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Autore: Kat Logan    08/07/2019    4 recensioni
Makoto ripulì il banco del bar dalla sabbia e dall’ appiccicume di qualche Margarita finito lì sopra per colpa di qualche bevitore distratto. Ne aveva piene le orecchie di storie e confessioni che la gente le faceva con i piedi affondati nella sabbia fine di Malibù. Chi credeva che fare la barista fosse un lavoro semplice, si sbagliava. Lei era il confessore dei peccati più bollenti di tutta la costa e nel suo tempio sacro ogni peccato veniva perdonato con un cocktail.
«Adesso ve la racconto io una storia davvero stramba».
Avrebbe dovuto starsene zitta, ma qualcosa in lei era scattato come una molla e da confidente silenzioso, Makoto, divenne oracolo senza peli sulla lingua.
«C’è un pompiere che rischia di bruciarsi per amore e convive con un’aspirante star della musica. Un artificiere incosciente, arrogante e pieno di sé. E poi c’è lei, con lo sguardo che nasconde una ferita profonda perché per la seconda volta nella vita ha fallito in qualcosa…».
«E poi?». Usagi la interruppe presa dell’entusiasmo. «Gli altri personaggi di quest’avventura chi sono?».
Makoto sospirò, portandosi lo strofinaccio sulla spalla.
«Un timido genio, una baby sitter fuori controllo e una stupida barista…»
Genere: Azione, Commedia, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Shoujo-ai | Personaggi: Haruka/Heles, Michiru/Milena, Minako/Marta, Un po' tutti, Yaten | Coppie: Haruka/Michiru, Mamoru/Usagi
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessuna serie
Capitoli:
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«Unmei no akai ito» il filo rosso del destino. Fu come un sussurro al suo orecchio che portava la voce del fantasma della moglie defunta. Mamoru, con la sensazione addosso di avere ancora Serenity accanto a sé, si svegliò di soprassalto rischiando di cadere dalla sedia.
Si stropicciò gli occhi con le falangi strette a pugno, in preda al batticuore e confuso si guardò attorno come a cercarne la figura alle sue spalle.
Doveva essere stato un sogno, ma la sensazione di averla sentita realmente lì non sembrava voler scemare.
Massaggiò con una mano il collo dolorante per la posizione errata tenuta per il tempo della sua dormita e si rese conto solo dopo un paio di minuti, recuperata la calma, di trovarsi ancora sul luogo di lavoro.
«Cavolo». Sbirciò l’orario dal cronografo al polso e schioccò la lingua per poi drizzarsi come un fuso. Era crollato sul libro che Haruka non gli aveva permesso di leggere per tutto il pomeriggio perché troppo presa dalla paranoia di non essere ancora abilitata al servizio da Seya.
Erano le dieci di sera e il dipartimento era deserto.
Mamoru si affrettò a recuperare le sue cose e ad uscire in strada per tornare al suo appartamento con la fretta alle calcagna.
Fortuna aveva voluto che la sconosciuta dai lunghi codini biondi avesse avuto l’idea di occuparsi di Chibiusa quel pomeriggio, o sarebbe stato un vero e proprio disastro.
Controllò il cellulare. Nessun messaggio o chiamata. Doveva essere andato tutto liscio, altrimenti una babysitter con un po’ di senno avrebbe sicuramente avvertito in caso di problemi. Ammesso e concesso, fosse sopravvissuta al caratterino della piccola birbante.
Mamoru sorrise sotto la luce dei lampioni.
«Sei capitata proprio al momento giusto» disse tra sé e sé, guardando il display senza notifiche.
 
Alcuni l’avrebbero chiamata fortuna, altri coincidenza. Serenity invece avrebbe proprio pronunciato quella parola: destino.
 
 
§§§
 
 
Al Moon bar, i fili annodati ai mignoli degli amanti dovevano aver formato una matassa intricata da sciogliere.
Con tanta scelta sul luogo dove far serata erano capitati tutti lì, in un posto solo e nel medesimo giorno. Gli amori finiti, quelli appena nati, quelli che dovevano ancora scoprirsi e quelli taciuti si ritrovavano nella stessa stanza ignorando il fatto che qualcuno aveva già scritto per loro il preciso copione del loro avvenire.
Rei schioccò l’occhiolino a Dan non appena gli fu di fianco al bancone. Non aveva la confidenza che si ha con un amico, ma spesso e volentieri si erano ritrovati assieme per lavoro o per qualche ora la sera, vista l’amicizia che avevano in comune.
Lui la salutò con un sorriso e un cenno frettoloso della mano. Tutta la sua attenzione era riservata alla giovane donna con cui era uscito e a nessun altro, tanto che non si era ancora accorto della presenza di Haruka nel locale.
 
