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Autore: Gaiaww    18/07/2019    0 recensioni
"Chi sono io? Ciò che vedo allo specchio, ciò che penso o ciò che dicono?"
La storia di un ragazzo sospeso tra due costrutti opposti e la propria realtà, diversa da entrambi. A cosa lo porterà la volontà di chi, forse inconsciamente, ha determinato dal principio cosa avrebbe dovuto essere?
Matthew Lloyd, futura stella del pattinaggio su ghiaccio, è un ragazzo di sedici anni da sempre addestrato all'amore per la sua disciplina... ma cosa prova davvero? Nessuno si è mai posto questa domanda. Nessuno, tranne forse una persona...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash, Crack Pairing
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Non sapeva esattamente cosa avesse fatto. Arrivato ad un certo punto, le sue mani avevano preso il via, e da sole avevano completato il lavoro.

Matthew fissò soddisfatto la sua piccola agenda sulla quale appuntava i codici e le password che utilizzava per i vari account su internet, per la carta di credito e per l’armadietto della palestra, dove teneva con avida cura i suoi pattini bianchi; sarà stata l’abitudine, ma il sedicenne si sentiva davvero libero negli assoli o durante il riscaldamento, quando non doveva pensare ad altro che a se stesso.

Anche in quel momento lo stava facendo, stava calibrando il peso delle sue azioni considerandosi l’unica persona sulla quale avrebbero influito, ben sapendo che non fosse così.

Matthew fissava quello che avrebbe dovuto essere il suo nome, quello giusto, quello che corrispondeva a ciò che sentiva in quel momento. Lydia Lloyd. Quel suono, così soave, calzante, così mellifluo e opportuno: era quello il suo nome, e così avrebbe dovuto essere.

Si era sempre chiesto perché i genitori non avessero mai accettato a fondo il suo genere maschile, naturale, funzionale, non avevano mai capito perché avrebbero dato oro per far sì che Matthew fosse una ragazza. Dopo lunghe riflessioni se lo spiegava. In quel momento era arrivato alla conclusione che ciò che stava facendo fosse la cosa giusta per lui.

Avrebbe potuto sembrare una soluzione presa in fretta, o troppo ragionata perché potesse funzionare, ma Matthew non se ne preoccupava, perché era quella la migliore.

Matthew fissò ancora una volta quel quaderno, dove erano segnati i nomi e le password di tutti i suoi nuovi account, che sui social lo ritraevano come la dolce e delicata Lydia Lloyd. Sperava di trovare un rifugio da se stesso sulle grandi piattaforme che avevano colonizzato il web, di conoscere altre persone come lui, con la sua situazione, o semplicemente che capissero in parte o accettassero il suo modo di essere. Si sentiva libero.

Iniziò con il seguire il sito della scuola, trovando vari studenti online in quel momento. Matthew decise di esplorare dapprima la sezione di pattinaggio su ghiaccio- dove trovò anche i suoi compagni di corso, che decise prontamente di ignorare-, scorgendo tra le foto della pagina anche la sua immagine, decisamente troppo snella ed esile per essere a prima vista ricondotta a quella di un ragazzo. Sospirò soddisfatto, uscendo dal sito e aprendo la prima applicazione che trovò sulla schermata home del suo cellulare. Pubblicò una vecchia foto scattata nella sua stanza rosa prima dello spettacolo conclusivo del trimestre che si chiudeva con la pausa natalizia.

Passò poco tempo prima che il suo animo travagliato si abbandonasse ad un sonno disperato, leggero.

Per la prima volta da quando era nato, probabilmente, quella notte si sentì rilassato. Era come se le sue preoccupazioni, la sua angoscia, il suo costante disagio fossero svaniti con la dissoluzione della sua reale identità. Finalmente si sentiva in Pace con se stesso.

~

«Va bene ragazzi, ci vediamo martedì: lunedì non potremo allenarci poiché sarò impegnata fuori sede per una gara con gli studenti del nono anno; mi raccomando, niente sgarri e serietà.» La signorina Wickleman lasciò che gli studenti fossero liberi di tornare a casa, mancando ormai appena dieci minuti alle cinque. Matthew e Logan si diressero per primi verso gli spogliatoi, cercando di non correre per non far capire alla loro insegnante che non vedevano l’ora di andarsene dopo quella lezione particolarmente pesante. I due amici camminavano fianco a fianco, senza dire una parola. Quando arrivarono alle scalette che li introducevano agli spogliatoi il maggiore posò una mano sulla spalla del bruno, stringendogliela affettuosamente.

«Mi dispiace, Matt» mormorò, sorridendogli compassionevole.

«E di cosa?» chiese lui alzando le spalle.

«Della tua parte. Probabilmente anche quest’anno interpreterai un personaggio femminile secondario.»

