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Autore: Mary P_Stark    23/07/2019    2 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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«… e così, l’hai convinta a diventare il tuo navigatore?» domandò a un certo punto Alekos, gli occhi brillanti e pieni di curiosità.

Come? Come diavolo era finito a raccontare la storia della sua ultima vita a quel ragazzino di tredici anni, che come una spugna raccoglieva tutto ciò che diceva senza mai mettere un freno alla sua curiosità?

E come diavolo era finito a confidare i suoi più grandi dubbi a Efesto, in merito alla possibilità o meno di conquistare colei che aveva saputo mandare al tappeto il suo cuore?

Da quando in qua trovava sensato chiedere a Efesto dei consigli d’amore? A rigor di logica, avrebbe dovuto chiedere consiglio ad Afrodite.

Visto che comunque, in quegli ultimi due giorni, il mondo sembrava essersi capovolto, il dio della metallurgia poteva anche essere diventato come Eros… chissà?

Sospirando, Achille assentì alla domanda di Alekos e dichiarò: «Tolti i motivi puramente sentimentali, Alessandra è davvero una navigatrice coi fiocchi, e i risultati in gara lo hanno dimostrato. L’idea del silenziatore nuovo mi è venuta assieme a uno dei meccanici. Non riuscivamo a essere del tutto performanti, pur avendo ottenuto un buon numero di vittorie, e sapevamo che il problema veniva da lì così, mentre ne parlavo con il mio amico Memnone, è saltato fuori il nome di Efesto, e allora…»

«Allora, hai pensato bene di chiedere a me. Tra l’altro, sono uno dei fornitori ufficiali per le categorie rally e prototipi» dichiarò a quel punto Efesto, sorridendo ghignante.

«Già… è stata una sorpresa sapere che avevi comprato le quote azionarie di una ditta di scarichi d’auto, ma Memnone me lo aveva confermato, e così…» ammise Achille, sorridendogli divertito.

«Ho molteplici interessi, se è per questo. Ho le mani in pasta anche in ditte che costruiscono pezzi di ricambio per barche e aerei, e partecipo anche a una commessa per conto dell’ESA» sottolineò Efesto, divertito. «Ho messo i miei capitali in mano a gente capace, e i risultati mi hanno dato ragione.»

«Puoi dirlo. I nuovi scarichi della tua ditta vanno a ruba» assentì Achille.

«Il tuo sarà speciale, non temere. Molto superiore agli altri, anche se all’apparenza sembrerà uguale» ammiccò il dio.

«Non sarà come barare, zio?» domandò a quel punto Alekos, un po’ preoccupato.

«Si tratterebbe dell’ultima gara, e il nostro Achille è già in testa alla sua categoria, perciò non ruberebbe nulla. Ma servirebbe ad assicurargli la vittoria perché la tappa in cui gareggerà è cara alla sua Alessandra» gli spiegò Efesto, battendogli una mano sulla spalla.

«Uhm… una bugia a fin di bene, quindi» assentì dopo un attimo Alekos.

«Qualcosa del genere» annuì il semidio, controllando l’ora sul suo orologio digitale. «Mmmh, direi che dobbiamo rientrare, se non vogliamo arrivare tardi.»

«Chissà se lo zio è già arrivato? Voglio sapere tutto del suo viaggio» dichiarò eccitato Alekos, afferrando la mano di Achille per trascinarlo verso la scala a chiocciola.

Achille, allora, scrutò Efesto e, dopo uno sguardo senza parole, il dio annuì e disse: «Sì, è l’effetto che fa a tutti. Persino Ade, quando stava con lui, sembrava rintronato dalla gioia.»

Alekos rise di quel commento e iniziò la risalita verso casa, mentre Achille prendeva atto della cosa ed Efesto li seguiva tutto divertito, tenendo in mano il silenziatore ormai pronto.

Quando infine raggiunsero il giardino di Artemide – Achille sospettava vi fosse di mezzo la magia di Érebos, o non avrebbe saputo spiegarsi il breve tempo impiegato per percorrere due miglia di distanza in verticale – Achille non poté che sorprendersi.

Nel vicino giardino di Athena, le persone presenti sembravano essere almeno una quarantina, e chiacchieravano tutte amabilmente e con gran diletto.