«Come mai proprio questo posto, Harris?» domandò Setsuna facendo un cenno al barista per poi accavallare le lunghe gambe sullo sgabello.
«Mi piace scovare i talenti nascosti delle persone» disse di rimando lui, attento a non far cadere troppo l’occhio sui lembi di pelle ambrata scoperti dal vestitino nero della sua accompagnatrice.
«Tu ne hai?» chiese lei con aria divertita.
«Beh, se escludiamo il fatto di essere super affascinante e saper disinnescare una bomba, oltre che sconfiggere la morte…» fece una pausa. Gli angoli della bocca erano talmente incurvati all’insù da sembrare di poter arrivare agli occhi. «Sono un estimatore di ciambelle. E mi creda, capo Meiō, non è una cosa semplice».
Setsuna scoppiò a ridere come non faceva da tempo. Non passava tanto tempo in compagnia perché il tempo libero scarseggiava e di conseguenza le amiche. Lei era una donna votata alla propria carriera, con un obbiettivo arduo da perseguire e per cui aveva rinunciato a tutto. Le rare volte in cui rideva, dunque, erano le più spontanee e preziose che si potessero collezionare.
«Da una parte sono curiosa e vorrei approfondire l’argomento, dall’altra ho paura di sapere la risposta. In cosa consisterebbe essere un estimatore di ciambelle?».
«Innanzi tutto…» cominciò lui tirando in fuori il petto con fare orgoglioso. Sembrava dovesse parlare di un dottorato o una laurea guadagnata con anni di duro studio. «Ho girato quasi tutti i locali che vendono donuts e ciambelle. Le ho assaggiate TUTTE. Ci è voluto tempo credimi. E adesso so riconoscere ad occhi chiusi ingredienti, impasti e quant’altro. C’è anche una gara sai?».
Lei sbatté le ciglia allungate dal mascara. «Credo di star immaginando una di quelle sagre dove ci si sfida a chi mangia la quantità maggiore di hamburgher o cose del genere».
«Roba da principianti» rispose lui ordinando una Guinness. «Cosa prende capo Meiò? Non so se è più una donna da vino, cocktail o…».
«Una Guinness anche per me» disse al barman prima di piantare gli occhi scuri in quelli del ragazzo.
«Sono una donna che non vuole mai essere da meno rispetto a chi si trova di fianco. E…Harris…».
«Si?».
«Piantala di chiamarmi capo Meiō se siamo fuori dall’ufficio».
«Si-signora».
«Andiamo proprio di male in peggio».
Lui si agitò, perché prese ad aver caldo e lo sgabello era divenuto improvvisamente scomodo.
«D’accordo, Setsuna» recuperò lui.
«Ho un’altra richiesta…» aggiunse lei, ringraziando con un cenno del capo il ragazzo dietro al bancone che le servì la pinta. «Voglio che mi porti in uno dei tuoi posti. Voglio proprio capire di cosa parli».
Dan sorrise come un bambino.
«Affare fatto».
 
 
§§§
 
 
In una piccola stanzetta sul retro del locale, adibita a camerino per i partecipanti alla serata, Michiru, organizzata e puntigliosa come al solito, stava lavorando agli ultimi ritocchi sui capelli di Minako.
La bionda continuava a stropicciarsi l’orlo in pizzo del vestitino bianco che la più grande le aveva fatto trovare dentro ad una busta blu in preda all’impazienza.
«Posso vedere ora?» domandò con fare smanioso e un piede che batteva insistentemente fuori tempo.
«Non ancora. Ma sei bellissima, puoi stare tranquilla. Farai un figurone vedrai». Disse Michiru con un filo di voce nel tentativo di sedare l’ansia della più giovane.
Si mise una forcina tra le labbra mentre le mani erano intente ad armeggiare con piastra e lacca, concentrata come una vera professionista.
 
Visto come si erano lasciate il giorno prima Haruka e Michiru, ricevere la chiamata dell’artificiere che le chiedeva il favore di aiutare l’amica per la sua serata era stato davvero singolare. Tanto che solo dopo aver concluso quel breve scambio di parole per avere qualche informazione in più Michiru si era domandata come Haruka avesse avuto il suo numero di telefono. Probabilmente lo aveva sgraffignato dalla rubrica di Setsuna, ma poco importava perché inaspettatamente quel compito le aveva alleggerito l’animo. Era contenta di essere utile e indirettamente di aiutare anche il giovane ex cognato.
 
