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Autore: NyxTNeko    07/07/2019    1 recensioni
Napoleone Bonaparte, un nome che tutti avranno letto almeno una volta sui libri di scuola.
C'è chi l'ha adorato, chi odiato, chi umiliato e chi glorificato.
Ma siamo sicuri di conoscerlo veramente? Come si sa la storia è scritta dai vincitori e lui, il più grande dei vincitori, perse la sua battaglia più importante.
Dietro la figura del generale vittorioso e dell'imperatore glorioso si nasconde un solitario, estremamente complesso, incompreso che ha condotto la sua lotta personale contro un mondo che opprime sogni, speranze e ambizioni.
Un uomo che, nonostante le calunnie, le accuse, vere e presunte, affascina tutt'ora per la sua mente brillante, per le straordinarie doti tattiche, strategiche e di pensiero.
Una figura storica la cui esistenza è stata un breve passaggio per la creazione di un'era completamente nuova in cui nulla sarebbe stato più lo stesso.
"Sono nato quando il paese stava morendo, trentamila francesi vomitati sulle nostre coste, ad affogare i troni della libertà in mari di sangue, tale fu l'odioso spettacolo che colse per primo il mio occhio. Le grida dei morenti, i brontolii degli oppressi, le lacrime di disperazione circondarono la mia culla sin dalla nascita".
Genere: Drammatico, Guerra, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza | Contesto: Rivoluzione francese/Terrore, Periodo Napoleonico
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Capitolo 24 - Non è una rivolta, non è un'insurrezione! È la Rivoluzione! -

Parigi

- Necker ha dato le sue dimissioni! - avvisò il drammaturgo Fabre d'Églantine, in uno dei cafè più rinomati di Parigi, le Procope - Di nuovo! - aggiunse lanciando un pugno al muro. L’unico che avrebbe potuto creare pressioni sul sovrano era fuggito come un codardo. Ed ora che ne sarebbe stato di tutti i loro progetti? In fumo come ogni tentativo elaborato finora.

- Questo non è affatto un buon segno! - replicò l’altro al suo fianco, l’avvocato Georges Jacques Danton.

- No...non disperate invece, questa potrebbe essere la...la volta buona per cambiare il nostro Paese, monsieurs - obiettò Camille Desmoulins, anch'egli avvocato dall’indole ribelle, seppur balbuziente, che, da quando era stato nominato membro del Terzo Stato, aveva ottenuto una certa notorietà nella capitale e veniva sempre più apprezzato tra i colleghi - Con il clima di insicurezza, di...di miseria e di paura, basterà davvero un niente p...per far passare il popolino dalla nostra parte! Lo stomaco crea sempre proteste, non dimenticatelo!

- La vostra riflessione non fa una piega, Camille! - concordò d’Eglantine.

Proprio nel momento in cui la discussione stava diventando interessante, una folla composta dal basso popolo parigino, che stava protestando per le vie della città, passò dinanzi ai loro occhi. Gridavano di abbassare i prezzi degli alimenti, già scarsi per i cattivi raccolti degli ultimi anni dovuti alle piogge continue.

Alcuni portavano come vessillo, due busti raffiguranti il ministro uscente Necker e il Duca d’Orléans, Luigi Filippo, cugino del re, particolarmente apprezzato dal Terzo Stato per i suoi ideali liberali e di considerazione nei loro confronti. Durante i preparativi degli Stati Generali aveva infatti distribuito numerosi pamphlet e fatto sentire la sua voce, per questo fu molto criticato e allontanato fino al giorno della Convocazione.

- Direi che...che è arrivato il...il nostro momento, non credete, Georges? - disse Desmoulins lanciando occhiate ai due compagni che annuirono.

- Prima però finiamo queste sublimi granite al limone, altrimenti faranno la fine di quella di Fabre - rise Danton mentre faceva segno al collega di quella dell’amico che si stava sciogliendo sul bicchiere di cristallo.

- Ehi, la smettete di burlarvi di me, voi due! - sbottò offeso l’attore.

