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Autore: _Agrifoglio_    17/07/2019    16 recensioni
Una missione segreta, un’imboscata vicino al confine austriaco e il corso degli eventi cambia. Il senso di prostrazione dovuto al fallimento, il dubbio atroce di avere sbagliato tutto, un allontanamento che sembra, ormai, inesorabile, ma è proprio quando si tocca il fondo che nasce, prepotente, il desiderio di risorgere. Un incontro giusto, un’enorme forza di volontà e, quando tutto sembrava perduto, ci si rimette in gioco, con nuove prospettive.
Un’iniziativa poco ponderata della Regina sarà all’origine di sviluppi inaspettati da cui si dipanerà la trama di questa storia ricca di colpi di scena, che vi stupirà in più di un’occasione e vi parlerà di amore, di amicizia, di rapporti genitori-figli, di passaggio alla maturità, di lotta fra concretezza e velleitarismo, fra ragione e sogno e della difficoltà di demarcarne i confini, di avventura, di duelli, di guerra, di epos, di spirito di sacrificio, di fedeltà, di lealtà, di generosità e di senso dell’onore.
Sullo sfondo, una Francia ferita, fra sussulti e speranze.
Davanti a tutti, un’eroica, grande protagonista: la leonessa di Francia.
Genere: Avventura, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: André Grandier, Nuovo Personaggio, Oscar François de Jarjayes, Quasi tutti
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Nella tela del ragno
 
Il battiporta di ottone risuonò tre volte, percosso dalla mano guantata che lo agitava con movimenti energici e secchi e, poi, altre cinque, perché dall’altra parte tardavano ad aprire. L’elegante e autoritaria signora, senza scomporsi, guardò la cameriera personale con i suoi occhi grigi, duri e severi e, con voce calma, ma decisa, le ingiunse:
– Valentine, andate alla ricerca del custode di questo palazzo e chiedetegli notizie sugli occupanti dell’appartamento. A quanto pare, le nuove mode della capitale impongono di fare attendere i visitatori sul vestibolo.
– Sì, Signora – rispose, quasi con mestizia, la cameriera, da molti anni abituata a ricevere ordini che non ammettevano repliche.
La signora assottigliò le labbra e gli occhi in segno di disappunto e tornò a guardare verso l’uscio.
Il portamento e le movenze di lei erano aristocratici e alteri e l’abbigliamento, adatto, per foggia e colore, a una donna non più giovane, era ricercato e impeccabile. Con gesti precisi e signorili, denotanti un’antica civetteria, negli anni evoluta in accanito autocompiacimento, la nobildonna sfiorò, in corrispondenza delle tempie, il copricapo a tricorno, adagiato sulle vestigia ingrigite di quella che, in passato, era stata una folta e lucente chioma castana e, subito dopo, si sistemò la veletta, comparsa nell’abbigliamento di lei da quando i segni del tempo avevano iniziato a oltraggiare una bellezza superba e fuori dal comune. A cinquantasei anni, l’opera devastatrice dell’età, sebbene non avesse raggiunto il suo apice, aveva già prodotto molteplici guasti, con grande fastidio della padrona di quei lineamenti, da sempre poco avvezza a non essere assecondata da chicchessia, fosse anche dal trascorrere degli anni.
Dall’interno, si udirono, finalmente, dei passi che si avvicinavano svelti e, subito dopo, un valletto in livrea aprì la porta, risparmiando a Valentine diverse rampe di scale.
– La Signora desidera? – chiese l’uomo, con voce nasale e sussiegosa.
– Fatemi parlare col Conte di Compiègne – rispose seccamente la donna, col tono sicuro di chi è da sempre abituato a dare ordini e ad essere obbedito, mentre passava di fianco all’uomo e si introduceva nell’appartamento, malgrado non fosse stata invitata a entrare.
– Ma Signoraaaa!!!! – protestò quello, con ritmo strascicato, mentre la cameriera, che era rimasta dietro la soglia, lo guardava avvilita, quasi a scusarsi, con aria vergognosa e senza proferire parola.
– Chi devo annunciare? – insistette il valletto, ma la signora, ormai, era giunta a metà dell’ampio ingresso e guardava sdegnata gli uomini e le donne addormentati scompostamente per terra, in evidente balia dei postumi di una sbornia notturna.
– Siete, per caso, sordo o tardo di comprendonio? – lo incalzò la donna, senza rispondere alla domanda – Chiamate immediatamente il Conte di Compiègne e mettete alla porta queste persone.
Avvisato dell’insolita irruzione da uno dei camerieri, il padrone di casa, che non era ubriaco come i suoi ospiti, sebbene fosse, al pari di essi, reduce da una notte di bagordi, uscì da una delle stanze e si immise, con passo sicuro ed espressione autoritaria e corrucciata, nel corridoio che conduceva all’ingresso, deciso più che mai a ristabilire il silenzio nella casa e a sbarazzarsi quanto prima di quella fastidiosa visitatrice. La raggiunse in pochi istanti e, quando la ebbe vista, la sicurezza e la baldanza abbandonarono immediatamente lo sguardo e il contegno di lui, per fare posto all’imbarazzo, alla sorpresa e a un evidente disagio.
– Finalmente, era ora! – sbottò la signora, togliendosi il copricapo e porgendolo, insieme allo spillone, alla cameriera che, nel frattempo, era entrata anche lei in casa e l’aveva raggiunta – Maxence, manda due valletti a prendere i miei bagagli e fai servire una limonata fresca a me e un caffè molto forte a te, che ne hai bisogno! E butta fuori di casa questi degenerati!
– Sì, Madame la Mère – rispose il Conte di Compiègne, con voce bassa e contegno smorzato – Come volete Voi.
 
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Oscar e André si trovavano al Petit Trianon, in visita alla Regina.