Matthew abbozzò un sorriso e iniziò a scendere le scale, seguito dall’amico che lo fissava sconcertato. «Forse è giusto così» commentò quasi soddisfatto da se stesso, aprendo per primo la porta dello spogliatoio. Entrò nell’ambiente freddo perché privo di ogni sistema di riscaldamento; si sfilò la maglietta attillata dal bordo, rimanendo a petto nudo di fronte all’amico. In genere si vergognava del suo corpo, ma forse iniziava ad apprezzare l’esilità delle sue forme.

Matthew e Logan si cambiarono in silenzio, seguiti poi dagli altri quattro ragazzi che frequentavano con loro il corso. Logan restava comunque il più alto, ma a confronto con gli altri risultava più piccolo, forse perché più ingenuo, e inoltre la vicinanza con Matthew lo influenzava.

Il castano si cambiò velocemente e uscì dalla palestra senza aspettare Logan, che aveva un appuntamento con Valentina, la sua ragazza, e quindi era rimasto a farsi una doccia poiché non aveva tempo di tornare a casa.

Camminò rapidamente lungo i marciapiedi che affiancavano le vie di quel paese piccolo, ma intraprendente; ripescò le chiavi di casa dalla tasca anteriore del suo zaino ed aprì il cancello più piccolo, per non dare nell’occhio. Dopo aver intravisto sua madre in cucina, e sapendo che lo aspettava come tutti i giorni per salutarlo e mangiare qualcosa insieme dopo gli allenamenti, strisciò lungo il muro perimetrale dell’abitazione e giunse sul retro, agganciò lo zaino al moschettone che pendeva dal balcone della sua camera e, servendosi della scaletta sulla pianta di mimosa accanto al balconcino, si arrampicò fino alla porta finestra, come da piccolo amava fare; una volta dentro tirò su anche lo zaino, lo gettò sul letto e si chiuse nel bagno di sua madre, fornito di vasca, sali da bagno e prodotti e cosmetici dell’unica donna della famiglia che potesse possederne.

Mio padre sarà felice, pensava ingenuamente, sono quel che devo essere, adesso. Sono certo che Logan non apprezzerà, ma il giudizio dei miei vale mille volte di più.

~

Matthew uscì dalla vasca e si avvolse nell’enorme asciugamano candido; si asciugò tamponandosi il corpo e si infilò i vestiti, raccolse i capelli in un asciugamano più piccolo e lasciò che esso assorbisse la maggior parte dell’acqua. Poi preparò i trucchi: fondotinta, cipria e terre per la pelle, un semplice eyeliner nero e il mascara per gli occhi e una matita e un rossetto dai toni tenui per le labbra. Cercò su YouTube un tutorial per il make up e, presi i pennelli da un cassetto, iniziò a seguire passo passo ciò che la ragazza nel video indicava di fare.

 

Matthew si guardò allo specchio soddisfatto: le gote fini, gli zigomi chiari, erano ora tinti di rosa, in contrapposizione con il viso chiaro e appuntito. Le labbra sottili assumevano una tonalità più scura, quasi scarlatta, ma non risultavano eccessive. Aveva pettinato la folta chioma bruna in una mezza coda alta, arricciando lievemente le punte e fissando l’acconciatura con della lacca.

~

Matthew -ora Lydia- passeggiava per le vie del centro del suo paese su un paio di tacchi otto, mezza taglia più piccoli della sua, le gambe fasciate da un paio di jeans attillati e un maglioncino lungo che copriva il suo corpo lineare fin sotto i fianchi. Teneva sulla spalla una delle borse di sua madre, quella nera di stoffa e pelle con la tracolla intrecciata e le rifiniture di alluminio, all’interno i suoi risparmi di due mesi a quella parte e le chiavi di casa, per evitare ogni tipo di contatto con la famiglia, specialmente conciato in quel modo.

Per tutto il pomeriggio parlò poco, per non tradire il suo aspetto così esatto, visitò ogni negozio nel quale Logan non l’aveva fatto mai entrare e comprò due paia di reggiseni, tre canottiere con il pizzo, un paio di maglioni e dei fuseaux neri. Non ebbe abbastanza soldi per acquistare anche un paio di stivaletti della sua taglia, ma pensò che, nel peggiore dei casi, si sarebbe fatto andar bene le scarpe da tennis basse.

Tornò a casa in serata, con l’ultimo pullman che portava alla zona quasi rurale dove viveva. Il sole si intravedeva appena dalle grandi nubi nere, ma i suoi raggi rossi non bastavano ad illuminare il cielo, avvolto già nell’ombra. Matthew infilò le chiavi nella serratura bronzea del portone, disattivando l’allarme senza prima neanche controllare che i suoi genitori fossero in casa: era venerdì, e il venerdì i Lloyd si incontravano al paese con una coppia di loro amici per un’uscita a teatro. A Matthew piacevano le rappresentazioni teatrali, ma non era mai stato accompagnato dai genitori a vederne una, e poiché sapeva che per loro poteva rappresentare un problema la sua presenza, trascorreva di norma il fine settimana da solo.

