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Autore: RLandH    14/07/2019    1 recensioni
Da capitolo II:
[...]“E quindi hai pensato che abbandonarmi era meglio?” domandò irascibile lei, “Tesoro, nasciamo, viviamo e moriamo soli. Non è mia abitudine aiutare i mortali, mai, neanche i miei figli. Neanche quelli divini, se per questo” aveva detto con un tono infastidito, continuando a limarsi le unghia.[...]
Da capitolo IX:
[...]Era il figlio al prodigo, aveva bisogno di quel padre a cui aveva voltato le spalle, per uno stupidissimo corvo che non avrebbe potuto fare nulla contro un gigantesco uomo alto venti piedi. Le sentì brucianti le lacrime sulle guance.[...]
July vorrebbe aspettare la fine in pace, Carter si sente perso come mai è stato, Heather è in cerca di qualcosa e Bernie di quella sbagliata.
Se si è cosa si mangia: Arvery è una bella persona; Alabaster, lui è quello furbo. Marlon è un anima innocente e Grace è un mostro dal cuore d’oro.
E quando gli Dei decidono di invocare l'aiuto di quegli stessi figli dannati a cui non hanno mai rivolto lo sguardo, non c'è da stupirsi se il mondo intero va rotoli ...
Buona lettura,
Genere: Angst, Avventura, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altro personaggio, Dei Minori, Le Cacciatrici, Mostri, Nuovo personaggio
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Violenza
Capitoli:
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THE ROAD SO FAR (o meglio quello che vi siete persi): Bellatrix LaFayette e sua sorella Bernie si sono divise a seguito della battaglia di Manhattan … a seguito, tra le due, non ci sono stati più contatti.
Dopo una anno di mistero, le due gemelle figlie di Nyx, sono riuscite a ricontrarsi telepaticamente (grazie alla bevuta delle acque degli inferi da parte di Bernie, che le hanno permesso di lasciare il suo corpo e raggiungere sua sorella, prigioniera di ‘Ify’). In vero Bells era stata catturata da Ifigenia quando si era recata nell’Atollo di Johnston per cercare un dio, nascosto lì.
In tale occasione la sacerdotessa immortale, devota ad Artemide, l’aveva sacrificata come usanza per poi riportarla in vita grazie alla rete raccogli animi della dea Britomarti.
A seguito Ifigenia si mostra ben favorevole ad accompagnare la giovane ad incontrare il dio che Bells era venuta a cercare.
Buona Lettura

EDIT: Non riesco a togliere il sottolineato D:


 

IL CREPUSCOLO DEGLI IDOLI
 

 
Il commovente momento in cui un’immersione negli abissi si trasforma in un’immersione nei propri desideri … no, aspé, fa schifo.


 
Bellatrix II


 "Ti ... prego", Bells aveva sentito quella richiesta come nulla di più di un sussurro nel vento, una voce bassa come il miagolio di un gattino, ma abbastanza per arrestare la sua corsa. Voleva raggiungere Ethan lì sull'Olimpo, dove la storia si sarebbe decisa per sempre. Crono contro Percy Jackson. Sembrava già una partita vinta, il più potente e pericoloso dei titani contor un mezzosangue. Eppure, mai prima di quel momento Bells aveva pensato che il destino del mondo fosse appeso ad un singolo filo.
“Ei, ei! Dove sei?” aveva chiesto – urtlato – aspettando di riconoscere ancora la voce. Aveva sentito un altro squittio, disperato uggiolato di qualcuno in cerca di aiuto ed aveva tentato di raggiungerla, seguendo la voce.
Poi l’aveva trovata, lì, sulle infinite scalinate dell’Empire State Building, tra un piano e l’altro. Aveva sentito ogni suo osso dolere per quella salita, una ragazzina esangue in viso che teneva le dita sottili sulla pancia, da cui sgorgava sangue bruno.

Bells non riusciva neanche a capire quanti anni avesse, era solo certa fosse più giovane di lei, così si era chinata al suo fianco.
“Ei, va tutto bene, sono qui” aveva sussurrato placida. La ragazzina non indossava le parole del campo, però Bells stessa non conosceva bene neanche tutti i suoi alleati, la ragazzina doveva ammettere non le sembrava familiare.
Forse era sua nemica, forse no, non le importava, non più così tanto.
La ragazzina le sorrise, aveva due rivoli carmini che le scendevano giù dalle labbra pallide e screpolate. “Ambrosi” riuscì a sussurrare solamente, la sua voce era un raschio sottile, che spensi Bellatrix a chiedersi come avesse potuto sentirla.
“Cerco” aveva detto immediatamente Bells, tastandosi le tasche dei pantaloni, non era sicura di avere più ambrosia, aveva saggiato le ultime gioccie qualche ora prima, dopo che una freccia l’aveva colpita sulla parte alta del pettorale, evitando cuore e polmone per miracolo.
Miracolo che non era certa di meritare. Però aveva trovato delle stupide caramelle al miele, che aveva rubato dalla hall dell’hotel che aveva utilizzato come fortino.
“Io … mi dispiace” aveva sussurrato solamente Bells, guardando quella caramella, l’altra ragazza aveva emesso un verso, sembrava un gorgoglio. Bells ci aveva messo qualche secondo a capire fosse una risata.
“Mi … fanno … schifo” aveva sussurrato, sembrava davvero una risata quella che aveva seguito l’inaspettata confessione.
“Be, magari, se fai così la snob non stai tanto male” aveva provato Bells, senza molto successo. L’altra aveva sorriso con una certa fatica.
“Figlia di …Lada
[1]” aveva detto quella. Poi, per un po’, non aveva detto nient’altro, aveva tolto una delle mani dal ventre. Uno squarcio le scavava le viscere, il palmo della ragazza era macchiato di lucido rosso, ma aveva comunque allungando la mano per raggiungere quella di Bells. “G-Gr…azie” aveva bisbigliato.
E mentre la presa si faceva più morbida, la figlia di Nyx si chiese per cosa venisse ringraziata.

