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Autore: Adele Emmeti    17/07/2019    2 recensioni
In un mondo apocalittico, dove gli umani sopravvissuti all'avvento dei sanguinari Succhiatori cercano di armarsi per reagire all'assalto, la piccola Carey viene ritrovata allo stremo delle forze, sfatta e affamata, ancora sconvolta dallo straziante omicidio del padre.
In grembo all'umana che la soccorre, la bambina non può immaginare che da lì a breve diventerà una delle combattenti più temute e che proprio tra coloro che odia e che caccia con violenza, si nasconde quel qualcuno che ha sempre cercato, fin dalla nascita...
Genere: Drammatico, Fantasy, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Molto prima che il sole si affacciasse all'orizzonte, mentre l'aria fresca e umida lambiva le strade deserte e i fari delle torrette di veglia, in un nitido silenzio, Carey uscì di casa, senza aver nemmeno preso la sua solita tazza di caffè. Si sollevò la cerniera della felpa fino al naso e il cappuccio sulla testa, infilò le mani in tasca e aspettò, a occhi chiusi, che il comandante Foster e Sally uscissero a loro volta. Da lontano, sotto la luce fioca degli alti lampioni notturni, vide avvicinarsi la figura smilza e poco aggraziata di Max. Anche lui proteggeva la folta chioma castana nel cappuccio; il suo naso bianco, a punta, sbucava dalla felpa, così come i suoi sottili occhi verdi.

«Sei armato?» Le chiese Carey appena le fu a mezzo metro di distanza.

Il ragazzo sfilò un lungo coltello che nascondeva dietro la schiena. Da sinistra, a passi svelti, sopraggiunsero i Rubini Grimson, Lopez e Harris, tutti con i volti scavati per quelle nottate prive di un tranquillo riposo.

Carey li salutò con un cenno del capo. In breve anche i Rubini della scorta di Foster si unirono a loro, con i passamontagna già indossati. Poco dopo, il capitano e Sally apparvero sulla soglia. Scesero lungo i gradini e salutarono tutti con un sorriso.

Ai cancelli principali, i guardiani del turno di notte restarono molto stupiti dal vederli arrivare senza alcun preavviso, ma non fecero domande e si limitarono ad aprire.

«Meditate, allora, su quanto detto. Sarò di ritorno a Newborn tra dieci giorni. Accetterò qualsiasi decisione prendiate, purché vi soddisfi tutti.» Foster salutò così Sally e Tyler, che si era fatto trovare ai cancelli.

«Ci sarà poco da discutere. Il nostro equilibrio è molto precario. Viviamo sotto costante rischio e dobbiamo agire quanto prima, o inizieremo a crollare da dentro.» Rispose Tyler.

«Nessuno saprà che tornerai. Da oggi in poi tutte le decisioni che prenderemo resteranno in questa ristretta cerchia di Rubini, dunque spero che al tuo ritorno nessuna minaccia ostacolerà il tuo cammino.» Aggiunse Sally.

«Lo spero anch'io. Vedrete che le cose si sistemeranno. Non vi lascerò da soli; insieme usciremo da questa assurda situazione.» Tutti i Rubini sollevarono un pugno sul cuore, in segno di rispetto, tranne Carey.

Mentre il gruppo fuoriusciva dalle porte di Newborn, Sally prese il braccio della figlia: «stai molto attenta. Non fare di testa tua, non allontanarti e non andare più veloce degli altri. Metti da parte l'orgoglio e la rabbia che hai dentro. Ora è tempo di ascoltare gli adulti.»

«Mentre eri distratta, io sono cresciuta.» Le disse ritraendo il braccio. Sally era stata la madre perfetta, la madre che tutti i figli sognerebbero: dolce e protettiva a tratti, rigida e intransigente in altri. Ma Carey doveva colpirla. Doveva colpire tutti coloro che avesse intorno, o il dolore che covava le avrebbe ristagnato nell'animo e l'avrebbe fatto marcire.

