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Autore: WhiteLight Girl    12/07/2019    1 recensioni
Papillon è stato sconfitto e Gabriel Agreste è in prigione; Marinette non ricorda come sia successo, né riesce a smettere di preoccuparsi per la sparizione improvvisa di Adrien. Con Chat Noir che le si rivolta contro e cerca di ucciderla, Maestro Fu irreperibile e la scatola dei Miraculous dispersa, Ladybug si ritrova da sola a cercare di capire cosa sia successo dopo che, durante la battaglia finale contro il suo peggior nemico, ha perso i sensi.
Genere: Angst, Dark, Mistero | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Adrien Agreste/Chat Noir, Gabriel Agreste, Marinette Dupain-Cheng/Ladybug, Plagg, Tikki
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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LE OMBRE DI VILLA AGRESTE - 2

Ladybug si sporse oltre la porta del ripostiglio del bidello e guardò cauta il corridoio. Sembrava che il campo fosse libero, allora uscì silenziosamente e si diresse verso le scale in punta di piedi. Avrebbe voluto poter parlare con Maestro Fu, ma sapeva che sarebbero state solo lei e Tikki, da sole contro qualunque cosa fosse accaduta a Chat Noir, che era Adrien Agreste. Ancora non riusciva a credere che fosse vero, a tutte le volte che il ragazzo le aveva dichiarato il suo amore e lei l’aveva liquidato senza troppe esitazioni, ma non aveva tempo per pensarci e crogiolarsi nel pentimento. Si sporse oltre la balaustra e guardò verso l’atrio ormai vuoto. Stava quasi per tirare un sospiro di sollievo quando scorse l’ombra di Chat Noir con la coda dell’occhio.

Non era sicura di dove si fosse nascosto nell’attesa che lei uscisse dal nascondiglio, forse aveva sempre saputo dove fosse grazie ai suoi sensi sviluppati, ma questo non aveva assolutamente alcuna importanza. «Mi dispiace.» gli disse. «Qualunque cosa io abbia fatto per spingerti a comportarti così, mi dispiace.» Lui scosse il capo.

«Non hai fatto assolutamente nulla.» le disse. «Ma devi andare.»

Aveva ancora il taglierino aperto in mano, la lama era ancora imbrattata di sangue.

Marinette portò una mano al fianco, la pelle bruciò contraendosi in una fitta di dolore sotto le sue dita e lei si domandò quando fosse successo.

«Perché stai facendo questo?» gli domandò. Lasciò che lui si avvicinasse, il cuore le batteva forte ma la sua mente continuava a ripeterle che lui era il suo Chat Noir, che non le avrebbe mai fatto del male di sua volontà. «Chi ti sta costringendo?»

Gli occhi di Chat Noir si strinsero quando fu a poche decine di centimetri da lei, Ladybug lo vide sollevare una mano pronto a colpirla e si fece di lato appena in tempo perché i suoi artigli colpissero la ringhiera invece che lei.

Lanciò lo yo-yo e si issò fuori dalla sua traiettoria, saltando sul tetto. «Combattilo, so che puoi farlo!» gli disse.

Lui le saltò dietro, ma al contrario di lei non esitò sul bordo del cornicione, così Ladybug scivolò sulle tegole e rischiò di finire giù in strada. Cercò di tornare verso il culmine del tetto, ma mise un piede in fallo e cadde giù sotto gli occhi attoniti degli studenti appena usciti da scuola. Lanciò ancora lo yo-yo e vi rimase appesa, i sospiri sollevati dei passanti le rimbombarono in testa e quasi sospirò di sollievo. Poi Chat Noir si affacciò dal cornicione e guardò giù. Ladybug sganciò lo yo-yo e percorse in caduta libera i pochi metri che la separavano da terra, usando quei pochi istanti per voltarsi ed atterrare sul ginocchio. Attorno a lei decine di ragazzi puntarono gli occhi sgranati verso di loro. Confusi ed ansanti, alcuni di loro si guardarono attorno, forse in cerca di un’akuma, forse solo per capire se stesse arrivando qualcuno a prestare soccorso.

In una frazione di secondo Chat Noir si accucciò sul tetto, Marinette lanciò ancora lo yo-yo ed ancora lasciò che il suo filo si trascinasse via. Chat Noir atterrò sul marciapiede, proprio dove lei era stata appena un istante prima, con gli artigli sguainati.

