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Autore: Io_amo_Freezer    14/07/2019    1 recensioni
Monkey D. Luffy è un ragazzo di diciannove anni, ma con la testa, troppo, tra le nuvole ed un cuore grande e ricolmo di innocenza. Purtroppo si porta alle spalle un grande segreto e dentro un profondo dolore che continua a tormentarlo senza sosta.
Tornare nella sua città natale gli sembra la cosa migliore per cullarsi nella tranquillità e nella pace, ma lo sarà davvero con quello che sta passando?
E se sulla sua strada incontrasse un gruppo di amici ed uno spadaccino leali e molto speciali? Riusciranno a salvarlo dai suoi incubi? In una città invisibile, lasciata indietro e dimenticata; tra nemici e nuove conoscenze, qui, Luffy si ritroverà ad affrontare un po' di avventure e molte e più distrazioni. Ma il suo sogno lo chiama, riuscirà a liberarsi dai suoi fantasmi per tornare a seguirlo?
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Yaoi | Personaggi: ASL, Donquijote Doflamingo, Monkey D. Rufy, Roronoa Zoro
Note: AU, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Svegliandomi mi stiracchiai un po' indolenzito e guardai l'orario: le 6:00. Con uno sbadiglio mi alzai dalla sedia pronto per l'allenamento, facendo scorrere di poco le tapparelle, il giusto da far entrare un filo di luce prima di dare un'occhiata a Luffy, trovandolo ancora a riposare ma non tralasciai i suoi grandi affanni a bocca aperta e le sue smorfie di terrore mentre si contorceva tra le lenzuola stropicciate, imprigionato in un sonno che non voleva. Sbuffai con amarezza, indeciso su cosa fare con lui. Mi sfregai i corti capelli smeraldo con una mano e allora notai uno strano oggetto dal colore marroncino chiaro nascosto sotto al letto, chinandomi mi resi conto che si trattasse solo del suo cappello e così lo presi. Pulendolo dalla polvere lo adagiai tra le sue mani, accarezzandogli la fronte ed ispezionando il suo volto sudato e affannato per testare la sua febbre.
-Luffy.- decisi di svegliarlo, scuotendolo un po' per una spalla, ma sembrava troppo assopito, così sbuffai.
-Ghh... A-A...ce... Sa...o- balbettò, mentre le lacrime iniziarono a scendere sui lati delle sue guance, bagnando così il cuscino ed io alzai un sopracciglio.
-Ace?- ripetei tra me e me come se già lo avessi sentito, e poi ricordai: era nella sua rubrica, uno dei numeri salvati tra i preferiti, ma cosa c'entrava? E Sao chi era?, pensai. Continuai a ripetermi nella testa quel nome, e alla fine arrivai all'illuminazione che forse non era completo, e anche se non dovevo presi il suo telefono risolvendo l'arcano: il nome era Sabo, un'altro tra quei preferiti. Sentì dei gemiti continui e guardai Luffy che si rigirava, e poi tra le urla piangere ma ancora imprigionato in quell'incubo senza fine, così scattai su di lui.
-Luffy! Luffy!-
Decisi di intervenire e lo richiamai forte, buttando il telefono sul materasso e mettendolo seduto con il busto, tenendolo per le spalle per scuoterlo energicamente finché i suoi occhi si aprirono rapidi, sgranandoli con le lacrime che scendevano copiose mentre sembrò bloccato, come se davanti a lui ci fosse un fantasma o la morte stessa.
-Ehi...- gli sussurrai preoccupato, girandogli la testa verso di me e accarezzandogli la guancia con delicatezza rendendomi conto che anche se mi stava guardando, al tempo stesso non lo stava facendo finché, sbattendo un paio di volte gli occhi, si accorse che c'ero anch'io, che ero lì con lui e che quindi non era solo.
-Z... Zoro...- singhiozzando ripetutamente e tirando su col naso mi vide e di scatto avvolse le sue braccia attorno alla mia schiena, nascondendo il capo nell'incavo del mio collo, piangendo a squarcia gola tra le urla mentre tremava e stringeva i lembi della mia maglia.
Rimasi in silenzio, comprendendo il suo bisogno di potersi sfogare, cercando di confortarlo come più potevo mentre gli accarezzavo la spina dorsale. Quando smise di piangere ma non di tremare e singhiozzare continuò a restare abbracciato a me, e non mi chiesi nemmeno il motivo, perché era naturale: aveva bisogno di qualcuno in quel momento per sopravvivere al suo dolore.