 

“Sembri spaventata” la voce di Ifigenia sembrava stranamente allegra, “Mi stai dicendo di entrare in un buco al di sotto della superficie del mare, per incontrare un fottuto dio” aveva detto con un tono piuttosto acido Bells.
“Perché è nascosto lì giù?” aveva domandato leggermente infastidita. Ifingenia aveva riso – probabilmente di lei – “Non lo so. Forse perché c’è un ingresso del Labirinto lì vicino … Comunque, tranquilla, Theos non è nel labirinto, ma vicino all’ingresso” aveva specificato la sacerdotessa. “Questo lo rende solo migliore” aveva detto aspra Bells. “Theos era un dio buono” aveva cercato di consolarla Ifigenia.
Era, nessun buon segno.
Però Theos restava il dio che Bells era venuta ad incontrare. Ed aveva deciso di nascondersi dal mondo nel posto più triste che la terra avesse mai visto: l’atollo di Johnston, anzi sotto.
“Ti prego dimmi che hai da allungarmi una tuta da sub e delle bombolo d’ossigeno … o almeno delle pinne” aveva detto con un tono spento, osservando la maschia circolare di blu intenso, con angoscia.
“Giusto per la cronaca: se affogo la rete tratterà la mi anima, vero?” aveva domandato poi, non dando alla sacerdotessa il tempo di rispondere alla sua precedente frase.
“La rete … che non raccoglie sempre tutte le anime” aveva risposto immediatamente Ifigenia, “Vale unicamente sulla terra … o qualsiasi cosa sia quella su cui stiamo posando i piedi” era stata cristallina.
“Non nel mare” aveva valutato Bells.
“Con la resta stiamo già dando fastidio al sommo Ade, non vorremmo urtare anche Poseidone – lo chiamano lo scuotitore di terre per una ragione” aveva risposto tranquilla la sacerdotessa.
“Moriamo, è sicuramente meglio che stuzzicare qualche dio” aveva scherzato con acidità lei.

“Detto da chi ha militato sotto l’esercito di Crono” aveva risposto Ifigenia con estrema calma, “Comunque mangia questa caramella” aveva aggiunto, infilando una mano nello scollo del vestito per tiare fuori uno zuccherino ancora incartato.
“Il mio amico Aphros[2] le ha fatte” aveva aggiunto calma, “Grazie” aveva risposto Bells, scartando la caramella ed ingurgitandola, aveva la chiara idea che quello che aveva detto Ifigenia non fosse una semplice richiesta. “Sa di mangime per pesci” aveva sentenziato poi, “Mangia spesso mangime per pesci? Sì, comunque le torte li vengono decisamente meglio” aveva ammesso Ifigenia.
“Ora ascoltami bene, Theos vive dentro questa grotta, la puoi raggiungere da un tunnel sommerso all’interno della dolina. Solo non il primo, il secondo … o forse era il terzo” aveva aggiunto, passandosi le dita sulle labbra, con quel suo tono così calmo, “Se prendo il tunnel sbagliato che succede?” aveva domandato, “Potresti perderti per eoni negli abissi marini … o incontrare un vicolo cieco” aveva detto con un certo divertimento.
“Ti hanno mai detto che sei strana?” aveva chiesto retorica, “Ogni persona che ho sacrificato” aveva risposto con estrema tranquillità, poi aveva posato una mano tra le scapole di Bells e senza metterci particolare forza l’aveva fatta cadere giù dalla sporgenza, dritta nelle acque.
 