- A...anche se siete un attore si...si vede lontano un miglio che s...state fingendo - confessò Camille ridacchiando.

- Avete ragione, siete pessimo!

- Non ho la stessa concentrazione che mostro in teatro, ma che ne sapete voi della mia arte, o uomini di legge - precisò d’Eglantine che assumeva pose tragiche.

I due avvocati a ridevano sempre più per gli atteggiamenti ridicoli che assumeva. Se un’istante precedente sembrava un tragicomico alle prime armi, in quell’istante somigliava in tutto e per tutto ad un vero e proprio giullare di corte - Non ve la sarete mica presa?

- Non vi facevo così permaloso

- Fareste lo stesso anche voi se prendessi in giro il vostro mestiere, voi avvocati siete fin troppo usati nelle commedie come soggetti!

- Scherzi a parte - disse Danton ritornando serio - Sbrigatevi a mangiarla oppure perderemo quest’occasione importante

Desmoulins si alzò di scatto dalla sedia con il viso scuro, allungò la mano sul tavolo, lasciò due o tre monete e si avviò verso l’uscita - Georges attendete Fabre e poi...poi  quando avrete finito, ra...raggiungetemi, io...io mi avvio, a dopo - si mise il cappello ed uscì.

- Non credevo che avesse così a cuore questa faccenda! - esclamò l’attore.

- Basta tasse! Vogliamo il pane per i nostri figli! Riassumete il ministro Necker! - strillava all’unisono la popolazione aggredendo con zappe, torce, addirittura tavoli di legno usati come bancherelle, alcune guardie giunte sul posto per sedare la protesta, senza grande successo.

Camille prese un tavolo che si trovava tra la confusione e ci salì sopra - Popolo di Parigi! - urlò a squarciagola. Estrasse una pistola, la puntò verso il cielo e con il cuore colmo di eccitazione, osservando la folla che si era rivolta verso di lui in attesa di ricevere sostegno, aggiunse solennemente, l'evidente balbuzie che spariva ogni volta che sentiva le parole provenire dal cuore - Cittadini, non c'è tempo da perdere! La dimissione di Necker è l'avvisaglia di un San Bartolomeo per i patrioti! Proprio questa notte i battaglioni svizzeri e tedeschi lasceranno il Campo di Marte per massacrarci tutti; una sola cosa ci rimane, prendere le armi!

- Sì, armiamoci! - emisero in unico boato - Pour la France! - Aizzati da quel giovane patriota continuarono la loro marcia, a cui si unirono sempre più persone desiderose di cambiare la loro drammatica situazione. L’illusione della libertà risvegliò quella voglia di riscatto che furono costretti ad assopire nel corso della loro esistenza.

Ma il travolgente entusiasmo fu bruscamente interrotto dal reggimento tedesco mandato dal sovrano, piombato all’improvviso dinanzi a loro. Sputarono frasi in tedesco che nessuno comprese. I mercenari decisero di passare all’azione, puntando le baionette verso il popolo. La paura che era stata eliminata dall’adrenalina ritornò nei loro cuori. Molti di loro fuggirono impazziti senza sapere dove andare, queste azioni sconsiderate non fecero altro che provocare ancora più danni.

Numerosi feriti spaventati dal sangue che schizzava dalle loro parti del corpo si lanciavano su altri provocando altri feriti, generando sempre più panico. Alcuni ufficiali strapparono di mano le statue e le distrussero, sotto gli occhi atterriti della folla che continuava a fuggire per tentare la salvezza.

Versailles

- Maestà, vi supplichiamo di arretrare dalle vostre posizioni - dichiararono disperati alcuni membri dell’Assemblée Nationale che erano riusciti ad entrare al cospetto del sovrano, per cercare di smuoverlo - Non potete immaginare del pericolo che la Francia rischia di correre se non ritirate immediatamente le truppe mercenarie, maestà!