«Lo fai da tanto tempo?» domandò Minako, strappando l’altra ai suoi pensieri, per  cercare di stemperare la tensione dovuta a quell’esibizione che avrebbe non solo potuto cambiare la sua di vita, ma anche quella di Yaten.
«Da qualche anno. È cominciato come un hobby, poi sono arrivate le prime richieste da persone più in vista. Mi sono fatta notare con quelle e adesso lo faccio spesso, lavoro permettendo. Mi piace. Sono diventata abbastanza brava a capire cosa vogliono le persone». Trovò quasi buffa quell’ultima frase. Perché se capire la gente era realmente il suo mestiere, sia come mediatore che come stilista, della sua vita non comprendeva quasi più niente. Ne aveva perso il controllo con una facilità tale da non riuscire a capacitarsene.
«Capisci bene anche Yaten?» si lasciò sfuggire Minako, mordendosi poi la lingua.
Michiru si fece scappare una risatina.
Yaten per lei era rimasto sempre il bambino col broncio che seguiva in ogni dove il fratello maggiore, cercando di catturarne invano l’attenzione. Anche se l’ultima volta che lo aveva visto alle Hawaii era già un ragazzino ed ora lo aveva ritrovato come un giovane uomo fatto e finito sulla costa californiana.
«Cosa vuoi sapere di lui?» chiese la più grande rifinendo l’ultimo boccolo biondo di Minako.
«Vorrei sapere tutto» rispose l’altra con un sospiro. Se solo si soffermava a pensare a lui il cuore prendeva a batterle talmente fuori da somigliare a un treno che deragliava nella sua cassa toracica e le mancava il respiro.
Non aveva una gran confidenza con quella splendida donna alla quale Haruka pareva dedicare tutte le sue energie, ma sin da quando l’aveva incontrata sul molo il primo giorno in cui era andata alla barca di Yaten le era sembrata gentile e sincera.
Michiru sospirò. Ripose i suoi strumenti per poi chinarsi davanti alla sedia sulla quale sedeva la ragazza e poterla guardare nei suoi grandi occhi azzurri.
«Io non so più se sia la persona che conoscevo una volta. Non so se quello che ha passato in questi anni l’abbia cambiato in qualche modo. Ma sono certa di una cosa, Minako. Lui ha un grande cuore. Lo ha sempre avuto sin da bambino anche se ha sempre voluto tenerlo nascosto a tutti».
La ragazza l’ascoltò come se le stesse svelando il mistero della creazione.  «Sembra distante e disinteressato spesso e volentieri, ma quello che vedi fuori è solo un muro dietro al quale ha trincerato tutto quello che lui è realmente. Se è ancora lo Yaten che conoscevo io, è la persona migliore di questo mondo da avere al proprio fianco. Sacrificherebbe tutto per le persone a cui tiene anche se a prima vista non lo diresti mai».
 
«Minako» la voce del ragazzo interruppe la conversazione tra le due.
Michiru si scostò, ammirando il proprio lavoro e Minako rispose perentoria a quel richiamo alzandosi dalla sua postazione.
Lui rimase immobile e qualcosa nel suo sguardo parve tremare.
«Quasi non ti riconoscevo» disse come fosse rimasto senza fiato dopo una lunga corsa.
Michiru alzò gli occhi al cielo raccogliendo trucchi e pennelli nella sua cassettina.
Possibile che non riuscisse a fare un complimento a quella ragazza che sarebbe stato palese a chiunque non fosse solo una co-musicista?
«Oh» Minako corrucciò la fronte per poi ritrovarsi una smorfia delusa in volto. Ma lui sembrò captarle prima ancora che potesse contaminare quel suo bello sguardo, tentando di regalarle un complimento più palese.
«Stai molto bene».
Lei sorrise imbarazzata e con la coda dell’occhio sbirciò allo specchio la sua immagine. Forse in nessun altra occasione sarebbe mai stata bella e curata come in quel momento.
 
