Questa storia partecipa alla Soulmates
Challenge
indetta dal gruppo Fb
Il Giardino di EFP
Prompt n°31:
Non possono smettere di guardarsi, ma non possono nemmeno
avvicinarsi.
I see you, I want you
1. I’m lookin’ for you from afar
Fandom: Naruto
Pairing: Sasuke x
Naruto
Gli alberi ricchi di foglie splendenti e basi radicate e profonde ballavano
alla spinta del vento primaverile. La voce entusiasta degli uccelli dalle ali
spiegate si diffondeva a macchia sui campi e tra i fiori, riempiendo l’assoluto
silenzio diffuso nella vallata.
I rari carretti percorrevano con placida lentezza i sentieri sterrati
calpestati dagli stessi uomini che giorno per giorno, stagione dopo stagione,
camminavano e battevano, calpestavano e compattavano il terreno creando linee
precise per mete definite. Scalpiccìo di zoccoli,
qualche parola in perduto dialetto, ed i venditori tornavano con le assi
leggere, in tasca qualche spicciolo, la nuca arsa da sole del lungo viaggio.
Un ragazzo camminava stancamente sul far del tramonto portando appresso gli
attrezzi da lavoro; due braccia forti, scure, abituate al lavoro di fatica, due
occhi lucenti del color del cielo all’orizzonte, schiena ritta e solida. Canticchiava
tra sé alcune parole ormai prive di significato, figlie di una lingua che non
conosceva più nessuno; una nenia, un antico lascito di un’anziana che ne aveva
viste di cose, ma ormai non parlava più. Scuoteva la testa a tempo,
dondolandola di qua e di là sorridendo, dimenticando le ginocchia stanche e le
braccia sfiancate dal lavoro che portava avanti da anni che non riusciva già più
a quantificare.
Naruto il suo nome: Naruto il tuttofare. Un cognome non ce l’aveva, sua madre
non s’era mai soffermata all’assenza del padre; che fosse morto o semplice
sconosciuto non gli importava affatto, finché aveva del riso e del pesce per sé
e per la donna che gli aveva donato la vita. Pensava a quanto potesse essere fortunato
ad essere nato in un luogo tranquillo, lontano dal mondo, tra le coltivazioni
di riso e la pesca d’acqua dolce. Non aveva mai preteso nulla più di ciò che
poteva permettersi, neppure una vita migliore, semplicemente perché nessuno
sapeva cosa significasse poter vivere meglio di così. Ciò che serviva si barattava,
e le curatrici del villaggio, anziane canute dalle lunghe dita esperte che
profumavano di erbe e spezie, vivevano al limitare del bosco, pronte ad
alleviare dolori e sofferenze.
Un luogo tranquillo, una vita semplice.
Eppure, a pochi passi dalla meta, stremato e ciondolante ormai, si voltava ogni
sera: si sentiva osservato, come se due iridi lo stessero cercando e trovando
per poi trapassarlo e rapire poco a poco ogni particella del suo corpo. Non percepiva
disagio, soltanto curiosità. Non vedeva nulla, non c’era nessuno, solo la
strada di terra battuta che costeggiava il fiume da una parte, e che saliva ripida
sulla collina dall’altra. Puntava il suo sguardo lassù, su una costruzione
isolata dalle altre, protetta da alberi secolari e da un muraglione in pietra.
«Anche stasera,» ripeteva tra sé rientrando in casa, «sono sicuro di averlo
sentito. È lui, Uchiha Sasuke.»
La longeva famiglia Uchiha s’era stabilita qualche
generazione prima sull’altura occidentale sovrastante il fiume. Padri austeri e
tradizionali, chiusi nel loro lignaggio, gelosi del proprio sangue, seppur scarlatto
come quello di tutti gli altri; figli cresciuti in solitudine, educati alla
vita di corte, alle lettere ed alla scrittura, alla matematica ed alle scienze.
Ritmi giornalieri prestabiliti, orari da rispettare come di consueto, controllo
totale sull’infanzia e nell’adolescenza. Tutori, insegnanti, servitù: questa l’assidua
e distaccata compagnia di Sasuke, erede della famiglia
che di nobile aveva solo la fama, nient’altro. Bimbo solo e interessato, cresciuto
avvolto dalle spire strette di un padre chiuso ed iperprotettivo, che non
permetteva alcun contatto con quella “gentaglia dalla pelle arsa” come chiamava
sovente gli abitanti delle abitazioni sottostanti. Non amava la loro vista, gli
ricordava quanto in basso sarebbe potuto cadere suo figlio se mai avesse fatto
scelte sbagliate, cosa che mai avrebbe potuto permettere.
Una sera Sasuke abbassò lo sguardo in direzione della
riva del fiume: il gorgoglìo scrosciante dell’acqua cristallina gli teneva spesso
compagnia in quelle silenziose sere passate in completa solitudine, cercando unico
diletto nei libri e nelle pitture su pergamena di cui s’era tanto appassionato
da piccolo. Gli eleganti ideogrammi scendevano uno verso l’altro parlando di
amori e guerra, di sangue e d’odio, trattando di vicende senza tempo e di
uomini che sarebbero stati ricordati dalla storia. Interessanti certo, ma
pressanti e a volte nauseanti. Per quello ricercava una pausa, un respiro dalla
lettura.