“Dany, Dany” aveva sussurrato la ragazza dai riccioli rossi, premendosi il viso di Dany sul petto, mentre le lacrime le tagliavano le guance tonde.
Dany però sorrideva, il suo viso era cristallizzato in un sorriso che sarebbe rimasto per eoni. Bells le teneva ancora la mano, anche se la presa di Dany si era fatta molle.
Se ne era andata così, sorridendo e tenendo le mani di una sconosciuta sulla tromba delle scale dell’Empire State Building.
Bells non aveva saputo il suo nome finché non erano arrivate le altre due ragazze, quella che era rimasta immobile e quella dai riccioli rossi che subito aveva cominciato a strillare il nome della defunta e scuoterla per poterla risvegliare, rima di realizzare l’inevitabile e terminare con lo stringerla al suo petto piangendo.
“Mi dispiace” era riuscita a sussurrare solamente Bells.
Anche dopo la morte di Dany non era riuscita a sciogliere le loro prese e riprendere la sua salita fino all’Olimpo per aiutare Ethan.
“Le hai permesso di non morire da sola e di questo noi ti saremo eternamente grate” aveva parlato l’altra ragazza, lei era un po’ più adulta di quanto non fossero Bells, Dany e la ragazza dai capelli rossi; aveva dei tratti del viso particolari, diversi, e nonostante la sua lingua fosse fluente rimaneva sporcata di un accento che Bells non aveva mai sentito.
“Affidiamo ora la sua anima immorale agli dei della morte” aveva cominciato a recitare gentile, prendendo la mano che era rimasta libera, “Dobbiamo trovarle un drappo Chantico e tributarle gli onori che si merita o non potrà passare l’acheronte” aveva parlato la ragazza dai capelli rossi, “Sarà così spaventa in questo momento” aveva sussurrato.
“E lo faremo, Phoebe, le daremo il funerale che si merita, assieme alle altre, dopo che la guerra sarà finita” aveva risposto l’altra, sedendosi anche lei sulle scale, volgendo un sorriso rassicurante verso Bells.
La guerra.
Dove alzarsi, doveva andarsene, doveva lasciare la mano di Dany, il suo corpo era con le sue amiche in fondo, doveva trovare Ethan. Doveva trovare Bernie.
Se le fosse successo qualcosa … no, Arvey l’avrebbe difesa a costo della sua stessa vita, non avrebbe mai permesso a nessuno di ucciderla, era qualcosa che voleva fare lui, con le sue modalità, con i suoi tempi.
E se fosse successo qualcosa a Bernie, lei lo avrebbe sentito, no?
Erano gemelle.
Phoebe teneva ancora il viso di Dany sul suo petto, “Ma Chantico, la guerra è finita” aveva detto calma, con gli occhi azzurri impastati di lacrime rivolti verso di loro.
“Come lo sai?” aveva osato chiedere Bells, “Io non lo so, sento solo un’armonia diversa” aveva aggiunto placida.


 

“Che stronza” aveva sussurrato Bells, aveva scoperto di poter respirare sott’acqua, appena aveva toccato la superficie attorno a lei si era formata una membrana … o qualcosa di simile, che le permetteva di respirare dell’aria, “Non mi sorprende che qualcuno dica sia figlia di Elena di Troia”.
Forse era colpa della caramella, qualunque causa fosse: Ifigenia avrebbe potuto anche scomodarsi a tranquillizzarla.
D’altronde non doveva stupirsi: neanche ventiquattro ore prima le aveva ficcato un coltello in pancia. Aveva sollevato lo sguardo oltre la superficie per cercare la sacerdotessa, non vedendola però più sull’altura.
Aveva deciso di tacere l’offesa che le era nata sulle labbra per tuffarsi nella profondità della grande voragine blu. L’acqua era gelida e niente sembrava intenzionato a navigare vicino a lei, sarebbe stato oltremodo fastidioso avere anche a che fare con uno squalo o quant’altro.
Abbandonate le acque sicure era entrata nella fossa vera e propria, con un leggero terrore, guardandosi intorno alla ricerca dei corridoi delle pareti.
Non il primo, ma il secondo o il terzo.
Sarebbe stato bello avere una qualche chiarezza, ma evidentemente Ifigenia non la pensava così.
Attraversato la prima fessura nelle pareti era scesa ancora nel profondo, fino a che non aveva trovato la seconda.
“Mi affido a te, Dea” aveva sussurrato alla fine, prima di entrare nel corridoio di roccia.
La fossa era stata scura, ma sottili raggi di sole riuscivano ancora a raggiungerla almeno fino all’altezza della seconda fessura, ma all’interno di quel corridoio c’era solo buio pesto. Ed era freddo.
Non sapeva neanche per quanto tempo aveva nuotato, ma abbastanza da sentire dei crampi sul suo corpo e da avere voglia di fermarsi.
Aveva iniziato a sospettare da un po’ che aveva sbagliato strada, almeno fino a che non aveva sentito dei rumori piuttosto particolare.
Il rifrangersi dell’acqua su una superficie.
Aveva aumentato le bracciate ed i movimenti netti delle gambe, iniziando a notare lontano un punto di luce azzurra.
Quando aveva raggiunto la luce azzurra aveva capito che era proiettata da una superficie, aveva sollevato lo sguardo aveva trovato oltre lei delle accese luci fredde.
Era emersa, trovandosi a respirare dell’aria vera e riconoscendone la differenza.
Aveva guardato intorno a lei, realizzando di essere all’interno di una caverna, dalle pareti lucide e coperte di licheni, le luci erano date invece da sferette accecanti che fluttuavano nell’aria la cui origine le era ignota.

