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Autore: Nana_13    19/07/2019    1 recensioni
"...Fa male. Un dolore lancinante mi attraversa tutto il corpo e mi sento quasi morire. Però devo resistere. Non posso permettere che lui mi scopra. Non ancora almeno. Devo dare il tempo agli altri di fuggire o il mio sacrificio non sarà servito a niente…"
Come promesso ecco il secondo capitolo della saga Bloody Castle. Claire, Juliet e Rachel hanno dovuto affrontare di tutto per salvarsi la vita. Una vita che ormai, è evidente, non è più quella di tre semplici liceali. Riusciranno a cavarsela anche questa volta? Non dovete fare altro che leggere per scoprirlo ;)
Genere: Angst, Romantico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 11 - 
Mia carissima Claire


Era da poco passato mezzogiorno a Siviglia. Una giornata come tante, di comune vita cittadina, se non fosse stato che di comune non aveva nulla. Quella che fino a qualche ora prima era una ridente città spagnola, con i suoi colori, la sua luce e le sue architetture svettanti, adesso era ridotta a un unico, grande campo di battaglia. Lungo le strade c’era ancora chi combatteva, cercando strenuamente di difendere la posizione e portare in salvo qualche abitante, ma ormai era chiaro a tutti che la città era persa.
L’orda di vampiri aveva colpito nella notte, seminando il caos e sottomettendo gli abitanti, la maggior parte dei quali era già morta o fatta prigioniera. A nulla era servito l’intervento dei cacciatori, tardivo e poco efficace a parità di numeri.

Dal suo punto d’osservazione privilegiato sulla torre campanaria della Giralda, al riparo dalla poco amata luce del sole, Nickolaij posava lo sguardo sulla città, ormai ai suoi piedi. Le atmosfere dell’Andalusia lo avevano sempre affascinato ed era da tempo che progettava di assoggettarne la capitale. Un altro passo verso il compimento del suo destino. Presto il nome dei Draculesti si sarebbe impresso nella mente di ogni uomo, donna e bambino. L’era degli esseri umani stava tramontando, quella dei vampiri sorgeva.
Ora che finalmente Siviglia era in mano sua, però, avvertiva il solito senso di insoddisfazione, consapevole che nessuna delle sue conquiste avrebbe potuto compensare la perdita più importante. Con un gesto secco stappò la boccetta di vetro che portava sempre con sé e mandò giù tutto d’un fiato il suo contenuto. Il sapore era come sempre sgradevole, ma, come sempre, il suo corpo ne trasse beneficio e lui si sentì rinvigorito.
Rapito com’era da quei pensieri, prestò a malapena attenzione a ciò che gli diceva uno dei suoi, appena arrivato dalla piazza.

“Mio Signore.” Il vampiro s’inginocchiò al suo cospetto, nonostante gli desse ancora le spalle. “I cacciatori sono stati sopraffatti. La città è nostra.”

L’annuncio non lo toccò minimamente. Perché stupirsi di una cosa che già sapeva? Piuttosto, era altro che voleva sentirsi dire. Distolto lo sguardo dalla città, si voltò per potergli parlare direttamente. “Perdite?” chiese in tono piatto.

Non appena avvertì il suo sguardo su di lui, il vampiro abbassò gli occhi sul pavimento. “Minime da parte nostra. I cacciatori invece…”

Nickolaij vide un ghigno soddisfatto dipingersi su quel volto spigoloso, ma non ne fu compiaciuto. Anzi. “Le vite perse di quella feccia, anche se numerose, non valgono nulla in confronto a quelle dei nostri compagni. Manda qualcuno a raccogliere i loro corpi, voglio che tornino a casa con tutti gli onori.” dispose.

Il vampiro annuì, restando in attesa di altri ordini. Non l’aveva ancora congedato, perché restava da occuparsi dei superstiti tra le fila dei cacciatori. Quei selvaggi sfrontati andavano rimessi al loro posto.

“Mio Signore!”

Entrambi si voltarono, richiamati dalla voce di un altro vampiro, seguito subito dopo da due compagni che trascinavano per le braccia un prigioniero, di cui non fu difficile indovinare la provenienza per via del suo abbigliamento e dal colore della pelle. Tentava ancora di divincolarsi dalla loro presa, anche se invano. Ormai era troppo provato dalla battaglia e i vampiri troppo forti.

“Abbiamo il loro leader. Si nascondeva come un topo in una fogna.” lo schernì ghignante, buttandolo ai piedi di Nickolaij.

Il suo sguardo imperioso si posò su quella figura indifesa, che gli provocava più disgusto del pensiero di un plenilunio senza sangue. I cacciatori rimanevano l’unico ostacolo a frapporsi tra lui e il dominio totale, dunque l’odio che nutriva verso di loro era aumentato nel corso degli anni e non avrebbe potuto che aumentare ancora.
Inaspettatamente il guerriero non mostrò né paura né sottomissione, ma sollevò lo sguardo per incontrare il suo, affrontandolo con coraggio. Per un attimo si studiarono e basta; poi il prigioniero mormorò qualcosa in arabo, probabilmente un insulto, e sputò a terra.
La punizione fu immediata, senza che Nickolaij facesse o dicesse niente. Il vampiro che guidava gli altri due sferrò al prigioniero un colpo micidiale, tanto forte da mandarlo a sbattere con la faccia per terra.

Quando diede ordine di tirarlo su, aveva il naso grondante sangue e la parte destra del volto tumefatta, ma Nickolaij non mostrò il minimo segno di compassione. Senza scomporsi, si avvicinò all’uomo, mentre i suoi lo tenevano fermo, e si chinò verso di lui, sfilandosi gli occhiali da sole per poterlo osservare meglio. L’odore del sangue lo raggiunse subito, ma la sola idea di nutrirsene gli dava ribrezzo e non ebbe alcun tipo di reazione.

“Costui non è nessuno.” constatò, dopo averlo guardato negli occhi per qualche istante. Aveva paura. Anche se fingeva di non averne, lui poteva sentirla. “Forse era a capo di questa spedizione, ma non è il leader della tribù.”

