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Autore: Utrem    13/07/2019    1 recensioni
(Dopo "Qualcosa di nuovo")
In un mondo in cui Merope Gaunt è morta sacrificandosi per Tom, lui va in esilio volontario dopo aver ucciso Silente e Grindelwald ed essere stato abbandonato una seconda volta dal padre. Si occupa così di crescere i tre figli: due gemelli, Nick e Xelas, e il minore, Horace. Questi trascorrono l'infanzia in un felice, inconsapevole isolamento nel mondo Babbano, finché un giorno ricevono notizia che Tom ha ucciso suo padre.
Comincia così il loro nuovo rapporto con mondo. Chi sono per sé stessi? Chi per gli altri? Riusciranno a conquistare la loro libertà?
N.B.: sono affrontate tematiche molto delicate, contestualizzate nelle vicende del racconto. La mia opinione non è implicata negli avvenimenti, bensì questi sono l'espressione, nei limiti del possibile, del carattere e la volontà dei personaggi.
Genere: Angst, Dark, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Alice Paciock, Nuovo personaggio, Tom O. Riddle
Note: Lemon, What if? | Avvertimenti: Incest, Tematiche delicate, Violenza | Contesto: Nessun contesto
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- Questa storia fa parte della serie 'La sua scelta '
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10 settembre 1967

Era arrivata all’ultima macchina ancora parcheggiata.
Non era quella di Davis.
Linda sentì accasciarsi: era delusa, non da lui ma da sé stessa.
Come pensare che non lo avrebbe rifatto di nuovo?
Si girò per tornare indietro.
La cabina telefonica era all’ingresso del parco. Poteva chiamare suo padre e chiedergli di venirla a prendere.
Risalì, piegando le ginocchia, scansando la coppietta che stava uscendo; si ricordò dov’era lo stand dei popcorn.
La cabina, però, era occupata da un alto ragazzo biondo, affiancato da un altro, più basso e bruno.
Linda allora si fece da parte, per aspettare.
“Che cretina…” ripensò, guardando in basso “Sarei dovuta andare via con Margot.”
Oltretutto, sembrava che il ragazzo biondo ne avesse ancora per molto.
“No, Panky… per favore, non insistere…”
Linda ridacchiò. ‘Panky’, che razza di soprannome.
Non avevano grande considerazione del loro amico.
O forse era una ragazza?
“Panky… non torniamo, no. Te l’ho già detto.”
Allora Linda vide il ragazzo più basso andare dall’altra parte della cabina.
Allungò il collo, e lo vide trascinando una specie di valigia a forma di carrello: aveva le ruote, ma era rivestita in pelle e aveva il manico di un carrello.
Linda aprì d’istinto la bocca, soffocando una risata.
“Siete dei geni!” esclamò allora, battendo le mani.
Il ragazzo basso allora si girò di scatto e si mise a ridere insieme a lei.
“Niente. Tutto a posto, Nick.”
Subito il ragazzo biondo sembrava un po’ allarmato, ma poi ricominciò a parlare.
“Allora… abbiamo i vasi. N-non torniamo indietro, però. Non possiamo. Hai capito, Panky?”
“Dei vasi?!” chiese Linda, allargando le braccia.
“Sono miei!” rispose il ragazzo bruno, con un sorriso.
Linda scoppiò a ridere.
Era strano, ma molto carino.
“Tu hai dei vasi?”
“Sì. Li dipingo, perché.”
“Ah… wow!”
“Ti sembra strano?”
“… non lo so!” rise ancora Linda.
“Sono dentro questo carrello. In piedi, così non si rompono.”
“AH! E perché li porti in giro?”
“Perché stiamo traslocando. Nick, che dice Panky ora?”
Il ragazzo biondo mise una mano sulla cornetta e rispose, agitato:
“Continua, continua a dire che vuole pulirli!”
“Dille che non ne abbiamo bisogno e che pulisca altro” rispose il bruno, con un tono ambiguo.
“Ma mi dispiace!”
“Eh lo so, Nick. Pazienza. Poi torneremo.”
Il ragazzo biondo allora annuì pazientemente e tornò a parlare a telefono.
Linda non ce la faceva più.
“Scusate… ma chi è Panky? La tua ragazza?”
Il ragazzo bruno rise debolmente, scuotendo la testa.
“È la nostra elfa domestica.”
Linda spalancò gli occhi.
“Avete bevuto…?” disse poi, con la mano davanti alla bocca.
“Non abbastanza” rispose il ragazzo bruno, e le porse una mano un po’ tremante. “Scusami, di solito non sono così. Mi chiamo Horace e lui è mio fratello Nick.”
Linda si morse il labbro. Non stava capendo più nulla.