Restammo così tanto in quel modo che mi sembrava che stessero passando non minuti, ma giorni. Però c'era la finestra a ricordarmi che fuori era ancora mattino. Lo guardai staccarsi da me alla fine, mantenendo il capo chino e continuando a stringere i lembi delle spalline della mia maglia gialla gli alzai il mento, asciugandogli col pollice le poche lacrime rimaste e regalandogli un sorriso spontaneo; non era esattamente da me e mi sorpresi: nessuno mi vedeva sorridere, ero sempre serio e cupo, sempre indifferente, al massimo qualche ghigno, però non mi dispiaceva affatto per quell'accaduto. Spontaneo era proprio la parola giusta per un gesto così dal sottoscritto. I nostri occhi si scontrarono, ma a nessuno dei due sembrava dar fastidio mentre le nostre pupille si intrecciarono, riflettendosi nei colori vivi dell'altro; sorrisi ancora a quello sguardo spento e gli donai un bacio su una guancia desiderando solo consolarlo.
-Come ti senti?- domandai, osservandolo stupirsi di quell'atto di affetto prima di rispondere con un rauco: "Bene.", tossendo un po'.
-Okay. Io devo andare ad allenarmi, posso lasciarti qui? Infondo Chopper aveva detto che sarebbe venuto a visitarti anche oggi.- e lui mi annuì mogio così, dopo avergli preparato e portato la colazione approfittai di portare giù anche il vassoio e i piatti dell'altra sera, e mi recai in palestra, anche se con esitazione per averlo lasciato, nonostante se per poco, solo.
 
 
Lo vidi uscire dalla stanza e finii di mangiare, lasciando il piatto e i bicchieri sul comodino, per poi rimanere fermo con il busto alzato, respirando piano e socchiudendo gli occhi verso il basso mentre mi portavo una mano sulla guancia dove lui aveva osato posare le sue labbra. Sorrisi, uno involontario nato da quel calore immaginario, ma che ancora sentivo sulla pelle e che mi aveva lasciato con gentilezza. Da lui questo era l'ultima cosa che mi sarei aspettato di ricevere.
Mi girai di lato, mettendomi supino con le coperte fin sopra le spalle e mi ricordai di avere indosso ancora la sua casacca. Inconsciamente ne strinsi un lembo tra le mani per portarlo alla bocca socchiusa, assaporando il suo profumo e ridacchiando. Mi piaceva così tanto, come anche quel bacio, e anche se continuavo a non sapere il perché di queste emozioni non mi importava. Adesso però non dovevo fare niente se non annoiarmi, guardando l'orologio mi resi conto che fossero solo le 7:15; sbuffai e mi rigirai più e più volte tra le coperte, bloccandomi nel sentire un rumore sordo come una botta. Mi sporsi verso l'estremità del letto, capendo che il rumore provenisse dal mio telefono rivolto faccia a terra contro il pavimento, e lo stesso valeva per il mio cappello; allungai una mano e tenni in mano il coso tecnologico, vedendo che non si fosse nemmeno scalfito lo adagiai sul comodino per poi afferrare con estrema cura, e con un sorriso il cappello, molto più importante, rimettendolo sul letto dopo che un ricordo mi aveva sorvolato la mente, uno che riguardava i miei fratelli, uno felice dove passavo una normale giornata insieme a loro. Alla fine provai ad alzarmi, reggendomi solo con le braccia tremanti, stavolta per via della febbre, al materasso e scostando poi le coperte per andare in bagno ne avevo davvero bisogno, anche per rinfrescarmi.
-Ehi, Luffy!- sentì la voce giuliva e dolce di Chopper entrare, dopo qualche minuto così mi affrettai ad asciugarmi la faccia, tirando lo sciacquone del water e raggiungendolo prima che si allarmasse -Oh, eri lì.- sospirò.
Era già in ansia, pensai ridendo.
Mi sedetti sull'estremità del letto, guardando il dottore tornare a visitarmi con il suo zaino azzurro tra le mani e mettermi in bocca il termometro ed io mugugnai: mi dava fastidio anche se era buffo. Lo osservai farmi altri controlli, felice che la febbre fosse scesa a 38, non era troppo ma non era nemmeno niente. Con la noia addosso iniziai a dondolarmi avanti e indietro, con Chopper che controllava come ultima cosa le medicine; era molto protettivo e cercava sempre di dare il meglio nel suo lavoro, mi rese molto felice vedere tanta dedizione. Alla fine, terminato il suo lavoro di dottore, mi si affiancò per farmi compagnia, e ci divertimmo anche molto, era divertente e molto amichevole. Stette con me fino a mezzogiorno quando ritornò Zoro che andò a farsi una doccia, e Chopper ci salutò per poi andarsene, diretto alla sua abitazione visto l'orario.
-Perona dovrebbe tornare dopo pranzo... Sempre la solita.- borbottò tra sé e sé scorbutico appena tornato dal bagno e indossando solo il cambio dei pantaloni e un asciugamano sul collo.