Sentendosi sotto accusa, il vampiro iniziò a blaterare nervosamente giustificazioni che non gli interessavano, finché con un semplice gesto non gli impose di tacere. Quel misero essere umano non era di nessuna utilità e tenerlo in vita rappresentava solo uno spreco di spazio, così era rimasta una sola cosa da fare. Dopo avergli rivolto un’ultima occhiata di disprezzo, con un movimento fulmineo la sua mano penetrò nel petto del guerriero, strappandogli via il cuore prima ancora che potesse rendersi conto di quello che stava accadendo.
Fu talmente rapido e improvviso da cogliere tutti di sorpresa. Per qualche secondo i vampiri rimasero paralizzati, mentre guardavano gli ultimi spasmi cogliere il corpo dell’uomo, che subito dopo si accasciò a terra inerte.

Restando impassibile, Nickolaij gettò il cuore in un angolo, per poi pulirsi sulla camicia del vampiro di fianco a sé. “Riservate agli altri lo stesso trattamento. Niente prigionieri. Questi animali non sono degni di entrare a far parte della mia Congrega.” Prima di dirigersi all’uscita, diede loro un ultimo ordine. “E radunate gli umani catturati. C’è una nuova casa che li aspetta.”
 
-o-
 

Era una splendida giornata di primavera, come se ne vedevano poche in Valacchia, e faceva anche stranamente caldo. I giardini iniziavano a coprirsi di fiori, mossi di tanto in tanto da una leggera brezza.

Cordelia chiuse gli occhi, lasciando che quel vento piacevole le accarezzasse il viso. Poco importava che avrebbe potuto scomporle l’acconciatura. Si sentiva troppo bene quella mattina per badare all’estetica.
Aveva convinto le sorelle a unirsi a lei per una passeggiata, visto che Margaret sarebbe partita da lì a poche ore.
“Quanto starai via questa volta?” le chiese, senza nascondere una punta di delusione. Aveva sperato che restasse almeno per l’arrivo del suo futuro cognato dall’Austria, oltre che per darle sostegno e infonderle coraggio in vista del matrimonio.

“Non so dirtelo con certezza.” rispose Margaret pacata. “Ciò a cui sto lavorando richiederà tempo e dedizione. Più del solito, a quanto sembra.”

Elizabeth storse il naso e sbuffò, come sempre annoiata da tutto quello che la sorella maggiore diceva o faceva. “Sai che novità.” borbottò, lasciando che soltanto Cordelia la sentisse. O almeno così credeva.

Margaret, infatti, fece finta di niente e continuò a passeggiare accanto a loro. “È vitale che io porti a termine la mia ricerca.”

A quel punto, Cordelia avvertì un moto di tristezza e si fermò, prendendole la mano. “Ogni volta che vai via sento un vuoto nel cuore, sorella. Vivo con la paura che possa accaderti qualcosa e che tu non faccia più ritorno.”

Rivolgendole uno sguardo amorevole, lei le strinse la mano. “Non devi temere per me. Io vi sono sempre accanto, anche da lontano. Le collane che vi ho donato sono come parte di noi e finché brilleranno ognuna saprà che l’altra sta bene.”

Cordelia ricambiò il sorriso, sentendosi quasi sul punto di piangere. L’amore che provava per le sorelle era immenso, impossibile da calcolare, ma il suo rapporto con Margaret era paragonabile a quello che si ha con una madre.

Con la solita aria scettica, Elizabeth prese tra le dita il ciondolo di zaffiro che aveva al collo. “Hai fatto una delle tue magie, non è vero?”

In risposta, Margaret spostò lo sguardo sulla sorella minore. “Diciamo che ho trovato un modo per rafforzare il nostro legame.” spiegò, mentre le sue labbra si piegavano in un ghigno leggero.
Di lì a poco, però, la sua soddisfazione lasciò il posto a un’espressione seria, accorgendosi di una figura che avanzava alle spalle della sorella.

“Cugine!” le chiamò, spingendo Elizabeth a voltarsi.

Cordelia riuscì a sentire Margaret sospirare di disappunto, prima di rivolgere un sorriso forzato al parente che meno gradiva. “Byron. Cosa ti porta qui?”

“Ho saputo della tua partenza imminente e volevo porgerti i miei saluti.” rispose, con il solito tono mellifluo. Sebbene si ostinasse a mascherare la sua pusillanimità con vestiti sontuosi e sgargianti, restava comunque il ramo più deludente della famiglia. Pur essendo figlio di sua sorella, perfino il Principe loro zio sosteneva che probabilmente Byron non avrebbe combinato molto nella vita. Non aveva alcun talento particolare, tantomeno prestanza fisica o valore in battaglia.
Nonostante ciò, i suoi modi di fare avevano sempre infuso un senso di inquietudine in Cordelia.

“La voce si è già diffusa vedo.” commentò Margaret, restando impassibile e altera come sempre in sua presenza.

“Come ben sai, cugina, nel castello è assai difficile mantenere un segreto. Ai nobili piacciono le chiacchiere, li distraggono dal dolce far nulla.”

-Come se tu non fossi uno di loro- pensò Cordelia annoiata; poi gli concesse un sorriso di cortesia, provvedendo a interrompere la conversazione sul nascere. “È stato un piacere vederti Byron. Ora perdonaci, ma vorremmo approfittare del poco tempo con nostra sorella prima che parta.” disse con il solito garbo, porgendo la mano in un gesto automatico.

Se pure si fosse risentito di quel rapido congedo, Byron non lo diede a vedere, chinandosi subito per baciarla. Alzato lo sguardo, i loro occhi si incontrarono e Cordelia provò una strana sensazione, quasi di paura.