- Non ho la minima intenzione di eseguire questi ordini perché voi non avete alcuna autorità - iniziò Luigi XVI con tono rancoroso - Per me siete solamente un’assemblea illegale che ha disobbedito non solo ai miei ordini, ma anche a quelli del Signore!

- Se voi accoglieste le richieste del popolo e le nostre, noi non avremmo alcuna ragione d’esistere, anzi ci scioglieremmo immediatamente perché non vogliamo muovere guerra contro il nostro re, contro colui che, agli occhi del basso popolo, è considerato come un padre - Quelle parole non riuscirono a scuotere Luigi XVI, non arretrò nemmeno di un passo. Non faceva altro che peggiorare la situazione che stava assumendo una piega sempre più inaspettata.

Parigi, 13 luglio

Quella mattina la capitale si svegliò in fiamme. Quaranta dei cinquanta ingressi per entrare nella città furono incendiati dalla folla inferocita, per evitare che altri reggimenti stranieri si infiltrassero nella capitale. Non potendo contare su forze esterne, il sovrano mandò, per reprimerla, interi reggimenti della Guardia Reale francese. Nulla, però, riusciva a bloccare il popolo che con coraggio, e forse anche imprudenza,  continuava a protestare - Riducete il prezzo del pane!

- Anche dei cereali che produciamo per il Paese!

- Abbasso i dazi! Abbasso le tasse!

Molti ufficiali ordinarono ai loro sottoposti di sparare contro la folla. La maggior parte eseguì gli ordini, seppur fossero eticamente contrariati. Altri, soprattutto coloro che si sentivano emotivamente vicini al popolo, invece, decisero di schierarsi dalla sua parte e di ribellarsi ai loro superiori, con conseguenze spesso gravissime.

- Assaltiamo i magazzini delle famiglie più importanti di Parigi! - indicò un contadino con la forca sollevata.

- Sì riprendiamoci ciò che è nostro e poi lo bruciamo! - continuò un altro con la torcia che ardeva come le loro anime. Con il coraggio nato dalla disperazione e dalla fame riuscirono ad abbattere ogni ostacolo e, dividendosi in più gruppi, assaltarono numerosi magazzini o edifici sospettati di esserlo, uno di questi fu il convento di Saint-Lazare, che fungeva da scuola, ospedale, prigione oltre che da magazzino. Senza avere alcun rispetto per la sacralità del luogo venne brutalmente assalito e ne prelevarono circa 52 carri di grano.

Municipio di Parigi

- La situazione è drastica! - gridò uno degli elettori dell’Assemblée Nationale - Se non facciamo immediatamente qualcosa, la vendetta del popolo si riverserà anche su di noi

- Io ho in mente un’idea! - s'intromise il marchese Gilbert du Motier de La Fayette. Un ufficiale che aveva combattuto durante la Rivoluzione Americana al fianco dei coloni; di sangue nobile, grande proprietario terriero, ma fin da subito favorevole al cambiamento. Considerato un eroe della libertà, era stimato praticamente da chiunque, per via della sua fama e delle sue gesta. Il marchese se ne compiaceva. Tuttavia non era un uomo a cui andava a genio starsene in panciolle, era sempre alla ricerca di gloria e di onore, senza lasciarsi trasportare eccessivamente dall’ambizione e dalla sete di potere.

Era guidato dagli ideali liberali che aveva avuto modo di conoscere nelle ex colonie americane e li fece suoi, con lo scopo di ideare una monarchia costituzionale. IL concetto di repubblica per la Francia gli sembrava un progetto inadatto per quel popolo, che nonostante le rivolte, adorava ancora il suo sovrano.

- Davvero? - chiese incredulo un altro dei presenti - E quale? Riferitela!

- Ah è un’idea molto semplice...ma efficace! - rispose con nonchalance La Fayette - Ho intenzione di istituire un esercito di volontari che avranno il difficile compito di proteggere l’Assemblée, la popolazione, se necessario, e di mantenere l’ordine - riferì compiaciuto.

- Sì, è un’ottima idea! Come abbiamo fatto a non pensarci?