«Okaay ragazzi!» esclamò Michiru interrompendo il silenzio tra i due piccioncini. «Io qui ho finito e andrò di là a fare il tifo per voi! Mettetecela tutta».
Ma prima che potesse lasciarli, Yatene la bloccò sulla soglia con poche parole.
«È venuto Michi» sembrava sconvolto. Lo sguardo perso di chi non sa più ritrovare la via di casa. «Seya, è qui».
Michiru si concesse un piccolo gesto che li portò indietro nel tempo. A quando i piedi bruciavano affondando nella sabbia vulcanica e portavano al collo collane di conchiglie.
Gli lasciò una carezza sul capo e pigiò piano l’indice sulla punta del suo naso.
«Forse è la sua prima volta» gli sussurrò e con fare materno. «Ma è venuto per te. Anche se non lo ammetterà mai».
Yaten non ribatté in alcun modo. Aveva sempre creduto a Michiru, ma mai aveva riposto fiducia in una possibile redenzione di quel fratello che si era lasciato alle spalle su spiagge paradisiache.
 
 
§§§ 
 
 
 
Seya, camicia sbottonata all’altezza del collo, aveva rinunciato al completo elegante per andare in quel locale. Non era propriamente il genere di posto che avrebbe frequentato. Lui era un tipo più da Jazz bar. Ambiente formale, lume di candela e musica dal vivo in sottofondo.
Notò la lunga chioma del capo delle operazioni al banco, sebbene ci mise qualche istante prima di riconoscerla fuori dall’ambiente lavorativo. Con le mani in tasca si diresse in direzione della donna per ordinare qualcosa e magari riuscire a parlarle delle sue dimissioni.
 
«Attenzione, permesso…».
 
Nello stesso momento, Rei, si destreggiava per uscire dalla calca di ragazzi che si stava formando all’angolo bar, quando una spinta frettolosa e distratta la fece inciampare nei propri piedi. I bicchieri le scivolarono di mano e un liquido scuro, freddo e appiccicoso finì col riversarsi sulla camicia immacolata di Seya che si dirigeva in senso opposto al suo.
 
«ACCIDENTI!» fu un esclamazione all’unisono. E senza rendersene conto le mani del ragazzo erano finite ancorate ai gomiti dell’altra che aveva trovato un appiglio nelle sue spalle larghe.
«Cavolo!». Rei sibilò tra i denti l’imprecazione. Forse non era il caso di dirgli di guardare avanti perché la colpa probabilmente stava nel mezzo se non nell’avventore distratto che le aveva fatto combinare quel macello.
«Ti sei fatta male?» domandò lui.
«No. Sono apposto». Lei alzò lo sguardo, ma un po’ imbarazzata per la figura barbina finì per fissare le macchie sull’indumento dell’altro.
«Guarda qui, che macello…ODDIO». Le sue labbra si spalancarono in una smorfia di terrore, poiché quella camicia doveva costare un occhio della testa. «Gas. Ci vuole del gasss! Cazzo».
«Che cosa? Cosa stai dicendo?».
«Acqua gassata. SUBITO!» disse perentoria fiondandosi dal barman e infischiandosene della fila. Lo stipendio di un vigile del fuoco era già abbastanza scarso per diminuire drasticamente per la camicia di marca di uno sconosciuto.
Seya, preso alla sprovvista da tutto quel trambusto, non riuscì a muovere un muscolo tranne che per rimirare quel macello sul petto che si stava espandendo lentamente divenendo marroncino.
«Sono qui. Ho tutto. Apri». Come un chirurgo in sala operatoria Rei ordinò allo sconosciuto di aprirle la bottiglietta, mentre dalle tasche tirava fuori una decina di fazzoletti.
«Cosa stiamo facendo?» domandò porgendole l’acqua.
«Cerchiamo di salvare la tua camicia e il mio stipendio».
Seya alzò un sopracciglio. «Credi ti chiederei i danni per una stupida camicia?».
«Credo che certa gente sia capace di tutto».
«Su questo non posso darti torto» sospirò lui.
Rei sfregò vigorosamente sul tessuto. Era tanto impegnata in quell’azione di salvataggio che un espressione concentrata le deturpava il viso e la punta della lingua aveva fatto capolino a lato delle labbra.
Seya non poté che scoppiare a ridere, trovandola estremamente buffa.
«Ti sembra divertente?!». La mora lo fissò in cagnesco, rallentando il movimento della mano. Forse avrebbe dovuto passarci sopra ed essere più gentile, ma una cosa che contraddistingueva Rei era il suo carattere scoppiettante quanto un fuoco d’artificio.
Lui si sentì tutt’altro che minacciato sebbene sicuramente fosse la ragazza più peperina del locale.
«La situazione non so, ma la tua espressione sì…è divertente».
Lei si drizzò mollandogli addosso i fazzolettini inumiditi.
«Puoi finire da solo. Vedrai com’è divertente».
Seya le bloccò la mano con sguardo di sfida.
«Sicura?» sorrise furbo lanciandogli uno sguardo ammaliatore. «È Dior».
Rei deglutì, ma non si fece intimorire. Affrontava a testa alta gli incendi ogni giorno non aveva ragione di preoccuparsi per un riccastro affascinante che aveva tutta l’aria di aver voglia di giocare al gatto e al topo.
«Preferisco Kalvin Klein».
 
