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Autore: Alexa_02    07/07/2019    1 recensioni
Bridgette ha costruito la sua vita alla perfezione. Ha una famiglia meravigliosa, amiche che la adorano e un fidanzato perfetto. Ha accatastato i mattoni della sua realtà con precisione e con molta fatica. Quando finalmente sembra aver capito come funziona il mondo, alla base della sua costruzione si sfila un pezzo e tutto comincia a crollare. Il tradimento e il cuore spezzato sembrano la fine del mondo, fino a quando il suo castello di carte si disfa del tutto e la vita le frana completamente addosso. La morte dei suoi genitori le ribalta la vita e la prospettiva.
Lascia la sua casa, la sua routine e i resti del suo duro lavoro e segue la zia e i fratelli in California. Ad aspettarla c'è Kaden, uno dei coinquilini della zia e un playboy fastidioso ma, soprattutto, qualcosa da cui si dovrebbe tenere alla larga.
Forse, però, è tutto quello di cui sembra aver bisogno.
Genere: Commedia, Drammatico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
Capitoli:
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Chapter 2
 
 
 
È tutto ovattato.
Tutto senza un senso logico.
Vorrei urlare ma non ci riesco.
Vorrei piangere ma non ci riesco.
Cullo Jesse tra le braccia, tenendomi stretta a mio fratello come se ne dipendesse la mia vita.
E so che è così. Se lo lasciassi andare mi dissolverei nel nulla, sparendo come polvere.
Pensavo che il peggio mi fosse già capitato. Ma non avevo idea che esistesse il peggio del peggio. 
 
 
Restiamo abbracciati sulle piastrelle della cucina per un tempo indefinito. Lui piange. Io fisso il vuoto cercando di respirare
Quando riprende controllo di sé, mi spiega cos’è successo.
«A notte fonda, la barca su cui erano ha naufragato a causa di una tempesta» gratta una macchia dal pavimento e mormora con voce roca «Ci sono stati pochi superstiti, tra cui Lauren e Steve». Gli amici di mamma e papà in vacanza con loro. «Mi hanno chiamato un’ora fa e Lauren era sconvolta, non ho capito molto, a parte la parte fondamentale» tossisce per nascondere un singhiozzo. «Richiamerà domani mattina».
Mi sento intorpidita.
Dovrei alzarmi e fare qualcosa, ma non so cosa. Prendo il cellulare dalla borsa e chiamo l’unica persona che mi viene in mente.
Ci mette tre squilli a rispondere, non so esattamente che ore siano in California. «Ehi, nipotina! Cosa fai ancora sveglia a quest’ora? Stai facendo baldoria?» la voce dolce e allegra di zia Kat mi riscuote dallo shock.
Prendo aria per parlare ma non riesco a dire niente. Il mio cervello non riesce ad immagazzinare l’informazione.
«Bridge? Va tutto bene?» domanda preoccupata.
«Mamma e papà sono morti» sputo tutto d’un fiato. Sento lo scroscio delle onde in sottofondo.
Kat resta in silenzio.
«Cosa? Bridgette puoi ripetere?»
«Mamma e papà sono morti» ripeto più lentamente, rabbrividendo.
Kat resta di nuovo in silenzio. Sento il rumore dell’oceano attraverso la cornetta e il respiro irregolare di mia zia. Jess mi stringe come se si aspettasse un crollo o una cristi isterica, ma resto immobile. Non trovo le lacrime, non capisco dove il mio corpo le abbia messe. «Kat?» sussurro.
Le trema la voce «Vengo da voi. Sto arrivando».
 