Senza rivolgerle lo sguardo, indossò il suo passamontagna di lana scuro e si addentrò nella coltre scura, aldilà dei cancelli.

Foster e i suoi Rubini salirono sulla camionetta e imboccarono il sentiero principale, seguiti da quella dei Rubini di Newborn, con Grimson alla guida.

«Cosa si staranno dicendo?» Chiese Max a Carey, osservando Foster e i suoi parlottare.

La ragazza non gli rispose e si limitò a risollevarsi il cappuccio, abbassato per indossare il passamontagna.

Il bosco rischiarato dalla prima luce del sole appariva di un unico verde-bluastro, la terra era fangosa per le recenti piogge, alcuni uccelli notturni scandivano i minuti, prima di rintanarsi, e le due auto procedevano a velocità sostenuta poiché fuori dalle capitali era fondamentale non perdere mai troppo tempo. Con gli occhi ben aperti e le armi alla mano, i Rubini raggiunsero il confine dei territori sotto il controllo di Newborn, in poco meno di un'ora. Una volta lì, rallentarono e Grimson accostò accanto all'auto di Foster.

«Poco più in là ci sono due gruppi dei nostri che ci attendono. Grazie per averci accompagnati fin qui.» Affermò il capitano affacciandosi di lato.

«È stato un onore. Ci rivedremo a Newborn.» Gli rispose Grimson.

Il capitano annuì sorridendo. I Rubini si salutarono con un cenno del capo e la loro camionetta proseguì al di là del confine.

Carey era rimasta poggiata al bordo dello sportello scoperto, e si era limitata a osservare il congedo in silenzio.

«Cosa ne pensi di questa storia? Credi che Foster possa davvero aiutarci?» Max si rivolse nuovamente alla ragazza.

«Foster potrebbe essere la nostra unica salvezza.» Rispose il Rubino Harris, sedutogli di fronte.

«Ma sono anni che manca da Newborn, come potremmo fidarci di lui in battaglia? Lo conosciamo pochissimo.»

«Perderemmo molto meno tempo ad adeguarci a lui che a cercare un simile sostituto di Duncan.» continuò Harris, sfilandosi il passamontagna e liberando i suoi lunghi capelli neri.

«Se Foster prende il controllo di Newborn, tutto il potere primario finirà nelle mani della sua cerchia ristretta di soldati. Noi finiremmo a fare le vedette sulle torri di controllo.» Affermò Carey, senza distogliere lo sguardo dalla fitta vegetazione circostante.

I Rubini rimasero in silenzio.

«Sarà come consegnargli la città e permettergli di annetterla a Tomville. Nel consiglio primario sarebbe il capitano con i confini più ampi dell'intera regione.» Continuò.

«E se anche fosse? Non vedo perché l'unione delle due città possa rappresentare una minaccia. Potremmo diventare una piccola potenza, e iniziare davvero a sperare di poter prevaricare sui Succhiatori.» Aggiunse Harris.

«Beh... questo è vero.» Max concordò a bassa voce.

Improvvisamente Carey bussò sulla parete della cabina frontale e sia Grimson, alla guida, che Lopez, alla destra, si voltarono nella sua direzione.

«Grimson, prosegui lungo quel sentiero oltre il filare di pini.»

«Dove vuoi andare?» Le rispose.

«Con Tyler e Sandy ho concordato in segreto che saremmo ripassati dalla tenuta settecentesca per cercare i resti dei nostri compagni.»

Tutti i Rubini rimasero attoniti.

«Perché noi non sappiamo nulla?» Le chiese Lopez.

«Perché non volevamo che trapelasse la minima informazione e che Foster e il suo gruppo ci udissero. Non ci fidiamo ancora del tutto di loro.»

«Come facciamo a sapere che non sia una tua iniziativa?» Continuò Lopez.

«Perché credi che Sally abbia convocato anche voi tre oltre a me e Max? Pensi che servissero davvero cinque Rubini per accompagnare una camionetta ai confini?» Grimson e Lopez si guardarono dubbiosi.

