THE
ROAD SO FAR
(o meglio
quello che vi siete persi): Bellatrix LaFayette e
sua sorella Bernie
si sono divise a seguito della battaglia di Manhattan … a
seguito, tra le due,
non ci sono stati più contatti.
Dopo una anno di mistero, le due gemelle figlie di Nyx,
sono riuscite a
ricontrarsi telepaticamente (grazie alla bevuta delle acque degli
inferi da
parte di Bernie, che le hanno permesso di lasciare il suo corpo e
raggiungere
sua sorella, prigioniera di ‘Ify’). In vero Bells
era stata catturata da Ifigenia
quando si era recata nell’Atollo di Johnston per cercare un dio,
nascosto lì.
In tale occasione la sacerdotessa immortale, devota ad Artemide,
l’aveva sacrificata
come usanza per poi riportarla in vita grazie alla rete raccogli animi
della
dea Britomarti.
A seguito Ifigenia si mostra ben favorevole ad accompagnare la giovane
ad
incontrare il dio che Bells era venuta a cercare.
Buona Lettura
EDIT: Non riesco a togliere il sottolineato D:
IL
CREPUSCOLO
DEGLI IDOLI
Il
commovente momento in cui un’immersione negli
abissi si trasforma in un’immersione nei propri desideri
… no, aspé, fa
schifo.
Bellatrix
II
"Ti
... prego", Bells aveva sentito
quella richiesta come nulla di più di un sussurro nel vento,
una voce bassa
come il miagolio di un gattino, ma abbastanza per arrestare la sua
corsa.
Voleva raggiungere Ethan lì sull'Olimpo, dove la storia si
sarebbe decisa per
sempre. Crono contro Percy Jackson. Sembrava già una partita
vinta, il più
potente e pericoloso dei titani contor un mezzosangue. Eppure, mai
prima di
quel momento Bells aveva pensato che il destino del mondo fosse appeso
ad un
singolo filo.
“Ei, ei! Dove sei?” aveva chiesto –
urtlato – aspettando di riconoscere ancora
la voce. Aveva sentito un altro squittio, disperato uggiolato di
qualcuno in
cerca di aiuto ed aveva tentato di raggiungerla, seguendo la voce.
Poi l’aveva trovata, lì, sulle infinite scalinate
dell’Empire State Building, tra
un piano e l’altro. Aveva sentito ogni suo osso dolere per
quella salita, una
ragazzina esangue in viso che teneva le dita sottili sulla pancia, da
cui
sgorgava sangue bruno.
Bells
non riusciva neanche a capire quanti anni
avesse, era solo certa fosse più giovane di lei,
così si era chinata al suo
fianco.
“Ei, va tutto bene, sono qui” aveva sussurrato
placida. La ragazzina non
indossava le parole del campo, però Bells stessa non
conosceva bene neanche
tutti i suoi alleati, la ragazzina doveva ammettere non le sembrava
familiare.
Forse era sua nemica, forse no, non le importava, non più
così tanto.
La ragazzina le sorrise, aveva due rivoli carmini che le scendevano
giù dalle
labbra pallide e screpolate. “Ambrosi”
riuscì a sussurrare solamente, la sua
voce era un raschio sottile, che spensi Bellatrix a chiedersi come
avesse
potuto sentirla.
“Cerco” aveva detto immediatamente Bells,
tastandosi le tasche dei pantaloni,
non era sicura di avere più ambrosia, aveva saggiato le
ultime gioccie qualche
ora prima, dopo che una freccia l’aveva colpita sulla parte
alta del pettorale,
evitando cuore e polmone per miracolo. Miracolo
che
non era certa di meritare. Però aveva trovato delle
stupide caramelle al
miele, che aveva rubato dalla hall dell’hotel che aveva
utilizzato come
fortino.
“Io … mi dispiace” aveva sussurrato
solamente Bells, guardando quella
caramella, l’altra ragazza aveva emesso un verso, sembrava un
gorgoglio. Bells
ci aveva messo qualche secondo a capire fosse una risata.
“Mi … fanno … schifo” aveva
sussurrato, sembrava davvero una risata quella che
aveva seguito l’inaspettata confessione.
“Be, magari, se fai così la snob non stai tanto
male” aveva provato Bells,
senza molto successo. L’altra aveva sorriso con una certa
fatica.
“Figlia di …Lada[1]”
aveva detto quella. Poi, per un po’, non aveva detto
nient’altro, aveva tolto
una delle mani dal ventre. Uno squarcio le scavava le viscere, il palmo
della
ragazza era macchiato di lucido rosso, ma aveva comunque allungando la
mano per
raggiungere quella di Bells. “G-Gr…azie”
aveva bisbigliato.
E mentre la presa si faceva più morbida, la figlia di Nyx si
chiese per cosa
venisse ringraziata.
“Sembri
spaventata” la voce di Ifigenia sembrava stranamente allegra,
“Mi stai dicendo
di entrare in un buco al di sotto della superficie del mare, per
incontrare un
fottuto dio” aveva detto con un tono piuttosto acido Bells.
“Perché è nascosto lì
giù?” aveva domandato leggermente infastidita.