 
Quando chiudiamo la telefonata, zia Kat è seduta su un taxi per l’aeroporto. Vorrei restare al telefono con lei finché non arriva qui, ma so che non è possibile.
Jess e io restiamo seduti sulle mattonelle bianche della cucina fino al momento in cui il sole non filtra attraverso le tende con i girasoli e ci tocca affrontare la situazione. Non abbiamo idea di cosa fare. Ci alziamo e restiamo a fissare il vuoto. Tra poco, Ben e Maddie si alzeranno e dovremo trovare un modo per spiegargli la situazione.
Conduco Jess fino alla mia stanza e lo faccio sedere sul letto. Mi tolgo i vestiti della festa e indosso una tuta. Mi lavo la faccia tentando di cancellare le macchie di mascara e lacrime. Quando torno in camera, Jesse è seduto nella stessa identica posizione e continua a fissare la moquette. Gli siedo accanto e gli stringo la mano più forte che posso.
Vorrei scuoterlo. Dirgli di riprendersi. Dirgli che ho bisogno di lui. Ma non riesco a farlo. Sembra completamente da un'altra parte e vorrei esserci anche io. Vorrei andare il più lontano possibile dai problemi. 
Restiamo seduti sul bordo del letto, fino a quando Benji non arriva in camera correndo nel suo pigiamino con i ninja.
«Bridge!» ridacchia saltandomi in braccio «È ora di colazione! Voglio i cereali!».
Jess si risveglia dallo stato di trans e inizia a piangere in silenzio, accarezzando la testolina bruna di Ben.
«Cosa succede?» domanda confuso. «Sono finiti i cereali?».
Oh, quanto vorrei che fosse così.
Mi alzo tenendolo tra le braccia. «Andiamo a svegliare Maddie».
 