Un buon profumino di carne alla griglia si levava dal barbecue, controllato dal dio Ctonio e da una donna piccola e bruna che Achille non conosceva, mentre birra e vino rosso venivano passati di mano in mano.

Nei pressi della piscina, un tavolino più basso e colorato era stato allestito per i membri più giovani del gruppo e Alekos, nel vedere le cugine e i cugini, sorrise pieno di gioia.

«La mia famiglia umana» dichiarò tutto sorridente Alekos, attirando verso lo steccato un divertito Achille.

«Davvero numerosa e allegra» dichiarò il semidio, ripensando alla sua vita tranquilla in compagnia di mamma e dei nonni. Non avendo avuto la fortuna di avere degli zii, la sua era sempre stata una vita in famiglia assai pacifica e composta da poche persone. Pochi ma buoni, aveva sempre detto.

Di fronte a quel concentrato di colore, vivacità e affiatamento, rimase perciò strabiliato, ma anche piacevolmente lieto di essere stato annoverato tra gli invitati.

Aprendo il cancelletto che si trovava a metà dello steccato – e collegava le due proprietà –, Alekos assentì e disse: «Assomiglia un po’ ai pic-nic che facevo nei Campi Elisi… ma con la birra. La musica, invece, è più o meno uguale, perché Tisifone e le altre Erinni suonavano tecno e rock per noi.»

Achille scoppiò a ridere di fronte a quell’esempio davvero incredibile quanto inverosimile. Quel ragazzino aveva vissuto una vita davvero unica, in quei brevi anni.

Ancora sorridente, si vide avvicinare da una donnina bruna tutta sorridente e, nel vedere la reazione di Alekos, immaginò trattarsi della nonna.

Anita Rodriguez abbracciò il nipote con un gran bacio con lo schiocco su una guancia prima di sorridere ad Achille, allungare entrambe le mani verso di lui e dire: «Oh, caro! Finalmente sei arrivato! Athena ci ha detto che ti avremmo avuto come ospite! E’ davvero un onore!»

Ciò detto, strinse le mani di Achille e sorrise tutta pimpante, lasciando il semidio assai frastornato. Era più che certo che tanta energia sarebbe piaciuta un sacco a sua madre. Lei adorava le persone così spigliate e solari.

Subito dopo, una possente pacca sulla spalla giunse a sorpresa, lasciando quasi senza fiato Achille che, nel volgersi a mezzo, si ritrovò a fissare un volto abbronzato e sormontato da capelli sale e pepe.

«Ehi, ecco il nostro Pelide Achille! Ma ti chiami ancora così, ora come ora?!»

«Caro, insomma! Ti pare il modo di trattare un ospite?» brontolò Anita, fissando malamente quello che risultò essere il marito.

Carlos Rodriguez bofonchiò una risposta tra i denti e Achille, sorridendo divertito, esalò: «Ah… stesso nome, cognome del mio attuale padre, che è greco, ed è Nikomachos.»

«Molto bene, Achille Nikomachos… vieni tra noi uomini a raccontarci qualche aneddoto succoso. Anche perché, se rimani qui, mia moglie ti strapazzerà di coccole fino a farti venire il diabete, perciò è meglio se defili alla svelta» ironizzò l’uomo, avvolgendo con un braccio le spalle del semidio per poi condurlo verso il gruppo di uomini riuniti vicino alla voliera, tutti intenti a fare i complimenti alla piccola Pallade.

«Carlos Antonio Rodriguez! Questa me la pagherai!» sbottò Anita, prendendo sottobraccio il nipotino per poi andare nella direzione opposta.

«Sì, sì, cara…» ciangottò Carlos, facendo l’occhiolino ad Achille per poi aggiungere: «…adoro battibeccare con lei, perché poi è più divertente fare pace.»

Il semidio si ritrovò a ridere di gusto con l’uomo e, senza neanche accorgersene, una birra comparve tra le sue mani e molte pacche vennero date sulle sue spalle a mo’ di saluto.

Con l’ennesimo vassoio di stuzzichini prelevato dalla cucina, Athena osservò la scena dalla veranda e non poté che trovare il tutto esilarante.