Ifingenia
aveva riso – probabilmente di lei – “Non
lo so. Forse perché c’è un ingresso
del Labirinto lì vicino … Comunque, tranquilla,
Theos non è nel labirinto, ma
vicino all’ingresso” aveva specificato la
sacerdotessa. “Questo lo rende
solo migliore” aveva detto aspra Bells. “Theos era
un dio buono” aveva cercato
di consolarla Ifigenia.
Era, nessun buon segno.
Però Theos restava il dio che Bells era venuta ad
incontrare. Ed aveva deciso
di nascondersi dal mondo nel posto più triste che la terra
avesse mai visto:
l’atollo di Johnston, anzi sotto.
“Ti prego dimmi che hai da allungarmi una tuta da sub e delle
bombolo
d’ossigeno … o almeno delle pinne” aveva
detto con un tono spento, osservando
la maschia circolare di blu intenso, con angoscia.
“Giusto per la cronaca: se affogo la rete tratterà
la mi anima, vero?” aveva
domandato poi, non dando alla sacerdotessa il tempo di rispondere alla
sua
precedente frase.
“La rete … che non raccoglie sempre tutte le
anime” aveva risposto
immediatamente Ifigenia, “Vale unicamente sulla terra
… o qualsiasi cosa sia
quella su cui stiamo posando i piedi” era stata cristallina.
“Non nel mare” aveva valutato Bells.
“Con la resta stiamo già dando fastidio al sommo
Ade, non vorremmo urtare anche
Poseidone – lo chiamano lo scuotitore di terre per una
ragione” aveva risposto
tranquilla la sacerdotessa.
“Moriamo, è sicuramente meglio che stuzzicare
qualche dio” aveva scherzato con
acidità lei.
“Detto
da chi ha militato sotto l’esercito di Crono”
aveva risposto Ifigenia con estrema calma, “Comunque mangia
questa caramella”
aveva aggiunto, infilando una mano nello scollo del vestito per tiare
fuori uno
zuccherino ancora incartato.
“Il mio amico Aphros[2]
le ha fatte” aveva aggiunto calma,
“Grazie” aveva risposto Bells, scartando la
caramella ed ingurgitandola, aveva la chiara idea che quello che aveva
detto
Ifigenia non fosse una semplice richiesta. “Sa di mangime per
pesci” aveva
sentenziato poi, “Mangia spesso mangime per pesci?
Sì, comunque le torte li
vengono decisamente meglio” aveva ammesso Ifigenia.
“Ora ascoltami bene, Theos vive dentro questa grotta, la puoi
raggiungere da un
tunnel sommerso all’interno della dolina. Solo non il primo,
il secondo … o
forse era il terzo” aveva aggiunto, passandosi le dita sulle
labbra, con quel
suo tono così calmo, “Se prendo il tunnel
sbagliato che succede?” aveva
domandato, “Potresti perderti per eoni negli abissi marini
… o incontrare un
vicolo cieco” aveva detto con un certo divertimento.
“Ti hanno mai detto che sei strana?” aveva chiesto
retorica, “Ogni persona che
ho sacrificato” aveva risposto con estrema
tranquillità, poi aveva posato una
mano tra le scapole di Bells e senza metterci particolare forza
l’aveva fatta
cadere giù dalla sporgenza, dritta nelle acque.
“Dany,
Dany”
aveva sussurrato la ragazza dai riccioli rossi, premendosi il viso di
Dany sul
petto, mentre le lacrime le tagliavano le guance tonde.
Dany però sorrideva, il suo viso era cristallizzato in un
sorriso che sarebbe
rimasto per eoni. Bells le teneva ancora la mano, anche se la presa di
Dany si
era fatta molle.
Se ne era andata così, sorridendo e tenendo le mani di una
sconosciuta sulla
tromba delle scale dell’Empire State Building.
Bells non aveva saputo il suo nome finché non erano arrivate
le altre due
ragazze, quella che era rimasta immobile e quella dai riccioli rossi
che subito
aveva cominciato a strillare il nome della defunta e scuoterla per
poterla
risvegliare, rima di realizzare l’inevitabile e terminare con
lo stringerla al
suo petto piangendo.
“Mi dispiace” era riuscita a sussurrare solamente
Bells.
Anche dopo la morte di Dany non era riuscita a sciogliere le loro prese
e
riprendere la sua salita fino all’Olimpo per aiutare Ethan.
“Le hai permesso di non morire da sola e di questo noi ti
saremo eternamente
grate” aveva parlato l’altra ragazza, lei era un
po’ più adulta di quanto non
fossero Bells, Dany e la ragazza dai capelli rossi; aveva dei tratti
del viso
particolari, diversi, e nonostante la sua lingua fosse fluente rimaneva
sporcata di un accento che Bells non aveva mai sentito.
“Affidiamo ora la sua anima immorale agli dei della
morte” aveva cominciato a
recitare gentile, prendendo la mano che era rimasta libera,
“Dobbiamo trovarle
un drappo Chantico e tributarle gli onori che si merita o non
potrà passare
l’acheronte” aveva parlato la ragazza dai capelli
rossi, “Sarà così spaventa in
questo momento” aveva sussurrato.
“E lo faremo, Phoebe, le daremo il funerale che si merita,
assieme alle altre,
dopo che la guerra sarà finita” aveva risposto
l’altra, sedendosi anche lei
sulle scale, volgendo un sorriso rassicurante verso Bells.
La guerra.