 
§§§
 
 
«Ma dove si è cacciata?». Haruka, impaziente, borbottò alla ricerca dell’amica con lo sguardo. Si era persa a seguire con la coda dell’occhio Seya, rimanendo a debita distanza, fino a che non parve inghiottito dalla folla che richiedeva a gran voce un drink per prepararsi alla serata.
Guardò Dan e Setsuna gesticolare e ridacchiare complici. Lei, per tutta risposta a quell’insolito quadretto emise un grugnito scostante.
Haruka, fin dalla nascita, non aveva mai avuto nulla di veramente suo. Non una madre o un padre, non una casa o un giocattolo. La vita in orfanotrofio era stata dura e quella dopo, nella fattoria amish, non era certo da potersi considerare più semplice. Aveva dovuto faticare per costruirsi una vita a misure per lei e una delle poche cose che poteva ritenere sue erano l’amicizia con quel ragazzone amante dei dolci.
Un pizzicore fastidioso che si poteva tradurre come qualcosa di simile alla gelosia si fece strada in lei. Avrebbe dovuto dividere Dan con un’altra persona?
 
«Un’altra magia è stata compiuta». La voce di Michiru la prese alla sprovvista e Haruka si ritrovò a sobbalzare, scaraventata dai suoi pensieri fino al pianeta terra.
Si voltò scorgendo la figura dell’altra che appoggiava le proprie cose su una delle sedie libere al tavolino che lei e Rei avevano scelto per godersi l’esibizione di Minako.
Quel silenzio e la strana espressione dell’altra bloccarono però Michiru.
«Qualcosa non va?». Forse non avrebbe dovuto prendersi la libertà di tornare dalla bionda e sistemarsi come avesse ricevuto l’invito per passare con loro la serata.
«No, affatto».
Michiru tirò un sorriso. Si ritrovò stranamente in imbarazzo. Forse perché lei l’aveva vista come non si era fatta vedere mai; fragile e priva di difese. Rimase in piedi, dondolandosi appena cominciando a tirarsi piano le dita delle mani e lo sguardo rivolto alla band sconosciuta che si stava esibendo.
La penombra l’accarezzava e assieme alle luci soffuse lo faceva lo sguardo di Haruka che continuava a combattere una patetica guerra contro se stessa.
Michiru desiderava spezzare quel silenzio. Avrebbe detto qualunque cosa pur di non sentirsi in quel modo eppure non riusciva ad articolare mezza frase perché sapeva benissimo che sarebbero state parole sputate fuori per poi cadere nel vuoto. Ma Haruka, impaziente persino con il proprio autocontrollo, cedette per prima abbandonando la sua posizione e riducendo le distanze.
 
“Nobody knows you better than me, Better than the lace you wear…”.
 
La voce della cantante rimbombò tra le pareti del locale.
Lei avvertì la musica vibrarle dentro come se la corrente elettrica attraversasse di punto in bianco il suo corpo.
Temeraria, com’era solita essere, allungò una mano verso quelle dell’altra. Interrompendo quella sorta di tic che aveva pervaso Michiru.
 
“Every curl inside your hair and I'm falling in, fallin into the light”.
Guardò i riflessi di luce che lampeggiavano negli occhi della bionda e con un filo di voce riuscì a malapena a farsi sentire.
«Haruka, io credo che…».
«Hollywood…è solo un ballo. Rilassati» le soffiò all’orecchio l’artificiere per poi intrecciare le dita alle sue e poggiare una mano al suo fianco.
«Non ti si può vedere così…».
Un brivido percorse Michiru dalla spina dorsale sino alla suola delle scarpe a quel contatto.
«Così come?» domandò poi di rimando, senza riuscire a sostenere più l’azzurro intenso di quegli occhi che la guardavano.
«Come la bella ragazza al ballo di fine anno che nessuno invita a ballare. E se ne sta lì impalata con l’aria triste e affranta…».
 