In quel preciso istante, l’ambiente intorno divenne più scuro, come se il sole avesse abbandonato improvvisamente il giardino, sostituito dalle tenebre. Il cielo prese a vorticare, finché le sue sorelle non svanirono e lei si ritrovò da sola, faccia a faccia con Byron.
Il cugino le teneva ancora la mano, fissandola con un’espressione carica d’odio; poi, prima che potesse rendersene conto, la strattonò a sé, infilzandola dritta al cuore…
 
Seduta sulla sua branda nella camera immersa nel buio, ancora ansante e con la mano sul petto, Cordelia fissava il vuoto davanti a sé. Quell’incubo le aveva appena rischiarato le idee, riportandole alla mente quello che era successo secoli prima. Era stato suo cugino Byron, il suo stesso sangue, a colpirla a morte.

Dopo essersi accertata di stare bene, si voltò da una parte all’altra in cerca di Rachel, che dormiva profondamente a poca distanza da lei. Cercando di metterla a fuoco, Cordelia scese dalla branda, le gambe ancora tremanti per lo spavento, e la raggiunse.
Il ciondolo di rubino che portava al collo si alzava e si abbassava in sincrono col suo petto. Di colpo le balenò nella mente la voce di Margaret, così come altri dettagli del sogno, e provò l’impulso irrefrenabile di toccare la collana.
Come guidata dall’istinto, la sua mano si allungò verso Rachel e, non appena le dita entrarono in contatto con la pietra, una scarica elettrica pervase il suo corpo, mentre un bagliore rosso inondava la stanza. Spaventata, Cordelia ritrasse la mano e il bagliore scomparve, anche se la pietra continuò a brillare di una luce più fioca.

“Oh, cielo…” mormorò esterrefatta, portandosi la mano al petto. Senza stare a pensarci ancora, decise subito di svegliarla. “Rachel! Rachel!” la chiamò, scuotendola per una spalla.

Lei mugolò qualcosa di incomprensibile, rigirandosi nella branda. Cordelia però continuava a darle il tormento, così alla fine fu costretta a svegliarsi.
“Che c’è?” chiese infastidita, tirandosi su a sedere. “Che diavolo ti prende?”

“Ho avuto un incubo.”

Rachel era talmente incredula da non riuscire nemmeno ad arrabbiarsi. E l’aveva svegliata per un incubo? Cosa aveva, cinque anni? “Torna a dormire, vedrai che ti passa…” le disse, facendo per rimettersi giù.

Cordelia però glielo impedì. “No, tu non capisci! Guarda la tua collana!” insistette, sempre più agitata, indicando l’oggetto che non smetteva di brillare.

Fu allora che Rachel se ne accorse. Senza riuscire a crederci, si stropicciò gli occhi e a tastoni cercò di recuperare gli occhiali per esserne più sicura. Inforcate le lenti, però, ebbe la conferma che non si trattava di uno scherzo della miopia. La pietra rossa della sua collana stava brillando, ma non come faceva di solito riflettendo la luce, anche perché lì dentro di luce non ce n’era. Sembrava più come se il bagliore venisse da dentro, dall’interno della pietra stessa.

Dopo essere rimasta impalata a fissarla per un po’, allungò il braccio e, molto poco gentilmente, prese a scuotere Mark, che dormiva della grossa accanto a lei.

Il ragazzo si svegliò di soprassalto. “No!” esclamò, riemergendo a sua volta da un incubo. “Non sono stato io, lo giuro…”

Le sue grida svegliarono anche Claire, che si mise a sedere di scatto. “Volete piantarla? Sto cercando di dormire!” Poi si accorse anche lei dello strano fenomeno e rimase a fissare la collana con aria spaesata.

A quel punto Rachel si rivolse a Cordelia. “Che significa tutto questo? È assurdo, com’è possibile che…”

“No, non è assurdo.” ribatté lei, cercando di mantenere la calma. “Stavo per dirtelo prima. Ho fatto un sogno…Anzi, a ben pensarci è probabile che fosse più un ricordo…”

“Cordelia…” mormorò Rachel a denti stretti.

“Giusto, scusami. Sto divagando.” si riscosse. “Nel sogno ero con le mie sorelle. Margaret ci stava spiegando come le collane che ci aveva donato fossero in qualche modo legate alle nostre stesse esistenze. Ora lo ricordo bene. Disse che fin quando avessero brillato, noi saremmo rimaste al sicuro.”

“Scusa, ma non riesco a trovare il nesso.” fece Mark, ancora poco lucido.

Cordelia sospirò frustrata. “Eppure è così semplice. Questa è la collana di mia sorella e sta brillando.” concluse, indicando Rachel.

Fu Claire ad arrivarci per prima. “Quindi Margaret…”

“Esatto! È ancora viva.”

Un silenzio tombale seguì quella rivelazione, all’apparenza tanto assurda, finché Rachel non si riscosse. “Ma che stai dicendo? Questa collana apparteneva a mia nonna, me l’ha regalata prima di morire. È nella mia famiglia da…praticamente da sempre. Come può essere legata a tua sorella?”

“Ecco, lo hai appena detto.” la interruppe Cordelia in tono trionfante. “Viene tramandata nella tua famiglia da generazioni, è fatta di un ottimo materiale e non si è mai rovinata in tutti questi anni.”

Rachel boccheggiò, ancora incredula. “Sì, ma…”

“Non so di preciso come sia giunta fino a te, ma di una cosa sono sicura. Quella è la collana di Meg.”

Mark però provvide subito a frenare il suo entusiasmo. “Aspetta un attimo. Io non l’ho mai vista brillare così, perché avrebbe cominciato proprio ora?”

“Perché l’ho toccata.” rispose lei, sicura di sé. “È l’ennesima prova che si tratta proprio della sua collana. Forse il legame che unisce me e mia sorella ha riattivato la magia. Non saprei…Non mi intendo affatto di queste cose, era Margaret la strega.”

Strega. Quella parola risuonò nella mente di Rachel senza che riuscisse ad attribuirle un significato razionale. Perché continuavano a bombardarla con magie, incantesimi con le rune, creature mitologiche, nonostante fosse da sempre convinta che tutto questo appartenesse alla fantasia? In un gesto istintivo, prese il ciondolo di sua nonna e lo rigirò tra le dita, studiandolo da vicino. Aveva sempre avvertito un forte legame con quell’oggetto. Era un ricordo, le dava conforto nei momenti difficili. Una delle poche cose che la teneva ancorata alla realtà. E ora se ne sentiva come tradita.