Dove alzarsi, doveva andarsene, doveva lasciare la mano di Dany, il suo
corpo
era con le sue amiche in fondo, doveva trovare Ethan. Doveva trovare
Bernie.
Se le fosse successo qualcosa … no, Arvey
l’avrebbe difesa a costo della sua
stessa vita, non avrebbe mai permesso a nessuno di ucciderla, era
qualcosa che
voleva fare lui, con le sue modalità, con i suoi tempi.
E se fosse successo qualcosa a Bernie, lei lo avrebbe sentito, no?
Erano gemelle.
Phoebe teneva ancora il viso di Dany sul suo petto, “Ma
Chantico, la guerra è
finita” aveva detto calma, con gli occhi azzurri impastati di
lacrime rivolti
verso di loro.
“Come lo sai?” aveva osato chiedere Bells,
“Io non lo so, sento solo un’armonia
diversa” aveva aggiunto placida.
“Che
stronza” aveva sussurrato Bells, aveva scoperto
di poter respirare sott’acqua, appena aveva toccato la
superficie attorno a lei
si era formata una membrana … o qualcosa di simile, che le
permetteva di
respirare dell’aria, “Non mi sorprende che qualcuno
dica sia figlia di Elena di
Troia”.
Forse era colpa della caramella, qualunque causa fosse: Ifigenia
avrebbe potuto
anche scomodarsi a tranquillizzarla.
D’altronde non doveva stupirsi: neanche ventiquattro ore
prima le aveva ficcato
un coltello in pancia. Aveva sollevato lo sguardo oltre la superficie
per
cercare la sacerdotessa, non vedendola però più
sull’altura.
Aveva deciso di tacere l’offesa che le era nata sulle labbra
per tuffarsi nella
profondità della grande voragine blu. L’acqua era
gelida e niente sembrava
intenzionato a navigare vicino a lei, sarebbe stato oltremodo
fastidioso avere
anche a che fare con uno squalo o quant’altro.
Abbandonate le acque sicure era entrata nella fossa vera e propria, con
un
leggero terrore, guardandosi intorno alla ricerca dei corridoi delle
pareti.
Non il primo, ma il secondo o il terzo.
Sarebbe stato bello avere una qualche chiarezza, ma evidentemente
Ifigenia non
la pensava così.
Attraversato la prima fessura nelle pareti era scesa ancora nel
profondo, fino
a che non aveva trovato la seconda.
“Mi affido a te, Dea” aveva sussurrato alla fine,
prima di entrare nel
corridoio di roccia.
La fossa era stata scura, ma sottili raggi di sole riuscivano ancora a
raggiungerla almeno fino all’altezza della seconda fessura,
ma all’interno di
quel corridoio c’era solo buio pesto. Ed era freddo.
Non sapeva neanche per quanto tempo aveva nuotato, ma abbastanza da
sentire dei
crampi sul suo corpo e da avere voglia di fermarsi.
Aveva iniziato a sospettare da un po’ che aveva sbagliato
strada, almeno fino a
che non aveva sentito dei rumori piuttosto particolare.
Il rifrangersi dell’acqua su una superficie.
Aveva aumentato le bracciate ed i movimenti netti delle gambe,
iniziando a
notare lontano un punto di luce azzurra.
Quando aveva raggiunto la luce azzurra aveva capito che era proiettata
da una superficie,
aveva sollevato lo sguardo aveva trovato oltre lei delle accese luci
fredde.
Era emersa, trovandosi a respirare dell’aria vera e
riconoscendone la
differenza.
Aveva guardato intorno a lei, realizzando di essere
all’interno di una caverna,
dalle pareti lucide e coperte di licheni, le luci erano date invece da
sferette
accecanti che fluttuavano nell’aria la cui origine le era
ignota.
“Nefasti numi!” aveva sentito una voce tuonare,
Bells si era voltata intorno
alla ricerca della provenienza, notando che una porzione della grotta
aveva una
spiaggia rocciosa e che qualcuno era lì: il divino Theos.
Aveva nuotato in quella direzione, sentendo nuovamente le articolazioni
andare
in fiamme.
Era decisamente fuori allenamento.
La sensazione della ghiaia sotto la suola dello stivale era stata una
sensazione bellissima, finalmente era stata in grado di camminare
nuovamente,
aveva lasciato cadere le braccia inerti lungo i fianchi, mentre
finalmente
usciva dall’acqua.
“Lei è il divino Theos?” aveva chiesto
solamente, osservando l’uomo che si
stagliava non lontano da lei.
Se non era il dio che cercava, sicuramente ne era uno, era
schifosamente
attraente.
Un giovanotto dall’incarnato olivastro e gli occhi di miele.
“Sfortunatamente” aveva risposto solamente quello,
l’attimo dopo allungare le
mani per prendere Bells, le gambe erano cedute senza che facesse in
tempo a
realizzarlo.
“Credo tu abbia bisogno di bere e mangiare,
signorina” aveva ammesso con un
tono leggermente più accondiscende il dio, “E puoi
darmi del tu, odio le
formalità”.
“Un posto meno facile da raggiungere, no eh?” aveva
scherzato solamente Bells
mentre il dio la guidava per accomodarsi sul terreno ruvido,
“Non abbastanza
evidentemente” aveva detto quello.
A Bells era venuto da ridere.