Carlos sapeva mettere a suo agio davvero tutti, ed era più che certa che avrebbe potuto strappare un sorriso anche alla permalosa e litigiosa Eris.

Rivolgendosi comunque a Felipe, che l’aveva aiutata a portare altre libagioni, disse: «Mi fido abbastanza di tuo padre, ma non vorrei che lo mettessero in imbarazzo con domande troppo personali. Ci pensi tu?»

«Salverò io il tuo protetto, non temere» ammiccò Felipe, rubandole una tartina prima di raggiungere il gruppo di uomini composto da cugini, zii e nipoti della sua immensa famiglia.

Artemide, poco distante dalla sorella, mormorò: «Sembra averla presa bene. Non è svenuto o che…»

Felipe era venuto a conoscenza di ogni cosa non appena aveva fatto ritorno dal suo viaggio. Artemide aveva sì e no lasciato il tempo al suo amato di scendere dal pick-up dopodiché, balzellando verso di lui al pari di una bambina, lo aveva abbracciato con trasporto.

Pur felice per l’accoglienza, Felipe aveva subito compreso che qualcosa di strano stava bollendo in pentola, perciò aveva squadrato curioso il viso radioso – in tutti i sensi – della sua amata e aveva chiesto spiegazioni.

Artemide, però, aveva preferito nicchiare per condurlo in casa e, complice Apollo e il suo accompagnamento con la cetra, l’ingresso di Felipe era stato salutato da un coro composto dalle Muse in grande spolvero.

Frastornato da quell’accoglienza tutt’altro che prevista, Felipe si era visto stringere con calore le mani dalle Muse, che si erano poi congratulate con lui per il lieto evento.

A quel punto, Felipe aveva squadrato da sopra una spalla una raggiante Artemide e, confuso, aveva domandato: «Ma… quale lieto evento?»

Artemide, allora, lo aveva fissato sconcertata, aveva indicato le Muse, il fratello e aveva infine detto: «Beh, ma mi pare ovvio! Per cosa avrei fatto scomodare l’intero gruppo delle Muse, oltre al mio musicista preferito, se non per una futura nascita?!»

Felipe aveva sgranato gli occhi per un istante, si era ritrovato a sorridere un po’ stupidamente e infine, passandosi una mano sul viso, aveva celiato: «Amore, di solito, prima si parla al padre e poi alla famiglia, che in seguito – sempre di solito – fa le congratulazioni.»

«Ah» gracchiò Artemide, ora assai spiacente per aver commesso un passo falso.

Felipe, però, l’aveva abbracciata con calore e, dopo averle dato un tenero bacio, le aveva detto: «Va tutto bene. Mi è piaciuta la sorpresa, e mi piace l’idea di diventare papà. Hai fatto tutto benissimo.»

Artemide era perciò tornata a sorridere e le Muse, una a una, avevano abbracciato entrambi per terminare quella stramba cerimonia di benvenuto per la bambina in arrivo.

«Ti ama. Quindi, tutto diventa facile» si limitò a dire Athena prima di scoppiare a ridere nel veder ricomparire Apollo dalla villetta. «Finalmente hai scelto!»

Apollo assentì, rassettandosi la maglietta dall’improbabile scritta ‘dio c’è, e si vede!’, e dichiarò: «Devo dire che questo abbigliamento è più in tono con la serata. Ma il cavallo è un po’ stretto, e mi friziona…»

Artemide sollevò una mano per bloccarlo – alcune bambine stavano osservando rapite il dio solare – e, accigliata, dichiarò: «Linguaggio, per favore. Ci sono delle minorenni.»

Apollo allora mimò di cucirsi le labbra e, sorridendo affascinante alle nipoti di Ortis e Julieta, allungò loro le mani e disse: «Lasciate che canti per voi, fanciulle.»

Le bambine strillarono eccitate – avevano già avuto modo di sentire la splendida voce di Febo Apollo, e perciò erano liete di poter replicare – e, come uno stuolo di farfalline su un unico fiore, lo seguirono in un angolo del giardino per udire il suo canto.

Artemide scosse il capo con finta esasperazione, sogghignò e, rivolta alla sorella, disse: «Diciamo di Ares, ma anche lui non scherza. E’ come un bambino piccolo.»