Tentando di raccogliere le idee, sospirò rassegnata. “D’accordo, facciamo conto che sia come dici tu. Che questa sia la collana di Margaret e che lei sia ancora viva. E con questo?”

Cordelia scosse la testa con aria sconsolata. “Potrebbe essere un suo piano per distruggere Nickolaij. Ha fatto in modo che la collana arrivasse fino a te perché vuole essere trovata. Vuole che la aiutiate.”

-Aiutarla in che modo?- si chiese Rachel, sempre più esausta. Cosa potevano loro contro quel mostro e il suo esercito di vampiri? Non avevano speranze. E poi perché proprio loro? Avrebbe potuto rivolgersi alla tribù, organizzare un attacco…Era tutto talmente assurdo che si stupì addirittura di averlo pensato.
 
“Un momento.” esordì Claire a quel punto. “Quando sognai la morte di Elizabeth, ricordo che lei disse a Nickolaij che lo avrebbe ucciso per vendicare le sue sorelle. Quindi Margaret era già morta da un pezzo…”

“No, non può essere.” Cordelia scosse la testa decisa. “Deve averlo ingannato. Meg era una strega potente, deve aver trovato un modo per sopravvivere. La collana non mente.” sentenziò risoluta.

Rachel, come gli altri, rimase in silenzio, non sapendo bene cosa dire. Era la prima volta che la vedeva così sicura di sé e non aveva altri argomenti per ribattere. In quel momento nella sua testa regnava la confusione più totale.

Per fortuna, ci pensò Mark a riportare un po’ d’ordine. “Sentite, che ne pensate di tornare a ragionarci domattina? Avremo tutti la mente più lucida e riusciremo a venirne a capo.”

In effetti, quella sembrò a tutte la soluzione migliore, così ognuno tornò nella propria branda, cercando di godersi quelle ultime ore di sonno a disposizione.

Rachel si sdraiò di nuovo, senza smettere di stringere la collana e accoccolandosi di fianco a Mark, che sentiva già riaddormentarsi. Per quanto la riguardava, invece, era consapevole che non sarebbe stato altrettanto semplice.

Ne ebbe la conferma il mattino seguente, quando riusciva a malapena a tenere gli occhi aperti. Si sentiva uno zombie. Per fortuna, quel giorno non avevano gli allenamenti.
Seminascosta dietro la tenda che separava il cucinino dalla stanza principale, prese dell’acqua dal secchio grande dove Laurenne teneva la riserva e la travasò in uno più piccolo, che poi utilizzò come lavabo per sciacquare le stoviglie della colazione. I primi tempi non era stato facile abituarsi all’assenza di acqua corrente ed energia elettrica, ma ormai era quasi del tutto normale. In fondo, poteva vantare già un po’ di esperienza dalle settimane di campeggio.
Aveva la mente così annebbiata che si accorse della presenza di Mark solo quando sentì la sua mano sfiorarle il braccio. Colta di sorpresa, trasalì leggermente, ma lui non sembrò accorgersene.

“Ti serve aiuto?” le chiese premuroso.

Rachel scosse la testa, accennando un sorriso. “No, ho quasi finito.”

Senza insistere, Mark appoggiò la schiena al bancone dove di solito cucinavano. “Hai l’aria stanca.” osservò. “Immagino che la storia della collana non ti abbia fatto dormire.”

Lei annuì, mentre asciugava una delle tazze con un panno.

“Non preoccuparti. Di sicuro ci sarà una spiegazione.”

Il suo ottimismo era come sempre da apprezzare, ma Rachel non ne era così convinta. L’unica cosa certa in tutta quella storia era il loro legame con le sorelle Danesti, che andava rafforzandosi sempre di più. Sembrava che tutto girasse intorno alla storia del loro passato, ma il motivo continuava ad esserle completamente oscuro. Non vedeva l’ora di poterne parlare con Dean, ammesso che Jamaal lo avesse fatto uscire da quella specie di prigione.

Il giorno prima lei e Mark avevano provato ad andare da lui per chiedergli ancora una volta di liberarlo, ma era stato loro risposto che era partito, in missione. Proprio il momento ideale. Intanto erano trascorsi due giorni e Dean era ancora là dentro, anche se per fortuna Laurenne gli aveva portato un intruglio miracoloso per tirarlo un po’ su. Una ricetta di sua ideazione, a sentire lei. Non era certa che fosse efficace, ma Rachel l’aveva comunque ringraziata, se non altro per l’interessamento. Il fatto che alla fine avesse deciso di aiutarlo, nonostante i suoi pregiudizi, era degno di Laurenne.

“Ray…” esordì Mark, riportandola alla realtà.

Persa in quelle riflessioni, non si era neanche accorta che tra loro era sceso il silenzio. Allora lo guardò.

“Riguardo a l’altra sera…” continuò esitante, ma serio. “Il fatto che non abbiamo più toccato l’argomento significa che va tutto bene?”

Quella domanda fatta così, sue due piedi, la spiazzò. Non era preparata. Tuttavia, conosceva già la risposta. “Sì, certo. Perché non dovrebbe?” Era la pura verità. Al solo ripensarci sentiva ancora le farfalle nello stomaco.

Il viso di Mark si rasserenò, probabilmente perché aveva percepito la sua sincerità. “È che non c’è stato modo di parlarne e volevo solo esserne sicuro. Allora torno di là…”

Rachel però non era soddisfatta di come si era conclusa la conversazione. Tutto troppo sbrigativo e lei ci teneva davvero a fargli capire l’importanza che attribuiva a quanto successo tra loro. La felicità che aveva provato era impossibile da descrivere. Senza dargli il tempo di andarsene, gli gettò le braccia al collo.

“No, resta qui.” sussurrò, quasi pregandolo; poi si sollevò sulle punte dei piedi, baciandolo con passione.