Lo osservai curioso ma non mi disse niente se non che sarebbe dovuto andare a fare la spesa appena avremo finito il pranzo. Gli sorrisi e lui mi si affiancò, spettinandomi i capelli affettuoso e rimettendomi in testa il cappello che era rimasto sul letto tra le coperte, per poi assumere il suo solito tono serio; all'inizio non mi preoccupai, era normale vederlo così ma poi pronunciò cinque semplici parole che mi sgretolarono quello che ormai non era più il mio cuore, già distrutto dopo aver perso le uniche persone più importanti della mia vita:
-Chi sono Ace e Sabo?-
Mi mancò il fiato mentre lo guardai ad occhi sbarrati e le labbra tremolanti, stringendo i pugni contro le mie bermuda azzurre come il colore del mare a cui rivolsi la mia attenzione, tutto fuorché il suo sguardo.
-P... Perché me lo chiedi?- balbettai, sudando freddo.
-Parlavi nel sonno, prima. Gli hai menzionati.- spiegò pacato, guardandomi sempre senza scomporsi più di tanto, impassibile che nemmeno fosse un robot. Avevo sempre temuto di parlare nel sonno in quei momenti, ed ora ne avevo la prova, non ne ero né fiero né felice.
-N... Non mi va di parlarne, hai detto che potevo non dirtelo.- gli ricordai giocherellando con le mani, sperando che lasciasse correre anche se, confessarmi con qualcuno forse era la cosa migliore.
-Lo so quello che ho detto, ma ti sembra giusto vivere in questo modo? Ti stai distruggendo.- ingoiai un groppo di saliva, lo aveva notato anche lui.
-Non sono fatti tuoi!- scattai, alzandomi con il cappello in mano avendo l'intenzione di andarmene e dandogli le spalle ma lui mi bloccò prendendomi il polso ed uno strano brivido mi percorse la schiena, non ci diedi peso in quel momento, colto dalla paura e da quei maledetti ricordi che non se ne andavano, non mi lasciavano, erano attaccati a me come delle sanguisughe e mi tiravano via tutta la mia energia, la mia anima e la mia vita.
-Quindi vuoi scappare, invece di affrontare i tuoi problemi?- mi chiese secco e quasi deluso da me.
Io strinsi i pugni, fremendo di rabbia e staccandomi violentemente con uno scatto.
-Non... Aah! Lasciami in pace!- urlai voltandomi verso di lui ma venni colto da una fitta alla testa, una peggiore di tutte le altre che mi causò le vertigini, la stanza girava come a capovolgersi; un capogiro così forte da strizzarmi la testa mentre barcollai indietro fino a crollare di sedere a terra, vicino alla porta nemmeno a farlo a posta.
Tenendomi la testa con la mano e stringendo con l'altra l'ala del cappello, singhiozzai. Volevo tanto confessargli tutto, tutte le mie colpe, tutti i miei dolori; e che non c'è la facevo, non avrebbe capito. Lo sentì sospirare duramente prima di chinarsi di fronte a me, ma ad ogni sua mossa su di me mi scansai.
-Senti, perché non riprendi in mano il tuo sogno?- domandò ed io mi morsi il labbro inferiore, non sapendo davvero come fare per riuscirci.
-Se vuoi posso anche andarmene...- borbottai e lui chinò il capo, afflitto.
-Non è questo che ti ho chiesto.- mi fece presente ed io mi limitai ad alzarmi e decisi che: Sì, dovevo andarmene.
-Fermo. Non puoi andare da nessuna parte conciato così.- protestò con tono ferreo e scorbutico, bloccandomi ancora per il polso. -Sei malato.- mi fece presente mentre sentivo ancora la fronte imperlata di sudore, andare in fiamme con tutto il mio corpo che pulsava, anche le ossa facevano male.
-Il corpo è mio, la vita è mia... Non puoi dirmi niente!- ringhiai nervoso.
-Sì, invece: Io non lo accetto, e sono sicuro che neanche loro lo vorrebbero.-
Si fece largo tra i miei ricordi come una breccia, un lampo, facendo uno squarcio nei miei pensieri con i miei fratelli mentre osservavo la sua mano stringermi forte il polso cercando comunque di non farmi male, e quelle parole, come una tromba d'aria in mezzo ad una tempesta aiutarono a far crescere la mia rabbia e la mia frustrazione.
-Non nominarli! Non te lo permetto!- scattai in avanti, gettandogli un pugno in pieno volto.
Sgranai gli occhi, il colpo non sembrò scalfirlo. Non si era spostato di un millimetro... Ero... ero davvero diventato così debole? Che fine aveva fatto tutta la mia forza, tutta la determinazione?, pensai con una smorfia. Lui mi prese il pugno chiuso, allontanandolo dal suo viso e mi scrutò duramente, con tanta decisione e furia, non gli era piaciuto quel gesto da parte mia e i suoi occhi neri, cupi, ne erano una prova.
-Okay, allora! Vattene!- affermò lavandosene le mani e guardandomi risoluto.
Così mi voltai e dopo aver gettato a terra la sua casacca, aprendo la porta accettai quella decisione, recandomi a casa mia.