«Che vuoi farci?» scrollò le spalle Athena, lanciando un’occhiata a Érebos e Julieta, impegnati a sistemare gli spiedini pronti su un vassoio di acciaio. «Direi che ci siamo…»

«Bene! Ho una fame da lupi!» dichiarò Artemide, massaggiandosi soddisfatta le mani, negli occhi un lampo di desiderio ben evidente.

Athena sorrise sorniona, la lasciò andare e infine chiosò: «Direi che c’è anche qualche bambina piccola, qui nei paraggi…»
 
***

Zio Ortis stava esibendosi nella peggiore interpretazione di sempre di Hound Dog di Elvis Prestley, complice una buona quantità di birra bevuta e tanta, tanta faccia tosta.

Il pubblico, però, pareva apprezzare quello starnazzare in una lingua che solo vagamente rassomigliava all’inglese, e che era per lo più qualcosa di simile al messicano, mescolato a qualche dialetto californiano.

Persino Apollo non aveva nulla da ridire, di solito così permaloso, ma era probabile che questo dipendesse dalla pancia piena e dalla leggera sbornia che si era concesso per quella serata in famiglia.

Seduto su una delle sdraio mentre sbocconcellava un tramezzino, Achille sembrava invece del tutto sobrio e Athena, colta da curiosità e un pizzico di apprensione, lo avvicinò per comprendere se vi fossero dei problemi.

Le era parso che, durante la festa, il suo ospite e protetto si fosse divertito ma, in quel momento, il suo sguardo pensieroso la metteva un po’ in ansia.

Intrecciate le gambe per sedersi sul prato, la dea lo sbirciò in viso con espressione interrogativa e domandò: «Va tutto bene? Ti ho visto un po’ perso, a un certo punto.»

Sorridendole, Achille scosse il capo e replicò: «Sto benissimo, grazie. Capisco perché amiate queste persone. Sono davvero splendide e, se il vostro Miguel assomigliava a Felipe anche solo un poco, comprendo perché ve ne siate innamorata, a suo tempo.»

Athena ammiccò allegra, assentì e disse: «Sì, sono davvero speciali, e ti fanno sentire amato ma, soprattutto, non fanno pressioni perché noi esterniamo il nostro lato divino. Ci trattano come persone comuni e credimi, fa piacere anche a una divinità.»

«Quindi, devo smetterla di darvi del voi e non devo più amarvi e onorarvi?» ironizzò Achille, facendola scoppiare a ridere di gusto.

«Achille, puoi fare come più credi, ma io rimarrò sempre la tua sostenitrice» dichiarò la dea prima di lanciare uno strillo di sorpresa e coprirsi il viso alla bell’e meglio.

Achille non fece in tempo.

Un’onda anomala d’acqua ghiacciata gli crollò addosso tra le risate di Alekos e delle sue cuginette, armati di un enorme bacile di plastica ormai vuoto e gocciolante.

«Ice Bucket Challenge!» gridarono in coro i ragazzini, il tutto filmato da un ghignante Felipe che, dopo aver terminato il suo lavoro, riconsegnò il telefono ad Alekos.

In parte colpita da quella doccia imprevista, Athena fissò accigliata il figlio, mentre le risate degli adulti diventavano sempre più spassose, e gorgogliò: «Scusa, ma non doveva essere prima nominato, per essere annacquato a questo modo?»

«Infatti» ghignò Alekos, mostrandole il telefono, ove compariva il suo invito spedito ad Achille.

Scrollandosi dal viso alcune ciocche di capelli infradiciate, Athena si alzò in piedi al pari di Achille, sospirò e infine disse: «Magari, la prossima volta, aspetta che la persona a cui lo invii abbia letto il messaggio e accetti la nomination.»

«Sì, mamma» ridacchiò Alekos, allontanandosi con le cugine con fare vittorioso.

Nel farlo, però, passò accanto a Érebos che, complice, batté il cinque col figlio adottivo prima di vederselo sfilare al fianco.

Athena se ne sorprese un poco ma preferì non chiedere nulla e, nell’osservare un divertito quanto bagnato Achille, celiò: «Hai salvato qualcosa, o sei completamente fradicio?»