Il dio Theos le offrì della carne secca, la cosa
l’aveva divertita più del
previsto. Di norma erano i mortali e i semidei ad offrire il loro cibo
ad un
dio, quindi Bells poteva ammettere di trovare una divertente ironia
nella
questione, specie se si considerava in passato in quale esercito avesse
militato.
“Immagino che Ifigenia ti abbia detto dove
trovarmi?” aveva detto con un tono
leggermente risentito il dio, “Dopo avermi
pugnalato” aveva risposto subito di
getto lei, “Ma no, Ifigenia mi ha indicato solo la strada,
meglio dire che mi
ci ha buttato dentro” aveva detto.
“Sua madre era spartana e un miracolo che non lo abbia fatto
con un calcio”
aveva detto calmo Theos, “Però no, non
è stata lei a dirmi dove trovarvi” aveva
raccontato Bells, “È stat-” ma la frase
della ragazza era stata interrotta da
un movimento secco della mano dell’uomo, “Non mi
importa se mi hai trovato vuol
dire che questo posto non è poi così
introvabile” aveva sbuffato il dio. Era
attraente, in una maniera al di là dell’umana
comprensione, con occhi profondi
ed uno sguardo amichevole, indossava dei pantaloni mimetici ed un
giacchetto
aperto che lasciava scoperto il petto e le braccia, sul bicipite aveva
un
tatuaggio di colore vermiglio che riportava un fiore che sembrava di
loto.
“Non sono esattamente affari miei ma perché sei
nascosto in una grotta sotto
l’oceano?” aveva domandato Bells.
Ifigenia aveva accennato qualcosa a proposito del fatto che
c’erano motivazioni
precise sul perché il dio si fosse nascosto proprio
lì. “Se ti dicessi che mi
fa schifo il genere umano, come la vedi?” aveva domandato
retorico il dio,
“Legittimo” aveva risposto Bells, “Bene.
È esattamente così” aveva detto
strappando con un morso una bella stringa di carne secca,
“Quindi cos’è che
vuoi?” aveva domandato il dio poi, “Dubito tu sia
qui solo per il piacere della
mia compagnia” aveva ammesso, “Nessun mezzosangue
verrebbe qui senza un motivo”
aveva detto.
Bells aveva sorriso, strappando un altro morso dalla sua carne secca,
“Di
solito gli dei sono sempre pomposi e pieni di loro” aveva
constato, “Sono sul
serio convinti che i mortali vogliano la loro compagnia”
aveva aggiunto.
“Lo dici a me?” aveva chiesto Theos,
“Uomini, dei, sono questo punto di vista
sono tutti uguali” aveva aggiunto, “Tu non
sembri” aveva scherzato Bells, “Questo
perché io sono morto” aveva risposto lui,
“Aspetta …” aveva cominciato la
figlia di Nyx, ma il dio l’aveva anticipata, “Sono
nato umano, sono divenuto
dio poi” aveva spiegato, “Stavo per chiederti se
eri stato recuperato anche tu
dalla rete” aveva sospirato, “No, si, forse
… onestamente non ho capito bene
neanche io come è successo, un momento stavo annegando nel
Nilo, l’attimo dopo
ero sull’olimpo e Giove in persona mi diceva che ero stato
divinizzato” aveva
raccontato con una certa boria, “Ma andiamo avanti”
aveva recuperato il dio,
“Che cosa vuoi?” aveva chiesto.
“Recuperare quello che la Divina Artemide ti ha
affidato” aveva risposto calma,
“Qualcosa come mille anni fa circa” aveva aggiunto.
Theos aveva sollevato un sopracciglio, “Recuperare prevede
che qualcosa ti è
appartenuto” aveva detto il dio “Ed anche
se fosse la mia riposta è no”,
“Si mi è stato detto che non avresti ceduto,
forse, neanche se la divina
Artemide in persona si fosse palesata davanti ai tuoi occhi”
aveva mormorato
lei, con un tono di voce calmo; “Per Artemide avrei ceduto,
ma tu, ora, non
parli a nome suo, giusto?” aveva domandato.
“Esatto” aveva confessato Bells con ignoranza:
“Perciò ho intenzione di
sfidarti” aveva aggiunto, alzandosi dalla posizione seduta in
cui era sistemato,
“Me?” aveva domandato il dio con un tono calmo e
forse anche piuttosto stupito,
“Si” aveva detto Bells, chiedendosi tutta quella
sicurezza da dove l’aveva
tirata fuori.
Il dio l’aveva guardata con una punta di curiosità
e Bells si era ritenuta
soddisfatta che lui non l’avesse incenerita con lo sguardo, o
qualsiasi cosa
Theos potesse fare, “Oh e sentiamo: a che cosa?”
aveva chiesto, “A quello che
ti pare” aveva ammesso Bells, “Se potessi
sceglierei direi una bella caccia al
tesoro, ruba bandiere o paintball, tanto vincerò”
aveva dichiarato.
“Che sfacciata audacia” aveva detto il dio,
“Potrei sfidarti alla lotta, pensi
che potresti battere un dio?” l’aveva provocata.
Ovviamente no.
“Preferirei una caccia alla bandiera, ci ho giocato solo una
volta, ma era
molto divertente” aveva scherzato Bells con un tono calmo,
era successo sulla
Principessa Andromeda, era stata un’idea dei ragazzi che
venivano dal campo.