Maria Antonietta aveva superato la notte successiva al parto e, nei giorni seguenti, si era faticosamente ripresa. Ora, dopo un mese, era fuori pericolo, ma aveva delle emorragie quotidiane che la sfinivano e le lasciavano sul volto delle profonde occhiaie e un accentuato pallore. Camminava poco e sempre sorretta da qualcuno, perché zoppicava a causa di una flebite. Rosalie la accudiva amorevolmente mentre il Conte di Fersen le faceva visita tutti i giorni.
Madame de Girodel risiedeva anche lei al Petit Trianon, tenendo con sé la piccola Élisabeth Clotilde di cui Maria Antonietta era stata la madrina di battesimo. Rosalie, che si era portata dietro Bernadette, allattava entrambe le bambine. Una volta tornata la Sovrana alla reggia, Rosalie sarebbe rientrata a Palazzo Jarjayes e i coniugi Girodel avrebbero procurato alla neonata una nutrice definitiva.
I figli della Regina, da una decina di giorni a quella parte, andavano a trovarla con molta frequenza, insieme a Madame Élisabeth oppure accompagnati dalle governanti. La madre li accoglieva con l’amore che le traboccava dagli occhi e quelli, lontani dai protocolli di corte, si rifugiavano nelle braccia di lei, stupiti e addolorati di trovarla sofferente, da sana che l’avevano lasciata, senza conoscere le ragioni di quello stato e dei lunghi mesi di doloroso allontanamento in cui si erano sentiti abbandonati e soli.
La realtà di tutti i giorni, però, stazionava fuori della porta e bussava insistentemente per entrare.
Tre settimane prima, la Marchesa d’Amiens e la figlia, Mademoiselle Geneviève, erano giunte alla reggia, per rivolgere una supplica alla Reggente. Il Marchese d’Amiens era, infatti, morto in un duello cagionato da una lite furibonda fra lui e un amico, scoppiata per contendersi le attenzioni di una ballerina. I due nobili si erano uccisi a vicenda, poco più che ventenni e senza che nessuno avesse combinato qualcosa con la donna. Poiché il giovane era l’unico figlio maschio della Marchesa e del defunto marito e, siccome quest’ultimo aveva un solo fratello, l’anziano Monsignor Agénor d’Amiens, questi era diventato il nuovo Marchese. Dal momento che Monsignor Agénor, quale uomo di Chiesa, era celibe e senza figli e la Casa d’Amiens era sprovvista di altri componenti maschi, la Marchesa, munita di una pergamena recante il consenso scritto del cognato, era andata a impetrare che, per concessione regale, il primogenito della maggiore delle figlie di lei fosse dichiarato erede del prozio. La donna si era, quindi, recata a Versailles, portandosi dietro Geneviève, nell’estremo tentativo di maritarla, sperando che la nuova condizione di potenziale madre di un futuro Marchese avrebbe indotto qualche pretendente a passare sopra all’aspetto poco gradevole e all’età non più verde della sgraziata signorina.
Maria Antonietta aveva esaminato quella e altre faccende relative al Consiglio di Reggenza e, ora, Oscar e André, che continuavano a fare da tramite fra lei e il mondo esterno, erano venuti a ritirare le carte firmate.
La Regina li ricevette con la solita squisita ospitalità e fece servire loro spremuta di frutta e fragole provenienti dagli orti dell’Hameau de la Reine, un delizioso borgo rurale ricreato ad arte nel complesso del Petit Trianon. Si trattennero a discorrere un poco, in un salotto posto al primo piano, dato che la Reggente ancora non si avventurava per le scale.
Maria Antonietta sedeva su una comoda poltrona e Rosalie le stava al fianco, pronta a darle ciò di cui aveva bisogno. Sulla sedia di fronte, il Conte di Fersen conversava, avendo cura di dire soltanto cose piacevoli e guardando, alternativamente, la sposa e la figlia che riposava in una culla posta vicino a quella di Bernadette. Oscar, André, Madame de Jarjayes e Madame de Girodel avevano preso posto accanto a loro, contemplando, con commozione, lo spettacolo di quell’amore celato, in un mondo dominato dalla bieca falsità dai cortigiani.
 
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Seduta sul divano di broccato azzurro e oro, posto al centro del salone dell’appartamento parigino del Conte, Madame de Compiègne guardava il figlio, con aria ora severa, ora condiscendente.
Il rapporto fra loro era sempre stato molto stretto, perché lei, sin dal primo istante, aveva visto in lui una propaggine di sé e dell’argilla da plasmare mentre lui considerava lei alla stregua di una divinità e, come tale, la adorava e la temeva. Per il Conte di Compiègne, la madre era un essere superiore e perfetto e a lei parametrava tutte le altre persone. Conscia del potere che esercitava su di lui, la Contessa indirizzava e manovrava il figlio e da lui si aspettava totale venerazione e cieca obbedienza. Da lei, egli aveva ereditato moltissimo: l’aspetto fisico, l’intelligenza, il carisma, il fascino, la spigliatezza, il fare brillante, il senso di sé e la vanità. La Contessa di Compiègne possedeva tutte queste caratteristiche, ma ancora più accentuate e non azzoppate dalle intemperanze e da un certo tratto infantile che, invece, inficiavano il figlio. Retaggio di quello sciocco del padre, pensava, infastidita, la signora.
La nobildonna scrutò il figlio con i suoi occhi grigi, magnetici e penetranti e, con voce carezzevole e suadente, pose fine al suo monologo che si protraeva ormai da diversi minuti:
– Per tutte queste ragioni, Maxence, è arrivato il momento che tu prenda moglie – gli disse, tirandogli una stoccata.
– E’ quello che sto tentando di fare da tre anni, Madame la Mère e, cioè, da quando mi sono trasferito qui – rispose lui, con un tono così remissivo che, se uno dei conoscenti lo avesse udito, avrebbe stentato a credere alle sue orecchie.