«Totalmente bagnato. Ho l’acqua anche nelle scarpe. Ma mi piace essere tirato in mezzo agli scherzi… fa sentire di famiglia» ghignò il semidio, scusandosi coi presenti per poi avviarsi all’interno della villetta per un cambio completo.
 
***

Sdraiata su un fianco nell’enorme letto che divideva con Érebos, Athena sorrise sorniona nel carezzargli l’ampio torace esposto alla luce pallida della luna e, in un mormorio, domandò: «Cos’avete combinato con Achille, tu e Alekos?»

Lui ridacchiò, le afferrò la mano sul torace per baciarne il dorso e, ammiccando, asserì: «Ti riferisci al bagno fuori programma?»

«Ti ho visto dargli il cinque subito dopo la doccia improvvisata, e non mi è parso che tu ti stessi congratulando per il gesto in sé, quanto per altro» gli spiegò lei, salendo a cavalcioni su di lui per studiarne il volto bellissimo.

La folta chioma corvina del dio Ctonio era sparsa sui cuscini e Athena, come sempre, fu attirata dall’idea di affondarvi le mani ma, prima di perdere di vista il suo obiettivo, scosse il capo e borbottò: «Sei peggio di una sirena tentatrice… allora, vuoi dirmi cos’avete combinato?»

Érebos sorrise malizioso e mormorò: «Mi piace l’idea di farti perdere così tanto la testa. Comunque, ho chiamato Ade per chiedergli un catino di acqua dello Stige… la stessa acqua che è finita addosso ad Achille.»

«E a me» sottolineò Athena, levando un sopracciglio per la sorpresa. «Come mai ti è venuto in mente di farlo?»

«Ho visto la tua espressione, quando hai guardato una delle gare di Achille sul telefonino di Alekos, e non mi è piaciuto vederti in ansia» dichiarò in tutta sincerità il dio Ctonio, adombrandosi leggermente in viso. «So che soffriresti, se succedesse qualcosa al tuo protetto, così ho pensato che un secondo bagno nello Stige fosse necessario. Ho solo evitato lo sbattimento di portarlo fino a là.»
Ridendo suo malgrado, Athena lo gratificò di un bacio lungo e molto sensuale, che fece culminare con un sorriso pieno di promesse.

«Ricorda, non mi spezzo di fronte a niente… ma grazie per aver pensato alla salute di Achille» mormorò lei, carezzandolo sensuale sul torace. «Atropo si incazzerà di brutto, per questa tua intromissione.»

Érebos socchiuse gli occhi, tentando di resistere il più possibile, prima di perdersi nel suo amore e, sorridendo a mezzo, asserì: «Lo so… ma mi fa piacere renderti felice, se posso, e so gestire mia figlia, … anche quando ha la luna storta.»

«Pur se rischi di irritare anche papà, nel farlo?» ironizzò Athena.

Scrollando appena le spalle, Érebos replicò: «Credo che, per rientrare nelle tue grazie e in quelle di Artemide, sarebbe disposto a fare molto peggio che darmi il permesso per recuperare un po’ d’acqua dallo Stige.»

Tornando seria, la dea chiosò serafica: «E’ stato lui a dare di matto contro di noi, quando era solo irritato con Era per il tiro mancino che lei gli aveva fatto. E’ stato superficiale, e ha lasciato che Era ferisse Artemide, quindi per me può anche rimanere assiso sul suo trono di marmo fino alla fine dei giorni.»

«Ha paura di venire a parlare con te» la mise al corrente il dio, sorprendendola.

«Ci hai parlato?» esalò Athena.

Annuendo, il dio Ctonio asserì: «Non sono io che ho litigato con Zeus, ma voi, perciò non mi sembrava sbagliato andare a parlarci. Mi fa un po’ pena, lo ammetto.»

Sprezzante, Athena borbottò: «Se l’è meritato. Neanche lo zio Poseidone mi ha mai irritato tanto, nei secoli… ma lui riesce proprio a tirare fuori il peggio, da me.»

«Questo è vero» con candore Érebos. «Ora, però, possiamo pensare ad altro?»

