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Autore: MackenziePhoenix94    15/07/2019    0 recensioni
PREQUEL DI 'LIKE A PRAYER'.
“Non stiamo parlando di pazzia, ma c’è il serio rischio che quel seme possa depositarsi e germogliare, signora, se non interveniamo in tempo. La società rischierebbe di doversi occupare, un giorno, di un soggetto pericoloso. Anche lei sa che è meglio prevenire che curare… Non sarà un percorso semplice o indolore, ma è necessario. Assolutamente necessario”.
Tutti sanno chi è Theodore ‘T-Bag’ Bagwell, e quali sono i crimini che lo hanno portato a scontare due ergastoli nel penitenziario di Fox River; ma nessuno, neppure Nicole Baker, conosce la storia che si cela dietro l’uomo ribattezzato dalla stampa: ‘Il Mostro Dell’Alabama’.
Perché alcune storie, come i segreti, anche se logorano interiormente, sono più semplici da custodire che da confessare.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: T-Bag
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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 A Fox River i detenuti non sono sempre rinchiusi nelle loro celle.

In realtà, ci sono diverse attività socialmente utili che possono svolgere per riempire il loro tempo libero.

Ci sono i capannoni da riparare e ridipingere, in cortile.

Ci sono i rampicanti da estirpare e l’erba da tagliare con cura, sempre in cortile.

Ci sono i piatti, i vassoi, le pentole ed i pavimenti della mensa da pulire e lucidare alla perfezione.

In questo modo, coloro che hanno una piccola pena da scontare hanno più possibilità di trovare un lavoro quando torneranno ad essere uomini liberi.

A Fox River c’è perfino una piccola officina in cui non manca nulla: morse, cacciaviti, martelli, frese, occhialini protettivi, guanti, piedi di porco, tronchesi; un vero e proprio angolo di paradiso controllato costantemente da telecamere funzionanti ventiquattro ore su ventiquattro.

Ma le telecamere, si sa, proprio come i secondini vedono solo ciò che vogliono vedere loro.

Passo la mano sinistra su una grata di anelli metallici, per avvisare l’uomo che sta lavorando della mia presenza, e varco la soglia d’ingresso della piccola stanzetta; Chris spegne la fresa che ha in mano, si toglie gli occhialini protettivi e mi rivolge un largo sorriso.

“Che cosa posso fare per te, T.?” mi domanda, ed io gli faccio cenno di avvicinarsi.

“Ho voglia di… Massacrare qualcuno” mormoro, con le labbra che sfiorano il suo orecchio sinistro “ma voglio farlo lentamente e nel modo più doloroso possibile, al punto che questa persona arrivi a chiedermi di finirla ma… Non voglio che succeda”

“Sei venuto nel posto giusto. Credo di avere capito a chi ti stai riferendo e credo anche di avere ciò di cui hai bisogno” risponde prontamente Trokey: si allontana da me, s’inginocchia sul pavimento e prende una piccola scatola metallica da sotto un mobile, da cui tira fuori un coltello con diversi riccioli metallici che adornano la parte affilata della lama “osserva questa meraviglia, T., io lo chiamo ‘Lo Sbudellatore’. Vedi questi piccoli riccioli metallici? Quando impianti la lama nello stomaco del malcapitato, questi si attaccano alle budella e le trascinano fuori. In questo modo lui vedrà il suo stesso intestino perché la ferita non è letale, almeno finché non s’infetta”.

Mi passo la lingua sulle labbra, e nella mia mente vedo già Scofield a terra, con una ferita che gli squarcia il ventre, che mi supplica di risparmiargli la vita, mentre un rivolo di sangue gli scende lungo il mento, dando origine ad un curioso contrasto con la sua pelle pallida e con i suoi occhi chiarissimi.

Sento un brivido di eccitazione percorrermi tutta la spina dorsale, e mi mordo la punta della lingua; il mio sottoposto mi passa l’arma ed io la osservo, con attenzione, sotto la luce del sole.

“Meravigliosa. Assolutamente meravigliosa. L’unica cosa che mi dispiace è che avrò qualche problema a scoparmi il pesciolino quando avrà le budella fuori dalla pancia” commento, prima di nascondere il coltello nella copia della bibbia che ho portato con me; sto per uscire dall’officina, ma mi blocco vicino alla soglia della porta “la tua mente malata m’inquieta, Trokey”

“Si, lo so, T.” si limita a dire lui, indossando nuovamente gli occhialini protettivi.