 
 
Ero ormai nei pressi della mia casa quando mi resi conto che non potevo tornare lì dentro, non con tutti quei ricordi che mi avrebbero assediato dopo anche solo aver solcato la soglia. Presi un grande respiro e mi inoltrai nella foresta, passandomi una mano sulla fronte e realizzando che non era stata una buona idea togliere quella maglia: la fronte era cocente, troppo per farmi restare lucido. Sbuffai e mi recai nel mio nascondiglio, lì i ricordi erano forse anche di più ma almeno non c'erano foto. Scossi il capo per negare il mio pensiero, la realtà era che quel nascondiglio era la nostra casa, ed era l'unico posto dove potevo stare più vicino a loro, anche se avrei sofferto.
 
 
 
Ringhiai nervoso e scagliai un pugno contro il muro, danneggiandolo non poco. Serrai la mandibola, tenendola rigida e raccolsi da terra la mia casacca per portala in bagno, gettandola con furia nel cestone rosso insieme agli altri panni sporchi; quando tornai guardai con rammarico il guaio che avevo fatto alla parete, sapendo che avrei dovuto chiamare Franky al più presto. Sistemai, pieno di rabbia, il letto e mi accorsi solo in quel momento che Luffy aveva dimenticato il suo telefono accanto al mio, sul comodino. Sbuffai stanco, ero costretto a tornarglielo adesso.
Lo avrei fatto più tardi, decisi. Così preparai da mangiare per me e poi presi i soldi ed entrambi i telefoni, nel caso lo avrei incontrato, e mi diressi al negozio. Nemmeno a farlo a posta lì incontrai Franky insieme a Brook e Robin.
-Ciao! Come sta il nostro Super amico?- domandò Franky, sbracciandosi per attirare la mia attenzione mentre si avvicinava con gli altri, estasiato come al solito.
-Meglio. Ha deciso anche di tornarsene a casa sua.- affermai brusco e allora mi venne in mente che avrei dovuto avvisare Chopper un'altra volta. Che seccatura, pensai.
-Ci fa piacere.- disse Robin, io annuì e poi mi dedicai a Franky:
-Non è che puoi venire ad aggiustarmi una crepa?-
-Ancora? E va bene. Verrò verso le 17:00.- mi rispose, infatti non era strano che io distruggessi qualcosa. Mi conoscevano, quindi preferivano non sapere il motivo; infondo, non era importante per loro.
-Potrei non esserci, troverai Perona al mio posto.- sperai in mia sorella per una volta.
E dopo aver parlato ancora un po' tra di noi ci dividemmo, io a finire la spesa e loro fuori dal negozio, ormai finito di comprare ciò di cui avevano bisogno.
Tornai quasi subito a casa, o meglio omettendo le volte in cui mi persi per strada. Posando con malavoglia la spesa misi tutto a posto nei reparti appositi correndo poi a prendere il borsone prima di recarmi all'allenamento imminente, al campo, sperando solo di non perdermi ancora.
 
 
 
Rimasi disteso lì per ore che quasi non mi accorsi che fosse scesa la notte, e la cosa più bizzarra era che non avevo fame. Mi strofinai la punta del naso, un po' raffreddato, e mi misi seduto con le gambe al petto, avvolgendole tra le braccia e ammirando la luna piena e le stelle che brillavano. Per fortuna non c'era il vento gelido della notte a portare più malanni: si stava bene, c'era anche un leggero torpore nell'aria. Ma alla fine decisi di scendere per muovermi un po'. Mi incamminai per la foresta, girando e rigirando per la vegetazione fitta che conoscevo come le mie tasche ma la notte rendeva più complicato orientarsi e la febbre mi stava stancando più del solito, così forse mi ero perso, era tutto troppo confuso per la mia testa annebbiata dall'alta temperatura della mia fronte e del mio corpo. Allora mi decisi a fermarmi vicino ad un grande albero, uno fra i tanti davvero pentito di aver scordato il mio cappello al nascondiglio e feci una smorfia, ed il fatto che si trovasse nella mia casetta non mi rassicurava lo stesso, solo io potevo proteggerlo adeguatamente, e non mi capacitavo tale dimenticanza.
-Luffy!-
Una strana risata si propagò nel bosco ma io avevo la sensazione di averla già sentita da qualche parte, al momento non ricordavo dove però ne ero certo, non si trattava di Zoro. Tutto frusciava e il vento salì fino ad essere così forte da scompigliarmi i capelli; sembrava volesse portarmi via come un foglio di carta, e ci stava anche per riuscire. Poi ci fu un cambio d'aria, ma non era merito del vento. Con una folata tremenda e pesante come un macigno mi sentì schiacciare da una possente mano contro il tronco dietro di me, opprimendomi il petto tanto dal non riuscire a respirare finché l'arto decise di spostarsi sul mio collo.
-Così impari a maltrattare uno dei miei uomini. Ed ora... taccerai per sempre.- continuai a sentire delle risate ovattate; c'erano più persone: ero circondato. Ma l'oscurità non mi permetteva di identificare le loro facce e la mia vista offuscata non aiutava.