Rintanatosi nella sua stanza, il ragazzo si fiondò sul suo letto dalle lenzuola lilla, si sfilò i tacchi alti e li lanciò sotto il letto. Poi, liberatosi dei vestiti, scelse un paio di boxer e una canottiera delle sue e li indossò, si struccò il viso e si sciolse i capelli, li pettinò un poco e li legò nuovamente, stavolta in una coda alta. Successivamente mandò un messaggio a Logan, che si trovava ancora per strada, dopo aver riaccompagnato la sua ragazza a casa. Gli chiese se fosse libero quella sera, perché la solitudine era l’ultima cosa che avrebbe desiderato in quel momento, e Logan era sempre disponibile per gli amici in difficoltà.

Logan era sempre la soluzione a tutto, per Matthew. L’amico accettò volentieri l’invito e rispose che si sarebbe trovato all’ingresso della villetta il prima possibile. Il bruno scese al piano terra, dove attese il maggiore sul divano, mentre controllava i nuovi account che aveva creato. Nonostante fosse più rischioso, il sito che visitava maggiormente era proprio quello della sua scuola, una piccola comunità sul web composta da ragazzi e ragazze come lui, tutti frequentanti la March Flower Professional School. In quel momento si ricordò della signorina Wickleman e della sua competizione con i ragazzi del nono anno. Aveva capito che sarebbe stata una coreografia di gruppo basata su un brano di musica classica e ideata dall’insegnante in esclusiva per loro, ma non era sicuro di ciò. Avrebbe voluto saperlo, forse per questo durante l’attesa di Logan si era messo a cercare informazioni al riguardo sul sito. Non ebbe il tempo di pensare ad un commento che qualcuno suonò al campanello.

Logan salutò Matthew e lo ringraziò per averlo invitato a passare la notte da lui, posò il suo zaino a terra e si buttò sul divano trascinandolo con sé. I due amici ordinarono una pizza da dividere, per festeggiare l’assenza dell’istruttrice di pattinaggio per l’allenamento seguente, presero una bottiglia di birra di suo padre dalla cantina e scelsero un film da vedere.

«Non so te, ma oggi sento aria di anni ’50». Matthew estrasse dalla pila di cofanetti nell’armadietto accanto alla televisione un disco datato, ma amato da entrambi.

«Grease?» domandò il più piccolo, e Logan annuì.

I due giovani trascorsero le successive due ore a ballare e cantare le canzoni di uno dei musical più celebri della storia, improvvisando anche delle coreografie di coppia. Bevevano un sorso di birra ciascuno e si dividevano le fette di pizza, poi tornavano a volteggiare per il salotto dei Lloyd.

I genitori di Matthew tornarono a un quarto a mezzanotte, soddisfatti della loro serata a teatro, diedero la buonanotte al figlio –e a Logan, poiché erano così abituati alla presenza del ragazzo che ormai sembravano non fare più caso a lui, e gli pareva normale che stesse quasi sempre in casa loro- e si chiusero nella propria stanza. I due amici si cambiarono e prepararono per andare a dormire, felici del fatto che non li avessero scoperti con gli alcolici. Avevano solo sedici anni, era illegale e altamente sconsigliato per gli atleti, ma i due credevano che mezzo litro di birra in due non portasse a conseguenze così gravi e che, per una volta, non sarebbe accaduto nulla.

I ragazzi si rifugiarono nella stanza rosa e iniziarono a spogliarsi e a prepararsi per andare a dormire. Matthew continuava a canticchiare Summer nights, il suo brano preferito dell’intero musical, mentre Logan, steso sul materassino ai piedi del letto dell’amico, lo guardava ridente.

«Sei felice?» domandò Logan quando l’altro finì di cantare e si lasciò cadere sul letto, esausto.

«Ora sì, ma non so quanto possa essere positivo.»

«Cosa intendi dire? La felicità non è un sentimento negativo.»

«Lo so, ma spesso ci si rende conto di essere felici quando si capisce che lo si è solo perché ci sono stati attimi davvero bui, oppure perché si ripensa ai momenti più belli della nostra vita di infelicità». Matthew sospirò afflitto, come se quella felicità fosse dovuta al secondo caso descritto.

«Quindi sei infelice ora?»

«Se così si può dire» spiegò il minore, «sono infelice per una cosa che dovrebbe farmi sentire bene, ma che invece mi fa solo sentire più adeguato, non a mio agio con me stesso. Posso dire di essere felice per ciò che d’ora in avanti mi aspetterò dagli altri, ma il senso di colpa che provo ora compensa e mi fa star male.»

«Mi dispiace che tu ti senta così. Non so cosa è successo, ma se non vuoi parlarmene non tenterò di scoprirlo. Sappi solo che per te ci sono, Matt. Ci sarò sempre, anche quando sembrerà il contrario, capito?»

L’amico annuì, sbadigliò e si infilò sotto le coperte. «Grazie Logan, buonanotte.»

«Buonanotte» rispose il maggiore, poi si sdraio e si addormentò.

   
 
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