– No, Maxence – ribatté lei con severità, ma senza abbandonare il tratto pacato – In questi tre anni, tu sei stato esclusivamente capace di inanellare insuccessi oltre che di farti cacciare dal palazzo di tuo zio, dove vivevi come un principe senza spendere una livrea!
– E’ facile giudicare dall’esterno, Madame la Mère....
– Non contraddirmi, Maxence! – lo rimproverò la madre, con voce fattasi improvvisamente dura – In questi tre anni, tu hai mirato eccessivamente in alto. Oscar François de Jarjayes e Victoire Aurélie de Saint Quentin sono troppo belle, ricche e ammirate per accontentarsi di un partito come te, senza un soldo e dalla reputazione compromessa. Hai sprecato il tuo tempo!
– Madame la Mère, non siate ingiusta! Con la scusa dei funerali del primogenito di mio zio, mi sono trasferito qui unicamente per cercare una ricca moglie….
– E anche per darti alla bella vita, come ho avuto modo di constatare al mio arrivo in questa dimora e soprattutto perché a Compiègne non potevi più rimanere, dopo avere sedotto e pubblicamente disonorato la moglie del tuo migliore amico – affondò la madre, con voce stizzita.
– Perdonatemi, Madame la Mère, sono pronto a rimediare….
– Dimostramelo con le azioni, Maxence e non con le vane parole – rispose la donna, con inflessione tornata carezzevole mentre i magnifici occhi rimanevano duri ed erano ancora fissi in quelli di lui.
– Cosa volete che faccia, Madame la Mère? RenderVi felice è il mio unico desiderio di figlio amorevole e devoto!
– Voglio che tu sposi Geneviève Anastasie d’Amiens – scandì la Contessa, assestandogli un fendente mortale.
– Oh, no, Madame la Mère! Voi non potete esigere da me una cosa così ripugnante!
– Esagerato! Al buio, tutti i gatti sono bigi e tutte le donne sono uguali!
– E’ zoppa!
– E’ folle d’amore per te.
– E’ brutta!
– E’ ricca. La dote di cui dispone e assai cospicua e, poiché il fratello è morto, la Regina le ha concesso, in qualità di maggiore fra le femmine, di trasmettere il Marchesato al suo figlio primogenito. E’ notizia fresca di poche ore.
– Ma….
– Tuo figlio sarà Marchese d’Amiens e Conte di Compiègne. E’ più di quanto tu possa ragionevolmente sperare, soprattutto da quando hai tentato di violare e di uccidere Mademoiselle de Saint Quentin, perdendo ogni residuo credito in società. I servitori mormorano e le voci sono arrivate pure a Compiègne, cosa credi? – concluse la Contessa, fissando il figlio che, all’udire quelle parole, affilate come una lama e dure come un diamante, era avvampato, nello stordente timore di perdere l’amore e la stima della genitrice.
– I miei peccati sono enormi, Madame la Mère, ma Voi non potete impormi di sposare una vecchia zitella di trent’anni!
– Con i tuoi trentacinque anni, Maxence, non sei certo un giovane virgulto! – sibilò la donna, con tono che non ammetteva repliche.
– Ma io sono un uomo e per me è diverso….
– Sciocchezze!
– Quella donna mi fa orrore, Madame la Mère…. La trovo del tutto repellente…. 
– Vedrai quanto ti farà orrore la povertà! Vedrai quanto ti farà orrore perdere i tuoi begli abiti e i tuoi ninnoli ed essere sfrattato da questo sontuoso appartamento! Vedrai quanto ti farà orrore impiegarti per sbarcare il lunario e andare sotto padrone! O vuoi che io finisca in mezzo a una strada?!
– Con lei non ci riesco, è più forte di me….
– Idiozie!
– Ci sono cose che, con tutto il rispetto, una Signora come Voi non può comprendere, Madame la Mère…. Io, con quel vomito della terra, proprio non ci riesco….
– Ti ho messo al mondo io, Maxence e vuoi che non capisca?! Sono sicura che troverai il modo per riuscire vittorioso nell’ardua impresa…. E, se proprio non dovessi reperire da solo il bandolo della matassa, sono certa che qualcuno saprà darti dei validi consigli…. Le conoscenze esperte in questa materia, in fin dei conti, non ti fanno difetto….
– Quel cerbero della madre è assolutamente contraria all’inclinazione della figlia verso di me… Non presterà mai il suo consenso…. Non mi cederà mai quel suo prezioso aborto….
– Théodora Gertrude d’Amiens…. mi è stata presentata alcuni anni fa…. una vera sciocca…. E’ proprio a questo punto che entro in scena io, Maxence…. Perché credi che sia venuta? Ho già pronto un piano….
 
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Da due poltroncine collocate in uno dei saloni di Palazzo Girodel, il padrone di casa e la Contessa di Compiègne si scrutavano l’un l’altra, sorvegliandosi a vicenda e tentando, ciascuno, di decifrare le intenzioni dell’altro, di anticiparne le mosse e di individuarne le simulazioni.
– Bene, Bérénice, avresti, ora, la compiacenza di farmi partecipe del vero motivo della tua visita? Dubito che tu abbia fatto tanta strada soltanto per conoscere “lo splendido giovanotto” e “la magnifica piccina”.
Il Conte de Girodel rispose allo sguardo imperscrutabile della sorella con il suo, disincantato e carico di sospetto. Aveva sempre disapprovato l’egocentrismo che l’aveva contraddistinta in gioventù e la vita scandalosa di cui si era macchiata in seguito senza contare che la cieca predilezione di cui il padre l’aveva sempre omaggiata gli aveva cagionato, da bambino, più di una sofferenza. Incontrare la sorella lo indisponeva, perché la considerava infida, egoista e portatrice di guai.