“… Linda.”
“Piacere mio, Linda. Là abbiamo il resto delle valigie. Niente in confronto a questa, ma…”
Allora Linda vide due valigie accatastate: quella sopra era molto piccola e completamente dipinta, e l’altra gigante e nera, con gli angoli un po’ rovinati.
“Bellissime” commentò Linda, con una smorfia.
Il ragazzo biondo uscì dalla cabina e le porse la mano.
“Mi chiamo Nicholas. Insomma, Nick” le disse, un po’ incerto.
“Ciao, Nick.” rispose sorridendo, entrando nella cabina “È stato un piacere, davvero, ma ora devo chiamare mio padre e dirgli di riportarmi a casa.”
“Ah… lo devi aspettare qui?” Nick, il ragazzo biondo, parve preoccuparsi “Sei da sola?”
“Sì… ma non importa, davvero! Non voglio darvi fastidio! Andate pure!”
“No, Linda. Nessun fastidio.” rispose il fratello carino.
“Intanto mettiamo insieme le valigie” gli disse Nick, dandogli un colpetto sul braccio.
“Ma no, no! Ci metterà un po’! Mi dispiace… tanto nessuno passerà di qui”
Linda si sentiva estremamente in colpa, ma si rese conto che non voleva nemmeno separarsi da quei due strani idioti. Però, erano simpatici. Soprattutto Horace.
“Appunto, nessuno passerà di qui” insisté lui, spostando le valigie sproporzionate davanti alla cabina telefonica.
Linda rise, guardandolo.
“State scappando di casa?” chiese, con un ghigno.
“Eh… si vede così tanto?” rispose Horace sorridendo.
“Certo. Tutti gli scappati di casa si portano dietro un carrello pieno di vasi!”
“Noi non volevamo” disse Nick, serio “Ma…”
“E tant’è siete qui” finì Linda, come per contraddirlo “Ma forse non avete solo bevuto…”
Horace rise; Nick sembrava confuso, ma non fece nessuna domanda e guardò la sua valigia.
“Dovrei sistemare quegli angoli” disse allora. Fu come se avesse pensato ad alta voce.
“Eh, sì. Sennò ti si rompe.”
Nick annuì, preoccupato.
“Quando arriviamo, magari” suggerì Horace, gentilmente.
“Ah be’, sì.”
Linda aveva la cornetta in mano… ma non aveva finito.
“Seriamente… chi è Panky? Perché la chiamate così?”
“La nostra governante. È bravissima, ma un po’ autoritaria. Anche se, tecnicamente, non può dare ordini; però sai, ci gira attorno…”
“Ah!”
“… ed è un’elfa domestica.”
Linda annuì con condiscendenza.
“Giusto.”
“La abbiamo chiamata per dirle che è tutto a posto e stiamo bene.”
“No! Ma dove sono i vostri genitori? Non avete paura che rintraccino la chiamata? Possono mandare la polizia a cercarvi…”
Nick chiuse gli occhi e iniziò a sospirare.
“Se nostro padre vuole trovarci, lo farà” rispose Horace con amarezza.
“No! Mi dispiace… vedrete che non vi troveranno! Guardate, ora chiamo, faccio in fretta, così potete andare.”
“Tranquilla, Linda. Abbiamo tutto il tempo che vuoi.” disse Horace, e le fece l’occhiolino; oppure no, il buio la aveva ingannata.
Si decise allora a fare il numero, guardando ancora quello strano carrello.
“Papà… pronto? Davis è andato via, con la macchina. Sono dal luna park… no, non sono da sola. C’è… c’è… c’è una volante della polizia, qui davanti. Non preoccuparti, sto bene.”
Vide Horace scuotere la testa, divertito. Stavolta non era un inganno.
Trattenne una risatina e continuò:
“Sì, lo so. Sì. Va bene. Non preoccuparti. Ciao, papà”
Rimise a posto la cornetta e uscì dalla cabina con un balzo.
Horace finse di guardare un orologio da polso e poi si rivolse a Nick:
“Tuo padre: due minuti. Panky: mezz’ora. Chi è più accomodante?”
Nick alzò gli occhi al cielo e Linda sbuffò.
“Questa volta forse ha capito, ma di solito… è il primo a starmi addosso, fidatevi.”
“Certo. Dove ce ne andiamo, quando arriva? Ci dovremo pur nascondere” fece il gesto di tirar indietro il carrello “E questo non si mimetizza con l’ambiente.”
“Potreste mettere i vasi in giro per la strada, nascondere le valigie e il carrello e buttarvi dentro!”
“AH! No, no, è troppo pericoloso!”
“Perché no?” disse Nick con un filo di voce.
Linda scoppiò a ridere, ma Horace sembrava serio.