- Ma come faranno con le uniformi? E come si distingueranno dalla Guardia Reale?

- Ho pensato anche a questo - lo frenò l’ufficiale - Per l’uniforme non ci sarà alcun cambiamento, sarà uguale a quella della Guardia Reale…tranne per un piccolo particolare - Estrasse dalla tasca una coccarda con i colori di Parigi, il rosso e il blu, il bianco indicava la monarchia, in segno rispetto per i sovrani, e la pose al centro del tavolo. La passarono di mano in mano, incuriositi e sorpresi da quel oggetto così semplice, ma carico di patriottismo e di fascino - Sarà il nostro distintivo, il nostro vessillo - esclamò ponendolo sul suo bicorno.

- È meraviglioso! - urlarono tutti i presenti in sala.

- Abbiamo risolto il problema estetico, ma ora dobbiamo eliminarne un altro, la polvere da sparo e le armi, dove e come ce le procuriamo?

- Uomo di poca fede! - esclamò quasi innervosito da tanta fretta - Un passo alla volta! I grandi piani si mettono in pratica con pazienza e ingegno! Per prima cosa diffonderemo in ogni angolo del Paese la notizia, sarà un esercito volontario…più siamo meglio è... - si fermò per riprendere fiato - E poi una volta ottenuto il numero sufficiente…saccheggeremo i luoghi più inaccessibili in cui sono custoditi armi e polvere da sparo, tutto qui.

- È un’idea grandiosa!

- Attento e preciso come sempre, La Fayette, ci serviva proprio un alleato pratico ed esperto di arte bellica come voi, tra le nostre file  

- Ed io avevo semplicemente bisogno di uomini capaci di utilizzare la propria testa senza ipocrisia! - confessò il marchese.

14 luglio

Di primo mattino, l’Hotel des Invalides fu attaccato dagli insorti che si impossessarono di 28.000 fucili e qualche cannone inutilizzato - Non c’è polvere da sparo! - informò un gruppo di uomini che uscirono dall'Hotel sporchi e inferociti.

- Amici! - s'intromise tuonante un sergente di nome Pierre-Augustin Hulin che aveva combattuto per la regina Maria Antonietta, ma che aveva deciso di schierarsi dalla parte del Terzo Stato - Siete dei buoni cittadini? Sì lo siete! Allora marciamo verso la Bastiglia!

Si pose dinanzi a loro e li guidò verso la fortezza-prigione simbolo dell’assolutismo, odiata dal popolo, in quanto utilizzata molto spesso come minaccia dai signori feudali per farsi rispettare, oltre ad essere un inutile spreco di denaro, dato che era quasi del tutto vuota. Era sorvegliata da una guarnigione di 82 invalidi veterani, la Guardia Svizzera, al cui capo vi era il governatore della fortezza: Bernard-René Jourdan de Launay.

- Consegnateci la fortezza, governatore! - pretese furente la folla alzando le armi al cielo.

Il governatore, pur avendo la forza per abbattere quella marmaglia di uomini che si stava scagliando sulla fortezza, pur avendo giurato di combattere per il sovrano, non ebbe il coraggio di aprire il fuoco contro il popolo francese. La Bastiglia, per lui, era stata una casa, era nato, era cresciuto lì, aveva ottenuto le cariche e i titoli in quel luogo tetro e desolato.

Decise di far entrare alcuni rappresentanti per discutere pacificamente, al fine di arrivare ad una soluzione che avrebbe soddisfatto entrambe le parti. Per allentare la tensione li invitò a pranzare con lui. Il tempo passava inesorabile e, oltre alla folla, anche l’impazienza cresceva. Molti di loro cominciarono a pensare che fosse una strategia per perdere tempo, però stavolta niente e nessuno li avrebbe smossi. Avrebbero abbattuto quella maledetta fortezza e si sarebbero appropriati della polvere da sparo, oltre a farla pagare al governatore per tutte le ingiustizie subite.