 
Ci raduniamo in cucina e in qualche modo provo a spiegargli la situazione. Non so quello che dico. Farfuglio e balbetto. Spero che capiscano e spero che zia Kat arrivi presto.
«Se è uno scherzo, non fa affatto ridere» squittisce Madison con gli occhi marroni sbarrati. Ha i capelli biondi spettinati e il pigiama rosa sgualcito. Sento l’impulso fisiologico di sistemarla.
«Non è uno scherzo» sussurro.
In cucina scende un silenzio di tomba. Benji smette di masticare e mi fissa. «E dov’è il paradiso? Perché non possiamo andarci anche noi?».
Prendo aria cercando le parole giuste.
«Significa che sono morti, razza di scemo» singhiozza rabbiosa Maddie.
«Madison» sospira Jesse. È la prima parola che dice da ore. «Sta cercando di capire».
«Cosa c’è da capire?!» le lacrime le scorrono lungo le guance. «Mamma e papà sono morti, non torneranno mai più. Ci hanno abbandonati!» strilla e scappa verso le scale.
Ben mi tira la manica della felpa «Non torneranno più?». Ha gli occhi castani pieni di paura. Un bambino così piccolo non dovrebbe mai provare emozioni così terrificanti.
Annuisco. Non so cosa dire.
Benji scoppia a piangere e affonda la faccia contro la mia pancia. Gli accarezzo la testa finché i singhiozzi non si calmano. Lo faccio sedere sul divano con i cereali e accendo i cartoni animati. Non ricomincia a mangiare e si limita a fissare vacuo la televisione.
Il telefono squilla riempiendo la cucina. Afferro il cordless e premo il tasto verde.
«Pronto?» sospiro.
«Bridgette, sono Lauren» mormora lei con una strana voce. Lauren è la migliore amica di mia madre. Era. Era la sua migliore amica. Anche lei vive qui a Williston, nella casa accanto alla nostra. Si sono conosciute alle medie e sono diventate subito amiche. Si sono sposate nello stesso anno con i ragazzi del liceo. Entrambe quest’anno dovevano festeggiare vent’anni di matrimonio e avevano deciso di farlo insieme. Erano riuscite a convincere i loro mariti a partecipare ad una specie di crociera a largo del Messico.
Io le avevo detto che mi sembrava un’idea fantastica.
«Bridgette» singhiozza. Perché tutti riescono a piangere? «Mi dispiace così tanto».
Afferro Jesse per la maglietta e lo trascino sul portico. Ci sediamo sui gradini e appoggiamo entrambi l’orecchio vicino al telefono. «Cos’è successo?» domando.
Lauren prende un bel respiro. «Ci stavamo divertendo. Stavamo ballando sul ponte al chiaro di luna quando si è alzato un vento fortissimo. L’equipaggio ci ha detto di tornare nelle nostre cabine e così abbiamo fatto. Verso notte fonda, la barca ha iniziato a muoversi come se stessimo superando delle montagne. Ondeggiava e dagli oblo si vedeva solo il buio. È scoppiata una tempesta e la barca è stata trascinata dalla corrente fuori rotta. Hanno perso il controllo e siamo finiti su degli scogli che non risultavano da nessuna parte. Lo scafo si è squarciato e abbiamo iniziato ad imbarcare acqua» tira su con il naso «Ci hanno dato l’allarme e ci hanno detto di correre alle scialuppe. Non so perché ci siamo divisi. La corrente non funzionava più… non si vedeva nulla…» singhiozza «Ci siamo ritrovati sulla scialuppa ed è lì che loro…loro» respira affannosamente «Eravamo sulla scialuppa e un’onda enorme ci ha colpiti, Pearl…Pearl…è caduta in mare e… Adam si è tuffato per salvarla ma…ma nessuno dei due è tornato a galla…».
Jesse stringe il telefono con forza. «Magari si sono solo persi in mare, magari…magari sono su qualche altra scialuppa e…» le lacrime gli colano sulla maglietta. La speranza si accende dentro i nostri cuori come un faro. Devo stare bene. Insomma, la gente si perde in mare ogni giorno, magari sono su un'isola sperduta.
Sì, deve essere così.
Lauren emette un mugolio di dolore «No, Jesse…loro…loro hanno ritrovato i…i corpi».
Il telefono gli scivola di mano e sbatte contro i gradini di legno. Lo sportellino delle pile salta e il cordless si spegne. Lauren penserà che le abbiamo sbattuto il telefono in faccia, ma suppongo che capirà. E se non lo fa non mi importa. Vorrei che fosse caduta lei in mare e che il suo stupido marito si fosse buttato a salvarla.
È terribile, ma vorrei che fossero morti loro.
Dovevano morire loro.
Dal modo in cui si infilza le unghie nei palmi, immagino che Jesse stia pensando lo stesso.
Restiamo seduti al sole il più a lungo possibile. Il calore sembra aver abbandonato il mio corpo.
Rientriamo quando ormai è quasi ora di pranzo. Zia Kat dovrebbe essere qui a momenti ormai.
Jesse si trascina nella sua stanza e si infila sotto le coperte ancora vestito. Maddie è sdraiata sul pavimento della sua camera circondata da fazzolettini e con il colletto del pigiama fradicio. Mi stendo accanto a lei e lascio che si sfoghi. Lascio che crolli su di me. Lascio che ognuno di loro sfoghi il proprio dolore su di me, perché io non riesco a farlo uscire in nessun modo.
 
 
Dovrei avvertire qualcuno.
Dovrei dire a qualcuno in questa stupida città cos’è successo, in modo che il pettegolezzo si diffonda e non tocchi a me spiegarlo a tutti.
Prendo il cellulare e chiamo Penny. Butto tutto fuori. Non le faccio dire una parola finché tutto quello che è successo non aleggia tra noi, saturando l’aria. Lascio che sia la sua mamma impicciona a passare parola.
Penny mantiene la calma e parla con toni rassicuranti. Mi dice che arriva subito e io la aspetto seduta sul dondolo del portico.
La sua macchina rossa illumina il vialetto e, prima che me ne renda conto, lei salta giù e mi abbraccia con tutta la forza che ha. Lascio che il suo profumo mi rassicuri e che le sue braccia magre mi impediscano di dissolvermi nel nulla.
La portiera della macchina si apre con lentezza e la testolina rossa di Lena luccica alla luce del sole. Si avvicina incerta, pronta a scappare al primo segnale di pericolo. La lascio sedere sul dondolo accanto a noi e lascio che mi abbracci. Vorrei dirle che non deve toccarmi, che non mi sono dimenticata del coltello che mi ha piantato nella schiena, ma non posso perdere nessun altro al momento.
 