«Se volete tornare indietro fatelo pure, ma ricordatevi che Tyler è ancora in grado di declassarvi.»

Grimson sbuffò allargando le narici e Lopez si abbassò il passamontagna sul viso, per nascondere il forte dissenso. Max e Harris alle spalle della ragazza erano rimasti immobili e silenziosi.

«Stiamo tornando alla tenuta?» Si limitò a sussurrare Max con gli occhi atterriti. Lo shock per la disastrosa sconfitta di due giorni prima non gli era ancora passato. Il solo pensiero di rimboccare il sentiero che portava alla base della collina gli provocò un tremito viscerale.

La camionetta svoltò verso la direzione indicata da Carey, mentre un sole pallido imbiancava il cielo umido. In pochi minuti arrivarono nello stesso punto in cui avevano lasciato il veicolo la volta precedente. Grimson spense e tutti scesero lentamente.

«Harris e Lopez: restate fuori e pattugliate. Max e Grimson: salite lungo i piani dell'edificio e raccogliete tutto ciò che potrebbe somigliare... »

«Alla testa di Duncan.» Esordì Grimson, rimarcando che fosse ben chiaro a tutti il vero scopo di quella deviazione.

«Al primo fruscio, gemito o rantolo di qualsiasi natura, battete in ritirata e tornate qui. Nessuno deve farsi male oggi. È chiaro?»

I Rubini annuirono con un lieve cenno del capo, poi avanzarono silenziosi come fantasmi. Corsero rapidamente lungo la collina, tutti uguali nelle loro tute verdastre e passamontagna neri.

Carey puntò la cantina sotterranea, senza nemmeno pensarci due volte. Il cuore aveva iniziato a batterle con vigore nel petto e le rimbombava nelle orecchie, tanto da coprire i rumori dei suoi passi. Percorse le scale in pietra consumate e si inoltrò nel cuore buio di quella tomba gocciolante. Batté le mani per farsi luce, prese fiato e procedette a passi svelti lungo quel corridoio che li aveva condotti tutti alla morte. Quando giunse finalmente nell'enorme deposito dove era caduta rovinosamente con Duncan, due giorni prima, il cono di macerie proveniente dal soffitto crollato apparve nitido sotto la luce biancastra del piano superiore. L'immagine del Livellatore brandente il capitano per il collo, su quell'altare di cocci e mattoni, le fermò per un istante il respiro. A passi lenti e cauti, vi si avvicinò, osservando ogni pietra, cavo, trave e frammento di intonaco. Con occhi sgranati, individuò la botola cieca nella quale era caduta, costringendola alla ritirata e forse alla salvezza. Deglutì tremante e procedette ancora. Vide alcuni brandelli di stoffa e si avvicinò con le mani inguantate. Le sollevò, analizzò e studiò uno per uno, senza trovarvi nulla di importante. Poi comprese di dover scavare, di dover smuovere quei detriti grossolani e sporcarsi o non avrebbe ottenuto nulla. Man mano che i frammenti crollavano o saltavano di lato, tutto lo spazio iniziò a sembrarle più chiaro e meno confuso. Scavò con impeto e disperazione. Infine si bloccò quando, sotto un pannello bruciacchiato, intravide qualcosa di tondo, rivestito da quello che poteva sembrare un passamontagna.

Si avvicinò con cautela e allungò la mano per tastarlo. Quando lo sfiorò, si accorse che poteva certamente essere una testa, per la durezza e la pesantezza. Allora prese fiato, l'afferrò e la trascinò a sé; nella penombra e con un'ansia che le offuscava la vista, individuò i lembi inferiori slabbrati e li tirò verso la cima del contenuto.