– Se sei venuta a perorare la causa di tuo figlio, sappi che perdi il tuo tempo. Lasciò questo palazzo due anni fa, all’improvviso e senza dare spiegazione alcuna e io non sono disposto a riaccoglierlo, soprattutto in considerazione dei recenti…. fatti che lo hanno visto protagonista.
– Oh, no, Grégoire, non temere! Maxence non vuole tornare… Si è sistemato bene e sai come sono i giovani…. così gelosi della loro indipendenza…. – rispose la Contessa, mascherando alla perfezione, dietro al suo atteggiamento mondano, il sentirsi punta sul vivo per le critiche rivolte a una persona che soltanto lei aveva il diritto di bistrattare.
Invidiava il fratello per la ricchezza che possedeva anche se non lo avrebbe mai ammesso con alcuno, tanto meno con se stessa. Un matrimonio insoddisfacente e da lei ritenuto inadeguato l’aveva incattivita. Mai avrebbe ipotizzato un epilogo così inglorioso per le sue aspirazioni giovanili e il susseguirsi dei giorni, dei mesi e degli anni nell’esilio della provincia aveva tramutato il desiderio di primeggiare in superbia, la smisurata vanità in ossessivo e cieco culto di sé, l’inclinazione ad accattivarsi le figure autorevoli in autentica attitudine manipolatoria e l’impazienza giovanile nell’opposta capacità di tendere trappole e di starsene acquattata per giorni, mesi o anni, finché non le avesse viste scattare. La permanenza fra quei semplici provinciali, che ella disprezzava, l’aveva annoiata, ma corroborata nella convinzione della propria superiorità.
– Vorrei chiederti soltanto un favore…. Questo inverno rigido e il ritorno della primavera hanno riacutizzato il mio affanno respiratorio…. I medici sono concordi nel ritenere che un soggiorno al lago non potrebbe che giovarmi…. Ti dispiacerebbe mettere a mia disposizione quel delizioso padiglione di caccia nella tua tenuta presso il lago di Saint Mandé? Si tratterebbe di poche settimane…. Non puoi negarmelo….
– E sia – rispose l’uomo, sospirando – Ma bada….
– Cosa?
Non terminò la frase, ma la guardò in modo eloquente, quasi minacciandola.
 
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– Davvero non ti capisco, Théodora! Perché vuoi negare a tua figlia l’unica possibilità di essere felice? – domandò la Marchesa d’Auteuil alla sorella, da diversi minuti intenta a tormentare il fazzoletto che stringeva tra le mani.
– E me la chiami felicità la vita con un uomo esecrabile, amorale e inviso a tutti quelli che lo conoscono? – rispose la Marchesa d’Amiens, resa ancora più gialla e tirata dalla rabbia che la stava divorando.
– Théodora, non intendo affatto sminuire tua figlia Geneviève, ma tu stessa l’hai sempre definita priva di attrattive e gravemente limitata, in società, dalla poliomielite che l’ha resa zoppa. Hai sempre detto che non ha la bellezza di Laure, l’intelligenza di Pélagie e la disinvoltura mondana di Alexandrine. Adesso, poi, con i suoi trent’anni, le possibilità che ha di sistemarsi si sono irrimediabilmente assottigliate….
– Dovrei, per questo, gettarla in pasto a un cacciatore di dote depravato che ha tentato di fare violenza a una gentildonna della mia città e finanche di ucciderla, dopo che gli si è rifiutata? Non sai cosa dicono i servitori…. – e soffocò, a stento, un ringhio di collera.
– I servitori, molto spesso, esagerano e le chiacchiere, una volta messe in giro, si amplificano. Può darsi che quell’uomo sia di natura imprudente e che abbia fatto dei passi falsi, ma che, una volta sposato, si stabilizzi. Tua figlia lo adora! Non l’ho mai sentita parlare con tanto trasporto di un gentiluomo! Lui non la ama, ma è povero e, come tale, non ha molta scelta. Basterà elargire loro quel tanto che basta per farli vivere dignitosamente, apponendo il vincolo dotale su tutto il patrimonio di lei, in modo che lui non possa sperperarlo…. E’ l’ultima possibilità di Geneviève…. Non negarle una felicità fittizia che è sempre meglio di niente…. La felicità vera arriverà in un secondo momento, con i figli….
– Tu non l’hai visto, Clarisse! Non la tratta con semplice indifferenza, ma con autentico disprezzo! Potrebbe anche mischiarle qualche grave e mortificante malattia! Geneviève resterà in famiglia e, visto che non ha giudizio, baderò io a lei finché avrò vita. In fin dei conti, ho soltanto quattordici anni più di lei e posso sperare di vivere ancora a lungo…. Il titolo di Marchese passerà al primogenito di Laure….
– Théodora, ti prego, smettila di tormentare quel fazzoletto che non ti ha fatto nulla di male…. – disse la Marchesa d’Auteuil, pentita di avere affrontato, per puro desiderio di rendersi utile, quell’argomento – Faccio servire un succo di mela rinfrescante....
 
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Geneviève d’Amiens camminava per un viale solitario dei boschetti di Versailles.
La madre e la zia si erano recate alla reggia per conferire con un funzionario amico di famiglia che le avrebbe aiutate in tutte le questioni burocratiche successive alla designazione del primo figlio maschio della maggiore delle sorelle d’Amiens quale erede di Monsignor Agénor e lei, non intendendosene di tutte quelle faccende, aveva preferito dedicarsi a una passeggiata solitaria. Né la madre né la zia ne avevano reclamato la presenza, considerandola, probabilmente, un impiccio e lei ne aveva approfittato per stare un poco da sola.