Era quello il suo segreto. Il sortilegio che ogni volta la incantava lasciandola a boccheggiare come un’idiota priva della capacità di raziocinio di cui era perfettamente dotata in realtà.
Haruka non era mai distante per davvero. S’incendiava con un nonnulla e aveva sempre quell’aria di superiorità quasi fastidiosa ad accompagnarla, ma senza nemmeno esserne conscia era dotata di un incredibile dono. Lei sapeva come spegnere i tormenti delle persone. Le bastavano una battuta e quel suo sguardo che riusciva a scavare in fondo agli animi più bui per risollevare dal proprio baratro qualcuno.
 
“Anything you want to do…You and me, you and me intertwined…”.
 
«Sei stata a molti balli liceali?» chiese divertita Michiru per poi cingerle il collo con le braccia sulle note di quel lento.
Era tremendamente alta Haruka, più di quanto le fosse mai parsa prima di quel momento.
«Nemmeno uno» confessò. «L’ho visto in una marea di film che mi hanno propinato Rei e Mina, però».
«E a ballare dove hai imparato?».
«Improvvisazione».
Michiru non poté fare a meno di ridere a quella risposta.
«Scopri le tue carte Ten’ō. Quanti talenti nascosti possiedi ancora di preciso?».
«Se mi dedicassi un po’ più di tempo…» sorrise beffarda, «forse potrei anche svelarteli tutti».

Aveva le farfalle allo stomaco. Michiru lasciò che la musica le cullasse ancora per un lungo momento nel quale il tempo sembrò rallentare. E in quel lento dondolio non riuscì a staccarle gli occhi di dosso.
Ipnotizzata, si sentiva come la prima volta in cui succede. Quella in cui scopri per la prima volta l’amore e non hai idea di come comportarti.
Forse ti lascerò fare. Pensò. Magari, più tardi. Si dovette mordere la lingua per non dirlo ad alta voce.
Respira, Michi. E mentre invocava il proprio autocontrollo la magia s’interruppe quando persero il ritmo sul finire di quella esibizione.
«Ahi!».
«Lo avevo detto che stavo improvvisando» si giustificò Haruka, sciogliendo il contatto tra di loro. Aveva appena pestato un piede alla dea dai lunghi capelli blu, ma per non essere troppo blasfema si trattenne dal ridere per la propria sbadataggine.
«Hai sempre la scusa pronta!» la rimbeccò bonariamente Michiru, portandosi prontamente una mano all’altezza della caviglia. Lo fece non perché sentisse male, ma per stroncare sul nascere la voglia prepotente che ebbe di toccarla di nuovo.
Haruka creava un cortocircuito in lei, provocandole una strana dipendenza.
 
Un fascio di luce illuminò nuovamente il palco.
 
«Tocca a loro» profetizzò solenne la bionda.
 
In sottofondo lo speaker della serata annunciò il debutto di Yaten e Minako.
 
 
§§§
 
 
«Li vedo. Sono arrivati». Minako avvertì Yaten con voce tremante, rimpiangendo per un solo secondo la sfida che i talent scout avevano lanciato loro.
Adorava cantare, lo faceva mettendoci tutta se stessa ma quel pubblico era fin troppo per lei.
Si allontanò di un passo in quello che era il retroscena provvisorio del palco montato per la serata dei talenti, facendosi aria con una mano.
«Credo che la chitarra non sia accordata decentemente» disse presa dal panico, rischiando d’inciampare in un groviglio di cavi.
Aveva bisogno di una scusa per andarsene, di qualsiasi cosa pur di non affrontare il proprio destino, convinta che l’avrebbe divorata senza pietà per poi rigurgitarla in ginocchio da suo padre a chiedere perdono per la strada perseguita sino a quel momento, disobbedendogli.
«Tranquilla, biondina. E’ a posto».
«Yaten, io non credo di farcela» sbottò lei in preda a un attacco di panico in grande stile.
«Quante volte l’abbiamo suonata? Provata e riprovata?» le chiese lui con tono impassibile.
«Non le ho contate. Non lo so. Tante volte, ma eravamo io e te…non un locale gremito di gente e due tizi che decideranno del nostro sogno».
Era diventato il loro sogno. Da quando si erano incontrati non era più qualcosa che custodivano gelosamente ognuno per sé.
«Mina, ehi» lui poggiò i palmi sulle sue spalle per rassicurarla. «Respira. Non si canta stando in apnea».
Lei prese una boccata d’ossigeno e lo fissò. Non era più per la paura di deludere se stessa o di non riuscire a dimostrare a suo padre che poteva farcela. Aveva paura di deludere lui. Di spezzare le ali a Yaten.
«Se il problema è la gente, non pensarci».
La sua voce riusciva a calmarla. Minako socchiuse le palpebre per un istante, mentre l’uomo sul palco li annunciava a gran voce.
Riaprì gli occhi. Yaten era ancora lì.
«Siamo solo noi. Solo io e te» le disse con la sicurezza di chi sa come rialzarsi quando si cade.
La ragazza fece un cenno d’assenso col capo. Prese la propria chitarra e lo seguì sul palco.
 