Dondoliamo seguendo il ritmo del vento. Nessuno parla e di questo gliene solo grata.
Un taxi si ferma davanti a noi e zia Kat si lancia fuori dalla portiera come un razzo. Mi corre incontro e io faccio lo stesso. Il suo profumo al cocco mi avvolge e le sue braccia abbronzate mi stringono con sicurezza. Non scoppia a piangere e non mi crolla addosso. Ha il viso arrossato e gli occhi gonfi, ma sembra più salda che mai.
«Oh, amore» mugola «Mi dispiace così tanto». Mi stringo a lei mentre mi accarezza la testa e sussurra rassicurante «Sono qui. Andrà tutto bene». Lascio che sia lei a tenermi salda a terra e che il dolore mi soffochi.
 
 
Non ricordo nulla.
Non ricordo i giorni che passano. Non ricordo le condoglianze dei concittadini. Non ricordo il funerale. Non ricordo assolutamente nulla. Tutto scorre rapido come se qualcuno avesse premuto il tasto che velocizza la realtà. Ricordo qualcuno che parla, mani che mi sfiorano e che sono dispiaciute. Un prete che non ho mai visto parla dei miei genitori, come se fossero stati i suoi migliori amici. È tutto così stupido. I funerali non hanno alcun senso.
Tra la folla scorgo un sacco di facce familiari. La vista di Lauren e Steve mi dà la nausea. So che è un sentimento assolutamente irrazionale e non è da me, ma li odio con tutta me stessa. Niente di tutto questo doveva succedere. È Lauren che ha trovato la crociera, è colpa sua.


L’unico ricordo che si è fissato a fuoco nel mio cervello è l’immagine delle bare di legno mentre vengono calate sottoterra e la vocina di Benji che mi chiede come faranno a respirare dentro quelle scatole. Gli stringo la mano e fingo di non averlo sentito, perché non ho la risposta. Non ho nessuna risposta alle sue domande.
 