Scuoto la testa ed esco finalmente in cortile, dove vengo raggiunto da un detenuto.

Non si tratta di un altro membro del mio gruppo, ma bensì del compagno di cella di Michael: un giovane uomo portoricano di nome Fernando Sucre.

“Mi dispiace per quello che è successo al tuo compagno di cella” dice affiancandomi, con le mani infilate nelle tasche della giacca, ed io rispondo scrollando le spalle.
“Come ho già detto, non ha alcuna importanza perché ormai era diventato un giocattolo vecchio ed usato che non mi divertiva più… E poi aveva iniziato a disubbidire ai miei ordini”

“Non stavo parlando del ragazzino. Mi stavo riferendo a Maytag” precisa, allora, Sucre e si affretta ad aggiungere altre parole che portano subito i miei nervi a fior di pelle “sai, T-Bag, non credo che sia stato Michael ad ucciderlo…”

“Sei venuto qui per fare quattro chiacchiere con me o per parare il culo al tuo Papi?” domando, interrompendolo bruscamente e socchiudendo gli occhi “tu e Scofield avete legato così tanto in poco tempo da essere già diventati migliori amiche per la vita? Durante la notte vi divertite a fare il bucato insieme? O, forse, sotto c’è ben altro che non vuoi raccontarmi?”

“No… Io… Io non ti sto nascondendo niente, volevo solo esprimere la mia opinione in merito a quello che è successo, visto che Michael è il mio compagno di cella”

“Sucre, permettimi di darti un consiglio data la mia lunga esperienza in fatto di detenzione: se non vuoi avere problemi in prigione, è sempre meglio pensare ai propri affari senza immischiarsi mai in quelli degli altri, anche se riguardano il proprio compagno di cella, migliore amico o scopamico” mormoro, a denti stretti, prima di allontanarmi velocemente da lui, con la copia della Bibbia stretta nella mia mano destra.



 
Le parole di Sucre non mi hanno convinto fino infondo: non è bravo a mentire e molto probabilmente la sua preoccupazione per Michael non è dovuta ad un semplice fattore di amicizia e fratellanza, ma anche da qualcos’altro di ben più grosso.

Ciò nonostante non sono intenzionato ad accantonare il mio progetto di vendetta personale, e la mattina seguente, quando tutti i detenuti del Braccio A si recano in mensa per la colazione, stringo con forza il manico del coltello ed aspetto con pazienza l’arrivo di Scofield.

Appena i nostri sguardi si incrociano, mentre lui è in fila con un vassoio in mano, mi alzo dalla panca per raggiungerlo e per fargli rimpiangere di avere messo piede dentro Fox River; ma una mano che si posa improvvisamente sulla mia spalla sinistra m’impedisce di farlo e mi costringe a sedermi di nuovo.

“Hai qualche problema con il nostro amichetto laggiù?” mi domanda Abruzzi, ed io gli rivolgo un’occhiata seccata prima di rispondergli in modo sprezzante.

“Non sei certo tu a darmi il semaforo verde”

“Ed è proprio qui che ti sbagli, Theodore. Devo ricordarti che tutto, qui dentro, ruota attorno a me?”

“Maytag è sottoterra per colpa di quel pezzo di sterco secco”

“E così vuoi la sua pelle?”

“Un pezzo al giorno. Per il resto della sua pena” mormoro, senza mai staccare gli occhi dal mio obiettivo che sta prendendo posto a qualche tavolo di distanza dal mio.
“A quanto pare tu ed io abbiamo qualcosa in comune”.

Le ultime parole di John mi fanno finalmente staccare gli occhi dal viso di Michael e concentrarli sul suo; sollevo il sopracciglio destro in un’espressione scettica e piego le labbra in una smorfia: anche se sono trascorsi cinque anni, nella mia mente è ancora impresso con estrema chiarezza il ricordo dell’unica alleanza che ho intrapreso con lui.

E delle sei pugnalate allo stomaco che ho ricevuto.

“E ti aspetti seriamente che io creda alle tue parole con i precedenti che ci sono stati tra noi due?”

“Quella era una faccenda completamente diversa e che appartiene al passato, ormai. Scofield ha fatto un torto ad entrambi, potrebbe essere l’occasione ideale per fare una piccola tregua dato che, per una volta, i nostri interessi coincidono”.