«Con vero piacere» sorrise Athena, chinandosi su di lui per riprendere da dove si era interrotta.

Se suo padre voleva redimersi, doveva fare molto di più che parlare con Érebos. Poco ma sicuro.
 
***

Sdraiato sull’erba fresca e umida mentre la notte diveniva sempre più profonda – non sembrava davvero di essere in ottobre! – Achille sorrise quando vide giungere Artemide in infradito e chemisier di cotone.

«Le congratulazioni sono d’obbligo, da quel che ho saputo» esordì lui, rimettendosi a sedere mentre la dea lo imitava, accomodandosi a gambe intrecciate sull’erba. «A quando il lieto evento?»

«Otto mesi circa» si limitò a dire lei, scrollando le spalle per poi guardarlo con un certo divertimento. «Lo zio mi ha detto che il silenziatore lo hai fatto fare per avere una possibilità in più di vincere l’ultima gara… e tutto per far felice la tua bella. Ero troppo curiosa di sapere se era vero che il grande Achille si era perso dietro a una donna, così sono uscita per chiedertelo.»

Achille non badò al suo tono ironico, né allo sguardo carico di curiosità della dea e, annuendo, asserì: «Sembra che quella gara in particolare sia stregata, perché non riusciamo mai a vincerla, ma Alessandra ci terrebbe molto, e così…»

«Lei, però, non sa che stai facendo questo gesto per la sua felicità, è corretto, vero?» sottolineò Artemide, sinceramente incuriosita.

«No. Oggettivamente, trovo assai difficile non essere un eroe, e questa nuova esperienza di vita mi mette molto in difficoltà. Era più facile camminare lungo l’altro sentiero, anche se questo mi ha sempre portato a morti premature. Ora come ora, non so cosa fare. E’ davvero un terreno nuovo e impervio, per me» ammise Achille.

Artemide assentì, lasciò che lo sguardo vagasse verso la valle, dove si scorgeva Monterey – illuminata e caotica – e, pensierosa, disse: «Non so perché dovrei sentirmi così in ansia per la nascita di questa figlia, visto che ne ho avute altre due, eppure mi sembra di non sapere dov’è la strada in cui infilarmi.»

«Conosco la sensazione» asserì il semidio.

La dea annuì con un risolino, replicando: «Fa schifo, vero?»

«Abbastanza» ne convenne lui.

«Sai, quando morì Miguel, Athena abbandonò qualsiasi contatto con noi. Non volle avere intorno nessuno. Aveva smarrito la via anche lei, che è sempre stata forte e sicura di sé. Trovai la cosa sconvolgente, a suo tempo, lo ammetto. Persino lei poteva crollare, e per me fu assurdo anche il solo pensarlo ...ma successe.»

«Temete per Felipe, non per la bimba» ipotizzò Achille, vedendola annuire torva.

«So che Atropo non ce l’ha con nessuno, e che la morte di Miguel non dipese da un suo capriccio, ma a volte mi sveglio la notte soltanto per sentirlo respirare» ammise la dea, passandosi nervosamente una mano sul ventre piatto. «So inoltre che, prima o poi, dovrò dirgli addio, perché la sua mortalità me lo porterà via… ma è così bello stare con lui!»

Dopo un attimo, ammiccò al semidio e aggiunse: «Scusa, sono un po’ sdolcinata.»

Scuotendo il capo, Achille replicò: «Mi sto battendo per ottenere la stessa cosa, quindi non posso che apprezzare la vostra felicità e sperare di poterla vivere io stesso.»

«Beh, alla fine Athena è riuscita a ritrovare la strada di casa. Chi siamo, noi due, per non fare altrettanto?» chiosò la dea, stringendosi le ginocchia al petto per poi poggiarvi il mento. «Riusciremo a essere altrettanto bravi. Ne sono sicura.»

«La casa che vi ha accolte è numerosa, piena d’amore e di gioia. E’ valsa davvero la pena di lottare per tornare alla vita, a mio parere» dichiarò Achille, levandosi in piedi con un balzo. «E’ questo che spero per me… e Alessandra. Anche se la sua non è né una casa ampia, o piena della gioia che meriterebbe.»

Accigliandosi leggermente, Artemide domandò: «Non è amata?»