Non desiderando imbattersi negli altri cortigiani, aveva deliberatamente scelto un gruppo di viali che sapeva essere pressoché deserti a quell’ora del mattino. I nobili della corte, dopo il primo interessamento legato alla novità che ella rappresentava, avevano preso a ignorarla. L’aspetto insignificante che la contraddistingueva e il comportamento goffo, spesso sfociante nel ridicolo, che non riusciva a correggere e tantomeno a controllare ne facevano una persona assolutamente fuori posto alla reggia. In un mondo come quello di Versailles, dove la disinvoltura, la spigliatezza e un tratto piacevole e brillante contavano più di ogni altra cosa e dove i duelli si combattevano in punta di facezia e con l’arma dell’arguzia, lei non poteva suscitare alcun interesse, se non come oggetto di derisione o di ipocrita commiserazione. Ci sarebbe dovuta essere Alexandrine lì e non lei.
In quei giorni, era, oltretutto, di un umore particolarmente tetro e poco incline alla conversazione. Era lei la maggiore delle femmine e sarebbe dovuto essere il figlio di lei e non quello di Laure il successore di Monsignor Agénor. Laure era la più bella di tutte le sorelle d’Amiens e, quando ancora viveva in casa, la canzonava spesso a causa della goffaggine e della zoppia. Laure avrebbe stravinto, sarebbe diventata la madre del futuro Marchese d’Amiens e l’orgoglio della famiglia, scalzandola dalla posizione di figlia maggiore e conquistandosi, nelle riunioni familiari, un posto più importante a tavola. Lei sarebbe regredita fino a scomparire e sarebbe diventata la parente menomata e bruttina di cui tutti si vergognano o parlano con falsa compassione. Benché fosse la maggiore, era l’unica delle sorelle ad essere ancora nubile all’età di trent’anni e la madre gliene faceva costantemente una colpa.
Mentre si macerava la mente e il cuore, vide avvicinarsi il Conte di Compiègne, in compagnia di una signora di una certa età e il cuore le sussultò nel petto.
– Conte di Compiègne!! Io… Io… Non mi aspettavo di vederVi…. E’ una sorpresa così grande…. e piacevole…. incontrarVi qui…. perché io non mi aspettavo di vederVi…. e, invece, ora, Vi vedo…. ma non me lo aspettavo…. – e arrossì violentemente, non sapendo come dipanare la matassa verbale da lei stessa creata e gesticolando in modo eccessivo, goffo e sconclusionato.
– Contenete il Vostro entusiasmo, Mademoiselle…. Non torno certo dalla guerra e, frequentando gli stessi ambienti, è piuttosto facile incontrarsi – la gelò lui, con voce fredda e priva di qualsiasi trasporto.
– Suvvia, Maxence, non essere inurbano e provvedi alle presentazioni! – lo esortò la madre, con tono brillante, ma deciso.
– Mademoiselle d’Amiens, Vi presento mia madre, la Contessa Bérénice Eulalie de Compiègne. Madame la Mère, Vi presento Mademoiselle Geneviève Anastasie dei Marchesi d’Amiens.
– Oh!! Voi siete la madre, quindi…. cioè…. Il Conte di Compiègne è Vostro figlio….
– Così sembra! – sorrise la Signora, prendendola sotto braccio e mitigandone l’imbarazzo con un contegno semplice e familiare – E ora che ci conosciamo, facciamo un tratto di strada insieme!
Le due donne procedettero a braccetto per una ventina di minuti mentre il Conte di Compiègne camminava dietro di loro e piuttosto discosto. La prospettiva di sposare Geneviève d’Amiens lo disgustava, ma non trovava argomentazioni da contrapporre a quelle della madre. Prima ancora dell’assenza di argomentazioni, era la totale sudditanza psicologica nei confronti della genitrice a inibirlo. Sin da quando era nato, le era stato in tutto e per tutto soggetto, l’aveva venerata, presa a modello e temuta. Se la ricordava ancora giovane e bellissima, seduta nel boudoir, mentre le cameriere la abbigliavano, la truccavano, la acconciavano, la ingioiellavano, la profumavano e lei, sacerdotessa pagana del suo stesso culto, stava lì, altera e immobile, a farsi servire e cospargere di cipria e di profumi rari. Quando la vestizione era terminata, lo chiamava a sé, lo attraeva al suo seno bianco e generosamente esposto, profumato delle essenze più inebrianti e ricercate, gli dava un bacio sulla fronte e a fior di labbra, in modo da non guastarsi il trucco e, dopo avergli raccomandato di fare il bravo, lo consegnava alla bambinaia.
– Mademoiselle d’Amiens, mio fratello, il Conte de Girodel, ha generosamente messo a mia disposizione la sua tenuta sul lago di Saint Mandé, nel bosco di Vincennes, affinché io possa trovare un po’ di sollievo dal mio affanno respiratorio. Che ne dite di venirci a trovare, mio figlio e me, uno di questi giorni?
– Oh! Signora Contessa…. Io sarei lietissima di fare visita a Voi e al Vostro eccellentissimo figlio – mentre pronunciava queste ultime parole, arrossiva violentemente, balbettava e gesticolava all’inverosimile – Ma mia madre sarà sicuramente contraria….
– E Voi non glielo dite! Lei e Vostra zia sono sempre impegnate con funzionari e scartoffie, in questo periodo, lo avete detto Voi…. Nessuno se ne accorgerà se sparirete per una mezza giornata!
– Di questo, statene certa….
– Bene, allora è combinato! Fra due lunedì, sarete nostra gradita ospite! Maxence, non fare l’orso! Cosa fai tutto solo? Smettila di camminarci dietro e procedi al nostro fianco!
 
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Una mattina di fine maggio, Oscar e André sedevano nella nursery a godersi alcuni momenti di intimità familiare, prima di allontanarsi per attendere ai rispettivi compiti. Lei era in procinto di accompagnare Madame de Jarjayes al Petit Trianon, dove avrebbe consegnato alcune carte alla Regina e ne avrebbe ritirate altre da lei firmate. Subito dopo, si sarebbe recata nel proprio ufficio alla reggia. André, invece, sarebbe andato direttamente alla reggia dove Robespierre gli avrebbe illustrato alcuni progetti di riforma, uno più delirante dell’altro. André si prodigava nel tenerlo a bada, avendo cura, tuttavia, di non offenderlo o contrariarlo.