E fu lì che si accorse di lui.
Un ragazzo di altro lignaggio, uno di quelli che il padre con severità avrebbe
proibito di vedere, un giovane che aveva tutta un’altra vita sulle spalle,
altri doveri, altre storie da raccontare. Qualcuno diverso da lui, da loro.
La prima volta lo spiò con curiosità moderata, sporgendosi di poco dalla
finestra ed osservandolo tentando di celarsi; era bello, dai capelli chiari che
tanto gli ricordavano il sole. Era bello per la pelle abbronzata dalle lunghe
giornate passate con la schiena curva, ed era così diverso da lui, così lontano
da ciò che era abituato a vedere, a desiderare.
La prima volta si sporse poco nel poterlo osservare, la seconda si spinse più
in là verso l’esterno, e così la terza.
Ogni sera ormai lo cercava, mentre ad ogni nuovo incontro da lontano si
sporgeva sempre più, rischiando sì d’esser visto, ma bramando quegli occhi dal
riflesso dorato del tramonto del sole. Lo vedeva muoversi lento calpestando
stancamente quelle strade spoglie, gli attrezzi con sé poggiati alla spalla, un
motivetto tra le labbra; sempre la stessa melodia, sempre le stesse candide
sconosciute parole. Oramai l’aveva imparata quella canzone, la lirica
incompresa si ripeteva nella mente e passava sottovoce alla lingua ed alla bocca,
per poi disperdersi in quell’enorme, cupa stanza arredata di tutto punto,
eppure così vuota. Lo osservava rapito, perso in quella figura forte, sicura,
agile. Lo guardava quasi senza sbattere le palpebre per paura di vederlo
sparire da un momento all’altro, quasi fosse un sogno o un’allucinazione.
Il tragitto breve terminava all’ansa del fiume, raggiunti i primi fusti al limitare
del piccolo bosco: una modesta abitazione dalle linee semplici, un piccolo spazio
familiare e raccolto. S’era immaginato più volte quanto potesse essere caldo
quello stanzino, il focolare al centro, un tegame contenente la cena, una madre
che attendeva con ansia il ritorno del figlio.
Una famiglia amorevole.
Un desiderio di chiunque.
Quando ormai il misterioso ragazzo dal volto e nome celati varcava la soglia, Sasuke staccava lo sguardo a malincuore da quel piccolo
squarcio di vita vera, la vita fuori, dove il mondo andava avanti anche senza
di lui, senza il suo maledetto sangue nobile. Si alzava con una morsa di
malinconia al cuore spostandosi verso la meravigliosa specchiera dono di
compleanno di qualche zia oramai dimenticata; si osservava sfiorandosi il volto
con rammarico, confrontando la pelle lattea incredibilmente chiara su cui spiccavano
gli occhi scuri dal riflesso color rubino con quella color ambra dello
sconosciuto. I capelli corvini incorniciavano il volto femmineo, scendendo
sulle spalle e adagiandosi sull’abito di seta pregiata che racchiudeva le
braccia magre e la vita esile con un nastro raffinato.
Così diverso da lui.
Totalmente l’opposto.
La notte s’addormentava tra morbide lenzuola, collassava mollemente sul cuscino
pensando a quanto sarebbe potuta essere diversa la sua
vita se fosse appartenuto allo stesso mondo di lui. Le palpebre stanche si
chiudevano su occhi annoiati, negando nell’oblio del sonno l’appartenenza ad
una gabbia senza chiave, chiamata casa.
Sognava capelli color del grano, cantava una canzone. Correva in prati ricoperti
di fiori dai profumi profondi e maliziosi, immergeva le pallide gambe in gelide
correnti di campagna, asciugava le membra al sole tiepido del pomeriggio per
poi stendersi e chiudere gli occhi sospirando. Voltava il viso all’ombra di un
alto arbusto, incontrando pupille ridenti: le sue.
Nota dell’autrice (sono tornata, tremate muahahahahah!)
Una soulmate: mmmmmh una soulmate! Mi sto sfiziando al
solo pensiero di scrivere una storia dedicata alle anime gemelle: ho letto
fanfiction su di esse, e mi hanno sempre affascinata, ma non ho mai trovato il
coraggio di dedicarmici con impegno. Ho deciso di scriverla pensando ad una
delle mie OTP, la SasuNaru. Mi auguro sia all’altezza
delle aspettative, pure delle mie visto che sono criticissima in questo periodo.
Vorrei poter sottolineare quanto il loro amore possa essere travagliato, ricercato,
sincero.
Torno dunque con piacere nel fandom di Naruto, perché mi mancava parecchio!
Spero sia stata una lettura piacevole e coinvolgente, e come sempre ringrazio
ognuno di voi per la presenza, le parole, le letture: grazie mille!
Alla prossima!
-Stefy-