Osservo John in silenzio, ed alla fine decido di fidarmi delle sue parole perché in questo caso non esiste un secondo fine per fregarmi, ed il mignolo amputato di Michael ne è la prova concreta; annuisco con la testa ed a questo punto decide di rivelarmi il suo piano, che avrà luogo durante il pranzo: i suoi uomini preleveranno il pesciolino dalla fila in mensa, lo trascineranno in un capannone e noi saremo lì, pronti a dargli una lezione esemplare.

E così avviene: Fiorello ed un altro dei scagnozzi di Abruzzi trascinano Michael nel capannone in cui io e gli altri lo stiamo aspettando, e la sua espressione terrorizzata è semplicemente un piacere per i miei occhi.

“Sai… Avevo pensato di aprirti la pancia appena ti avevo visto, ma sei così carino quando hai paura e questa è una fortuna per te… Si, proprio carino… Forse dovremo occuparci dell’amore prima dell’odio, non credi?” mi volto a fissare Abruzzi per qualche istante, prima di tornare a concentrarmi esclusivamente sul pesciolino “si, è arrivato il momento di farci questo finocchietto una volta per tutte”.

Sto per scagliarmi contro Scofield, ma Abruzzi mi sorprende con una mossa che non avevo previsto: s’interpone tra noi due e mi colpisce con una gomitata in pieno volto, che rompe all’istante il mio setto nasale, proprio come è successo quando sono stato picchiato da C-Note.

Barcollo all’indietro, perdo l’equilibrio ed in un battito di ciglia Fiorello e l’altro fedelissimo di John mi sono addosso, rincarando la dose con una serie di calci e pugni che non mi lasciano neppure il tempo di reagire o di riprendere fiato.

Quando si fermano non riesco a muovere un solo muscolo del corpo, se non per sputare un grumo di sangue misto a bava, ed alle mie orecchie giunge la voce di Abruzzi.

“Dio, quanto parla!” esclama, probabilmente a Michael “tu ed io abbiamo molto di cui parlare”.

Sento il rumore di passi che si allontanano, seguiti da quello di una porta che viene prima aperta e poi sbattuta con forza; ricevo un ultimo calcio all’altezza dei reni prima di ritrovarmi completamente da solo nel capanno ed incapace, perfino, di urlare per richiamare l’attenzione dei miei uomini, o di un secondino.

Alla fine, non so con esattezza dopo quanto tempo, sono proprio alcuni sottoposti di Bellick a trovarmi ed a condurmi in infermeria per essere medicato; mi ritrovo, così, sdraiato su un lettino e con il polso sinistro bloccato da una manetta.

Appoggio la mano destra all’altezza dello stomaco ed inizio a gemere, a causa del forte dolore provocato dal violento pestaggio che ho appena subìto; quasi non sento le guardie uscire dalla stanza, e quando qualcuno mi rivolge la parola in tono gentile, scatto subito, irritato.

“Allora, signor Bagwell, che cosa le è successo? È in grado di raccontarmelo?”

“Ma non vedi che ho bisogno di un antidolorifico? Non c’è della morfina qui dentro? Qualcosa che non mi faccia più sentire questo dolore insopportabile?” rispondo, a denti stretti, continuando a gemere ed a lamentarmi, e la voce femminile e sconosciuta non tarda a ribattere in tono fermo.

“Lasci che sia io a decidere quello di cui ha veramente bisogno, signor Bagwell. Ora dovrebbe smetterla di lamentarsi e stringere i denti perché così mi rende tutto più difficile. Devo visitarla per controllare se ha qualcosa di rotto, e se non collabora sarò costretta a richiamare dentro le guardie, e sono sicura che i loro metodi non saranno altrettanto gentili”.

Apro gli occhi, sorpreso dalle parole che ho appena sentito, e ciò che vedo mi lascia ancora di più senza parole: davanti a me non c’è né Sara né un’infermiera, ma bensì una giovanissima dottoressa che non ho mai visto prima, con i capelli biondi, ondulati, e gli occhi azzurri; ha una cartellina in mano e mi osserva con il viso leggermente inclinato a sinistra, in attesa di una risposta da parte mia.