Ladybug corse di tetto in tetto, non si azzardò a voltarsi per controllare se Chat Noir le fosse ancora alle calcagna, ma si domandò perché fosse tornato a cercarla proprio in quel momento, perché non era rimasto nell’ombra e perché, se Papillon lo stava controllando, non l’avesse ancora fatto evadere. A meno che non l’avesse fatto mentre lei era a scuola e semplicemente non le fosse ancora arrivata la notizia. Forse voleva prima liberarsi di lei.

Non si accorse di essersi fermata finché non sentì Chat Noir afferrarla alle spalle e spingerla a terra, la guancia urtò contro una tegola e lei gemette avvertendola bruciare.

«Adrien, ti prego, non farlo.» supplicò.

Chat Noir le spinse il capo contro la superficie del tetto e la tenne inchiodata lì, Ladybug tentò di divincolarsi, ma la presa di lui sulle sue braccia glielo impedì.

«Tu non sei così, tu non faresti mai del male a nessuno.» gli disse.

Ma lui non rispose e non allentò la presa, ringhiò ed il suo petto vibrò contro la schiena di Ladybug.

«Adrien.» provò ancora. «Io mi fido di te, so che non mi farai del male.»

Sperò di avere ragione, le dita di lui premettero forte contro la sua pelle, era certa che gli artigli avrebbero lasciato la loro impronta anche attraverso il costume magico. Quando lui allentò una mano e la sollevò pensò di essere riuscita a farlo rinsavire, ma poi lui esclamò:

«Cataclisma!»

Il cuore di Ladybug si fermò e lei strinse gli occhi, trattenne le lacrime mentre aspettava che lui la disintegrasse, realizzò che avrebbero finalmente scoperto cosa sarebbe successo nell’usare quel colpo contro qualcosa di vivo ed aspettò di sentire il palmo di lui premere contro la sua schiena.

Attese il dolore, il buio della morte o qualunque cosa venisse dopo, ma avvertì solo uno scossone e l’altra mano di Chat Noir si allentò, lui venne sbalzato di lato e Ladybug scivolò lungo le tegole, Rena Rouge la bloccò prima che potesse finire giù in strada.

Si voltò a cercare Chat Noir e scoprì Carapace immobile tra loro, lo scudo sollevato pronto a difenderle. Chat Noir, inaspettatamente, si voltò e corse via.

Quando ebbe ripreso fiato, Ladybug strinse la mano di Rena Rouge ed aspettò che lei la sollevasse, il cuore le batteva ancora forte nel petto e la sensazione di essere sull’orlo di un precipizio non la abbandonava. Era stordita, i pensieri le si affollavano confusamente in testa, mentre era ancora incredula nell’accettare che Rena Rouge e Carapace fossero davvero arrivati a salvarla al momento giusto. Il pensiero che fosse successo qualcosa a Maestro Fu e che lei non sarebbe stata in grado di trovarlo le rimbalzò in testa, assieme alla consapevolezza che qualcuno aveva lo scrigno dei Miraculous e continuava a seminarli in giro.

«Chi te l’ha dato?» domandò all’amica. «Il Miraculous, intendo.»

Rena Rouge sgranò gli occhi, le sfiorò il braccio e la sorresse per aiutarla a mantenere l’equilibrio e Ladybug inspirò forte per riprendere fiato.

«Pensavo che me l’avessi lasciato tu.» le disse. «Posso restituirlo, se vuoi.»

Ladybug scosse il capo. «Tienilo, sento che avremo bisogno di più eroi possibili.»



Il giorno dell’arresto di Gabriel Agreste:

I poliziotti sciamavano tutto attorno a Villa Agreste e Chat Noir, in attesa sul tetto dell’edificio di fronte, Chat Noir scorse subito in mezzo a loro la sagoma di suo padre.

Gabriel Agreste camminava a capo chino, le manette già gli bloccavano le mani dietro la schiena, le spalle cadenti esprimevano tutta la sua rassegnazione. L’agente lo condusse verso la volante, giornalisti e cameramen li seguirono passo dopo passo e le loro domande arrivavano alle orecchie di Chat Noir come fossero un chiacchiericcio indistinto. Tra i primi accorsi c’era Nadja Chamack, che tendeva il microfono verso il redento Papillon.

