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Autore: Il filo di Arianna    08/07/2019    2 recensioni
Cosa accadrebbe se un giorno vi capitasse di voler scrivere una vostra storia omaggiando alcuni grandi autori che hanno giocato un ruolo fondamentale nella vostra formazione?
Dal modernismo inglese, a Italo Calvino, passando attraverso la preziosa lezione di Gabriele d'Annunzio. Così nasce Monica. Così nasce la sua storia.
La mia è una mano insignificante rispetto a quella di questi grandi, quindi non ho alcuna pretesa; direi solo quella di condividere con voi il frutto di un pomeriggio di fantasia alla ricerca del sé.
Perché in questi anni dove ciascuno si sente perso, per una ragione o per un'altra, in qualcosa di più grande delle proprie forze, forse è bene seguire il percorso di Monica, una donna tradita, come tante altre, che nella disperazione riesce a ritrovare un senso alla propria vita.
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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“Ecchisietevòi, o incantevole dama?”

Monica ha bruscamente interrotto la sua fuga – perché stava fuggendo fino a qualche secondo fa, dannazione! – distratta da una voce che sovrasta il brusio generale che la attornia. Non è certa di quanto ha percepito, soprattutto perché, gettando qualche sguardo di qua e di là, non trova nessuno che potrebbe averla interpellata. Con quella strana richiesta, poi. Sempre che non fosse un’allucinazione giustificata dal suo, al momento, penoso stato emotivo. Sicuramente un’allucinazione: chi mai al giorno d’oggi passeggiando per strada si rivolge ai passanti appellandoli “incantevoli”? O meglio, chi mai avrebbe potuto definirla “incantevole”? Per di più, chi mai avrebbe chiamato “dama” una donna incontrata per la via? Forse qualcuno che per colazione si è cibato del dizionario, che altro!

“Ecchisietevòi, o incantevole dama?”        
                                                              
Monica è costretta nuovamente a fermarsi dopo aver compiuto appena qualche passo. Se qualche minuto prima la voce pareva più una sua personale percezione, come distante e soffusa - insomma non ben distinguibile - ora sembra quasi che provenga da qualcuno evidentemente nei pressi. Eppure Monica non scorge nessun papabile candidato alla soluzione del suo piccolo mistero, men che meno quella donna pingue che di fronte all’esposizione della più amata pasticceria del paese sta rifacendosi gli occhi. Con un evidente rivolo di bava alla bocca. Che squallore.
E poi era non era un’espressione da donna, di questo ne è sicura.

"Ecchisietevòi, o incantevole dama?”

Nonostante l’evidente spaesamento della ragazza, la voce continua, incessante, a richiamare l’attenzione di Monica che stupita, ora, si perde ad osservare quei contorni sempre più indefiniti di una realtà che ancora per poco la tratterrà a sé. Sembra quasi che in quel richiamo risieda la chiave del misterioso arcano che sta accadendo sotto il suo sguardo meravigliato. Alla sua sinistra ora non c’è più la donna su cui si era soffermata poco fa, nemmeno l’insegna luminosa della pasticceria che attira clienti più dei fiori per le api. Una nebbiolina strana e innaturale e quasi … magica avvolge Monica trasportandola in un’altra dimensione, altra rispetto alla nostra dannata realtà: quella dei sogni. Di fronte a lei un qualcosa, impossibile da spiegare a parole, luminosissimo, quasi quanto una stella, ma di forma stranissima. A Monica pare che rappresenti un uomo a cavallo. Può mai una stella avere la forma di un cavallo con il suo fantino? Beh, nel mondo dei sogni tutto è possibile. Quindi è già pronta la ragazza quando scorge quella strana figura voltarsi nella sua direzione e rivolgerle la fatidica domanda, illuminandosi un poco di più, ad intermittenza, per ogni parola pronunciata:

“Ecchisietevòi, o incantevole dama?”

Monica ha lo sguardo ancora fisso sui contorni sempre più definiti di quell’oggetto luminescente. Polvere di stelle direbbe senza esitazione, se dovesse descrivere il materiale di cui è costituito quello che a tutti gli effetti le pare un cavaliere in groppa al suo fedele destriero. Abiti buffi indossa. Ora che Monica si è avvicinata di qualche passo a quella figura - unici protagonisti, loro due, del mondo onirico, in cui si trovano immersi – riesce a distinguere con precisione le sue fattezze, i suoi contorni, nonostante la luminescenza rimanga: è un vecchio, con la barba bianca sul petto e le mani fisse sul pomo della sella, montata su un cavallo che sembrerebbe più grande del normale. Di fronte a questa visione, Monica non si sarebbe aspettata quello sguardo fiero, luccicante e determinato – la stessa determinazione e forza trovata nelle parole rivoltele - che invece scorge nell’incrociare gli occhi dell’anziano.

 “Ecchisietevòi, o incantevole dama?”

Il vecchio continua a ripetere con voce cantilenante quella domanda, come incurante di tutto ciò che non siano quelle quattro parole; come se il suo destino fosse ripetere all’infinito quella specie di formula magica qualunque sia il soggetto a cui venga rivolta, qualunque il luogo dell’incontro. Monica, ancora spaesata e stupita dall’eccezionalità della situazione, non presta attenzione al contenuto dell’espressione, i suoi occhi sono fissi sull’armatura scintillante, la gualdrappa riccamente decorata, la spada nel fodero. Sembrerebbe un guerriero vestito di tutto punto, pronto alla battaglia. Per combattere chi?