Strinsi i denti e provai a prendere la sua mano per fermarlo; sembrava piena di peli, coperta tutta come quella di un'animale, e dall'atteggiamento doveva essere uno di quelli predatori. Eppure sentivo si trattasse di un uomo, forse aveva ingerito un frutto del diavolo. Cercai di divincolarmi ma i miei polmoni esigevano respiro; provai e riprovai, boccheggiando e strizzando gli occhi e calciando con l'intento di colpirlo. Non potendo appagare i desideri dei miei polmoni li sentì avvampare, come se bruciassero, e poi sentì le forze fasi sempre meno, le mani cedere e dondolarsi lungo i miei fianchi, e la testa pulsare, così forte da esplodere. Alla fine persi i sensi, finendo inevitabilmente nelle loro mani, chiunque loro fossero.
 
 
Aprì un occhio alzando il capo inerme, osservando il covo, o meglio, il buio. Tossì, avvertendo ancora la gola arrossata e il sudore invadermi il viso; provai a muovermi ma mi accorsi, a mio malgrado, di essere legato da un materiale rigido e ruvido, con una benda che mi tappava la bocca. Tentai di liberarmi ma forse era di un materiale speciale, o forse era la stanchezza perché non riuscivo a muovermi. Sentì la porta cigolare e aprirsi lentamente, il tanto di quel lasso di tempo che serviva per terrorizzarti mentre si stagliò la figura di quel tizio squalo, Hody, illuminato da un fascio di forte luce che mi costrinse a strizzare gli occhi.
-Finalmente! Ora soffrirai un po', e solo quando otterrai il mio consenso potrai morire.- minacciò, ridendosela e chiudendosi dietro la porta, mettendosi dei guanti con degli spuntoni appuntiti per poi stringere le mani in una stretta decisa e furiosa, voglioso di vendetta.
 
 
 
Mi stiracchiai, svegliandomi dal mio lungo sonno e sorprendendomi che fosse già notte. Sbuffai, guardando la nuvola di vapore che uscì dalla mia bocca per colpa del torpore dentro al mio corpo, incontrasti con il freddo fuori. Alzai le braccia al cielo per sgranchirle un'ultima volta e ripresi le mie katana, rifoderandole accanto alla fascia verde. Scesi dal tetto con un salto felino e coprendomi con una mano la bocca sbadigliai, avviandomi per strada con l'intenzione di andare a trovare Luffy ma poi ci ripensai. Infondo a me cosa importava?, pensai.
Ero quasi giunto a casa mia ormai, e nonostante la mia decisione di non andare non potevo dimenticare la sua disperazione e i suoi pianti strazianti tra le mie braccia. Ringhiai per poi svoltare e recarmi da Luffy; anche per ridargli il telefono, no?
Sbagliai la strada tante di quelle volte che stavo per rinunciare, pensando che fosse il destino a fare questo ma proprio in quel momento mi trovai davanti la casa dei miei pensieri, e con una smorfia varcai il cancello fino ad arrivare sotto al portico. Vedendo che fosse tutto spento credetti che stesse già dormendo, cosa molto probabile ma le tapparelle aperte nella sua stanza mi fecero ricredere così, senza pensarci, provai a forzare la serratura, però rimasi basito nel ritrovarmi dentro di colpo, rendendomi conto solo dopo che la porta era stata lasciata socchiusa. Mi grattai il capo confuso, guardandomi attorno prima di dirigermi nella sua camera e serrai i pugni d'istinto; non era lì: In quelle condizioni rimanere fuori fino a tardi era come un suicidio!
Assottigliai lo sguardo e corsi fuori, per poi fermarmi di scatto; dove poteva essere finito?, pensai frettoloso alla ricerca di un'idea o di un indizio.
Corsi per la città facendo avanti e dietro senza sosta e perdendomi anche di qual volta; non potevo credere di sentirmi così preoccupato per lui, e temevo che si potesse essere sentito male, che gli fosse successo qualcosa o che, per la troppa stanchezza fosse svenuto tra uno dei tanti vicoli bui e pericolanti o tra i marciapiedi. Ripresi fiato, fermandomi e guardando il cielo che non era più pieno di stelle e né scuro come prima, segno che stava per arrivare il mattino, anche se doveva mancare ancora molto. Fremetti per l'impazienza e cercai di fare mente locale nei posti che sapevo che frequentava di più, e visto che lo conoscevo da poco, purtroppo, non ne sapevo molti, ma poi mi tornò in mente il nascondiglio e scattai in quella direzione, richiamando a me ogni tipo di senso di orientamento che avevo in corpo. Non potevo perdermi, non sapendolo in un posto tanto angusto come quello e con la febbre alta.
Arrivai, ma non trovai nessuno. Alzai un sopracciglio, ascoltando nelle orecchie il mio cuore battere forte come un motore, non sapevo se per la corsa, o per la preoccupazione. Non poteva essersene andato dalla città, giusto?, pensai e per sentirmi sicuro strinsi il suo telefono nella tasca, credendo che senza di esso non sarebbe andato da nessuna parte, che non sarebbe andato via da me...