Nell’impeto Mark indietreggiò di qualche passo, ma rispose quasi all’istante, abbracciandola stretta. Le sue mani, dapprima salde intorno alla vita, percorsero i fianchi di Rachel fino alle scapole, finché non lo sentì attirarla a sé con una leggera pressione.

Averlo così vicino le dava un senso di pace e per un po’ rimasero incollati l’uno all’altra, completamente persi. Se non avesse dovuto respirare per forza, Rachel non si sarebbe mai staccata.
Pian piano il bacio si fece meno intenso, finché alla fine non si divisero, continuando però a guardarsi negli occhi. Mark le rivolse un sorriso bellissimo, ma non fecero in tempo a dirsi nulla perché qualcuno bussò alla porta, interrompendo il momento.

“E adesso chi è?” sentirono dire da Laurenne in tono un po’ ansioso.

Anche se a malincuore si separarono, cercando di ricomporsi, prima di andare a vedere.
Laurenne aveva appena aperto la porta e il volto serio di Najat fece capolino all’interno.

“Ma come, siete già tornati?” le chiese la sciamana, facendole segno di entrare.

-Perfetto. Quindi anche Jamaal è tornato- pensò Rachel trionfante. Anche Claire doveva aver avuto lo stesso pensiero, perché la vide d’improvviso farsi più attenta.

Najat annuì, restando impassibile. “Stamattina all’alba.”
Capendola al volo, Laurenne arricciò le labbra mentre la invitava a sedersi. “La tua faccia non lascia immaginare niente di buono.”

La ragazza però rifiutò l’invito. “Sono qui solo per portare un messaggio.” chiarì, per poi rivolgersi a Claire senza nascondere affatto il disappunto che provava nel farlo. “Jamaal vuole vederti. Ti deve parlare.”

La notizia le provocò un senso di agitazione. Non vedeva Jamaal né parlava con lui dalla sera dell’arrivo dei ragazzi. Chissà cosa voleva adesso. Comunque si alzò e Rachel fece subito per seguirla.

“Ottimo.” approvò decisa. “Anche noi dobbiamo parlargli e anche urgentemente.”

“Vengo con voi.” si aggiunse Laurenne, lasciando Samir con Cordelia e seguendo anche lei Najat fuori di casa.

Per tutto il villaggio si respirava una strana aria. Non c’era il solito va e vieni di gente e bambini chiassosi, ma un silenzio quasi totale. Solo qualcuno ogni tanto usciva nel cortile di casa per svuotare un secchio di becchime o dar da mangiare alle capre. Tutti però avevano la stessa espressione funerea di Najat, come se fosse successo qualcosa di brutto.

Arrivati al tendone di Jamaal, trovarono ad accoglierli uno spettacolo straziante. Una donna piangeva disperata, sostenendosi al braccio di un guerriero, mentre le figlie accanto a lei cercavano di farle coraggio. Laurenne ovviamente doveva conoscerla, perché le andò incontro per consolarla e al contempo cercare di capire cosa fosse accaduto. La donna riuscì solo a pronunciare un paio di parole in arabo, prima di accasciarsi in lacrime tra le braccia della sciamana.
Fu allora che videro scostarsi un lembo della tenda e Jamaal si affacciò all’esterno. Serio in volto, si avvicinò alla donna e, dopo averle posato la mano sulla spalla per consolarla, le mormorò qualcosa all’orecchio. Forse parole di conforto, perché lei si chinò subito a baciargli la mano, mentre Jamaal ordinava al guerriero di accompagnarla a casa insieme alle figlie.

Laurenne gli rivolse uno sguardo carico d’ansia e di domande, ma lui non si sbottonò più di tanto, facendo loro segno di seguirlo nella tenda. Dentro trovarono come sempre il fidato Abe, con Hati appollaiata su una spalla, e seduto poco distante qualcuno che non si sarebbero mai aspettati di vedere.

Quando li vide entrare, Tareq alzò lo sguardo, studiandoli uno a uno. Aveva due occhiaie profonde, ma l’aria ancora vigile, e la barba incolta. Si vedeva che non dormiva da parecchio e che era provato dalle disavventure di quei giorni. Accanto a lui c’era suo padre, probabilmente accorso subito dopo aver saputo del suo ritorno.

Cassim, posso chiederti di lasciarci?” esordì Jamaal in tono cortese, ma in realtà retorico.

Nonostante il suo carattere poco affabile, l’uomo sapeva riconoscere quando non era il caso di insistere, così diede un’ultima pacca sulla spalla al figlio e se ne andò.

Laurenne attese finché non fu uscito, poi non riuscì più a trattenersi. “Jamaal, che succede? Fareeda era sconvolta…”

“È stata una carneficina.la interruppe, abbandonandosi privo di forze sulla sua sedia. Gli algul hanno preso Siviglia e massacrato gli uomini che avevo mandato laggiù. Raakin era a capo della spedizione.” spiegò senza prendere fiato e continuando a fissare un punto indefinito davanti a sé.

Non ebbe bisogno di essere più esaustivo, perché Laurenne parve afferrare al volo. Sconcertata, si coprì la bocca con la mano, incapace di credere a quanto aveva sentito.

“Comunque, non è per questo che vi ho fatti venire.” continuò lui, troncando il discorso sul nascere.

In cuor suo, Claire se ne sentì sollevata. Anche se quanto aveva sentito era terribile, l’ansia di sapere il perché Tareq fosse di nuovo lì e Cedric no la stava opprimendo. Il fatto che il guerriero fosse riuscito a scappare senza portarselo dietro non era un buon segno.

Era evidente che Mark stesse pensando esattamente la stessa cosa, perché la batté sul tempo. “Dov’è Cedric?” chiese allarmato a Tareq. Non l’aveva mai visto così scosso. “Avevi detto che avresti pensato tu a lui. Perché non è con te?”

“Frena, ragazzo.” lo bloccò Tareq, prima che potesse sommergerlo di domande. “È già un miracolo che io sia riuscito a cavarmela. Un altro giorno in quel posto e avrei perso la testa.”