Dopo la cerimonia, la casa si riempie di gente da tutto il paese. Persone che non ho mai visto mi dicono quanto gli dispiaccia per quello che è successo. Non so davvero cosa farmene di tutte le loro condoglianze.
Zia Kat rimane salda e forte. Parla con tutti, fa in modo che tutto proceda e fa in modo che nessuno di noi rimanga mai solo. Le persone mangiano e chiacchierano dentro casa nostra come se il mondo non si fosse appena disintegrato.
Nessuno sembra davvero triste.
Lena e Penny mi stanno sempre accanto. Una di loro mi stringe sempre la mano e quando vedono che la conversazione con qualcuno mi sta facendo crollare, la interrompono educatamente.
Niente di quello che provano a fare riesce a far scomparire l'enorme peso che mi schiaccia il petto e mi toglie l'aria dai polmoni.
Quando raggiungo il livello di saturazione, le semino e mi nascondo in camera raggomitolandomi sul letto. Il vestito di satin nero produce uno strano suono contro il copriletto. Odio l'abito da funerale. Non dovrebbe esistere un capo del genere.
Stringo le ginocchia al petto e comincio a contare gli elementi della tavola periodica.
Idrogeno. Elio. Litio. Berillio. Boro. Carbonio...
La porta di legno cigola quando si apre. «Bridge?» la voce calda di Ross mi fa tremare. Appare sulla soglia nel suo abito scuro e mi guarda triste. Gli faccio segno di avvicinarsi e lui si chiude la porta alle spalle. Siede sul letto accanto a me e mi sfiora la testa. «Oh, Bridge, mi dispiace tantissimo».
Lascio che mi stringa e che mi scaldi. Il suo corpo ha un odore così famigliare. Vorrei nascondermi dentro la sua giacca e scomparire. Mi accarezza le guance arrossate con dolcezza. Non ci sono lacrime da asciugare, i miei occhi non riescono più a piangere.
«Volevo parlarti da sola e ti ho vista salire, non volevo disturbarti» sussurra cauto. Non assomiglia per nulla al mostro che mi ha strappato il cuore dal petto qualche sera fa. I suoi occhioni castani sono dolci e umidi. Mi guarda come mi ha sempre guardato, come se fossi una dea scesa in terra.
Lui è il mio Ross.
La mia roccia.
«Mi ami?».
Il suo pollice mi sfiora il mento. «Più di chiunque altro al mondo».
«Allora dimostramelo». Afferro il bavero della giacca nera e gliela faccio scivolare via dalle spalle.
«Bridgette non mi sembra una buona idea».
«Hai detto che mi ami» gli bacio le labbra.
«Bridge...»
«Dimostramelo» sussurro sbottonandogli la camicia.
Il suo vacuo tentativo di opporsi si spegne e finalmente mi tocca. Risponde ai miei baci mentre allunga le mani verso la cerniera. La fa calare lentamente e il vestito nero scivola via. Finisco di sbottonargli la camicia e lascio che la visione del suo corpo mi lustri gli occhi.
«Aspetta...» farfuglia contro le mie labbra. Si alza e balza verso la porta. Fa scattare la serratura e poi torna rapidamente sul letto. Mi fa stendere sotto di lui e ricomincia a baciarmi.
Lascio che il suo corpo mi faccia da scudo e che le sue mani mi facciano dimenticare che esiste il mondo fuori da questa stanza. I suoi baci mi distraggono. Il suo odore mi rende leggera. Il mondo in cui mi tocca mi fa sentire felice. Non devo pensare a nulla. Non ho nessuna preoccupazione a parte quella di sentirmi bene. Lascio che lui faccia sparire tutto, perché non trovo un altro modo per far sparire il dolore.
 
 
Restiamo sdraiati sotto il lenzuolo a fissare il soffitto, come sempre. Ross respira affannosamente e tiene le braccia sotto la testa. Ha l'aria appagata. Io invece non mi sento affatto appagata. Mi sento sporca e ridicola. Il dolore per un po' è sparito e stato sostituito dal piacere inteso, ma ora è tornato anche più forte di prima. Il disgusto per me stessa amplifica la sensazione che mi opprime il petto.
«Wow» sospira «è stato fantastico».
Dio. Come si fa a cadere così in basso?
Se lo mando via abbastanza in fretta posso fingere che non sia mai successo. 
«Bridge?» sospira Ross.
«Vattene».
«Cosa?» si volta a guardarmi confuso.
Bisogna spezzare la cosa sul nascere. «Credevi che fossimo tornati insieme? Credevi che quello che mi hai fatto fosse sparito magicamente solo perché i miei genitori...» mi manca la voce.
Ross mi sfiora la guancia «Credevo che...».
«Credevi male» lo interrompo allontanando la mano «Mi serviva una distrazione e tu eri qui. Niente di più. Niente di meno».
Per la prima volta da quando lo conosco, vedo del sincero dolore nei suoi occhi. «Mi hai usato come...».
«Proprio così. Ora vai via».
Sbatte le palpebre e scuote la testa. «Che stronza».
L'orgoglio brucia. «Ho imparato dal migliore».
Ross sbuffa dal naso e si affretta a rivestirsi. Ancora con la camicia aperta e i pantaloni slacciati oltrepassa la porta e se la sbatte con forza alle spalle. Il rumore del legno sbattuto rimbomba nella stanza. Mi lascia sola, portandosi via il mio cuore e tutta la felicità.
Vorrei che si fosse portato via anche un po' del dolore.
 