Honoré, a quattordici mesi, già muoveva i primi passi e caracollava incerto e ridente per la stanza, sotto gli occhi vigili e compiaciuti dei genitori. Antigone, che se ne stava in braccio al padre, invece, guardava il fratello sgambettando e, indicandolo con la manina, già gli impartiva degli ordini con gridolini acuti e gorgheggi. Honoré continuava a girare per la camera, disinteressandosi dei richiami della sorella e raccogliendo, di quando in quando e con grande invidia di lei, alcuni giocattoli sparsi per il pavimento.
– Ha appena cinque mesi e già impartisce ordini! – esclamò Oscar.
– Già, chi sa da chi ha preso! – le fece eco André.
Proprio in quel momento, entrò nella stanza Madame de Jarjayes, annunciando di essere pronta per uscire. Oscar si accomiatò dal marito e dai figli e la seguì.
Prese posto accanto alla madre, nell’abitacolo della carrozza mentre Jean le seguiva a cavallo, tirandosi dietro il destriero che Oscar avrebbe utilizzato per andare alla reggia.
– Madre – chiese Oscar mentre i movimenti ritmici del veicolo la facevano lievemente sobbalzare – Conoscete la Contessa di Compiègne? Ve lo chiedo perché André mi ha riferito che questa signora non fa che passeggiare e prendere il the con una donna nubile appartenente a una prestigiosa famiglia di Lille. La madre della signorina non sa molto sulla Contessa, ma, conoscendo la reputazione del Conte, è un po’ in ambasce e ha chiesto informazioni ad André.
Madame de Jarjayes strinse le labbra e aggrottò la fronte.
– Conosco bene la reputazione del Conte di Compiègne, Oscar e, purtroppo, devo dirti che quella della madre non è migliore. Bérénice Eulalie de Girodel era una delle bellezze della sua epoca. Anzi, era la fanciulla più bella, superando di gran lunga tutte le altre signorine da marito. Io la conoscevo superficialmente, perché, quando fece il suo ingresso in società, all’età di quindici anni, io ero già sposata e madre di tre figlie, ma la reputazione la precedeva. Era una ragazza tanto bella e intelligente quanto egocentrica e immodesta e questi difetti furono acuiti dalla totale assenza di disciplina. La madre, infatti, le era morta quando aveva due anni mentre il padre la adorava e le concedeva qualsiasi cosa, perdonandole tutto. Molti cortigiani, anche più anziani di lei, ne temevano i motteggi e le osservazioni pungenti mentre i giovanotti le cadevano ai piedi e lei poteva permettersi il lusso di scegliere chi blandire e chi disprezzare. Furono queste pecche, unite a un eccesso di sicurezza, a decretarne la rovina. A diciotto anni, iniziò una relazione con un giovane e ricco Duca, nella speranza di irretirlo nel matrimonio e di diventare Duchessa, migliorando, così, la propria posizione sociale. Quando la relazione divenne di pubblico dominio, scoppiò un grande scandalo, accresciuto dalla circostanza che si scoprì che il Duca, a diciassette anni, aveva sposato una cameriera, pentendosene quasi subito, ma non potendo fare alcunché, a parte tenere segreta l’unione. La reputazione della giovane fu, così, del tutto compromessa, ma il padre non ebbe cuore di chiudere in convento quella figlia adorata e tanto simile a lui e, per i tre anni successivi, mosse tutte le sue conoscenze per cercare di ottenere dalla Sacra Rota la dichiarazione di nullità di quel matrimonio. Pensa che chiese aiuto pure a tuo padre! Purtroppo per lui e per la figlia, però, non vi riuscì. Così, quando Mademoiselle de Girodel aveva ventun anni, il vecchio Conte, avendo superato i settanta e temendo di non avere molto tempo davanti a sé, la diede in sposa, con una ricchissima dote, al Conte di Compiègne, un uomo di sessant’anni, accomodante e tranquillo, ma anche molto noioso e di lignaggio e fortune inferiori a quelle della famiglia Girodel. Dopo il matrimonio, la giovane lasciò Versailles e Parigi alla volta della provincia.
– Immagino, Madre, che, per una persona così piena di sé, un simile ridimensionamento di condizione e di aspettative sia stato tremendo. Il carattere della Contessa deve essere alquanto peggiorato a seguito di questo rovescio di fortuna.
– Non lo so, Oscar, perché, da allora, non l’ho più incontrata e neppure prima eravamo intime. Come ti dicevo, lei era una ragazza da marito mentre io ero una donna sposata, con altri interessi e impegni e, oltretutto, tuo padre, come sai, non sopporta certi tipi di persone e non avrebbe gradito che io la frequentassi. Il fatto che sia arrivata qui – e sicuramente con uno scopo – però, mi lascia perplessa. Il nome di Bérénice Eulalie de Compiègne è sinonimo di guai.
 
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Si era fatta traghettare in barca per fare prima e, invece, aveva impiegato il doppio del tempo, pagando al barcaiolo una somma pari ad almeno una volta e mezzo di quanto gli sarebbe spettato. Era inciampata sulla corda d’ormeggio e aveva battuto la testa contro un remo, giungendo a terra con la parte inferiore dell’abito completamente inzuppata e alcune alghe impigliate nelle scarpe infradiciate, ma, ora, Geneviève d’Amiens si trovava di fronte al padiglione di caccia del Conte de Girodel, con il cuore in gola, l’agitazione che non le dava tregua e il rimpianto di non essere a casa sua, nel castello dei Marchesi d’Amiens.
Il Conte di Compiègne la vide e le andò incontro con incedere elegante ed espressione impassibile mentre la confusione di lei aumentava e la invadeva dalla testa ai piedi. D’un tratto, lui le rivolse la parola e lei ne udì la voce, lontana e rimbombante anche se proveniva da pochi passi di distanza da lei.