Le luci puntate su loro più brillanti del sole.
 
Minako si sedette sullo sgabello adibito per lei, guardò oltre la piattaforma in legno.
C’era Haruka poco più in là e accanto a lei Michiru. Vagò con lo sguardo alla ricerca di Rei e incontrò altri cinquanta volti in un millesimo di secondo.
Prese un respiro profondo, prima di farli scomparire uno ad uno. Lo fece sulla prima nota scivolata sotto i polpastrelli di Yaten, al suono della voce del marinaio che sapeva come condurla fuori dalle sue tempeste interiori.
 
«Let me hold you, for the last time…».
 
Con lei c’era solo lui.
 
 
§§§
 
 
Rei, come nella ricostruzione di una scena del delitto, aveva perso per strada gli indizi che l’avevano condotta a quel momento.
Se le avessero chiesto quali azioni o parole l’avessero portata lì, incastrata con la schiena tra un lavandino e il corpo di uno sconosciuto sfacciato, non avrebbe saputo rispondere.
 
Le labbra di Seya lasciarono un altro segno roseo del loro passaggio sulla pelle del suo collo e, col capo reclinato, in preda all’eccitazione dell’incontro clandestino con uno sconosciuto, lei capì che cercare risposte sarebbe stata solo un’inutile distrazione.
Arpionò le dita sotto alla camicia sbottonata del ragazzo come a perlustrare ogni centimetro di quel bel corpo straniero. Emanò uno sbuffo caldo, lasciandosi andare contro allo specchio imbrattato di scritte di qualche giovane vandalo innamorato, incapace di tenersi per sé le proprie parole d’amore. In preda a quella frenesia che le stava dando alla testa come la peggiore delle sbornie Rei perse la cognizione del tempo e Seya dimenticò il motivo per cui aveva messo piede nel locale.

 
§§§
 
 
Salite le scale e arrivato al piano, Mamoru inspirò profondamente prima di girare le chiavi all’interno della toppa.
Poggiò un orecchio alla porta blindata, come per indagare ancora un minuto prima del suo rientro.
Forse si aspettava di ritrovare l’apocalisse nel proprio appartamento, ma udì solo il ronzio della televisione accesa in sottofondo.
Contò fino a dieci ed entrò, ritrovandosi dinnanzi Bunny placidamente addormentata sul suo sofà con le bambine sulle ginocchia.
 
Scalzò le scarpe per non far rumore, lanciando un’occhiata fugace al programma in sottofondo. Era un film anni ottanta, di quelli con la grana un po’ sbiadita e non con i colori brillanti delle opere rimasterizzate.
Sorrise mettendo in muto l’apparecchio e avvicinandosi a Chibiusa con la bocca impiastricciata da quella che doveva essere stata una cena condita di capricci.
Usagi non le aveva mentito, in fin dei conti se l’era cavata senza dover chiamare il 911.
 
«Bunny» soffiò al suo orecchio, ricevendo in risposta un mugolio.
«Ehi, Bunny. Sveglia».
Non avrebbe voluto interrompere il suo sonno. Ma Hotaru si trovava ancora lì e sicuramente Michiru avrebbe voluto fosse sistemata nella sua cameretta al suo rientro.
«Non l’ho…rubato io il vino…giuroooo» bofonchiò la biondina immersa ancora nel suo sonno.
Mamoru si tappò la bocca con una mano per non scoppiare a ridere.
Prese tra le braccia Chibiusa, spostandola nella sua stanzetta provvisoria.
Le rimboccò le coperte, sospirando quando incrociò il volto sorridente di Serenity incorniciato sul comò.
Lui desiderava che la figlia potesse ricordare in qualche modo sua madre. E allo stesso tempo, stava maturando l’idea di voler una figura femminile stabile nella sua vita.
Forse, Haruka, sebbene inconsciamente, gli aveva dato il miglior consiglio possibile. Doveva rifarsi una vita e trovare qualcuno da amare. Qualcuno che lo ricambiasse e colorasse quell’esistenza deviata sui toni del grigio e che a sua volta amasse anche Chibiusa.
 