“Sì, ma come hai fatto a fuggire?” intervenne Claire in tono accusatorio. “A quanto ne so ti avevano catturato. Ora come fai a essere di nuovo qui?” In qualche modo lo riteneva responsabile del fatto che Cedric fosse ancora prigioniero di quel mostro di Nickolaij.

Al guerriero sfuggì un ghigno di finto divertimento, come a volerla schernire. “Infatti non sono fuggito, mi hanno lasciato andare.” rivelò, tra lo stupore generale. Soltanto Jamaal e Najat non ne sembravano sorpresi, evidentemente già al corrente dell’accaduto. Poi Tareq si frugò in tasca alla ricerca di qualcosa, traendone poco dopo un rettangolo di carta ripiegata e porgendola a Claire. “Mi è stato detto di consegnarla a te.”

A dir poco spiazzata, lei impiegò qualche secondo a realizzare e, solo dopo aver capito che si trattava di una lettera, la prese con mano tremante. Quando la ebbe sotto gli occhi, vide che la busta era sigillata da un timbro di ceralacca con impressa la figura di un drago rampante e fu subito chiaro chi fosse a mandarla.
Senza riuscire a controllare il tremore delle mani, infilò il pollice nell’apertura, rompendo il sigillo e liberando il foglio di carta all’interno. Una volta dispiegato, lo mise alla giusta distanza e iniziò a leggere…

 
Mia carissima Claire,
sono trascorse diverse settimane dall’ultima volta che ci siamo visti e mi auguro con tutto il cuore che tu stia bene. Mi ha addolorato molto sapere della tua fuga, poiché credevo di aver chiarito che non fosse mia intenzione nuocerti in alcun modo. In ogni caso, se con il mio comportamento ti ho fatto intendere il contrario, ti prego di accettare le mie scuse più sincere.
I recenti avvenimenti sono stati per me fonte di grande riflessione. Mi sono reso conto di aver peccato di superbia ed eccessiva sicurezza nel pretendere da te ciò che non potevi darmi: la tua stima e la tua fiducia. Entrambe non sono qualcosa che si può ottenere senza la possibilità di conoscersi a fondo.
Ebbene è questo che ora desidero offrirti e intendo darti finalmente la vita che meriti. Una vita al mio fianco.
Per meglio invogliarti, propongo una soluzione equa e che spero ti soddisfi. Immagino che il giovane ragazzo attualmente mio ospite non significhi nulla per te, tuttavia non penso sia giusto farlo soffrire ancora. Così il modo migliore e meno doloroso per tutti di chiudere la questione ritengo debba essere lasciarlo libero. Questo naturalmente avverrà solo nel caso tu decida di accettare la mia offerta.

Con la speranza che ti sia gradita, attendo tue nuove. A presto.

N

P.S.: So di chiederti molto e che da questa scelta dipenderà il tuo futuro, dunque ti concedo una settimana di tempo per decidere cosa fare.

 


Terminata anche l’ultima riga, Claire lesse e rilesse la parte che riguardava Cedric, sperando ingenuamente di trovarci qualche informazione in più. Il contenuto della lettera però restava sempre lo stesso. Da sadico quale era, Nickolaij non aveva lasciato trapelare dettagli sul suo stato di salute, a parte quel “farlo soffrire ancora” che la riempiva d’angoscia. Per quanto ne sapeva, avrebbe potuto anche essere un imbroglio, un modo per farla cadere nella sua trappola. Ciononostante non avrebbe potuto tirarsi indietro e rischiare così di perderlo veramente.

“Insomma, cosa dice?” le chiese Mark, fremente.

Claire non aveva la forza di ripeterlo a voce alta, quindi si limitò a passargli la lettera perché si facesse da solo un’idea.
I suoi occhi scorsero sulle righe scritte in una calligrafia elegante, mentre anche Rachel accanto a lui leggeva. Alla fine,

Mark alzò lo sguardo, visibilmente provato. “Quindi se non vai lo ucciderà.” concluse, rivolto a Claire. “Dean aveva ragione.”

Dalla sua espressione, però, Jamaal non sembrava aver afferrato. In effetti, lui non sapeva nulla dell’ossessione di Nickolaij per Claire, né dell’ipotesi avanzata da Dean a proposito dello scambio. “Che significa se non vai? Andare dove?”

“Mi sta ricattando.” rispose lei in tono piatto, guardando altrove. “Vuole che vada a Bran e mi consegni. In cambio lascerà libero Cedric…”

“Devi far uscire Dean!” intervenne Mark, praticamente parlandole sopra. Il fatto che si stesse rivolgendo a Jamaal dandogli degli ordini non sembrava preoccuparlo minimamente. “Lui è l’unico che sa come entrare in quel castello senza essere visti. La vita di Cedric dipende da questo!”

Il suo tono lo infastidì, già nervoso per la faccenda di Siviglia, e Claire lo vide trattenersi dal reagire in malo modo. Fu Najat alla fine a parlare al posto suo. “Con che faccia tosta pretendete che torniamo laggiù, quando due dei nostri hanno sacrificato le loro vite? E per salvare un vampiro poi! Per una volta potreste anche accontentarvi.” ribatté sconcertata.

“Cosa?” fece Tareq spaesato. “Stai dicendo che ho rischiato la pelle per un succhiasangue?” Il suo sguardo esterrefatto passò da Najat a Jamaal, che però rimase in silenzio a riflettere.

“Non esiste che io lasci il mio migliore amico in balia di quel pazzoide!” replicò Mark più deciso che mai. “Non volete aiutarci? Benissimo, possiamo cavarcela da soli. Liberate Dean, così ce ne andremo e non ci vedrete mai più.”

A quel punto Laurenne, che era rimasta a osservare in disparte, intervenne. “Non pensarci nemmeno! È una follia.” poi guardò Jamaal, quasi pregandolo. “Diglielo anche tu.”

Vedendolo esitante, ancora perso nei suoi pensieri, Najat tornò alla carica. “Sai che non possiamo fidarci. È un algul! Per quanto ancora gli lasceremo respirare la nostra stessa aria? Dobbiamo giustiziarlo subito!”