“Nefasti numi!” aveva sentito una voce tuonare, Bells si era voltata intorno alla ricerca della provenienza, notando che una porzione della grotta aveva una spiaggia rocciosa e che qualcuno era lì: il divino Theos.
Aveva nuotato in quella direzione, sentendo nuovamente le articolazioni andare in fiamme.
Era decisamente fuori allenamento.
La sensazione della ghiaia sotto la suola dello stivale era stata una sensazione bellissima, finalmente era stata in grado di camminare nuovamente, aveva lasciato cadere le braccia inerti lungo i fianchi, mentre finalmente usciva dall’acqua.
“Lei è il divino Theos?” aveva chiesto solamente, osservando l’uomo che si stagliava non lontano da lei.
Se non era il dio che cercava, sicuramente ne era uno, era schifosamente attraente.
Un giovanotto dall’incarnato olivastro e gli occhi di miele.
“Sfortunatamente” aveva risposto solamente quello, l’attimo dopo allungare le mani per prendere Bells, le gambe erano cedute senza che facesse in tempo a realizzarlo.
“Credo tu abbia bisogno di bere e mangiare, signorina” aveva ammesso con un tono leggermente più accondiscende il dio, “E puoi darmi del tu, odio le formalità”.
“Un posto meno facile da raggiungere, no eh?” aveva scherzato solamente Bells mentre il dio la guidava per accomodarsi sul terreno ruvido, “Non abbastanza evidentemente” aveva detto quello.
A Bells era venuto da ridere.
Il dio Theos le offrì della carne secca, la cosa l’aveva divertita più del previsto. Di norma erano i mortali e i semidei ad offrire il loro cibo ad un dio, quindi Bells poteva ammettere di trovare una divertente ironia nella questione, specie se si considerava in passato in quale esercito avesse militato.
“Immagino che Ifigenia ti abbia detto dove trovarmi?” aveva detto con un tono leggermente risentito il dio, “Dopo avermi pugnalato” aveva risposto subito di getto lei, “Ma no, Ifigenia mi ha indicato solo la strada, meglio dire che mi ci ha buttato dentro” aveva detto.
“Sua madre era spartana e un miracolo che non lo abbia fatto con un calcio” aveva detto calmo Theos, “Però no, non è stata lei a dirmi dove trovarvi” aveva raccontato Bells, “È stat-” ma la frase della ragazza era stata interrotta da un movimento secco della mano dell’uomo, “Non mi importa se mi hai trovato vuol dire che questo posto non è poi così introvabile” aveva sbuffato il dio. Era attraente, in una maniera al di là dell’umana comprensione, con occhi profondi ed uno sguardo amichevole, indossava dei pantaloni mimetici ed un giacchetto aperto che lasciava scoperto il petto e le braccia, sul bicipite aveva un tatuaggio di colore vermiglio che riportava un fiore che sembrava di loto.
“Non sono esattamente affari miei ma perché sei nascosto in una grotta sotto l’oceano?” aveva domandato Bells.
Ifigenia aveva accennato qualcosa a proposito del fatto che c’erano motivazioni precise sul perché il dio si fosse nascosto proprio lì. “Se ti dicessi che mi fa schifo il genere umano, come la vedi?” aveva domandato retorico il dio, “Legittimo” aveva risposto Bells, “Bene. È esattamente così” aveva detto strappando con un morso una bella stringa di carne secca, “Quindi cos’è che vuoi?” aveva domandato il dio poi, “Dubito tu sia qui solo per il piacere della mia compagnia” aveva ammesso, “Nessun mezzosangue verrebbe qui senza un motivo” aveva detto.
Bells aveva sorriso, strappando un altro morso dalla sua carne secca, “Di solito gli dei sono sempre pomposi e pieni di loro” aveva constato, “Sono sul serio convinti che i mortali vogliano la loro compagnia” aveva aggiunto.
“Lo dici a me?” aveva chiesto Theos, “Uomini, dei, sono questo punto di vista sono tutti uguali” aveva aggiunto, “Tu non sembri” aveva scherzato Bells, “Questo perché io sono morto” aveva risposto lui, “Aspetta …” aveva cominciato la figlia di Nyx, ma il dio l’aveva anticipata, “Sono nato umano, sono divenuto dio poi” aveva spiegato, “Stavo per chiederti se eri stato recuperato anche tu dalla rete” aveva sospirato, “No, si, forse … onestamente non ho capito bene neanche io come è successo, un momento stavo annegando nel Nilo, l’attimo dopo ero sull’olimpo e Giove in persona mi diceva che ero stato divinizzato” aveva raccontato con una certa boria, “Ma andiamo avanti” aveva recuperato il dio, “Che cosa vuoi?” aveva chiesto.
“Recuperare quello che la Divina Artemide ti ha affidato” aveva risposto calma, “Qualcosa come mille anni fa circa” aveva aggiunto.
Theos aveva sollevato un sopracciglio, “Recuperare prevede che qualcosa ti è appartenuto” aveva detto  il dio “Ed anche se fosse la mia riposta è no”, “Si mi è stato detto che non avresti ceduto, forse, neanche se la divina Artemide in persona si fosse palesata davanti ai tuoi occhi” aveva mormorato lei, con un tono di voce calmo; “Per Artemide avrei ceduto, ma tu, ora, non parli a nome suo, giusto?” aveva domandato.
“Esatto” aveva confessato Bells con ignoranza: “Perciò ho intenzione di sfidarti” aveva aggiunto, alzandosi dalla posizione seduta in cui era sistemato, “Me?” aveva domandato il dio con un tono calmo e forse anche piuttosto stupito, “Si” aveva detto Bells, chiedendosi tutta quella sicurezza da dove l’aveva tirata fuori.
Il dio l’aveva guardata con una punta di curiosità e Bells si era ritenuta soddisfatta che lui non l’avesse incenerita con lo sguardo, o qualsiasi cosa Theos potesse fare, “Oh e sentiamo: a che cosa?” aveva chiesto, “A quello che ti pare” aveva ammesso Bells, “Se potessi sceglierei direi una bella caccia al tesoro, ruba bandiere o paintball, tanto vincerò” aveva dichiarato.
“Che sfacciata audacia” aveva detto il dio, “Potrei sfidarti alla lotta, pensi che potresti battere un dio?” l’aveva provocata.
Ovviamente no.
“Preferirei una caccia alla bandiera, ci ho giocato solo una volta, ma era molto divertente” aveva scherzato Bells con un tono calmo, era successo sulla Principessa Andromeda, era stata un’idea dei ragazzi che venivano dal campo. “Penso che non fosse ancora scoppiata la guerra dei cent’anni l’ultima volta che ho partecipato, credo non si possa fare senza le squadre” aveva sentenziato.
“Ma ricominciamo con le buone maniere” l’aveva invece rimproverata il dio, “Non temere per la tua vita, hai consumato il mio cibo, sei una mia ospite, perciò presentati” aveva sentenziato quello.
“Bellatryx LaFayett, figlia di Nyx e di Abe LaFayette, astronomo, ho quattordici anni e mi fanno schifo le carote” aveva spiegato subito lei con voce secca, “Ah si, durante la guerra titanica ho parteggiato per Crono e non sono sicura se tornando indietro cambierei le cose” aveva detto immediatamente lei con un leggero tremolio nella voce.
“Io sono Theos è farò finta di non notare le evidenti lacune nella tua storia, ammirato dalla tua sfacciata onestà” aveva risposto il dio, risedendosi sulla nuda pietra. Bells aveva sollevato un sopracciglio, “Irraggi luce, sono sorpreso le falene non ti stiano sempre addosso” aveva risposto con voce calma il dio, “Penso sia successo più di una volta” aveva confessato con un certo imbarazzo, sistemandosi nuovamente sulla roccia dove era seduta.
“Eppure non vieni a prendere qualcosa d me in nome di chi ti compete” aveva commentato il dio, “Non è stata una decisione a cuore leggero, ne abbiamo discusso parecchio anche, c’è stato un comizio non indifferente, penso che qualcuno ha anche cercato di colpirmi con una stella cinese” aveva raccontato con una certa ansia, ripensando alla divinità in questione: una figura vestita di bianco lucente e l’incarnato olivastro, gli occhi erano grandi e caldi.
Se avesse avuto un salvacondotto dalla dea Artemide
“Quindi quale dio è stato così sfacciato da mandare un membro dell’esercito di Crono a chiedere qualcosa che Artemide stessa mi ha affidato per proteggerlo … specialmente altri dei” aveva risposto divertito Theos.
“Si è presentata come Orual, si so che probabilmente non è il suo nome” aveva replicato subito Bells, “Era una donna splendida, con un sorriso così rassicurante” aveva aggiunto, “E sarò onesta: penso di poter contare le divinità che mi piacciono sulla dita di una mano monca”.
Non era mai capitato in tutta la sua vita che una qualche divinità potesse sembrarle gradita, forse solo una volta, ma riconosceva che non era la stessa Artemide a piacerle, più il suo codazzo di ancelle immortali, certo senza la signora della foresta forse Bells non sarebbe mai sopravvissuta a Manhattan.
“Cioè so che potrebbe essere una dea ingannevole e che tutta quella armonia sia una menzogna” aveva spiegato.
Theos aveva riso, aveva un sorriso caldo e pieno, non rassicurante come quello di Orul, ma sembrava certamente autentico, “Conosco Orual” aveva risposto lui, “Fidati solo lei può rasserenare un’anima inquieta. È letteralmente il suo campo” aveva soffiato Theos.
“Bene, quindi ho beccato una brava dea, sono contenta” aveva bisbigliato Bells non del tutto sicura, “Comunque non mi sono fidata di lei solo perché sembrava Maria Teresa di Calcutta in versione Gabriella Solis” aveva aggiunto poi con un po’ più di calma, “No, ne ho discusso con le altre” aveva aggiunto.
“Sono riuscita a trovarti grazie ad una cacciatrice di Artemide, Luminosa Dei Chiarieri” aveva raccontato. “Figlia di Apollo” aveva risposto Theos, toccandosi un bicipite nudo, “Durante la caccia di un Popobawa[3] mi ha ferito” aveva raccontato, con un sorriso rilassato, “Lei insiste a dire sia stato un errore” aveva aggiunto.
“Sono sicura che almeno metà delle volte che un dio venga ferito sia accidentale” aveva aggiunto lei, Theos aveva fatto un cenno di diniego, “Immagino che la tua adesione e dei tuoi amici all’esercito di Crono sia stata anche quella accidentale” aveva aggiunto.
“Facciamo pilotata, va” aveva sussurrato, “A dodici anni sono venuti due lestrigoni a prenderci per portarci da Luke Castellan … e non so se hai presente: ma stavamo tipo morendo di paura” aveva riportato con onestà.
“Si me lo ricordo cosa vuol dire essere spaventato” aveva risposto lui, “Sono un dio ora, ma non lo sono sempre stato come ti ho detto” aveva aggiunto. “E non hai neanche compiuto un’impresa eroica degna di Percy Jackson il perfettissimo? Così mi pare di aver compreso” aveva inquisito, “No, ho vissuto una vita normale: ho amato un uomo che mi venerava, ho mangiato del cibo ottimo mentre al mondo milioni morivano di fame, ho cacciato per gusto e sono stato un agnello sacrificale” aveva risposto secco, “Poi gli uomini hanno cominciato a venerarmi e sono risorto come dio, un dio meno potente, meno perfetto e meno … meno tutto” c’era una leggera amarezza nella sua voce.
Bells aveva ricordato ciò che aveva detto Ifigenia, Theos era legato a quell’isola in maniera personale, perché nell’Atollo Johnston si compivano continuamente finti sacrifici.
“Orual invece ha compiuto un’impresa degna degli dei” aveva confessato, “Lei era come me, partorita da una donna umana e senza una goccia di sangue divino nelle sue vene. Una mortale in tutta la sua patetica forma” aveva aggiunto.
Orual le era sembrata tutto tranne che patetica, con il viso a cuore e gli occhi caldi, “Ma con una dolcezza tale nei modi da ammansire ogni belva, incantare ogni uomo, perfino un dio” aveva replicato.
Questo lo trovava semplicemente coerente.
“Orual chiede per se stessa, non ordina, ne obbliga, lei chiede, ma tu anche desiderando non potresti dirle mai di no” aveva ripreso Theos, “A meno che tu non sia un dio, anche se meno perfetto” aveva detto poi.
“Per questo ha mandato me come carne da macello, quindi” aveva mormorato leggermente offesa lei, ma  aveva ricevuto un cenno di diniego, “Gli dei lo fanno sempre, anche i più teneri di cuore, non possono in alcuna maniera intervenire negli affari umani, così sono costretti a strumentalizzare gli umani” aveva spiegato lui, “E fidati se un dio ne è dispiaciuto quello è sicuramente Orual” aveva replicato, “Io d’altronde me ne vivo qui isolato appunto per evitare di dover interagire più del dovuto” aveva confessato.
Bells aveva riso, passandosi le dita sugli occhi, “Lo sai? Luminosa mi ha detto che tu avresti capito” aveva aggiunto, “Non le ho creduto, perché ‘Noze[4] ha un sacco di belle opinioni su un sacco di dei, tipo so padre” aveva confessato.
Cosa che in realtà Bells non condivideva per nulla.
“E perché riesco a ricordare ancora cosa vuol dire svegliarsi una mattina con la palpabile sensazione che quel giorno possa essere l’ultimo” aveva raccontato, “A volte mi manca, lo confesso, la mortalità” aveva aggiunto, melancolico.
“Mi manca l’odore umido della rugiada sulle foglie, il rumore fragoroso del Nilo, il modo che aveva di ridere Adriano. A volte mi manca anche l’espressione accigliata di Sabina” aveva raccontato, nostalgico.
Theos stava parlando di una lunga vita, che doveva essere rimasta sepolta sotto vento e terra di molti anni, secoli, forse anche millenni, lei non lo sapeva, ma si sentiva orribilmente simile, pensava a quanto un anno prima la sua vita fosse così diversa, da sembrarne un'altra.
L’oscillare periodico e materno della principessa Andromeda, il rumore fastidioso del pennarello nero di Ethan sulle mappe, il cozzare delle lame tra loro.
Bernie che la cercava per farsi coraggio e lei che si lamentava un giorno si e l’altro pure di qualsiasi cosa.
Aveva mentito a Theos, perché riconosceva, con il tempo, di aver creduto in quella guerra, in quella causa, in quel nuovo e meraviglioso mondo che le era stato promesso.
E Bells amava ogni secondo di quei pensieri, ogni istante speso titubando verso una vita che era finita sotto la polvere e le macerie, di un giorno d’estate che avrebbe segnato per l’eternità la sua esistenza.
Bells pensava cosa sarebbe accaduto se non si fosse fermata a soccorrere la ragazza sulle scale, ma avesse continuato a salire, sarebbe giunta fino in cima?
Sarebbe caduta giù con Ethan?
Lui le aveva assicurato che avrebbe avuto un posto nel loro mondo e Bells a volte odiava il fatto che avesse avuto ragione.
Le aveva anche promesso che avrebbero riparlato dei suoi sentimenti, una cotta, infantile, forse destinata ad estinguersi con il tempo o ardere poi di quell’amore un po’ folle degli adulti.
Ma Ethan era morto.