Chat Noir scese a terra, i giornalisti corsero verso di lui proprio mentre l’agente spingeva suo padre nella volante. Rimase da solo, i microfoni e le telecamere puntati contro, la gola secca per l’incapacità di trovare qualcosa da dire. Quasi non sentiva ciò che gli stavano chiedendo.

«Chat Noir, come avete scoperto che a nascondersi sotto le spoglie di Papillon c’era Gabriel Agreste?» «Avete pianificato l’attacco, tu e Ladybug?»

«Lei dov’è, adesso?»

«Avete già pensato a cosa farete adesso?»

«Adrien Agreste sa già quello che è successo?»

Dischiuse le labbra, ma nessuna parola abbandonò le sue labbra. La realizzazione di quali fossero le conseguenze dell’arresto di suo padre lo raggiunse solo in quel momento e, guardando verso casa sua, capì che ora nulla sarebbe stato come prima. Il posto in cui aveva vissuto era diventato una scena del crimine e sede di un fenomeno paranormale a cui non si era ancora fermato a pensare, non era certo di voler tornare dentro anche solo per prendere le proprie cose, questo rendeva ufficiale il fatto che non avesse più un posto dove dormire.

Almeno, si disse, fuori dalla maschera la stampa non avrebbe avuto idea di dove trovarlo.

L’agente Roger si fece spazio tra i giornalisti a bracciate, ordinando loro di calmarsi e di dargli un po’ di spazio e, quando lo raggiunse, gli sorrise.

«Bel lavoro.» gli disse e si sistemò il cappello. «Ti dispiace venire in centrale e raccontarci in breve come è andata?»

Chat Noir sorrise, lieto che questo gli desse la scusa perfetta per defilarsi, e si lasciò alle spalle decine di facce curiose e deluse dietro microfoni e videocamere.

L’agente Roger non lo guidò verso la volante in cui avevano caricato suo padre, ma verso quella parcheggiata immediatamente dietro. Invece di aprirgli lo sportello posteriore gli aprì quello anteriore dalla parte del passeggero e lo invitò a salire. Chat Noir notò che l’uomo continuava a guardare verso la casa, ma quando si girò a sua volta non trovò nulla.

«Vi raggiungo.» disse l’agente Roger, e diede le chiavi al collega che aveva accanto.

L’uomo annuì e fece come gli aveva detto; salì in macchina e mise in moto.


Mezz’ora dopo, alla centrale, Chat Noir raccontò di come Papillon aveva colpito Ladybug facendole perdere i sensi e di come, subito dopo, l’aveva costretto a dargli i suoi orecchini. Non era esattamente la verità, ma era la cosa più vicina ad essa che potesse dire loro. Poi avrebbe parlato con Ladybug al riguardo e con lei avrebbe deciso cosa fare.

Quando gli diedero il permesso di vedere suo padre scoprì con rammarico di non avere nulla da dirgli, quindi rimase in piedi nella sala degli interrogatori e stette in silenzio finché non fu lui a parlare.

«Avrebbe dovuto funzionare.» disse l’uomo, seduto composto sulla sedia di ferro, le mani costrette sul tavolo dalle manette.

«Ma non l’ha fatto.» gli ricordò.

«Potremmo riprovare.» gli propose suo padre.

A Chat Noir parve che quasi sorridesse, forse in un vano tentativo di ispirargli fiducia, ma lui scosse il capo. «Non avrei dovuto ascoltarti, specialmente dopo quello che hai fatto a Ladybug.»

Ricordò il suo gemito di dolore, il modo in cui era caduta a terra ed aveva perso i sensi prima che lui potesse rendersene conto. «Lei starà bene.» insistette lui.

«Non importa, tu l’hai ferita ed io ti ho permesso di farlo. Non accadrà di nuovo, non tollererò che tu ti avvicini più a lei finché sarò vivo.» gli disse. Digrignò i denti, quasi gli soffiò contro, sentì ogni pelo del suo corpo rizzarsi mentre si sporgeva verso di lui a denti scoperti. «Mai più, sono stato chiaro?»

Gabriel non rispose, ma Chat Noir non se ne preoccupò, perché preferì dargli le spalle ed andarsene. Aveva cose più importanti a cui pensare, come la spilla della farfalla che sarebbe stata premuta contro il suo petto una volta che si fosse detrasformato, bloccata sulla stoffa del taschino interno della camicia.

   
 
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