Era lì in vacanza e non sembrava intenzionato a partire presto, per non parlare che avevo visto la sua valigia quando ero entrato nella sua camera. Cercai di rassicurarmi in quel modo, ma la preoccupazione non se ne andò; era decisa a farmi sentire male per la sua mancanza, male per il non saperlo accanto a me, al sicuro; male perché era solo colpa mia e di quella stupida domanda. Ma non mi pentivo delle mie parole o dei miei gesti; se era quello che la coscienza voleva fare non ci sarebbe riuscita, li ritenevo più che appropriati invece. Non poteva lasciarsi morire in quel modo, qualsiasi cosa gli fosse successa non ne valeva la pena: non doveva volersi distruggere!
Sgranai gli occhi riconoscendo il suo cappello nascosto nella penombra della sala e mi avvicinai per prenderlo in mano. Luffy non poteva aver lasciato il cappello al nascondiglio: da ciò che avevo visto non se ne separava mai, figurarsi lasciarlo lì, incustodito. Era di certo successo qualcosa, di certo non in quel luogo; non c'erano segni di rissa o altro, però restava il fatto che avevo controllato tutta la città, tranne... tranne in un posto. Lì, in mezzo alla foresta si trovava il loro covo; quello di quei farabutti, di quei criminali. E non volevo immaginare cosa potesse essergli accaduto se la banda di Hody, o di Lucci lo avesse trovato in quelle condizioni, soprattutto dopo quello che aveva fatto a quello squalo, pensai ricordandomi la storia che Robin mi aveva raccontato lo stesso giorno della visita di quel tipaccio. Avevo deciso, la prima meta sarebbe stata quella; anche se non avevo più infierito su di loro, non potevo non negare che ora fosse diverso, molto diverso.
 
 
 
Mi destai per colpa del trambusto che risiedeva fuori dalla porta della mia cella e cercai di alzare il capo pieno di lividi e sangue solo per vedere la porta aprirsi ma la mia testa ricadde contro mia volontà, inerme verso il basso, per colpa delle botte subite. Mi sanguinava anche un braccio, ciò nonostante notai una figura entrare e venirmi in contro di corsa, prendendo il mio volto tra le mani. Nel sollevarlo con estrema cura mi rispecchiai nel verde smeraldo di quegli occhi che mi parlavano, che mi dicevano che sarebbe andato tutto bene, che erano lì per restarmi sempre vicino. Amavo il linguaggio di quelle due pupille, dei suoi sguardi che amavano tanto parlarmi al posto delle labbra, o forse era solo la mia mente che si immaginava tutto dopo le mille botte ricevute. Ma ero sicuro si trattasse di Zoro mentre mi liberava dalla benda sulla bocca, anche se non riuscivo a riconoscere al meglio il suo volto: i miei occhi erano appannati e ricoperti di sangue secco. Si diresse veloce dietro di me, per liberarmi con un trancio di fendente dalle corde con le sue spade. Strinsi i denti e mi feci forza, alzandomi barcollante volendo vedere la sua faccia e mi rispecchiai ancora in quei bellissimi occhi smeraldo, sorrisi, prima di sentire gli uomini di Hody entrare con il loro capo mentre mi adagiai contro di lui respirando con l'affanno e la fatica di tutte quelle ore passate a soffrire, se mi concentravo potevo udire la pelle e le ferite bruciare, scottare e lasciare un senso amaro e fastidioso di formicolio. Lo sentivo solo se mi concentravo, altrimenti la mia mente annebbiata non focalizzava nient'altro che il buio e un silenzio interrotto solo da un assordante fischio immaginario che si faceva, via via sempre meno acuto.
-Zoro! Avevamo un patto, o sbaglio?- imprecò lo squalo ed io non capì, anche se ne aveva accennato Sanji una volta, mentre mi aggrappai ad un suo braccio per non cadere.
-Lo hai infranto tu per primo.- rispose a tono rimettendosi in bocca la katana dal manico bianco e scostandosi piano da me, tenendo nelle mani le altre due. Sfrecciò veloce per attaccare con un altro colpo di fendente che scagliò tutti contro il muro della stanza, compreso il capo ed io spalancai la bocca in un sorriso emozionato.
-Forte!- mi congratulai, decidendo di avvicinarmi nonostante le ferite sul corpo.
Tentò di prendermi in braccio ma negai con il capo, bloccandolo con le braccia; così, guardandolo alzare gli occhi al cielo in modo teatrale mi prese il polso, alzandomi di peso per trasportarmi in spalla come un sacco di patate; io cercai di protestare ma poi mi abbandonai tra quelle forti braccia, osservando quei tizi seguirci in fretta, venendo scosso e sobbalzare, di tanto in tanto in quella corsa.