“Quindi mi darai una mano?” aveva domandato speranzosa Bells, alla fine Theos sembrava incredibilmente accomodante, “Non lo so, prima dimmi cosa ci devi fare” aveva stabilito il dio, sembrava legittimo.
“In realtà l’ho devo portare in una determinata coordinata ed Orual garantirà una tregua con un dio che ci è avverso” aveva riportato lei semplice, “Non ho idea a chi debba essere consegnata, lo confesso” aveva ammesso poi lei, “Ma tu stesso hai detto che Orual è buona” aveva aggiunto, “E fidati questa tregua ci è necessaria” aveva aggiunto perentoria.
Theos aveva riso, “Lo so, lo so. So anche come lei possa garantire tale pace” aveva detto, “Orual può muovere a compassione anche un dio impietoso” aveva riso.
Il dio si era poi alzato da terra ed aveva raggiunto la parte della laguna, lì aveva raccolto con una coppa scolpita nella roccia dell’acqua e l’aveva allungata verso Bells poi.
“Ne ho già bevuta abbastanza” aveva sussurrato, ma aveva notato che nella bacinella, l’acqua non era più pia cristallina ma di un intenso colore nero.
Il suo primo pensiero era che ricordava molto Harry Potter, per un secondò penso anche di farci una battuta ma si trattenne, ritrovandosi poi solo a dire: “Ora è più raccapricciante”.
 “Non ho una dominazione, non sono dio di niente, così mi prendo le mie libertà” aveva spiegato Theos, “Ora sono il dio dei desideri segreti” aveva  ammesso placido, “Quello che gli amanti sussurrano nella notte, delle genti odiate e dei bisbigli” aveva riportato, “Bevilo e sapremo ciò che non hai il coraggio di chiedere” aveva stabilito.
“Questa è la mia prova per te. Come un dio mi è concesso chiedertene una” aveva detto secco, “Orual ha occhi che vedono animi puri e tocca gli spiriti, io no, non credo nella stessa bontà d’animo degli uomini di lei” aveva stabilito.