Resto sdraiata nel letto e aspetto che il pavimento si spacchi e mi inghiotta, ma non succede nulla. Le voci degli ospiti mi arrivano ovattate e, quando finalmente cessano, decido di lasciare il mio bozzolo. Mi infilo il pigiama e scendo al piano inferiore. Kat e i miei fratelli siedono in salotto nel più completo silenzio. Maddie si liscia convulsamente i capelli, Benji siede sulle ginocchia di zia Kat e Jess si mordicchia il pollice nervoso. Mi siedo sul bracciolo del divano accanto al mio gemello. Kat mi lancia un'occhiata preoccupata, ma non dice nulla sul fatto che me la sono data a gambe. Emette un lungo sospiro e poi apre la bocca. «Ho aspettato perché non sapevo quando dirvelo, ma ormai non posso più indugiare. Qualche anno fa, vostra madre mi ha dichiarata vostra tutrice legale se mai le fosse successo qualcosa» accarezza la guancia di Ben «Quindi d'ora in poi mi prenderò cura io di voi».
Non mi sorprende affatto, ma pensavo che se mai i nostri genitori fossero morti saremmo andati a vivere da zio George, il fratello di papà, che vive poco lontano da qui. Zia Kat abita in California.
«Dove vivremo?» domanda Jesse appoggiandomi una mano sul ginocchio.
«In California?» chiedo stringendomi nel pigiama leggero.
«Sì, immagino di sì. Io abito vicino a Los Angeles e potremmo…».
«Dovremmo lasciare tutto?!» strilla isterica Maddie «Assolutamente no».
«Madison» la richiamo «Cosa pensi di fare? Vivere qui da sola?».
«Può trasferirsi lei qui» mormora arrabbiata «Qui c’è tutta la nostra vita. Io ho degli amici, ho la scuola e tutto quanto. Non voglio andare a vivere da un'altra parte».
«Non è una decisione che spetta a noi, Mads» le dice Jesse con gentilezza.
«No, invece» asserisce Kat «Dobbiamo parlarne, non prenderò una decisione senza parlarne con voi».
«Io dico di no» brontola Maddie.
«Anche zia Kat ha una vita lontano da qui. Ha un lavoro e una casa» la informo. Per quanto sia comprensibile, odio alla follia il suo egocentrismo.
Mi scocca un’occhiataccia. «Solo perché la tua vita sociale fa schifo non significa che dobbiamo lasciare tutto anche noi. Non è certo colpa mia se Ross ti ha fatto le corna».
Stringo i denti con forza, sperando che non si spezzino. So che tutta questa rabbia è irrazionale ed è dovuta al dolore, ma fa male lo stesso.
«Cosa?» chiede Jesse spaesato.
«Lascia perdere» borbotto.
Kat sospira stanca. «Sono stati quattro giorni molto lunghi, perché non andiamo tutti a dormire e ne parliamo domani?».
Annuiamo e ogni si dirige in silenzio verso la sua stanza.
 