“No! Dean è diverso!” lo difese Rachel, spaventata dalla possibilità che Jamaal potesse darle ascolto. “Ve lo giuro, è dalla nostra parte. Ci ha salvato la vita più di una volta. Se non fosse stato per lui, a quest’ora non saremmo nemmeno qui a parlare con voi.”

Mise tutta sé stessa per trasmettere quanta più sincerità possibile in quelle parole. Voleva veramente che le credessero, perché se Dean avesse pagato con la vita solo per il fatto di essere quello che era non l’avrebbe sopportato. Non meritava una fine simile. Non dopo aver rischiato tutto per aiutarli.

La sua angoscia era evidente e anche Laurenne la percepì, intervenendo subito per darle man forte. “Jamaal, ascoltami. So cosa sono gli algul. Anch’io ho perso tanto a causa loro e non pretendo di farti cambiare idea proprio adesso. Ti sto solo chiedendo di pensarci bene. Noi non agiamo così, non condanniamo a morte qualcuno con tanta leggerezza e questo tu lo sai meglio di chiunque altro.”

Najat scosse la testa con disapprovazione.

“Perché darsi tanta pena per quel vampiro e i suoi amici?” le chiese Tareq, guardandola con sfida mista a sospetto. “Si direbbe quasi che tu stia dalla parte sbagliata.”

La sciamana lo fulminò con una semplice occhiata. “Io sto dalla parte degli innocenti, a qualunque natura appartengano.” ribatté, mettendolo a tacere.

A quel punto Jamaal, stanco di sentire tutti quei battibecchi, si decise a porvi fine.

“Basta così.” si impose alzandosi e ottenendo così il silenzio e l’attenzione di tutti. “Ho bisogno di riflettere da solo, perciò potete andare. Vi farò sapere quando avrò deciso.” li liquidò, senza lasciar intendere nulla sulla sua posizione in merito.

Tutti i presenti non se lo fecero ripetere e uscirono dal tendone. Prima di fare lo stesso, Rachel si voltò, soffermandosi un attimo sulla soglia. Jamaal era chino sul suo tavolo con la fronte bassa, senza accorgersi che fosse ancora lì.

“Ascolta, posso capire che per voi i vampiri siano spazzatura, qualcosa da cancellare dalla faccia della terra, ma pensa a questo: Dean conosce il castello di Bran come le sue tasche, è cresciuto in quel posto. So che è difficile, ma prova a considerarlo un alleato, non un nemico. Potrebbe essere la tua unica chance per impedire a Nickolaij di fare altro male.”

Non ricevette risposta, né lui alzò la testa per guardarla, ma sperò comunque che il messaggio fosse stato recepito.
Fuori dalla tenda trovò Mark e Claire ad aspettarla. Laurenne era tornata al villaggio insieme ad alcuni guerrieri per offrire supporto alle famiglie delle vittime. Claire non sembrava molto presente e a malapena stava a sentire Mark inveire contro Najat per aver proposto di giustiziare Dean.

“Non si rendono conto! Senza Dean non c’è speranza di riavere Ced vivo.” si sfogò, nervoso come non l’aveva mai visto. “Ma non mi interessa cosa pensano. A costo di farlo evadere stanotte stessa, giuro che lo farò uscire da lì!”

Rachel gli prese la mano per rassicurarlo. “Calmati adesso. È meglio mantenere i nervi saldi.”

Lui sospirò, per poi annuire brevemente. “Hai ragione, è che non ce la faccio più a starmene qui senza fare niente.”

Quelle parole sembrarono colpire Claire, che si riscosse dal torpore. “Scusate, ho bisogno di starmene per conto mio.” mormorò, tenendo gli occhi bassi, per poi allontanarsi chissà dove.

Dapprima Rachel provò l’impulso di fermarla, ma subito dopo ricordò che era ancora furiosa con lei e l’orgoglio prese il sopravvento. Il caso volle però che la voce della sua coscienza corrispondesse a quella di Mark.

“Dovresti raggiungerla.” le consigliò. “Sono sicuro che ha bisogno di parlare, anche se dimostra il contrario.”

Per tutta risposta, lei storse il naso e gli rivolse un’occhiata eloquente, molto poco propensa a fare la prima mossa. In fondo, era stata Claire a chiederle di non intromettersi più nella sua vita.

Mark sospirò paziente. “Lo so, avete discusso e tra voi si è rotto qualcosa. Però sei proprio sicura di voler chiudere definitivamente un’amicizia che dura da anni? Fossi in te cercherei di recuperare in tutti i modi, prima di darmi per vinto.”

Rachel si concesse un momento per riflettere. Aveva ragione, come sempre del resto, ma le parole dure che si erano scambiate lei e Claire le risuonavano ancora nella testa. Non poteva fare a meno di pensare che se la fosse cercata, ostinandosi a credere che Cedric fosse morto, e adesso doveva anche tirarla su di morale? Tuttavia, era pur vero che le cose erano cambiate con l’arrivo di quella lettera e non poteva voltarle le spalle proprio ora, così alla fine si decise ad andarle dietro.

La rincorse lungo il sentiero che portava al villaggio. Per fortuna, non era andata lontano e la trovò quasi subito.

“Ehi!” la chiamò, raggiungendola di corsa.

Alzando gli occhi al cielo, lei si fermò. “Non sono in vena di ramanzine, per favore.” ribatté schiva.

“Non voglio farti nessuna ramanzina. Voglio solo parlare.” le disse, cercando di apparire calma e disponibile. Poi si guardò intorno e, individuato il posto adatto, la prese gentilmente per un braccio e l’accompagnò dentro una casupola che fungeva da magazzino per merci varie. Là nessuno le avrebbe disturbate.

Ignorando la sua espressione seccata, Rachel passò subito al sodo. “Claire, capisco come ti senti. Sai che è così. Ma isolarti dal resto del mondo non risolverà i tuoi problemi…”

“No, non lo sai.” la interruppe. “Non puoi sapere come mi sento, perché non è te che Nickolaij vuole. Se non fossi scappata quella notte, se fossi rimasta ora lui sarebbe soddisfatto e Cedric...nessuno di voi sarebbe coinvolto in tutto questo.”