Bells aveva raccolto la coppa di pietra, “Ti hanno ferito, mio signore, profondamente” aveva ammesso lei, “Ho ballato vicino al sole e mi sono bruciato, ho pensato che il mio sesso mi rendesse più valido di Poppea, Portia e Valeria” aveva detto.
“Non ho idea di ciò che intendi, senza offesa” aveva ammesso calmo, prima di farsi forze e portare la ciotola alle labbra.
Non aveva avuto idea di che sapore avesse dovuto avere la sostanza, ma sicuramente non era così, era viscoso e appiccicoso, come il miele, ma sapeva di qualcosa di acre, come mille limoni ricoperti di sale, da arderle la gola e lasciarle la lingua secca e bisognosa.
Aveva allontanato la ciotola e nel torbido liquido aveva veduto ombre oscure, il viso ombreggiato di Bernie, bambina, con le trecce a scivolarle sulla schiena, tendeva le mani verso di lei, alle sue spalle era comparso suo padre, giovane, con la barba rada ed un sorriso rilassante ed una donna piccola con gli occhi luminosi era con lui, sua madre, umana.
La ragazza aveva allungato una mano ed aveva immerso le dita nella poltiglia, sporcandosi le dita, “Cosa hai visto?” aveva domandato Theos.
“L’infanzia che non ho mai avuto” aveva ammesso, “Bernie, mio padre e mia madre, non come la grande Nyx, ma come una donna” aveva detto.
“Bevine ancora” aveva ordinato il dio e lei aveva inseguito.
Ancora una volta la lingua era stata arsita dal limone e dal sale, ma aveva sentito anche il sapore dell’amarezza e della nostalgia, o quello che avrebbero potuto avere se fossero stati cibo e non emozioni.
Poi aveva sentito le palpebre farsi pesanti ed il cuore lento, come se il suo mondo non fosse che melassa.
Ciò che non aveva il coraggio di chiedere era quel padre a cui si era costretta a stare lontana, quella madre che non aveva mai pregato e quella sorella che l’aveva ritrovata nonostante il tempo, lo spazio e la volontà?
Si…
Nel fondo della ciotola, nell’ultimo strato di liquido, Bernie era adolescente, aveva i capelli mossi ed era forte, il viso luminoso ed una spada lucente alla mano, pronta a rovesciare il mondo, s’era toccata l’orecchino dove era appesa la sua lama gemella.
“Mi dispiace sorella, di essere fuggita” aveva sussurrato “E di non esser mai tornata” aveva biascicato.
Poi il suo corpo non l’aveva più sostenuta.
 

