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Autore: fedegelmi    18/07/2019    1 recensioni
Questa storia partecipa alla “Soulmate Challenge” indetta sul gruppo facebook “Il Giardino di Efp”
Ogni ferita inferta a uno compare anche sulla pelle dell'altro.
"Insomma, chi diavolo è che in otto mesi si ritrova per quindici volte con delle ferite di questo genere?"
Genere: Mistero, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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«Il mio informatore mi ha comunicato un nome. Il ragazzo in questione ha subìto diverse ferite negli ultimi otto mesi che coincidono perfettamente con le tue in tutto e per tutto».
«Vuoi dire sia il tipo di ferita, che il punto in cui è stato colpito, che il giorno in cui è successo? Tutto coincide? Per tutte le ferite?»
«Tutto coincide, ma non per tutte le ferite. Per alcune non è mai stato in ospedale o comunque non si è mai registrato, ma parliamo di quelle superficiali o facilmente curabili da soli in casa».
«Tipo i tagli sulle braccia».
«Sì, tipo i tagli sulle braccia».
«Quindi stiamo andando a casa sua?»
«Non proprio. Andiamo a trovarlo all’ospedale».
«Ma è un luogo pubblico, potrebbe essere rischioso».
«Non preoccuparti, ho nel baule cappellini e occhiali da sole in quantità. E comunque ormai si è fatto buio, nessuno ci noterà».
 
«Mettiti anche la felpa» mi ordina Fabio indicando il grosso indumento nero e passandomi un voluminoso paio di occhiali da sole da donna. «Ah, non guardarmi così» esclama alzando le mani. «Questi non sono miei, ma di mia madre».
Ridacchio indossandoli mentre, seduta sul baule, mi allungo per afferrare la felpa.
«Certo che sarà difficile passare inosservata visto quanto zoppico» sbuffo indicando la gamba nuda fasciata.
«Stai scherzando? Ci troviamo in un ospedale. Qui tutti zoppicano».
«Sarà. Andiamo» dico scendendo con un balzo dal baule atterrando sulla gamba sana.
Non appena dentro l’ospedale, abbasso il capo facendomi guidare da Fabio.
Da quanto sono diventata così famosa, i problemi che ho nel passeggiare per strada sono decisamente aumentati. Non posso fare nulla senza essere disturbata e, per quanto io possa essere grata ai miei fan, odio non poter passare totalmente inosservata.
«Davide Negroni?» chiede il mio agente alla receptionist.
Allora è questo il suo nome, penso.
Camminiamo lungo un largo corridoio per qualche metro prima di svoltare a sinistra.
Ricomincio a tremare come quando prima mi ero resa conto della nuova ferita. Sono finalmente arrivata al motivo della mia sofferenza assurda?
Mi ritrovo a chiedermi che aspetto abbia questo ragazzo, quanti anni abbia e cosa faccia nella vita.
Considerando il numero di ferite che subisce –subiamo- magari è uno spacciatore o qualcosa di simile. Insomma, chi diavolo è che in otto mesi si ritrova per quindici volte con delle ferite di questo genere?
«Mi hai trovato…» una voce profonda mi distoglie completamente dai miei pensieri costringendomi ad alzare lo sguardo.
Un ragazzo che avrà la mia età, sui venticinque anni, mi guarda sorreggendosi a delle stampelle malconce.
Il mio sguardo ricade subito sulla coscia destra, la quale è fasciata esattamente come la mia.
Non so cosa dire, ho la gola secca e penso di aver perso la capacità di parlare.
Fabio fa un passo in avanti in segno di difesa, continuando a sostenermi. «Sei Davide Negroni?»
«In persona».
«Vogliamo parlare in un luogo più appartato?»
«Sareste così gentili da accompagnarmi a casa mia? Lì potremo parlare senza avere nessuno attorno».
Mi viene istintivo dire di sì, spinta dalla curiosità, ma mi blocco tirando invece la manica della giacca di Fabio per attirare la sua attenzione.
«Possiamo fidarci del tuo informatore? Questo tizio potrebbe essere un fan pazzo che ha creato tutta questa situazione non so come, solo per rapirmi e rinchiudermi in casa sua» gli sussurro cercando di non farmi sentire.
«Mi sembra una teoria drastica, ma se può farti stare più tranquilla posso far venire con noi anche Raul e i suoi».
La mia squadra di scimmioni pronti a dare la vita per proteggermi.
«Sì. Staranno fuori dalla casa, ma il solo pensiero che ci siano anche loro mi tranquillizza».
«Bene, li chiamo» annuisce afferrando il cellulare. «Dammi il tuo indirizzo di casa» ordina, poi, a Davide.
Alzo per la prima vera volta lo sguardo verso di lui e, incrociando i suoi occhi con i miei, un brivido mi percorre la schiena.
 