“Lasciar per strada i miei vasi? E se si rompono? Ci abbiamo messo così tanto a fasciarli …”
“Ah… eh, sì” Nick sembrava costernato.
“No, Nick, è una bella idea in realtà, ma…” ammise Horace, non riuscendo a trattenere un sorriso.
Linda non ce la faceva più dal ridere.
“Oddio! Ma io… ma come ci state lì dentro?”
“Proviamo.”
Horace tirò una cerniera in cima al carrello-valigia, scoprendo almeno dieci… venti vasi.
“Sbrighiamoci Nick, eh!”
“Sì, sì.”
“A tema, mi raccomando. Sennò è brutto.”
“Intendi… questo qui, più in alto?”
Nick mostrò un vaso tubulare su cui era dipinta una notte stellata.
“Sì, sì! Perfetto!”
Nick iniziò ad arrampicarsi su un albero, con il vaso sottobraccio, mentre Horace corse a piazzarne uno vicino a una siepe.
Linda non poteva crederci.
“Ce li potresti passare?”
Ne prese uno bombato, piccolino, quando alzò un dito per fermarla:
“Mi raccomando, attenta, o li devi rifare identici e mandarmeli per posta.”
“Peggio per te, allora! Non ci riuscirò mai”, e glielo diede in mano “E i postini usano casse dentro furgoni, non carrelli, quindi potrebbero rompersi di nuovo.”
“Perché hanno ancora molto da imparare”
“ATTENZIONE!”
Horace si fece subito da parte: Nick cascò giù dall’albero con un fruscio incredibile, piombando a terra con un tonfo.
Si rialzò, ancora in equilibrio precario; Linda non si sentiva molto tranquilla ad affidargli il prossimo vaso.
“Ti passo…?”
“Sì, Linda, grazie.”
Non appena lo ebbe in mano, prese a correre veloce sul marciapiede, fermandosi in mezzo a un’aiuola lontana.
Horace si stava arrampicando su per un lampione a sistemare il proprio, quando Nick tornò e ne prese sottobraccio quattro. Horace fece lo stesso, e iniziò a vagare per la strada come un ossesso, strappandole i vasi di mano di proposito, in modo sempre più brusco. Linda allora cominciò a correre con il carrello giù per la strada, facendo tintinnare pericolosamente gli ultimi due vasi, mentre Horace le veniva dietro.
Nick allora riuscì a fermarla da davanti: nell’impatto, i vasi saltarono. Orripilati, si lanciarono tutti in volo per prenderli: Linda sbatté la testa contro Horace, ma prese comunque il vaso per l’orlo e lo tenne stretto. Il carrello, intanto, si rovesciò e cadde dritto nella loro pancia.
“L’HO PRESO!” urlò Nick, poco distante; subito dopo, si industriò a rimettere a posto il carrello e a sistemare il loro vaso.
“Abbiamo fatto?” esclamò Horace allora, rialzandosi come se non fosse stato niente.
“Sì! Tutti posizionati!” rispose Nick entusiasta.
Linda, però, non si sentiva granché bene.
Horace le porse la mano per aiutarla.
“Tutto a posto?”
Provò ad alzarsi, ma sentì un male terribile alla pancia.
“Non lo so… dammi un attimo, magari.”
“Va bene.”
Allora si sedette accanto a lei, sull’asfalto, ad aspettare.
Per fortuna, sentì che il dolore alla pancia stava pian piano diminuendo. Si tirò su di scatto e riuscì finalmente ad alzarsi.
“Adesso dovete entrare!”
“Sì. Nick, vieni qua: vai prima tu, sei più alto.”
Nick si assicurò che la cerniera fosse del tutto aperta: alzò una gamba e la lasciò scivolare delicatamente dentro; poi infilò anche l’altra e si accucciò strettissimo. Ci stava davvero.
“Linda, il tuo compito è chiuderla e nasconderci dove abbiamo messo le valigie. È stato un piacere conoscerti.” Le strinse calorosamente la mano, e si tuffò dentro con nonchalance. Il carrello traballò e si mosse un po’ in avanti: Linda lo raddrizzò e lo portò dietro a quell’edificio abbandonato.
“Be’, alla prossima allora!” disse, dando due colpetti sulla pelle del carrello valigia.
S’era già girata, quando sentì:
“Noi andiamo in Australia! A Wood Wood!” 
La voce di Horace da dentro.
“Wood Wood?”
“Sì, Wood Wood!”
“Mai sentita!”
“Infatti! Se vuoi puoi cercarla sulla mappa e venirci a trovare!”
Linda annuì, anche se non potevano vederla.
“Va bene. Allora ci troviamo lì!”

 
   
 
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