Bells aveva notato che nel mostro c’era una certa grazia, almeno quando si trattava di sua sorella, non aveva capito perché. Quando le aveva spezzato un braccio Arvey l’aveva fatto con un sorriso soddisfatto ed anche una certa fame nello sguardo, cosa che anche il suo compagno di merende non si era risparmiato, “Dai hanno un odore così buono, possiamo prendercene una, almeno” aveva scherzato, “No” aveva risposto Arvey ed il suo tono si era addolcito, ammiccando con lo sguardo a Bernie.
Per Bells era stato stra ovvio in quel momento che qualsiasi cosa avessero fatto non si sarebbero mai promessi di ucciderle, era evidente che volevano portarle da qualcuno, vive ed entrambe. Quindi la domanda più raccapricciante era: chi le voleva? E perché?
Aveva immaginato un numero non indifferente di scenari, mentre cercava di tranquillizzare sua sorella. Bernie era sempre stata abbastanza fragile rispetto lei, Bells aveva capito subito che se non avesse progettato lei un piano, sua sorella non si sarebbe applicata molto. Riguardo lei, ci aveva rimesso solo una rottura di un osso che faceva un male così bruciante che Bells avrebbe voluto solo piangere. Arvey, il mostro – che risate, le aveva malamente steccato un braccio e poi le aveva qualcosa che somigliava tristemente a del miele, almeno d’aspetto, era di un brillante più lucente, ma il sapore era completamente diverso: una dolcezza ed una bontà indescrivibile. “Solo una goccia o potresti morire” l’aveva presa in giro il mostro con quel suo sorriso seghettato e crudele. Ed il braccio aveva smesso di fare male.