– Mia Madre Vi prega di scusarla, ma è rimasta nel mio appartamento parigino, sopraffatta da alcuni capogiri. Vi porge i suoi saluti e confida di incontrarVi al più presto.
– Oh! Io…. Mi dispiace che non stia bene…. Sapete, io….
– Vi faccio strada – la interruppe lui, conducendola verso l’interno.
La introdusse in alcuni ambienti di dimensioni notevolmente ridotte rispetto a quelle dei palazzi nobiliari, ma squisitamente arredati, luminosi e arieggiati. L’edera faceva capolino dalle finestre aperte e, fra una foglia e l’altra, spuntavano dei piccoli fiori fiammeggianti, arrampicati sulle pareti esterne, appartenenti a una pianta che era cresciuta intrecciata all’edera.
Geneviève si affacciò e, ammirando lo specchio lacustre lievemente increspato dalla brezza e, in alcuni punti, ricoperto di piante acquatiche e punteggiato di canne, esclamò:
– Si vede il lago!
– Siamo sul lago….
All’udire quella risposta, si sentì un po’ stupida e fuori luogo e, accorgendosi delle chiazze di acqua lasciate sull’impiantito dalle scarpette infradiciate, avvampò di rossore e guardò con insistenza la porta d’uscita. Egli, allora, per non fare andare in malora il piano e non dovere affrontare la collera materna, fece forza su se stesso e si prodigò nel mostrarle maggiore cortesia. Le fece visitare il padiglione e i giardini circostanti e lei non faceva che spalancare gli occhi e pronunciare frasi di stupore e di ammirazione, sincere quanto sconnesse. Erano completamente soli e nessun servitore si intravedeva. Lei continuava a parlare mentre lui le rispondeva perlopiù a monosillabi o con brevi frasi di circostanza, ma la folle adorazione per quell’uomo e il desiderio di trionfare su Laure la rendevano cieca e sorda a tutte le villanie.
– Oh! Che belli quei cigni! E, in lontananza, si notano anche alcuni stormi di anatre, di folaghe e di cormorani!  
Vedendo, però, l’espressione annoiata di lui, neppure il pensiero di Laure fu sufficiente a farla insistere. Si scusò, balbettando:
 – Conte, mi dispiace, siete senza servitori e senza Vostra madre…. Tornerò un altro giorno….
– Non siate assurda, siete la benvenuta. I servitori sono rimasti a prendersi cura di mia Madre, ma, nei giorni passati, hanno provveduto a tutto. Venite, Vi faccio assaggiare delle fragole di stagione.
Infatuazione e rivalità riebbero il sopravvento ed ella lo seguì obbediente, senza chiedersi perché, di oltre dieci servitori, nessuno avesse seguito il suo padrone, ma fossero rimasti tutti a occuparsi della Contessa.
La fece adagiare su alcuni cuscini di seta sparsi sul pavimento – l’angolo arabo l’aveva definito – e le accostò alle labbra una fragola che aveva preso da un piattino di porcellana.
– Assaggiate, sono fragole di stagione, provenienti dagli orti di mio zio – le disse, imboccandola.
Lei dischiuse le labbra, accogliendo sulla lingua la fragola, spinta all’interno, con movimento rapido, dai polpastrelli di lui. Egli ritrasse quasi subito le dita e prese un’altra fragola.
– Che strano sapore….
– Sono annaffiate di champagne, una vera delizia…. – e le porse una seconda fragola, una terza e, poi, una quarta.
– Non ho mai assaggiato uno champagne con questo sapore…. Forse, è meglio che torni a casa…. Non sta bene che io stia qui, sola con Voi….
Ma, intanto, mangiava avidamente le fragole e mandava giù alcuni sorsi di champagne da una coppa di cristallo che lui le aveva accostato velocemente alle labbra. La stanza, intorno a lei, cominciò a roteare e si trovò, in pochi istanti, riversa sui cuscini di seta.
 
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Gli zoccoli dei cavalli rimbombarono sulle sponde del lago di Saint Mandé, fermandosi davanti al padiglione di caccia della tenuta Girodel.
Mentre Oscar e André erano in visita al Petit Trianon, era arrivato di corsa Jean, recando la notizia che la Marchesa d’Amiens, alla reggia, aveva fatto irruzione nell’ufficio di André, denunciando il rapimento della figlia da parte del Conte di Compiègne. Non trovando Geneviève a casa della sorella, la Marchesa aveva messo sotto torchio la cameriera personale di lei, venendo, così, a conoscenza della verità.
Girodel, unitosi alla comitiva in conseguenza di una visita alla moglie e alla figlia adottiva, era scattato in piedi e, dopo essersi inchinato di fronte a Maria Antonietta, si era precipitato in giardino. Oscar e André gli erano corsi dietro, seguiti a ruota dal Conte di Fersen, esortato da Maria Antonietta. La Regina era, infatti, già da qualche giorno a conoscenza, per esserne stata informata da Oscar e da Madame de Jarjayes, delle mire della Contessa di Compiègne su Geneviève d’Amiens e riteneva che Fersen e André, in due, avrebbero trattenuto con più facilità Girodel, impedendogli di fare sciocchezze.
Scesi da cavallo, i quattro entrarono nel padiglione e vi trovarono il Conte di Compiègne in veste da camera e Geneviève d’Amiens semi addormentata e mezza discinta. Oscar si avvicinò alla donna e la coprì col suo mantello, ordinando a Jean di andare nel paese più vicino e di noleggiare una carrozza.
Appena vide il cugino che li guardava come se niente di grave fosse accaduto, Girodel strinse i pugni, spalancò gli occhi e urlò:
– Gran bastardo! Maledico non voi, ma me stesso per avere nelle vene il vostro sangue!