Incredula nel sentire tante sciocchezze, Rachel incrociò le braccia, guardandola storto. “Certo, perché secondo te avremmo continuato a vivere come se niente fosse, mentre tu eri prigioniera di quello psicopatico. Mi pare ovvio.” ironizzò.

Senza sapere cosa replicare, Claire si abbandonò a un sospiro, per poi sedersi lentamente su una cassa di legno, stringendosi i gomiti con le mani. “Non so che fare. Come faccio a uscire da questa situazione?”

Rachel allora si rilassò, ormai certa di essere riuscita ad ammorbidire le sue difese. “Ti riferisci alla storia dello scambio, o c’è dell’altro?” chiese paziente.

Lei la guardò. “Sai a cosa mi riferisco.” Poi abbassò di nuovo gli occhi, malinconica. “Cosa c’è che non va in me? Perché quando penso di sapere quello che voglio succede sempre qualcosa che rimescola le carte e manda il mio cervello in paranoia?”

“Beh, vista la reazione che hai avuto alla notizia di Cedric credevo che ormai l’avessi capito.” osservò Rachel.

Claire scosse la testa, come infastidita. “No, no, è proprio questo il punto! Perché credi che abbia passato gli ultimi due giorni a tormentarmi?”

La domanda aveva un che di retorico, ma Rachel non riuscì ad afferrare al volo la risposta. “Perché…” tentennò incerta, invitandola a proseguire.

“Perché non lo so!” ribatté lei esasperata. “Non so cosa provo. O almeno non esattamente…”

La tentazione di mollarle una sberla fu davvero forte. Così forse sarebbe riuscita a chiarirle le idee. Pur sforzandosi, non riusciva proprio a entrare nella sua mentalità e capire quale strano motivo la spingesse a ragionare in quel modo.

“Scusa, come fai a non saperlo?” le chiese, cercando di restare calma. “Se ami qualcuno lo sai, non puoi essere tanto confusa. O lo ami o non lo ami.” Per lei quella logica era ineluttabile. Con Mark era stato così. Non aveva mai dubitato dei suoi sentimenti una volta realizzato di esserne innamorata. Perché nel caso di Claire era tanto diverso?

“Io lo credevo morto. Sul serio, ero convinta che non l’avrei più rivisto. E ci sono stata male, Ray, anche se non lo davo a vedere. Per un po’ ho cercato di andare avanti, ma ora che so che è ancora vivo si è complicato di nuovo tutto.”

Ecco che tornava a contraddirsi da sola. La testa di Rachel era sempre più in panne. “Mi spieghi qual è il problema? Se stai così male per una persona può esserci solo una ragione di fondo. Ammettilo e basta.”

Claire scosse la testa. “Non è come pensi tu…”

“E allora com’è?” le chiese esasperata. “C’entra Jamaal per caso? Non sai chi scegliere tra i due?”

“No, è più complicato di così. Voglio bene a entrambi, ma la verità è che non me la sento di scegliere. Te l’ho già detto, con Jamaal è stato solo sesso, mentre Cedric…” A quel punto esitò. “Non nego che abbia un certo effetto su di me, però ho sempre sentito il mio rapporto con lui come una forzatura, non come qualcosa di spontaneo.”

Rachel annuì, credendo finalmente di capire. “Quindi stai così male perché ti senti in colpa, non perché provi dei sentimenti per lui.” La sua era più che altro una provocazione, per vedere come avrebbe reagito.

Claire le rivolse un’occhiata esausta. “Credimi, vorrei tanto sapere anch’io cosa provo. Al momento so solo che voglio tirarlo fuori da lì, perché non merita di morire a causa mia.”

Su quel punto erano d’accordo, anche se Rachel continuava a non capirla del tutto. Comunque decise di non rigirare il coltello nella piaga, visto che era già abbastanza provata senza che lei ci mettesse del suo. “Ovviamente è escluso che tu ceda al ricatto di quel mostro, quindi l’unico modo per salvare Cedric è elaborare un piano con l’aiuto di Dean.”

“Pensi che Jamaal abbia intenzione di liberarlo?” le chiese con aria un po’ scettica.

Rachel sospirò. “Lo spero, altrimenti Mark indosserà un passamontagna e lo farà uscire lo stesso. A essere sincera, preferirei evitare.” scherzò, strappandole un sorriso.

Tornata seria, Claire la guardò e si intuì chiaramente che aveva qualcosa di importante da dirle. “Ray…” esitò imbarazzata. Non era mai stata brava con le scuse. “Mi dispiace per come ti ho trattata. Quello che ti ho detto…Non voglio escluderti dalla mia vita. Il fatto è che mi sono sentita attaccata…”

“E ti sei difesa, lo so.” la interruppe, completando la frase. Conosceva bene quella reazione. Era lo stesso meccanismo che sentiva scattare quando qualcuno provava a contestare le sue convinzioni. Forse era anche per questo che lei e Claire spesso si scontravano. “In fondo, un po’ è stata anche colpa mia. Ero talmente concentrata sui miei problemi da non avere voglia di fermarmi e ragionare su quello che ti stava succedendo. Sono partita prevenuta e ti chiedo scusa. Avrei dovuto ascoltare di più e criticare di meno.” ammise.

Claire sorrise ancora e per qualche secondo si guardarono. Dentro di sé ognuna sapeva cosa fare, ma stava aspettando che l’altra lo facesse per prima. Alla fine, Rachel non riuscì più a trattenersi e le andò incontro.

Come mossa dallo stesso impulso, Claire si alzò e rispose all’abbraccio. “Mi dispiace tanto.” sussurrò, tirando su col naso per non piangere.

“Lo so, è tutto okay.” la rassicurò, cercando di fare lo stesso. Ora che finalmente si erano riconciliate, sentiva che anche tutto il resto avrebbe potuto sistemarsi.
   
 
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