Quella che ne venne fuori era, sì, una testa, ma dei canini prominenti e sporgenti dalle labbra avvizzite, una peluria del viso rossastra e dei boccoli sudici sulla fronte le gridarono immediatamente che non fosse quella del suo capitano. Così le cadde dalle mani e rotolò via. Ella indietreggiò e scoppiò in un pianto di feroce sconforto. Si sfilò il passamontagna per la mancanza d'aria e crollò sulle ginocchia, sfinita dalla forte emozione.

La deviazione in quel posto infernale, la scelta di ingannare tutti gli altri affinché la seguissero e la stupidità nel credere che il ritrovamento della testa di Duncan potesse fare una pur minima differenza, la gettarono in un moto di sconforto. Si avvolse la testa con le mani e rimase per qualche secondo a dondolarsi, per raccogliere un briciolo di stabilità. Non avrebbe mai immaginato di poter essere così fragile.

Il misto di lacrime, voci interiori e battito frenetico del cuore aveva ormai sovrastato tutto il resto, persino il rumore dei passi di un qualcuno che le si era avvicinato e sostava a poco meno di un metro da lei, immobile, alle sue spalle.

Mentre singhiozzava e stringeva la stoffa dei suoi pantaloni con le dita, la punta gelida di una lama le sfiorò il viso e scostò i capelli dal collo.

Balzò in piedi spaventata e si girò. La luce pallida proveniente dal soffitto scopriva solo in parte una figura alta e longilinea. Nella restante penombra, due occhi adamantini brillavano incuriositi.

«Chi sei?» Gli chiese, sfilando la lama dalla custodia.

La figura avanzò verso la luce; una barbetta e dei capelli color paglia su un volto asciutto e severo, le schiarirono subito le idee.

Il Succhiatore incontrato nei cunicoli sotterranei sostava immobile dinnanzi a lei, come se fosse sempre stato lì.

«Quello è uno dei nostri. Mettono le teste nei sacchi o nei passamontagna e ci giocano a mo' di fionda.» Affermò, indicando il suo previo ritrovamento.

«Perché sei qui?» Le chiese poi, osservando perplesso le lacrime che le rigavano il viso.

Carey non avrebbe mai voluto mostrarsi tanto volubile ed esausta dinnanzi a un nemico.

«In quanti siete?» Gli si rivolse lei con durezza, ignorando la sua domanda.

«E voi? Perché siete tornati?»

La ragazza rimase a fissarlo. Non sapeva quanti dei suoi fossero in zona, se i suoi compagni ne avessero già incontrato qualcuno e fossero tornati alla camionetta, se invece fosse la prima essere stata scovata e avrebbe quindi potuto evitare che costui chiamasse i rinforzi.

«Sono sola. Sono venuta a raccogliere le armi lasciate sul campo.»

Il succhiatore abbassò la sua spada e sogghignò.

«Vuoi farmi credere che siete così a corto di risorse da dover tornare in campo a racimolare qualche ferraglia dai cadaveri?»

Carey strinse i pugni. Poi avanzò nella sua direzione con lo scopo di passargli accanto e proseguire verso l'uscita.

«Sei libero di non crederci.»

«Dove vai?» Le risollevò la spada davanti, onde bloccarle la strada.

«Vuoi combattere? Qui? Adesso?»

«No. Voglio sapere perché sei tornata.»

«Cosa importa?» Gli rivolse uno sguardo colmo di sfida. Rimasero in silenzio per pochi secondi.

«Stai cercando la testa di un certo Duncan, vero?»

Carey sobbalzò.

«In città hanno festeggiato tutti come forsennati quando hanno saputo che i livellatori l'avevano ammazzato. Io non sapevo nemmeno chi fosse... »

«I livellatori hanno ammazzato anche molti dei vostri.»

«Sì... hai ragione. Ma quello non interessa a nessuno. I morti son morti... è per i vivi che l'incubo continua. Bisognerebbe compatire i vivi, piangere per loro e non per quelli che non hanno più pene da soffrire.»

La ragazza avrebbe fatto volentieri a meno della sua filosofia spicciola.