“Penso che non fosse ancora scoppiata la guerra dei
cent’anni l’ultima volta
che ho partecipato, credo non si possa fare senza le squadre”
aveva
sentenziato.
“Ma ricominciamo con le buone maniere”
l’aveva invece rimproverata il dio, “Non
temere per la tua vita, hai consumato il mio cibo, sei una mia ospite,
perciò
presentati” aveva sentenziato quello.
“Bellatryx LaFayett, figlia di Nyx e di Abe LaFayette,
astronomo, ho
quattordici anni e mi fanno schifo le carote” aveva spiegato
subito lei con
voce secca, “Ah si, durante la guerra titanica ho parteggiato
per Crono e non
sono sicura se tornando indietro cambierei le cose” aveva
detto immediatamente
lei con un leggero tremolio nella voce.
“Io sono Theos è farò finta di non
notare le evidenti lacune nella tua storia,
ammirato dalla tua sfacciata onestà” aveva
risposto il dio, risedendosi sulla
nuda pietra. Bells aveva sollevato un sopracciglio, “Irraggi
luce, sono
sorpreso le falene non ti stiano sempre addosso” aveva
risposto con voce calma
il dio, “Penso sia successo più di una
volta” aveva confessato con un certo
imbarazzo, sistemandosi nuovamente sulla roccia dove era seduta.
“Eppure non vieni a prendere qualcosa d me in nome di chi ti compete”
aveva commentato il dio, “Non è stata una
decisione a cuore leggero, ne abbiamo
discusso parecchio anche, c’è stato un comizio non
indifferente, penso che
qualcuno ha anche cercato di colpirmi con una stella cinese”
aveva raccontato
con una certa ansia, ripensando alla divinità in questione:
una figura vestita
di bianco lucente e l’incarnato olivastro, gli occhi erano
grandi e caldi.
Se avesse avuto un salvacondotto dalla dea Artemide
“Quindi quale dio è stato così
sfacciato da mandare un membro dell’esercito di
Crono a chiedere qualcosa che Artemide stessa mi ha affidato per
proteggerlo …
specialmente altri dei” aveva risposto divertito Theos.
“Si è presentata come Orual, si so che
probabilmente non è il suo nome” aveva
replicato subito Bells, “Era una donna splendida, con un
sorriso così
rassicurante” aveva aggiunto, “E sarò
onesta: penso di poter contare le
divinità che mi piacciono sulla dita di una mano
monca”.
Non era mai capitato in tutta la sua vita che una qualche
divinità potesse
sembrarle gradita, forse solo una volta, ma riconosceva che non era la
stessa
Artemide a piacerle, più il suo codazzo di ancelle
immortali, certo senza la
signora della foresta forse Bells non sarebbe mai sopravvissuta a
Manhattan.
“Cioè so che potrebbe essere una dea ingannevole e
che tutta quella armonia sia
una menzogna” aveva spiegato.
Theos aveva riso, aveva un sorriso caldo e pieno, non rassicurante come
quello
di Orul, ma sembrava certamente autentico, “Conosco
Orual” aveva risposto lui,
“Fidati solo lei può rasserenare
un’anima inquieta. È letteralmente il suo
campo” aveva soffiato Theos.
“Bene, quindi ho beccato una brava dea, sono
contenta” aveva bisbigliato Bells
non del tutto sicura, “Comunque non mi sono fidata di lei
solo perché sembrava
Maria Teresa di Calcutta in versione Gabriella Solis” aveva
aggiunto poi con un
po’ più di calma, “No, ne ho discusso
con le altre” aveva aggiunto.
“Sono riuscita a trovarti grazie ad una cacciatrice di
Artemide, Luminosa Dei
Chiarieri” aveva raccontato. “Figlia di
Apollo” aveva risposto Theos,
toccandosi un bicipite nudo, “Durante la caccia di un Popobawa[3]
mi ha ferito” aveva raccontato, con un sorriso rilassato,
“Lei insiste a dire
sia stato un errore” aveva aggiunto.
“Sono sicura che almeno metà delle volte che un
dio venga ferito sia
accidentale” aveva aggiunto lei, Theos aveva fatto un cenno
di diniego,
“Immagino che la tua adesione e dei tuoi amici
all’esercito di Crono sia stata
anche quella accidentale” aveva aggiunto.
“Facciamo pilotata, va” aveva sussurrato,
“A dodici anni sono venuti due
lestrigoni a prenderci per portarci da Luke Castellan … e
non so se hai
presente: ma stavamo tipo morendo di paura” aveva riportato
con onestà.
“Si me lo ricordo cosa vuol dire essere spaventato”
aveva risposto lui, “Sono
un dio ora, ma non lo sono sempre stato come ti ho detto”
aveva aggiunto. “E
non hai neanche compiuto un’impresa eroica degna di Percy
Jackson il
perfettissimo? Così mi pare di aver compreso”
aveva inquisito, “No, ho vissuto
una vita normale: ho amato un uomo che mi venerava, ho mangiato del
cibo ottimo
mentre al mondo milioni morivano di fame, ho cacciato per gusto e sono
stato un
agnello sacrificale” aveva risposto secco, “Poi gli
uomini hanno cominciato a
venerarmi e sono risorto come dio, un dio meno potente, meno perfetto e
meno …
meno tutto” c’era una leggera amarezza nella sua
voce.