Un cigolio ruppe l’attesa, le catene del ponte levatoio furono tagliate da alcuni infiltrati e il ponte sbatté sul lato del fossato. Un uomo non riuscì a spostarsi in tempo e il ponte cadde sulle sue gambe, fratturandole in maniera irreparabile. Il campo era libero e gli insorti, privi di freni inibitori, si scagliarono verso la Guardia Svizzera, nel cortile iniziò un aspro combattimento che, fin da subito, provocò perdite da ambo le fazioni.

Il Governatore, avvertito da una guardia che era riuscita a scappare, volò dalla torre di controllo, al cortile per riprendere in mano la situazione, ma ormai era troppo tardi. Ciò che riuscì a fare fu di limitare ulteriori danni - Cessate il fuoco! Cessate il fuoco! Per l’amor di Dio! - ordinava come un folle e, in preda al panico più totale, cominciò a suonare il tamburo in segno di resa. I sottoposti udirono il segnale e si fermarono, ma gli insorti implacabilmente continuavano a colpirli - Mandate questa condizione di resa agli insorti, voi due! - imperò Launay in preda alla disperazione - Fate presto!

- Subito! - risposero. Raggiunsero gli insorti che riuscirono a placare solo per pochi istanti.

- Non ce ne facciamo nulla della resa! Vogliamo la Bastiglia! La Bastiglia! - riferirono i due rappresentanti al governatore seriamente preoccupato per i suoi uomini, che stavano lottando contro un branco di contadini privi di ogni controllo. Se avessero continuato sarebbe stata una catastrofe. Era una battaglia persa.

- Capitano De Flue - lo chiamò il governatore. L’ufficiale arrivò tempestivamente - Riferite alla Guardia della resa e di lasciare entrare gli insorti nella fortezza

- Ma governatore…

- È un ordine! La vita della Guardia Svizzera è più importante di questa maledetta Bastiglia che tanto desiderano! Da quando è stata eretta non ha portato che guai!

- Cessate il fuoco e fate entrare gli insorti, questi sono gli ordini del governatore!

Seppur contrariati le guardie non poterono far altro che ubbidire e smisero di accanirsi sulla folla che finalmente penetrò nella Bastiglia. Liberarono i sette prigionieri rimasti in vita: quattro falsari, due lunatici e un libertino. La perquisirono da cima a fondo appropriandosi di qualsiasi oggetto o materiale utile. Alcune guardie trovate morte non vennero risparmiate dalla vendetta del popolo, furono brutalmente decapitate e le loro teste infilzate su pali a testimoniare la loro vittoria. Nemmeno a quelle rimaste in vita fu concessa la grazia.

Il governatore de Launay fu gettato a terra, calpestato e colpito da ripetuti colpi di baionetta senza alcuna pietà, gli sfigurarono il volto e il corpo. Seppur semicosciente, ripensò alla sua vita, fu un codardo, i suoi sottoposti non lo avevano mai rispettato, né lo avrebbero ricordato come un ufficiale valoroso, ma quella era la sua natura e l’aveva accettata.

"Non tutti nascono per essere eroi" si disse con quel poco di lucidità che gli rimaneva. Così, persino in fin di vita, preferì arrendersi al suo destino e pregare solamente che quell’agonia finisse immediatamente. Invocava con disperazione la fredda falce della morte - Vi prego, uccidetemi qui - supplicò il governatore agonizzante - Uccidetemi qui! - ripeteva come una cantilena.

- Con vero piacere - sogghignò un uomo e come uno straccio lo trascinò vicino ad un ruscello. Lo fece cadere come un sacco di patate e inflisse numerosi colpi di pistola su tutto il corpo. Non percepì alcun dolore, sentì solamente il filo della vita spezzarsi. Un altro popolano lo decapitò con un coltellino e la sua testa fu portata, insieme a quelle di altri sottoposti, per tutta Parigi.

All’insegna della violenza più pura e gratuita, iniziava uno degli eventi più drammatici della storia umana, che avrebbe sovvertito, ribaltato ogni ordine: la Rivoluzione Francese.

 

   
 
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