«I vivi piangono i morti quando li hanno amati. Voi non amate nessun altro che voi stessi, dunque non avete motivi per disperarvi.»

«Hai ragione. Noi siamo i cattivi. Voi siete quelli dal cuore grande e luminoso. Quelli che combattono per riportare l'amore nel mondo, che si sacrificano perché il bene e la giustizia trionfino sul marcio di noi altri.»

«Come sai che gli manca la testa?»

«Eh?»

«Prima mi hai chiesto se stessi cercando la testa di Duncan. Come sai che gli è stata staccata?»

«Beh... perché... »

Il succhiatore riabbassò la spada.

«Ce l'abbiamo noi. Gli altri sono riusciti a raccoglierla prima di darsi alla fuga. Dovevano dimostrare agli anziani che il vostro capitano fosse morto.»

Carey sbigottì con una veemenza che non riuscì a camuffare. Il Succhiatore rimase a studiare quella strana figura in cui si era imbattuto per la seconda volta, senza volerlo.

Improvvisamente si udirono dei passi echeggiare dall'ingresso del lungo corridoio. Il Succhiatore si voltò di scatto e poi tornò con lo sguardo sulla ragazza.

«Mi hai mentito. Non sei sola.»

La voce di Max arrivò poco distinguibile.

«Tu perché sei qui?» Gli richiese sottovoce, cosa che lo convinse inconsciamente a risponderle.

«Ci vengo spesso. Ci venivo anche prima della strage.»

La ragazza comprese che fosse da solo. La voce di Max si espanse più chiara di prima, segno che si stava avvicinando.

«Ascoltami... siamo in cinque, non hai speranza di sopravvivere. Ti propongo un patto: se fingo di non averti visto e convinco i miei ad andare via, tu tornerai qui, tra due giorni, e mi porterai la testa di Duncan.»

Il Succhiatore strinse l'impugnatura della sua lama.

«Carey, sei qui?» Max era ormai prossimo all'ingresso del magazzino.

«Tra due giorni. Va bene... accetto.»

Carey gli si era avvicinata tanto da sentirne l'odore della pelle. Con affanno provò a sembrargli il più onesta e sincera possibile.

«Ci vedremo qui, al calare del sole.»

«No, non qui. Vediamoci al lago. Sotto il promontorio. C'è una piccola grotta nella roccia. È un posto sicuro.»

La ragazza annuì. Poi gli passò accanto e corse verso l'ingresso del magazzino, dove Max stava per fare capolino.

«Andiamo via. Non c'è nulla.» Gli disse quasi investendolo.

«Con chi parlavi?» Le chiese stranito.

«Con nessuno. Ero sola lì dentro.» La ragazza adottò un tono fermo e risoluto

«Mi è sembrato di aver udito... »

«Erano rumori sparsi. Tutto rimbomba in questo scheletro di mattoni.»

Il ragazzo allungò lo sguardo verso l'interno dell'ampio e tetro spazio.

«Con Grimson abbiamo ritrovato la spada di Ferguson e pochi altri brandelli degli altri.»

«Bene. Li porteremo alle loro tombe. Adesso andiamo.» Nel superarlo, gli passò teneramente una mano sulla spalla e questo lo riempì di profondo appagamento, in quanto Carey non l'aveva mai sfiorato se non con dei colpi durante i loro allenamenti.

Tornati sulla camionetta, i cinque Rubini percorsero la strada del ritorno in silenzio, ognuno immerso in pensieri diversi. Harris, Lopez e Grimson finirono per convincersi che Carey li avesse raggirati e lanciati in un'iniziativa potenzialmente mortale. Max continuò a concentrarsi sulla sensazione tattile lasciatagli dal tocco della ragazza sulla sua spalla, così da non dimenticarla.

Carey provò una sottile sensazione di sollievo. Forse, in qualche modo, quel patto con il Succhiatore l'avrebbe avvicinata all'accettazione molto più che ore e giorni di preghiere.

   
 
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