Arrivati all’abitazione del misterioso ragazzo, Raul e gli altri sono già in posizione con due macchinoni a sbarrare qualsiasi via di fuga.
«Chi sono questi tizi?» si chiede confuso il proprietario di casa.
«Sono i miei uomini. Per precauzione, sai…».
«Addirittura! Ma chi sei, il presidente della Repubblica?» ridacchia dai sedili posteriori.
Nessuno gli risponde e scendiamo dall’auto non appena Fabio la ferma.
Davide si dirige a passo malfermo lungo il vialetto della sua villetta dopo aver aperto il cancellino, e apre la porta con qualche difficoltà sotto i nostri sguardi diffidenti.
Una volta dentro, la prima cosa che noto è l’ordine.
Cavoli, vorrei essere ordinata almeno la metà di quanto non lo sia lui.
Ci sono parecchi quadri appesi e tutti sembrano fatti da artisti amatoriali e non affermati. Mi incanto a fissarne uno che ritrae un ippopotamo.
«Benvenuti nella mia umile casa. Accomodatevi pure in sala mentre vado a prendere qualcosa da bere».
«Posso pensarci io» si offre Fabio dopo avermi aiutata a raggiungere il divano e sedermi. «Siediti pure anche tu, sarò di ritorno subito».
«Bene, nel frigorifero trovi un po’ di bevande, mentre i bicchieri sono dentro lo sportello sopra al fornetto. La cucina è là» conclude indicando una porta a scorrimento e accomodandosi tra i molteplici cuscini. Sospira prima di volgere la sua totale attenzione a me. «Hai intenzione di toglierti tutta quella roba di dosso oppure no? Mi piacerebbe guardarti».
Deglutisco in cerca di liquidi che evidentemente non ho nel mio corpo in questo momento.
Calo il cappuccio dalla testa per poi sfilarmi il cappello; esito un secondo prima di togliere anche i grossi occhiali.
«Oh…» sussurra lui non appena mi riconosce. «Devo dire che me lo aspettavo che fossi tu, ma ora capisco bene il motivo di tutti quei tizi là fuori. Temi che io sia un tuo fan che ti ha in qualche modo raggirata per rapirti e tenerti tutta per sé?»
Fabio torna finalmente in sala con bicchieri e bottiglie tra le braccia.
«È esattamente quello che ho pensato. Oltre a sapermi ferire a distanza, sai anche leggermi nella mente? Inquietante» anche solo la presenza del mio agente qui, mi rende più sicura.
«Mi piacerebbe avere poteri di questo tipo, ma io purtroppo non ne ho, sono esattamente come te. Beh, senza guardie del corpo e con molti meno soldi».
Lo osservo silenziosa, attendendo che inizi a parlare di cose serie. Per quanto sia affascinata da lui –per un motivo che non mi spiego- non voglio aspettare oltre, considerando che tra poco sarà notte fonda.
«Bene, parlando di cose serie» comincia versandosi del thè al limone nel bicchiere. «Sono sollevato che tu sia riuscita a trovarmi. Sai, quando circa due anni fa mi sono spezzato una gamba mentre ero comodamente sdraiato sul divano a guardarmi un film, proprio non riuscivo a spiegarmi come fosse stato possibile».
«Aspetta, due anni fa? Quando mi sono rotta una gamba sciando, me lo ricordo. Ma aspetta, quindi anche tu…?»
«Te l’ho detto, è stato completamente assurdo anche per me. Figurati poi quando ho sentito che in giro non si parlava d’altro che del tuo infortunio da star. Mi ricordo che pensai “che fortuna, mi sono rotto la gamba insieme a lei!”» ironizza gesticolando come una di quelle brutte imitazioni dello stereotipo dell’omosessuale.
«No, ma dico… anche tu subisci le ferite che subisco io? Cioè, come succede a me?»
«Pensavi fosse solo una cosa a senso unico?»
«Non avevo mai pensato al fatto che potesse accadere anche all’altra persona».
«Aah, il più grande difetto di voi star: siete egocentrici! Pensate che tutto succeda solo a voi» nonostante mi stia accusando indirettamente, non ha un tono astioso, anzi. Sembra più il classico nonno che affettuosamente ti fa notare qualcosa di sbagliato.
«Ma come è possibile che non mi sia mai accorta di nulla fino ad otto mesi fa?» mi ritrovo a chiedere forse più a me stessa che a lui.
«Io non ero mai stato in ospedale fino a quando non ci sei andata tu» commenta facendo spallucce. «Sono sempre stato sano come un pesce e non mi sono mai ferito, se non in modo superficiale. Infatti è grazie alla tua fama se ho cominciato a sospettare di avere un legame con te: quando le coincidenze sono cominciate ad essere troppe, ho iniziato a comprare tutte quelle stupide riviste di gossip» sospira indicando una pila di magazine in un portariviste di fianco al divano.
«Per questo prima mi hai detto che te lo aspettavi che fossi io?» chiedo sentendo di nuovo un brivido lungo la schiena.
«Sì. E sapendo che non avrei mai potuto avvicinarmi a te, ho deciso che forse saresti stata tu a cercarmi. Sono stati otto mesi molto pesanti, per me. Io che non avrei mai avuto il coraggio di ferirmi di proposito prima di ritrovarmi costretto a farlo. Sono sollevato che tu abbia pensato la stessa cosa che ho pensato io per tutti questi anni e che mi abbia trovato».
Sono senza parole, non so cosa dire e sento di aver bisogno di bere ancora.
Questa storia è assurda, stento a credere a ciò che sento e, se non avessi vissuto direttamente tutto ciò, non mi crederei.
Magari sono impazzita e tutto questo è solo frutto della mia mente malata.
Non potrò saperlo fino a quando non avrò visto veramente tutto.
«Fabio. Andresti a prendermi un coltello, per favore?»
   
 
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