Non sapevo dove stavamo andando, e visto che avevamo seminato quegli uomini mi limitai a fissare il cielo che si stava schiarendo, lasciando condurre tutta la corsa a Zoro e godendomi del suo profumo mentre mi misi meglio per appoggiare la testa, di lato sulla sua spalla, osservando il suo volto di sottecchi, senza accorgermi del cappello sulla sua schiena che svolazzava al vento e che mi apparteneva.
Alla fine entrammo in un grande edificio e lui rallentò; salì le scale per poi lasciarmi a terra, in piedi rimettendomi il mio cappello in testa che non mi ero reso conto tenesse attorno al collo. Mi sorpresi di quel gesto e me lo strinsi verso la base, coprendomi gli occhi felice di riaverlo, per poi prendere un bel respiro e studiarmi attorno, rimanendone shockato.
-Lo hai fatto a posta?- chiesi con un fil di voce, riferendomi al luogo con dolore e furia.
-Scusa, la prossima volta vedrò di portarti in un hotel extra lusso!- ironizzò esausto, piegato sulle ginocchia tra gli affanni.
-Non è questo che intendevo...- borbottai con un broncio infantile, guardando malamente la piscina comunale.
-Nemmeno l'acqua è più di tuo gradimento?- mi chiese raddrizzandosi, forse sfottendomi, e si recò verso l'angolo del muro a controllare la situazione, attendendo se qualcuno ci avesse seguito e tendendo le orecchie.
Decisi di non rispondere e mi misi seduto tra le piastrelle azzurre, gelide come il ghiaccio, che si macchiarono di rosso in poco tempo, appiattendomi contro il muro per non essere troppo vicino alla piscina. Ammirai l'acqua che danzava pacata, luminosa e brillante grazie alle enormi vetrate che regnavano incontrastate su tutto il lato destro dell'edificio e da dove il sole, che stava sorgendo, filtrava i suoi raggi sull'acqua e su di noi, portando tutto il suo calore puro che però non riscaldava molto per via dell'aria fredda della notte prima, mentre fuori c'era un intero giardino cosparso di brina mattutina. Inspirai profondamente, assaporando l'odore fresco e frizzantino del cloro. Lo respirai a fondo, quanto mi mancava.
Osservai Zoro continuare a studiare il perimetro, finché, appurato che fosse tutto tranquillo, si mise seduto con la schiena contro il muro di cemento a pochi passi da me.
-Mi dispiace.- sussurrai, forse troppo piano perché lui mi sentisse, ma invece mi sorprese, rispondendomi subito:
-Non hai niente di cui scusarti.-
-Invece sì! Tu mi hai ospitato ed io per ringraziarti me ne sono andato in malomado... milomedo...- scattai e mi persi, mi bloccai a pensare alla pronuncia esatta.
-Malo modo.- mi corresse, osservandomi di sottecchi a braccia incrociate.
-Già... e poi sei venuto anche ad aiutarmi... Grazie.- borbottai a capo chino, sentendo gli occhi pizzicare.
Lui fece un mezzo sorriso sicuro, accettando le mie scuse ed io gli annuì grato per poi mettermi a carponi e gattonare fino a due passi dalla piscina; che ad occhio doveva essere di cinquanta metri, proprio come quella olimpionica, e lasciando gocce di sangue lungo la strada. Toccai l'acqua limpida con una mano, e smuovendola piano creai delle piccole onde riflettendo dentro esse il mio volto; così, con le mani unite, raccolsi un po' d'acqua per pulirmi dal sangue, ignorando il dolore che comportò appena toccai, anche lievemente, i lividi violaci che regnavano incontrastati su metà volto.
-Prima che me ne dimentichi... il tuo telefono.- e mi protese il mio cellulare, notando che era spento lo acesi per poi adagiarlo a terra, dietro di me.
-Sai... io amo ancora essere un campione di nuoto, solo che...- mugugnai frenandomi di colpo. Stavo parlando troppo, così tolsi la mano dall'acqua, alzandomi piano per dirigermi a casa.
-Solo cosa?- volle sapere Zoro, mettendosi sulla mia strada ed io rivolsi lo sguardo a terra e poi alla piscina, non mi avrebbe fatto andare via senza aver vuotato il sacco, gli è lo si leggeva in faccia; capivo che lo facesse per aiutarmi, però...
Mi passai una mano sulla fronte, come per scacciare un tremendo mal di testa, prendendo tra le dita qualche ciocca sudata e un po' sporca di sangue secco, sospirando amaramente: sentivo così caldo.
-E solo che... non posso farlo. Io...- balbettai stremato con voce spezzata e senza volere mi portai una mano al petto, sulla cicatrice.