Bells aveva ricordato ciò che aveva detto Ifigenia, Theos
era legato a
quell’isola in maniera personale, perché
nell’Atollo Johnston si compivano
continuamente finti sacrifici.
“Orual invece ha compiuto un’impresa degna degli
dei” aveva confessato, “Lei
era come me, partorita da una donna umana e senza una goccia di sangue
divino
nelle sue vene. Una mortale in tutta la sua patetica forma”
aveva aggiunto.
Orual le era sembrata tutto tranne che patetica, con il viso a cuore e
gli
occhi caldi, “Ma con una dolcezza tale nei modi da ammansire
ogni belva,
incantare ogni uomo, perfino un dio” aveva replicato.
Questo lo trovava semplicemente coerente.
“Orual chiede per se stessa, non ordina, ne obbliga, lei
chiede, ma tu anche
desiderando non potresti dirle mai di no” aveva ripreso
Theos, “A meno che tu
non sia un dio, anche se meno perfetto” aveva detto poi.
“Per questo ha mandato me come carne da macello,
quindi” aveva mormorato
leggermente offesa lei, ma aveva ricevuto un cenno di
diniego, “Gli dei
lo fanno sempre, anche i più teneri di cuore, non possono in
alcuna maniera
intervenire negli affari umani, così sono costretti a
strumentalizzare gli
umani” aveva spiegato lui, “E fidati se un dio ne
è dispiaciuto quello è
sicuramente Orual” aveva replicato, “Io
d’altronde me ne vivo qui isolato
appunto per evitare di dover interagire più del
dovuto” aveva confessato.
Bells aveva riso, passandosi le dita sugli occhi, “Lo sai?
Luminosa mi ha detto
che tu avresti capito” aveva aggiunto, “Non le ho
creduto, perché ‘Noze[4]
ha un sacco di belle opinioni su un sacco di dei, tipo so
padre” aveva
confessato.
Cosa che in realtà Bells non condivideva per nulla.
“E perché riesco a ricordare ancora cosa vuol dire
svegliarsi una mattina con
la palpabile sensazione che quel giorno possa essere
l’ultimo” aveva
raccontato, “A volte mi manca, lo confesso, la
mortalità” aveva aggiunto,
melancolico.
“Mi manca l’odore umido della rugiada sulle foglie,
il rumore fragoroso del
Nilo, il modo che aveva di ridere Adriano. A volte mi manca anche
l’espressione
accigliata di Sabina” aveva raccontato, nostalgico.
Theos stava parlando di una lunga vita, che doveva essere rimasta
sepolta sotto
vento e terra di molti anni, secoli, forse anche millenni, lei non lo
sapeva,
ma si sentiva orribilmente simile, pensava a quanto un anno prima la
sua vita
fosse così diversa, da sembrarne un'altra.
L’oscillare periodico e materno della principessa Andromeda,
il rumore
fastidioso del pennarello nero di Ethan sulle mappe, il cozzare delle
lame tra
loro.
Bernie che la cercava per farsi coraggio e lei che si lamentava un
giorno si e
l’altro pure di qualsiasi cosa.
Aveva mentito a Theos, perché riconosceva, con il tempo, di
aver creduto in
quella guerra, in quella causa, in quel nuovo e meraviglioso mondo che
le era
stato promesso.
E Bells amava ogni secondo di quei pensieri, ogni istante speso
titubando verso
una vita che era finita sotto la polvere e le macerie, di un giorno
d’estate
che avrebbe segnato per l’eternità la sua
esistenza.
Bells pensava cosa sarebbe accaduto se non si fosse fermata a
soccorrere la
ragazza sulle scale, ma avesse continuato a salire, sarebbe giunta fino
in
cima?
Sarebbe caduta giù con Ethan?
Lui le aveva assicurato che avrebbe avuto un posto nel loro mondo e
Bells a
volte odiava il fatto che avesse avuto ragione.
Le aveva anche promesso che avrebbero riparlato dei suoi sentimenti,
una cotta,
infantile, forse destinata ad estinguersi con il tempo o ardere poi di
quell’amore
un po’ folle degli adulti.
Ma Ethan era morto.
“Quindi mi darai una mano?” aveva domandato
speranzosa Bells, alla fine Theos
sembrava incredibilmente accomodante, “Non lo so, prima dimmi
cosa ci devi
fare” aveva stabilito il dio, sembrava legittimo.
“In realtà l’ho devo portare in una
determinata coordinata ed Orual garantirà
una tregua con un dio che ci è avverso” aveva
riportato lei semplice, “Non ho
idea a chi debba essere consegnata, lo confesso” aveva
ammesso poi lei, “Ma tu
stesso hai detto che Orual è buona” aveva
aggiunto, “E fidati questa tregua ci
è necessaria” aveva aggiunto perentoria.
Theos aveva riso, “Lo so, lo so. So anche come lei possa
garantire tale pace”
aveva detto, “Orual può muovere a compassione
anche un dio impietoso” aveva riso.
Il dio si era poi alzato da terra ed aveva raggiunto la parte della
laguna, lì
aveva raccolto con una coppa scolpita nella roccia dell’acqua
e l’aveva
allungata verso Bells poi.
“Ne ho già bevuta abbastanza” aveva
sussurrato, ma aveva notato che nella
bacinella, l’acqua non era più pia cristallina ma
di un intenso colore nero.