 
Verso le due del mattino, smetto di provare a dormire e scendo in cucina per bere un po’ d’acqua. Saranno tre giorni che non chiudo occhio. Ogni volta che provo a dormire, sogno di annegare e mi sveglio madida di sudore.
Scendo le scale e mi avvio verso la cucina. La voce incrinata di zia Kat mi blocca a metà del corridoio. «Io non so cosa fare, Roxie. Non posso sradicarli dalle loro vite, hanno appena perso i genitori. Non sapevo che Pearl mi avesse nominata tutrice, pensavo che fosse il fratello di Adam. Non so fare il genitore! Lei era quella delle due che era nata per fare la mamma. Non so crescere dei bambini» fa una pausa e aspetta la risposta della sua migliore amica. «Non posso trascinarvi in questa faccenda. So che la casa è grande, ma saremmo in otto sotto un tetto. Mi sembra troppo». Un’altra pausa. «Sì, lo so. Magari per il momento puoi dirigere tu la rivista. Ti mando i lavori per e-mail e magari…». Sospira. «Lo so. Non dovete sentirvi obbligati. Ne parliamo domani, okay? Voglio parlarne prima con i ragazzi. Si, anch'io. Ciao».
Appoggia il telefono sul tavolo e si lascia andare ad un lungo sospiro.
Busso sullo stipite annunciando la mia presenza. Kat alza la testa e sorride «Ehi, nocciolina. Vieni». Mi siedo accanto a lei. «Non riesci a dormire, eh?».
«Non molto» sospiro.
Mi accarezza la guancia con dolcezza. È sempre bellissima. I capelli biondi baciati da sole e gli occhi azzurri sono identici a quelli della mamma. Ha la pelle abbronzata e delle belle lentiggini sul naso. Porta davvero benissimo i suoi trentatré anni.
«Allora, cos’è questa storia di Ross? Pensavo foste anime gemelle».
«A quanto pare lui non lo pensava. Mi ha tradita diverse volte». Il petto mi brucia con forza. «Anche con Lena».
«Lena?» spalanca gli occhi, sorpresa «La tua migliore amica?» chiede.
Annuisco. «Mi ha fatto addirittura vedere il video in cui lo fanno. Immagino volesse farmi stare male dopo che avevo rifiutato di tornare con lui». I loro corpi avvinghiati mi tornano in mente facendo tornare la nausea. «Sono cose che non si scordano».
«Mi dispiace davvero, nocciolina».
Scrollo le spalle. «In quel momento pensavo fosse la fine del mondo, ora sembra solo una stronzata come un’altra».
«Un cuore spezzato dovrebbe essere il peggio per un'adolescente» mormora triste. Mi sposta una ciocca dietro l’orecchio guardandomi con dolcezza. «Assomigli moltissimo a tua madre» sussurra.
Un nodo grande come una casa mi si incastra nella gola. «Anche tu».
«Vorrei tanto che fosse qui» si asciuga un occhio. «Mi direbbe cosa fare. Lei sapeva sempre quale era la scelta migliore».
Sì, è proprio vero. «Dovresti portarci in California».
«Bridgette…» esala.
«No, sul serio» le asciugo la guancia con la mano. «Qui non andremo mai avanti con la nostra vita. Questa città è un buco. Saremo per sempre “quelli a cui sono morti i genitori”. Io non voglio vivere in questa casa senza di loro» le stringo le mani «Non importa dove, ma non possiamo più stare qui».
«Ne sei sicura? Non lo dici solo per quello che è successo con Lena e Ross?» chiede.
Forse. «Non devi parlarne con noi. Ci serve qualcuno che ci aiuti ad andare avanti e che ci dica cosa fare. Abbiamo bisogno di un adulto che ci guidi».
 
 
 
Ci vuole una settimana, più o meno, per impacchettare tutte le nostre cose, organizzare il trasporto in California e arrivarci. Solo Madison all’inizio protesta animatamente contro lo spostamento, ma capisce molto in fretta che la California è molto più alla moda e interessante del North Dakota.
Durante il viaggio in aereo, zia Kat ci spiega come funzionerà la nostra sistemazione. «Allora, io vivo con altre tre persone. C’è Roxanne, Roxie per gli amici, è la mia socia in affari. Insieme gestiamo una rivista di moda. È super simpatica, vi piacerà» si sistema la cintura «Poi c’è Logan, è un vecchio amico del liceo. Possiede una gelateria sul molo. È davvero un mago in cucina. Poi c’è Kaden. È un surfista da paura e possiede un negozio di articoli per il surf e fa le migliori tavole al mondo. Oh, ed è un ottimo insegnate, se volete imparare». Ci lancia un'occhiata per vedere se qualcuno ha qualcosa da dire, poi continua. «La casa è molto grande, però dovrete condividere le stanze. Jesse e Benji al secondo piano e Maddie e Bridgette in soffitta».
«In soffitta con Bridgette?! A casa avevo una camera tutta mia e non in una soffitta» brontola stizzita.
«Impareremo a convivere» le intimo. Mi lancia un’occhiata infastidita e si mette a guardare fuori dal finestrino.
Sorrido a Kat. «Sembra fantastico» la rassicuro.
Lei fa una smorfia incerta «Spero sia la scelta migliore».
«Lo è» le assicuro.
 