Anche se non ne ho la prova concreta, ho il sospetto che questo sia il suo primo giorno di lavoro a Fox River; ed il modo gentile con cui si rivolge a me, mi fa dedurre che non ha mai sentito parlare del ‘Mostro Dell’Alabama’ e che non conosce nulla riguardo al mio caso.

E questo costituisce un enorme vantaggio a mio favore.

Distendo le labbra in un sorriso conciliante e poi, finalmente, le do la risposta che sta aspettando.

“D’accordo, dottoressa, come vuole lei”.

Tengo gli occhi chiusi per tutto il tempo in cui mi visita, per controllare che non ci sia nulla di rotto o qualche seria frattura, ed in più occasioni non riesco a reprimere un brivido provocato dal tocco delle sue dita o dal profumo che emanano i suoi capelli; combatto in silenzio contro i miei demoni interiori, che continuano a sussurrarmi di non sprecare una simile occasione, di fregarmene del polso sinistro ammanettato e delle guardie pronte ad intervenire in qualunque momento, di afferrarla, strapparle il camice, i vestiti, e trasformarla nella mia nuova vittima.

Dopo quasi una decina di minuti è la stessa sconosciuta a riportarmi alla realtà, e le voci cessano all’improvviso di sussurrare oscenità e volgarità.

“Non sembra esserci nulla di rotto, ma per sicurezza le farò fare qualche esame più approfondito e per questa sera è meglio che rimanga qui. Può dirmi come è successo?” mi domanda, prendendo posto su uno sgabello posizionato affianco al mio letto.

“Posso avere un antidolorifico?” dico in tutta risposta, rivolgendo lo sguardo altrove; queste sono le uniche parole che escono dalla mia bocca, ed alla fine la ragazza acconsente alla mia richiesta e mi da un tranquillante che riesce a rilassarmi ed a farmi dimenticare, almeno momentaneamente, il dolore che ben presto si trasformerà in una moltitudine di lividi che impiegheranno settimane intere per scomparire.

Per tutto il resto della giornata alterno momenti di dormiveglia ad altri di lucidità, ed occupo questi ultimi per osservare con maggior attenzione l’ultimo acquisto dello staff medico di Fox River: si muove in modo impacciato, chiedendo spesso consiglio ad un’ infermiera dai capelli rossi e vaporosi o tormentandosi una ciocca di capelli dorati, e questo mi fa capire che non si tratta semplicemente della sua prima esperienza lavorativa.

Questa è anche la sua prima esperienza lavorativa all’interno di un carcere.

Un carcere maschile di massima sicurezza.

Un vero e proprio battesimo di fuoco.

Ma non è questo a turbarmi, bensì una questione completamente diversa.

Ogni volta che la vedo passare velocemente vicino al mio lettino, mi sembra di rivivere il primo incontro tra me e Susan: tutto ciò che ci circonda sembra sparire, ad eccezione di noi due.

E questo mi fa sentire strano, in un modo che non riesco a descrivere a parole, soprattutto perché le ferite che ho ricevuto al cuore sanguinano ancora copiosamente, anche se sono trascorsi già cinque anni dalla sera in cui il mio arresto e la fine della nostra storia hanno fatto prendere alla mia vita una nuova e brusca deviazione; ma nonostante ciò, deciso di seguire il mio istinto, e richiamo l’attenzione della nuova dottoressa proprio nel momento in cui sta uscendo dall’infermeria perché il suo turno è finito.

“Si?” mi domanda, in tono gentile, con la mano destra appoggiata alla maniglia della porta.

“Dottoressa, mi promette che il suo viso sarà la prima cosa che vedrò domani, quando aprirò gli occhi?” le chiedo, con il volto leggermente reclinato verso sinistra.

Lei solleva il sopraciglio sinistro in un’espressione incredula e sorpresa, sicuramente perché non si aspettava una simile richiesta da parte mia, ma poi le sue labbra carnose si distendono in un timido sorriso e le sue guance diventano di un rosa più acceso.

“D’accordo, glielo prometto. Buonanotte, signor Bagwell”

“Buonanotte, dottoressa” mormoro a mia volta, e quando resto da solo appoggio la testa sul cuscino, abbasso le palpebre e sospiro.

 
Nessun essere umano nasce con il dono della preveggenza.

A nessuno di noi è dato sapere in anticipo quando la propria vita cambierà per sempre.

Spesso, poi, accade nel corso di una normale giornata, che non ha nulla di diverso da tante altre.
 
   
 
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