Il suo primo pensiero era che ricordava molto Harry Potter, per un
secondò
penso anche di farci una battuta ma si trattenne, ritrovandosi poi solo
a dire:
“Ora è più raccapricciante”.
“Non ho una dominazione, non sono dio di niente,
così mi prendo le mie
libertà” aveva spiegato Theos, “Ora sono
il dio dei desideri segreti”
aveva ammesso placido, “Quello che gli amanti
sussurrano nella notte,
delle genti odiate e dei bisbigli” aveva riportato,
“Bevilo e sapremo ciò che
non hai il coraggio di chiedere” aveva stabilito.
“Questa è la mia prova per te. Come un dio mi
è concesso chiedertene una” aveva
detto secco, “Orual ha occhi che vedono animi puri e tocca
gli spiriti, io no,
non credo nella stessa bontà d’animo degli uomini
di lei” aveva stabilito.
Bells aveva raccolto la coppa di pietra, “Ti hanno ferito,
mio signore,
profondamente” aveva ammesso lei, “Ho ballato
vicino al sole e mi sono
bruciato, ho pensato che il mio sesso mi rendesse più valido
di Poppea, Portia
e Valeria” aveva detto.
“Non ho idea di ciò che intendi, senza
offesa” aveva ammesso calmo, prima di
farsi forze e portare la ciotola alle labbra.
Non aveva avuto idea di che sapore avesse dovuto avere la sostanza, ma
sicuramente
non era così, era viscoso e appiccicoso, come il miele, ma
sapeva di qualcosa
di acre, come mille limoni ricoperti di sale, da arderle la gola e
lasciarle la
lingua secca e bisognosa.
Aveva allontanato la ciotola e nel torbido liquido aveva veduto ombre
oscure,
il viso ombreggiato di Bernie, bambina, con le trecce a scivolarle
sulla
schiena, tendeva le mani verso di lei, alle sue spalle era comparso suo
padre,
giovane, con la barba rada ed un sorriso rilassante ed una donna
piccola con
gli occhi luminosi era con lui, sua madre, umana.
La ragazza aveva allungato una mano ed aveva immerso le dita nella
poltiglia,
sporcandosi le dita, “Cosa hai visto?” aveva
domandato Theos.
“L’infanzia che non ho mai avuto” aveva
ammesso, “Bernie, mio padre e mia madre,
non come la grande Nyx, ma come una donna” aveva detto.
“Bevine ancora” aveva ordinato il dio e lei aveva
inseguito.
Ancora una volta la lingua era stata arsita dal limone e dal sale, ma
aveva
sentito anche il sapore dell’amarezza e della nostalgia, o
quello che avrebbero
potuto avere se fossero stati cibo e non emozioni.
Poi aveva sentito le palpebre farsi pesanti ed il cuore lento, come se
il suo
mondo non fosse che melassa.
Ciò che non aveva il coraggio di chiedere era quel padre a
cui si era costretta
a stare lontana, quella madre che non aveva mai pregato e quella
sorella che
l’aveva ritrovata nonostante il tempo, lo spazio e la
volontà?
Si…
Nel fondo della ciotola, nell’ultimo strato di liquido,
Bernie era adolescente,
aveva i capelli mossi ed era forte, il viso luminoso ed una spada
lucente alla
mano, pronta a rovesciare il mondo, s’era toccata
l’orecchino dove era appesa
la sua lama gemella.
“Mi dispiace sorella, di essere fuggita” aveva
sussurrato “E di non esser mai
tornata” aveva biascicato.
Poi il suo corpo non l’aveva più sostenuta.
Bells
aveva
notato che nel mostro c’era una certa grazia, almeno quando
si trattava di sua
sorella, non aveva capito perché. Quando le aveva spezzato
un braccio Arvey
l’aveva fatto con un sorriso soddisfatto ed anche una certa
fame nello sguardo,
cosa che anche il suo compagno di merende non si era risparmiato,
“Dai hanno un
odore così buono, possiamo prendercene una,
almeno” aveva scherzato, “No” aveva
risposto Arvey ed il suo tono si era addolcito, ammiccando con lo
sguardo a
Bernie.
Per Bells era stato stra ovvio in quel momento che qualsiasi cosa
avessero
fatto non si sarebbero mai promessi di ucciderle, era evidente che
volevano
portarle da qualcuno, vive ed entrambe. Quindi la domanda
più raccapricciante
era: chi le voleva? E perché?
Aveva immaginato un numero non indifferente di scenari, mentre cercava
di
tranquillizzare sua sorella. Bernie era sempre stata abbastanza fragile
rispetto lei, Bells aveva capito subito che se non avesse progettato
lei un
piano, sua sorella non si sarebbe applicata molto. Riguardo lei, ci
aveva
rimesso solo una rottura di un osso che faceva un male così
bruciante che Bells
avrebbe voluto solo piangere. Arvey, il mostro – che risate,
le aveva malamente
steccato un braccio e poi le aveva qualcosa che somigliava tristemente
a del
miele, almeno d’aspetto, era di un brillante più
lucente, ma il sapore era
completamente diverso: una dolcezza ed una bontà
indescrivibile. “Solo una
goccia o potresti morire” l’aveva presa in giro il
mostro con quel suo sorriso
seghettato e crudele. Ed il braccio aveva smesso di fare male.