 

“Cosa ci vogliono fare?” aveva domandato Bells, con un tono di voce basso, spaventata che sua sorella potesse sentirla, anche solo per un sussurro. Bernie era distante raggomitolata sotto un albero che sussurrava parole sconnesse, forse pregava. “Chi?” aveva chiesto Arvey, mentre passava un panno sugli spuntoni della sua mazza, ancora insozzata di rosso bruno. Aveva ucciso i ragazzini del quartiere. Li aveva mangiati.
Eppure dei due era sicuramente il più chiacchierone.
“Quelli che vi hanno assoldato per rapirci” aveva strepitato secca. Il mostro l’aveva guardata con divertimento, aveva gli occhi di un azzurro quasi glaciale. “Non lo so, forse un sacrificio rituale” aveva borbottato, Bells aveva deglutito, “Reclutarvi” aveva rivelato. “E se ci rifiutassimo?” aveva berciato Bells, “Forse sarete libere o forse sarete buttate a mare” aveva detto placido il mostro, alzandosi dalla panchina in cui era accomodato, prima di lanciare uno sguardo sogghignante verso Bernie, “Io certamente mi gusterò tua sorella, fino all’ultimo ossicino” aveva dichiarato.
“Non finché io sarò viva” gli aveva impartito con ruggente Bells, “Ed anche se sarò morta, contaci, bestiaccia che ti porterò con me” aveva detto fiera.
Avrebbe protetto sua sorella da qualsiasi mostro si fosse parato davanti a voi.

 
Bells aveva ripreso conoscenza, poteva riconoscere che ultimamente stava cominciando un po’ troppo spesso, nelle ultime ventiquattro ore, era morta, riportata in vita, buttata in male ed avvelata da un dio.
A svegliarla era stato qualcosa che le era stato premuto contro la guancia, non con forza, anzi forse con una certa delicatezza.
Aveva fatto tremolare le palpebre e poi aveva aperto gli occhi, riconoscendo quello che a tutti gli effetti sembrava un becco, come quello d’un quali, una testa piumata di castano sfumato, come i raggi del sole al tramonto e le fogli d’autunno.
Il collo era lungo poi, si estendeva nella forma d’un cavallo, coperto di piume, le zampe anteriori artigliate come quelle di un uccello rapace e le posteriori con zoccoli d’equino ed una lunga coda cavallina, stretta in una treccia.
Un ippogrifo.
“Ti ho trovato” aveva sussurrato Bells con soddisfazione, si era tirata su, accarezzando il muso della bestia, mentre voltata il capo e destra e manca cercando di comprendere esattamente dove fosse, sembrava un ranch stereotipato del sud, era in un recinto, c’erano altri, in alcuni vi erano cavalli, in altri pegasi, giurava anche un cervo alato.
Non lontano poteva vedere una scritta, sembrava greco, forse per questo era riuscito a leggerlo bene: ‘Riserva Naturale di Arminio[5]’.
Le altre avevano detto che a causa di uno strano soggetto, non erano state molto chiare, che si faceva chiamare il Nuovo Ercole, molti animali stavano sparendo, rapiti da quest’ultimo, alcune erano state sistemate dalla cacciatrici di Artemide in un luogo sicuro di loro conoscenza, altre erano state affidate a Theos, tra cui quella che Orual[6] cercava.
“Se puoi sentirmi, grazie Theos” aveva strillato al vento, poi non del tutto certa di come fare aveva posato le mani sulla schiena della creatura e si era issata su di esso, differentemente da Harry Potter, il suo nuovo amico non era stato particolarmente turbato.
“Bene, cerchiamo la città più vicino da cui poterci spostare” aveva stabilito, dandoli una pacca sul lungo collo piumato, appena pronunciate quelle parole, l’ippogrifo aveva spiccato il volo con veemenza e Bells aveva realizzato di non possedere una cavalcatura.
 

 


[1] È una divinità dell’amore, dell’allegria ed un sacco di altre cose belle che probabilmente coinvolgono gattini e zuccherini, però in effetti ho trovato due versioni contrastanti, una la vede come divinità del Folklore slavo, l’altra come divinità del Fakelore (ovvero il Folklore inventato). Ai posteri l’ardua sentenza.

[2] Una divinità delle acque, compare nel Marchio di Atena, come responsabile del Camp Fish-Blood

[3] Spirito del folklore (moderno) di Pemba, Zanzibar e Tanzania. Una specie di pipistrello gigante stupratore.

[4] Ho pensato che Noze (Nos) come soprannome potesse funzionare con un nome come Luminosa.

[5] Allora: Theos è Antinoo; non lo volevo esplicitare, però mi sembrava corretto dirlo. Ho volutamente deciso di lasciare ‘ambiguo’ tutto, perché infondo il destino stesso di Antinoo è ambiguo. Comunque è divenuto un dio con lo stesso principio di Commodo, Nerone e Caligola in TOA

[6] Per quale dea sia Orual taccio, certo se lo googlate, risolvete subito il mistero :^

   
 
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