– Calmatevi, cugino – disse l’altro, con voce che si sforzò di fare apparire mesta – E’ me che dovete compatire…. Non avete idea della violenza che ho dovuto infliggere a me stesso per….
Non poté terminare la frase, perché Girodel gli si era avventato alla gola, colto dall’impulso di strangolarlo. Come un sol uomo, André e Fersen lo afferrarono per le braccia, separandolo, a fatica, dal Conte e impedendogli di fare una pazzia.
Oscar guardò, disgustata e inferocita, il Conte di Compiègne e, con voce gelida e dura, gli ingiunse:
– Vi ordino di rientrare immediatamente nel vostro appartamento di Parigi e di restarvi confinato fino a nuovo ordine! Vi avverto che, se farete parola con qualcuno dell’accaduto, io….
– Ma con chi dovrei farne parola, di grazia? – la interruppe lui – Dovrei vantarmi di essere stato con quello sgorbio?
Oscar fece uno scatto in avanti e atterrò il Conte con un pugno sul naso.
Nella casa della Marchesa d’Auteuil, il medico personale del Conte di Fersen, cui era stata raccomandata la massima discrezione, constatò la deflorazione di Geneviève d’Amiens.
 
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– Oh, Madre, la misura è colma! Quell’uomo ci ha svergognati tutti! Mia sorella ci ha svergognati tutti! La più brutta, la più sciocca, la più infantile di tutte noi è stata l’unica a dare scandalo!
– Laure, non ti permetto! Frena la lingua! Quell’uomo l’ha circuita, mettendo del laudano nello champagne e intingendoci le fragole! Tua sorella non ha colpa!
– Oh, no, Madre, proprio no! Non possiamo accogliere quel depravato in famiglia e, tanto meno, elargire il perdono a Geneviève! Denunciatelo alla Regina, così finirà i suoi giorni in fortezza! Lei, invece, chiudetela in convento, dove, col passare del tempo, farà dimenticare al mondo la sua esistenza e il nostro disonore!
– Laure, ti ho detto di tenere a freno la lingua!
– Tenetela a freno entrambe che, con la rabbia, non si ottiene nulla – supplicò la Marchesa d’Auteuil, desiderosa di fare da paciere.
– Signora Zia, Vi prego! – ringhiò Laure.
– La Signora Zia ha ragione – s’inserì Pélagie, l’intelligente della famiglia che, coi quattro figli maschi partoriti dalla sorella maggiore Laure, non aveva alcuna speranza di fare diventare Marchese il suo primogenito e che, di conseguenza, era del tutto indifferente al nubilato di Geneviève – Cerchiamo di mediare. Non è necessario chiudere in convento Geneviève. Mandiamola all’estero per qualche anno, dai nostri zii che vivono a Liegi. Quando le acque si saranno calmate, la faremo tornare a Lille, dove vivrà nascosta al mondo e, cioè, come ha sempre fatto. Sconsiglio di denunciare quell’uomo che, povero e intemperante com’è, non tarderà a rovinarsi con le sue stesse mani.
– Ha ragione Pélagie, Madre – intervenne Alexandrine, la più giovane delle sorelle – Posso parlare con tutte le mie conoscenze di Versailles, di Parigi e di Lille e mettere in giro una versione dei fatti edulcorata e a noi favorevole. Poi, si sa, il tempo è galantuomo….
– Ma non possiamo lasciarla nubile…. e se fosse incinta? Con lo scarso giudizio che ha, poi, potrebbe tentare di rimettersi in contatto con quell’uomo o farsi scappare qualcosa in società anche fra molti anni…. – mormorò la Marchesa d’Amiens, confusa da tante voci contrastanti.
– Per questo, suggerisco di chiuderla in convento! – sbottò Laure – E nessuno ne sentirà la mancanza, visto che è brutta, sciocca, ignorante e zoppa!
– Laure! – esclamò la Marchesa d’Auteuil.
– E, con lei in convento, tuo figlio diventerebbe, senz’altro, Marchese d’Amiens…. – mormorò, con amarezza, la madre – Mi sarei aspettata un maggiore amore fraterno fra voi, ma mi sbagliavo.
Laure ammutolì, conscia del fatto che le intemperanze verbali dettatele dall’ingordigia ne avevano sancito la sconfitta.
 
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Il matrimonio fra il Conte Maxence Florimond de Compiègne e Mademoiselle Geneviève Anastasie dei Marchesi d’Amiens venne organizzato in fretta e furia, in una chiesetta disadorna e fuori mano, sita nelle campagne parigine.
Mancava l’intera famiglia Girodel e si diceva che il Conte Grégoire Henri avesse maledetto la sorella e il nipote e avesse giurato che non li avrebbe mai più rivisti, dando disposizioni affinché, in futuro, non fossero ammessi alla veglia e ai funerali di lui. Mancavano anche le sorelle della sposa, richiamate a Lille da impegni urgenti e improrogabili.
Lo sposo aveva il volto di chi era condotto al patibolo e portava ancora i segni delle tumefazioni causate dal pugno di Oscar mentre la sposa appariva frastornata e confusa, incapace di comprendere a pieno la gravità del crimine di cui era stata vittima e, tutto sommato, felice di quello che le stava capitando.
La Marchesa d’Amiens assistette alla cerimonia con gli occhi rossi, sorretta e confortata dalla sorella.
La Contessa Bérénice Eulalie de Compiègne rimase, per tutto il tempo, seduta al suo posto, impettita e appagata, con gli occhi rapaci e trionfanti.








Chi vuole ripassare la figura di Geneviève d'Amiens può andare ai capitoli 22, 30, 31 e 39. Il Conte di Compiègne, invece, compare nel 12° capitolo e, poi, un po' ovunque. Importanti, per conoscerne le malefatte, sono i capitoli 29, 30 e 41.
   
 
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