§§§
 
 
Alle 23 di quella stessa sera i due talent scout in compagnia di un discografico, parlottando tra loro emisero il loro solenne verdetto.
Minako e Yaten, ancora sul palco, col fiatone per l’emozione, sommersi dagli applausi del pubblico raggrumato nel locale, immersi in una sensazione d’invincibilità, li videro alzarsi per poi perderli con lo sguardo in direzione dell’uscita.
 
Allo stesso orario, Setsuna e Dan abbandonarono il banco del bar. Lei tolse i tacchi per il male ai piedi ridendo pervasa da quella strana felicità che regala un bicchiere di troppo diretti verso una nuova meta.
 
Dall’altra parte della città, Usagi aprì gli occhi convinta di essere ancora preda del suo sogno mentre Mamoru tentava un timido invito per un vero appuntamento.
 
Rei, seguita dall’amante di una notte raggiunse Haruka che in compagnia di Michiru aveva dimenticato di star aspettando il drink della serata.
«Dov’eri finita?!» l’accolse con lo sguardo di chi sta urlando: “guarda chi si rivede, alla buon ora!”.
«Cosa mi sono persa?». Fu a quella domanda che l’amica fece due più due, vedendo Seya raggiungerla con qualche falcata e rabbuiare la propria espressione.
«Davvero Rei? NON POSSO CREDERCI». La bionda agitò le mani al cielo sentendo la ragione abbandonarla.
«Ti sei persa forse il momento più importante della nostra amica per questo?!».
«Ten’ō, abbassa i toni» la interruppe lui abbottonandosi un’ultima asola dell’indumento macchiato.
«Vi conoscete?» boccheggiò Rei con lo sguardo di chi cade dalle nuvole per poi sgranare lo sguardo scuro.
«Non provare a darmi ordini, TU» sbottò senza più freni inibitori. Lo sguardo cobalto passò dal giovane all’amica guardandola come mai prima di quel momento. Nemmeno la volta che Rei aveva sputato sentenze sulla sua madre biologica si era meritata quello sguardo carico di tutta la delusione che Haruka aveva in corpo.
«Di tutta Los Angeles Rei dovevi proprio andare a rintanarti con lui?! Ma fai sul serio?!!». Fuori dalle grazie di Dio, l’istinto di prendere a cazzotti Seya venne placato soltanto dalla strattonata di Michiru.
«Lascia stare» la sua voce non era quella di una supplica, era ferma. Una corda tesa. E se anche era stato messo un punto di comune accordo alla loro relazione, Michiru lo guardò con tutta la disapprovazione che aveva in corpo.
Haruka, coi pugni serrati che le formicolavano, dovette fare appello a tutta la buona volontà per darle retta.
 
«Brava Ten’ō vai. Ti tiene già al guinzaglio…» la provocò.
 
Lei si bloccò digrignando i denti.
 
«Finiscila Seya» lo rimproverò Michiru fulminandolo con lo sguardo.
 
Rei e Michiru erano in mezzo a due fuochi.
Yaten e Minako li avevano raggiunti e avevano assistito alla scena.
«Non sei rimasta?» domandò delusa Minako all’amica.
«Io…». Rei prese coscienza di ritrovarsi in mezzo all’incendio più pericoloso nella sua carriera di pompiere senza sapere come uscirne illesa. Non c’erano scuse da accampare, non c’era via d’uscita per quel disastro annunciato.
Non tentò nemmeno di completare quella frase morta lì sulle labbra, predestinata a non avere una fine, poiché sul suono della batteria dell’ennesima esibizione Haruka sferrò il suo pugno destro in pieno viso a Seya.







Note dell'autrice:
Non potrei essere più delusa da questo capitolo che volevo tanto scrivere. Ho perso la bussola e sta andando tutto a rotoli. Inoltre il caldo asfissiante e il tempo nullo da dedicare alla scrittura hanno tutt'altro che aiutato nella composizione di tutto ciò. Spero non vi annoi troppo e per il resto odiate e amate chi vi pare.
Se avrò possibilità pubblicherò a fine mese, perché ad agosto temo dovrò saltare scrittura e pubblicazione. In ogni caso vi avvertirò tramite fb!

Un abbraccio grande a chi ha ancora il coraggio di proseguire.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
   
 
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