Ci vogliono due taxi e un enorme furgone dei traslochi per trascinare la nostra vita in giro per la California. Il viaggio in aeroplano è stato una vera tortura cinese. Maddie non ha fatto altro che criticare ogni scelta di zia Kat, Benji ha pianto ininterrottamente perché stavamo lasciando mamma e papà nella terra di casa e Jesse è rimasto a fissare il vuoto sotto di noi senza provare nemmeno ad intervenire. Mi scoppia la testa e i commenti schifati di Maddie sul taxi non aiutano ad attenuare il dolore.
«Si può sapere perché hai appoggiato quest'idea ridicola?» sputa non appena siamo sole nell'abitacolo. Kat, Jesse e Benji sono sull'altro taxi, a me è toccata la pagliuzza più corta. 
Sospiro infilando le unghie nella pelle del sedile. «Zia Kat è l'adulta al comando ed è lei che decide. Smettila di lamentarti, ormai siamo qui, non puoi cambiare questo fatto».
«Ho lasciato le mie amiche, il mio futuro da cheerleader e...».
«Non me ne frega nulla, Maddie» la interrompo prima che l'autista ci chieda di scendere «Abbiamo sacrificato tutti qualcosa, smettila di fare la vittima e prova a cercare il lato positivo».
Sbuffa dal naso e mi perfora la pelle con lo sguardo arrabbiato. «Trovare il lato positivo?» storce la bocca in un'espressione sarcastica. «Eccone uno: Mamma e papà sono morti e non sapranno mai che hai venduto la casa in cui siamo nate e cresciute». Si appoggia contro lo sportello, inforca le cuffiette e mi chiude fuori. L'autista ci lancia un'occhiata incuriosita ma rimane in silenzio. Meglio per lui, se provasse ad impicciarsi probabilmente finiremmo per fare un incidente.
Il tragitto dura troppo. L'odore di umido, sigarette e profumi misti mi fa prudere il naso e il caldo desertico mi fa sudare come una centometrista. Quando finalmente il veicolo si ferma davanti ad una casa mi lancio fuori dallo sportello e ruzzolo sul marciapiede. La villa che ci si staglia davanti sembra una reggia in confronto alla nostra vecchia casetta. La facciata è di un bianco incredibilmente candido, contrapposto a delle zone fatte solo di legno scuro. È piena di finestre alte e squadrate. Il giardino anteriore è ben curato e adornato da fiori colorati ed esotici. Un vialetto di sassi bianchi porta dal marciapiede alla porta d'ingresso.
È tutto meraviglioso finché l'occhio non mi cade sulla cassetta della posta mezza nascosta dai fiori. Ci sono quattro cognomi dipinti sopra e nessuno è il nostro. Una fitta di dolore mi stringe il cuore, ricordandomi che non c'è più una casa con il nostro cognome dipinto sopra.
«Bridge» mi chiama Kat da dietro il taxi «Vieni a prendere la tua valigia, così entriamo». Smetto di estraniarmi e ricaccio il dolore in fondo allo stomaco. Afferro il mio trolley con i fiori e lo appoggio sull'asfalto caldo. Zia Kat ci conduce tra l'erba, sui sassi bianchi e verso la porta con il batacchio a forma di stella marina. Afferra la maglia e cerca di sorridere «Benvenuti a casa».  
   
 
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