inoltre la sua musica era assolutamente più che piacevole, per quanto lontana dai suoi gusti, ancora arenati ad epoche ormai lontane. Inoltre il concerto stesso, per quanto elettrizzante, era stato compromesso dalla presenza di un altro demone, troppo esaltato e dedito a cantare a squarciagola come se la sua vita fosse dipesa da quello. Non gliene aveva certo fatto un cruccio, certo. Anzi, aveva purtroppo passato così buona parte del concerto, a rimirare l’altro in pura estasi.
 
Perse il filo dei propri pensieri quando alle orecchie gli giunse la voce gracchiante del giornalista, che disse il motivo di quella dipartita precoce.
 
«Oh. Poveretto».
 
«Già», disse amareggiato l’altro, con calma serafica.
 
Inaspettatamente, Crowley colpì il volanti con il palmo delle mani, facendo suonare il clacson, un pianto stonato in quella notte silenziosa.
 
«Caro, sei stato tu a creare--»
«Certo che no!», sbottò stizzito.
«Allora non capisco perché tu sia così arrabbiato. Era indubbiamente bravo, ma non è certo colpa tua!»
 
Crowley guardò finalmente l’angelo negli occhi, lasciando che vedesse la propria afflizione.
Come poteva non capire?
 
Nonostante tutti quegli anni passati sulla Terra, ogni tanto Aziraphale peccava di stupidità e mancanza di empatia. Certo, era tutto legato al suo essere ancora una creatura Celeste, ma quando accadeva la cosa lo faceva imbestialire.
Qualche volta lo sorprendeva a osservare gli umani con curiosità scientifica piuttosto che ammirazione, come se fossero stati animali in uno zoo.
 
E Crowley in qualche modo sapeva che sarebbe stato il modo giusto di comportarsi, ma durante tutti quei millenni passati a tentarli e a vivere con loro aveva cominciato ad apprezzare alcuni aspetti. Come la loro abilità nel trasformare il dolore in arte, specialmente in musica.
 
E sapeva quanto Aziraphale stesso amasse questa cosa, perché era il motore alla base dei libri che tanto amava, e Crowley sapeva che l’angelo stesso aveva passato momenti di disperazione pura per la morte di quello scrittore, quel Wilde.
 
Ma in quell’istante era furibondo e aveva bisogno di dare la colpa a qualcuno per ciò che era appena accaduto e per quello che stava provando.
 
«Certo che non è colpa mia. Non sono io quello che ha creato quella cazzo di malattia».
 
Aziraphale scostò la mano.
 
«Lo sai che è così che funziona. E che Dio stessa si muove in questo modo. È--»
«Non osare».
«Ineffabile».
 
Crowley urlò con tutto il fiato che aveva in corpo e colpì nuovamente il volante a pugni chiusi, ancora e ancora.
 
L’angelo si ricordò di averlo già visto in quelle condizioni, così afflitto e furibondo, in altre due occasioni: quando aveva appena scoperto della Inquisizione Spagnola e durante l’ultimo loro incontro subito dopo l’inizio del quattordicesimo secolo.
Lasciò che si sfogasse.
 
«Si diverte? L’Altissimo pensa forse che sia divertente distruggere in questo modo le proprie creature? Se esistono già i demoni e con loro l’Inferno, che senso ha torturarli anche qui? È perverso. È fottutamete perverso. E tutto questo per cosa? Perché hanno osato voler sapere di più? Oh, ben fatto davvero! Ehi, Dio! Senti qui», riprese ad urlare, lo sguardo al soffitto della macchina, il tono di voce mutato come ad imitare un ulteriore interlocutore. «Vorrei chiederti un paio di cose, del tipo perché sono qui? Ho una ragione di esistere? E tu, invece, esisti? E certamente lei risponderebbe, ma non con una comprensiva pacca sulla schiena, no, ma magari annegando tutti con un altro bel diluvio, bambini inclusi, oppure – perché no? – con il cancro. O magari una terribile malattia che ti inchioda al letto? Grazie, eh, non dovevi disturbarti. Magari la prossima volta un bigliettino e una scatola di cioccolatini andranno più che bene».
 
La prima volta che avevano portato avanti quella discussione, la ferita di Crowley era ancora fresca e la cosa in qualche modo giustificava la sua rabbia. Ma dopo tutti quei secoli, saperlo così amaro era doloroso.
 
E capì che il suo amico non avrebbe mai perdonto Dio per le sue scelte, anche se si fosse un giorno scoperto che dietro a quella punizione vi era un qualcosa di così grande che loro non erano in grado di vedere. Per ora.
 
Crowley osò guardare verso l’angelo solo dopo qualche istante di calma.
 