Monica corre allegra nel prato, alle spalle del suo fedele compagno di giochi. Un sorriso impresso a fuoco sulle sue labbra; una risata trattenuta in gola per non sprecare il fiato necessario alla folle corsa. Minnie è veloce, le sue zampe volano sull’erba. Monica non vuole essere da meno, benché le sue gambe non riescano a tenere il ritmo della giovane pastore tedesco lanciata all’inseguimento di quella meravigliosa farfalla blu che, con leggiadria, qualche minuto prima ha catturato l’attenzione di entrambe.

Monica percepisce la sua mente invasa – come a causa di una forza sconosciuta - da quel ricordo, uno fra i più belli della sua infanzia; perciò lo custodisce gelosamente, ancora oggi, da adulta, in un anfratto nascosto del suo cuore, della sua anima. Se dovesse dare una definizione al concetto di gioia, senza esitazione sceglierebbe quell’immagine immortalata molti anni prima in un pomeriggio di inizio estate. Ora Monica non comprende il motivo per cui il suo cervello si sia soffermato, in quest’atmosfera di sogno, su questa memoria del passato,  sa solo che quell’antica spensieratezza come una medicina benefica ha preso a circolare nei vasi sanguigni del suo organismo, raggiungendo, al ritmo imposto dal cuore, anche la periferia del suo corpo.

“Ecchisietevòi, o incantevole dama?”

Un groviglio di emozioni le sta facendo perdere il controllo, guadagnato con fatica solo qualche ora prima. Sente una furia distruttiva pervaderle ogni singola cellula del suo corpo. Vorrebbe spaccare tutto quanto si trova sul suo cammino così da espellere questo maledetto morbo che le sconvolge la vita. Eppure Monica ha le mani legate, non riesce. All’istante una folgorazione: una tela disposta malamente sul cavalletto, un pennello nella sinistra – perché Monica è mancina. Dipinge il suo dolore, la sua rabbia, la sua frustrazione. Dipinge. Con l’acqua perché la sua esistenza non ha più alcun colore per lei. Finché si ricorda di quel blu intenso, il colore della felicità, e come guidata da una mano invisibile, la tela si riempie di tratti più o meno nervosi, più o meno logici. Dipinge il mare, Monica. La furia delle onde. La grandezza della distesa d’acqua. Si svuota man mano una pennellata si aggiunge alla tela. Un corpo all’apparenza vuoto, in realtà ricco di quell’identità che nella solitudine della sua vita stava per smarrire.

Monica riemerge dall’acqua, purificata in parte dal peccato commesso. Una sorta di battesimo si direbbe, come se questo ricordo, l’acqua, abbia cancellato la sua colpa. Rinascere a nuova vita. Un’Eva perdonata, accolta nuovamente nel giardino. Un serpente sconfitto dall’affermazione di un’identità non definita dal circostante, ma formata all’origine.  L’anziano ancora di fronte a lei la scruta con occhi intensi. Ora Monica, riascoltando quelle insensate parole nell’intimo della sua anima, finalmente comprende il significato di questo bislacco mondo onirico.

Chi sono io? Qual è la mia identità?

Monica non saprebbe rispondere. Sa però che per troppo tempo ha cercato di definirsi nelle azioni e nel rapporto con gli altri, perdendosi. Capisce che il serpente è riuscito a trarre in inganno ancora una volta – è storia è mito è racconto – la nuova Eva perché come le precedenti ha cercato il significato di se stessa fuori da sé, in una relazione fosca, nel buio della contingenza. Non ha accettato il dato, non ha cercato la definizione negli strumenti che le sono stati consegnati. Così ha creduto alle sue parole, alle sue promesse, al suo amore. Per nobilitarsi, per essere qualcosa per qualcuno. Non ha scorto il veleno nascosto nelle spire del serpente. Monica ha permesso per troppo tempo che un rapporto viziato la definisse come donna, come persona. Forse è giunto il momento di conquistarsi una dignità lontano dal serpente, una dignità di donna in se stessa, prima di definirsi in relazione.

Monica non sa chi sia, ma forse, per la prima volta nella sua vita, non vede l’ora di scoprirlo
.










Angolo Autrice:
Il percorso di Monica continua: le stelle hanno risposto al suo disperato grido di aiuto.
Rinnovo la richiesta che ho posto in conclusione allo scorso capitolo: scrivetemi quali emozioni o riflessioni questa lettura vi ha suscitato, sarebbe una conquista sapere che questo testo vi ha dato qualcosa di più oltre che un semplice passatempo.

A proposito del capitolo, non so quanto sia evidente, tuttavia, alle sue spalle, come elemento fondante e costruttore, si trova la storia di Italo Calvino: "Il Cavaliere Inesistente". Essendo questo un romanzo fantastico costruito per la ricerca del sé, ho creduto che si sposasse a pennello con la vicenda di Monica. In particolare i riferimenti si limitano al primo capitolo.

 
  
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