Mi fermò con un gesto della mano e con la stessa tolse la mia dalla cicatrice, notando la mia difficoltà a parlare fece cenno che non fosse necessario che continuassi se non ne ero in grado. Poi però indietreggiò di un passo, togliendosi le scarpe nere, sfilandosi di dosso la casacca e le katana dalla fascia, gettando tutto poco lontano e restando solo con i pantaloni. Spalancai gli occhi, non capivo le sue intenzioni, però mi sentì le gote arrossare di colpo ed il battito accelerare alla velocità di un treno nel poter ammirare i suoi muscoli avvolti da goccioline di sudore per tutta la corsa che aveva fatto. Temevo di svenire per colpa della febbre, e forse quella visione avrebbe aiutato, ma non potevo permetterlo, anche perché ero curioso di sapere cosa volesse fare. Lui si avvicinò al muretto e unendo le mani in avanti si tuffò in acqua, schizzandola un po' ovunque, anche addosso a me. Rimasi in attesa per alcuni minuti, non sapendo nemmeno io come riuscissi a far rimanere rigide le gambe, però non vedendolo risalire mi sporsi per scrutare il fondo e nel notare quello sguardo sott'acqua, così deciso scattai immediatamente indietro ma lui fu più veloce nel prendermi e mi portò giù come un alligatore fa con la sua preda.
Trattenni il respiro tenendo le guance gonfie e riaprì gli occhi per poi sbattere le palpebre un paio di volte, ignorando il pizzico alla sclera per colpa dell'acqua fusa con il cloro, però mi abituai subito: per me era la norma. Ciò a cui non fui pronto era il bruciare sulle ferite sempre per colpa del cloro, e strizzai gli occhi con una smorfia. Scrutandomi attorno alla ricerca dello spadaccino me lo ritrovai subito dinanzi, ghignante prima che risalisse. Gli mandai un'occhiataccia burbera ma anche un po' scherzosa, seguendolo a ruota per uscire di lì, con la paura che aveva iniziato a circondare il mio cuore facendolo rallentare dal dolore. Appena uscì dall'acqua iniziai a nuotare verso il muretto, però mi trovai incatenato da un'altra morsa e venni tirato all'indietro finché non andai a sbattere di schiena contro il petto muscoloso di Zoro: mi aveva trascinato al centro della piscina e d'istinto, preso dall'odio dei miei ricordi mi voltai di scatto con il busto e gli tirai un pugno sulla guancia facendolo girare di lato bruscamente; non se lo aspettava, ma questo non lo scompose più di tanto e tornò a guardarmi serio.
-Ma che fai?- protestai nervoso e un po' in colpa, dimenandomi dalla sua presa ma lui mi cinse più forte la vita con le sue possenti braccia aspettando che mi stancassi e ignorando come lo colpissi pur di andare via, e alla fine mi arresi, rilassandomi il tanto da annegare e lasciandomi cullare dalle onde e da lui, restando in ammollo solo perché mi teneva.
-Immagino che tu ami questa sensazione. L'acqua che ti circonda e i suoi movimenti.- e a quelle parole capì il suo intento in tutto ciò, voleva solo farmi ricordare il mio sogno. Nel guardarlo notai che gli sanguinava il labbro da un lato, ma non sembrava soffrirne.
-Sì. E' bello.- constatai pacato, riconoscendo il suo gesto e perdendomi nel ricordare tutte le gare vinte e anche i primi giorni quando iniziai a nuotare, o la sensazione di libertà che provavo mentre ero in acqua, con davanti a me la meta, pensando solo ad avverare il mio sogno.
Mi dondolai tra le onde, dimenticandomi perfino che stessi male e chiudendo gli occhi per rilassarmi un po', con la testa appoggiata su di lui con il mento rivolto verso l'alto a guardarlo, sapendo che ci fosse Zoro a reggermi per il busto. Ma appena mi lasciai andare i cattivi pensieri tornarono e dei flash di immagini che scorrevano di sequenza, veloci, si mostrarono nella mia mente, facendomi rivedere ancora quel terribile ricordo del mio errore che mi perseguitava la notte e il giorno.
Sgranai gli occhi, annaspando e mi allontanai dallo spadaccino che forse mi fissò sorpreso, non capendo cosa fosse accaduto questa volta avvolti in tutta quella calma. Mi avvicinai al muretto come se fosse la mia unica ancora di salvezza prima che l'acqua mi inghiottisse nel mio stesso incubo; mi ci aggrappai sopra con le braccia per tirarmi su, ma restando immobile, così, con le gambe ancora dentro l'acqua e continuando ad annaspare mente osservavo e sentivo l'acqua scivolare via dal mio corpo per cadere ed infrangersi contro le piastrelle. Sentendo un fruscio nell'acqua capii che Zoro mi si stesse avvicinando, ma io negai scuotendo il capo nervoso.
-Ti prego, smettila! Io... sono solo un debole.- confessai sbattendo la testa contro le piastrelle per farmi male, ma invano in quanto fossi di gomma.
Avvertendo il suo sguardo su di me strinsi le mani a pugno contro il muretto, frustrato e dolorante, lasciando scorrere oltre all'acqua le lacrime dal mio volto, alla ricerca di una pace che non meritavo di trovare.
 

 
  
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