«Crowley», cominciò, avvicinandosi un poco di più a lui, per quanto potevano concederlo l’ingombrante presenza del freno a mano e della leva del cambio. «So che sei arrabbiato. Forse non capisco appieno la vera ragione che ci ha portato qui oggi, escludendo la dipartita di quell’uomo. E forse non me lo dirai, e va bene, non devi, ma voglio che tu capisca qualcosa che sono certo tu sappia già, sin dalla Creazione. La vita è la vita. Hai ragione, Dio qualche volta ha usato i propri poteri per punire qualcuno qui e là, ma era solo l’inizio. Forse era arrabbiata – anche se non credo sia capace di un sentimento simile -, forse aveva le sue ragioni e noi due, un angelo sciocco e un demone accecato dall’ira, non siamo in grado di vederle. Ma ogni singolo anello di questa catena è qui sulla Terra per una ragione ed escludendo i nostri sciocchi miracoli e peccato, ogni singola cosa che accade o è casuale o legata alla scelta di qualcuno. E questo grazie al tuo piccolo tradimento. E sì, dovrei incolparti di molte cose, sia te che i tuoi ex colleghi, perché sono un angelo e passare il resto della mia esistenza in paradiso accanto a Dio dovrebbe essere la cosa più sublime a cui io riesca a pensare, ma se dovessi pensarla dal punto di vista umano…ne è valsa la pena. Ci sono dolore, sangue, sudore ed è orribile, ingiusto e imprevedibile. Ma hanno una scelta. Hanno l’amore. Hanno l’arte e con questo tipo di armi possono sconfiggere qualsiasi aspetto negativo legato al dono di Dio».
 
E questa, pensò Crowley, era la ragione per cui lo amava così tanto.
 
Perché anche di fronte a una tale blasfemia era in grado di perdonarlo, anche se non voleva essere perdonato. Perché sapeva capirlo e placarlo, in qualche modo.
 
E aveva ragione.
Non era colpa di nessuno.
Neanche di Freddie.
 
Perché era sempre stata una questione di scelte e libertà, e lui le aveva sempre avute a portata di mano.
 
Anche quando si erano incontrati la prima ed ultima volta, aveva dimostrato di essere un uomo che sapeva cosa voleva ma la voleva a modo proprio. Le tentazioni e offerte di Crowley non erano mai state interessanti per lui, anche se si trattava di un ragazzino e il futuro era ancora insicuro.
Ma sarebbe stato sicuramente luminoso. Corto, dannatamente corto per colpa di una maledizione, ma tanto luminoso quanto una stella cadente.
 
Lo aveva seguito durante gli ultimi vent’anni, inizialmente per ragioni lavorative, che erano state alla fine accantonate, ma ciò che lo aveva fatto restare era stato la sua musica. E in qualche modo si era sentito assolutamente grato per il fatto che né l’inferno né il paradiso fossero all’origine del suo successo. Si trattava di un essere umano, puro e semplice, eppure così complesso.
 
Ma si trattava di una cosa così ingiusta.
 
Certo, la vita era piena di questo genere di iniquità, e gli umani le sperimentavano giorno dopo giorno sulla loro stessa pelle, ma per qualche ragione questa in peculiare bruciava come Acqua Santa sulla sua pelle.
 
Sospirò, sentendosi un po’ vuoto e molle.
 
Aziraphale ancora lo scrutava con apprensione, pronto per un eventuale ulteriore round di grida e insulti.
 
«Mi dispiace».
L’angelo smise di respirare per un secondo – definitivamente un’azione non necessaria, dal momento che l’atto in sé era completamente inutile -, ma scrollò subito le spalle per poi sorridere comprensivo.
 
«Non devi scusarti».
 
«Sì, devo. Ti ho rapiro nel mezzo della notte dopo tre anni di silenzio per urlarti contro nel bel mezzo della campagna per qualcosa che non ti riguarda. Mi sento quasi ottuso».
 
«Ottuso come un angelo?»
 
«Non così tanto ottuso», scherzò.
 
Aziraphale taglio definitivamente la distanza che li separava, cercando con la propria mano quella del demone, stringendola a sé. Crowley sentì il proprio stomaco contorcersi e il cuore balzargli in gola – era quasi certo fossero quelle le espressioni che utilizzavano gli umani in situazioni come quella – ma non lo diede a vedere.
 
«Gli amici servono a questo», sussurrò l’angelo, creatura diabolica.
E dicendo ciò si lasciò ricadere mollemente sul proprio sedile, finalmente rilassato. Crowley, intanto, sembrava non essere per niente intenzionato a lasciare andare la sua mano, anzi. Osò addirittura accarezzarne il dorso con i polpastrelli.
 
Un silenzio rilassato cadde fra di loro mentre la radio continuava a tramettere la sua musica, pronta a tenere loro compagnia tutta la notte su quella placida collina circondata dall’oscurità. Una voce unica, al di sopra delle altre, che permise loro di immaginare di stelle lontane che lui, e soltanto lui, era riuscito a raggiungere.
   
 
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