“Cosa
ci
vogliono fare?” aveva domandato Bells, con un tono di voce
basso, spaventata
che sua sorella potesse sentirla, anche solo per un sussurro. Bernie
era
distante raggomitolata sotto un albero che sussurrava parole sconnesse,
forse
pregava. “Chi?” aveva chiesto Arvey, mentre passava
un panno sugli spuntoni
della sua mazza, ancora insozzata di rosso bruno. Aveva ucciso i
ragazzini del
quartiere. Li aveva mangiati.
Eppure dei due era sicuramente il più chiacchierone.
“Quelli che vi hanno assoldato per rapirci” aveva
strepitato secca. Il mostro
l’aveva guardata con divertimento, aveva gli occhi di un
azzurro quasi
glaciale. “Non lo so, forse un sacrificio rituale”
aveva borbottato, Bells
aveva deglutito, “Reclutarvi” aveva rivelato.
“E se ci rifiutassimo?” aveva
berciato Bells, “Forse sarete libere o forse sarete buttate a
mare” aveva detto
placido il mostro, alzandosi dalla panchina in cui era accomodato,
prima di
lanciare uno sguardo sogghignante verso Bernie, “Io
certamente mi gusterò tua
sorella, fino all’ultimo ossicino” aveva dichiarato.
“Non finché io sarò viva” gli
aveva impartito con ruggente Bells, “Ed anche se
sarò morta, contaci, bestiaccia che ti porterò
con me” aveva detto fiera.
Avrebbe protetto sua sorella da qualsiasi mostro si fosse parato
davanti a voi.
Bells aveva ripreso conoscenza, poteva riconoscere che ultimamente
stava
cominciando un po’ troppo spesso, nelle ultime ventiquattro
ore, era morta, riportata
in vita, buttata in male ed avvelata da un dio.
A svegliarla era stato qualcosa che le era stato premuto contro la
guancia, non
con forza, anzi forse con una certa delicatezza.
Aveva fatto tremolare le palpebre e poi aveva aperto gli occhi,
riconoscendo
quello che a tutti gli effetti sembrava un becco, come quello
d’un quali, una
testa piumata di castano sfumato, come i raggi del sole al tramonto e
le fogli
d’autunno.
Il collo era lungo poi, si estendeva nella forma d’un
cavallo, coperto di
piume, le zampe anteriori artigliate come quelle di un uccello rapace e
le
posteriori con zoccoli d’equino ed una lunga coda cavallina,
stretta in una
treccia.
Un ippogrifo.
“Ti ho trovato” aveva sussurrato Bells con
soddisfazione, si era tirata su,
accarezzando il muso della bestia, mentre voltata il capo e destra e
manca
cercando di comprendere esattamente dove fosse, sembrava un ranch
stereotipato
del sud, era in un recinto, c’erano altri, in alcuni vi erano
cavalli, in altri
pegasi, giurava anche un cervo alato.
Non lontano poteva vedere una scritta, sembrava greco, forse per questo
era
riuscito a leggerlo bene: ‘Riserva Naturale di Arminio[5]’.
Le altre avevano detto che a causa di uno strano soggetto, non erano
state
molto chiare, che si faceva chiamare il Nuovo Ercole, molti animali
stavano
sparendo, rapiti da quest’ultimo, alcune erano state
sistemate dalla
cacciatrici di Artemide in un luogo sicuro di loro conoscenza, altre
erano
state affidate a Theos, tra cui quella che Orual[6]
cercava.
“Se puoi sentirmi, grazie Theos” aveva strillato al
vento, poi non del tutto
certa di come fare aveva posato le mani sulla schiena della creatura e
si era
issata su di esso, differentemente da Harry Potter, il suo nuovo amico
non era
stato particolarmente turbato.
“Bene, cerchiamo la città più vicino da
cui poterci spostare” aveva stabilito,
dandoli una pacca sul lungo collo piumato, appena pronunciate quelle
parole,
l’ippogrifo aveva spiccato il volo con veemenza e Bells aveva
realizzato di non
possedere una cavalcatura.
[1] È una
divinità dell’amore, dell’allegria ed un
sacco di
altre cose belle che probabilmente coinvolgono gattini e zuccherini,
però in
effetti ho trovato due versioni
contrastanti, una la vede come divinità del Folklore slavo,
l’altra come
divinità del Fakelore (ovvero il Folklore inventato). Ai
posteri l’ardua
sentenza.
[2]
Una divinità delle acque, compare nel Marchio di
Atena, come responsabile del Camp Fish-Blood
[3]
Spirito del folklore (moderno) di Pemba, Zanzibar e
Tanzania. Una specie di pipistrello gigante stupratore.
[4]
Ho pensato che Noze (Nos) come soprannome potesse
funzionare con un nome come Luminosa.
[5]
Allora: Theos è Antinoo; non lo volevo esplicitare,
però mi sembrava corretto dirlo. Ho volutamente deciso di
lasciare ‘ambiguo’
tutto, perché infondo il destino stesso di Antinoo
è ambiguo. Comunque è
divenuto un dio con lo stesso principio di Commodo, Nerone e Caligola
in TOA
[6]
Per quale dea sia Orual taccio, certo se lo googlate,
risolvete subito il mistero :^