Scrollando le spalle, Achille disse: «Sua madre cercò di ucciderla nella culla. Fu il cane, a salvarla. Cominciò ad abbaiare contro la padrona, attirando così l’attenzione dei vicini di casa che, trovando la porta aperta, entrarono e videro la donna con le mani ancora strette sul collo della bambina. Si parlò di crisi post-partum. La diedero in affido perché il padre era un drogato, sempre dentro e fuori dalla galera, e la madre non poteva più tenerla, dopo ciò che aveva tentato di fare.»

Artemide levò entrambe le sopracciglia per la sorpresa e il disgusto, ma non disse nulla, spingendo Achille a proseguire nel racconto.

«Venne sballottata da una famiglia affidataria a un’altra per anni, finché non finì a Verona. Lì, iniziò l’amore per i motori. Suo padre putativo era un meccanico. Lei passava ore e ore a guardarlo lavorare, e un giorno lui decise di farla provare con qualche lavoretto semplice. Fu così che divennero prima amici, e poi padre e figlia nel senso più puro del termine. La madre, fortunatamente, fu d’accordo a farla stare in officina, e il loro rapporto divenne via via più saldo.»

«Ma qualcosa non andò bene, vero?» terminò per lui Artemide.

Achille scosse il capo, e ammise: «Un pazzo, armato di pistola, si presentò in officina per riavere la sua auto senza pagare il conto. Si scatenò quindi un parapiglia e partì un colpo, che uccise suo padre. Si scoprì in seguito che l’uomo aveva appena ucciso la moglie, e rivoleva l’auto per scappare da Verona.»

«Che disastro…» sospirò Artemide, scuotendo il capo. «Quindi, tu vorresti essere la sua nuova famiglia?»

«Merita tutto l’amore che la vita, finora, le ha tolto» annuì Achille, con fervore. «Sua madre adottiva le vuole bene, ma sono solo in due, ora, e il vero legame lei lo aveva con il padre, Giancarlo.»

«Per quel che mi riguarda, tiferò per te» dichiarò Artemide, levandosi a sua volta in piedi e battendo una mano sulla sua spalla. «Inoltre, pregherò per una vita serena per la tua Alessandra. Per i mie gusti, ha già dato a sufficienza, e io sono sempre di parte, quando c’è di mezzo una donna che soffre.»

«Vi ringrazio, Agrotis Día» mormorò ossequioso Achille.

Lei accennò un sorriso, ammiccò a qualcuno alle spalle di Achille e, come scusandosi, aggiunse: «Non può farti nulla, perciò porta pazienza.»

Ciò detto, si allontanò com’era venuta e Achille, seguendola con lo sguardo, si trovò ad affrontare il volto accigliato e pensieroso di Apollo.

Scostandosi istintivamente, Achille reclinò il capo – era pur sempre al cospetto di una divinità, indipendentemente da ciò che aveva visto quel pomeriggio – e, dubbioso, domandò: «Cosa posso fare per voi, Febo?»

Apollo, però, non rispose subito e, silenzioso, raggiunse la staccionata che si gettava sul declivio che conduceva a valle e lì si fermò in contemplazione.

Achille lo seguì dopo alcuni attimi di riluttanza, poggiò le mani sulla staccionata e ne scrutò il profilo perfetto stagliato nell’oscurità della notte. Anche con quella luce fioca, la sua bellezza era quasi imbarazzante.

«Sai di avermi ferito molto, uccidendo mio figlio?»

«Voi tramaste per uccidere Patroclo… e uccideste me per mano di Paride» replicò con semplicità Achille.

Apollo assentì con un sospiro, si passò una mano sul viso ed esalò: «Non so davvero come facciano, Athena e Ares, a trovare soddisfazione nella guerra. Io ne rimasi sconvolto e addolorato, ma niente affatto soddisfatto. Non lo sarei stato neppure se avessimo vinto, lo ammetto. Troppe morti, troppo sacrificio di sangue.»

«Non posso parlare per due divinità ma, avendo visto Athena come donna, e non solo come dea, non credo provi piacere. E’ molto attenta nel pianificare le battaglie ed è desiderosa di vincere, questo sì, ma dubito che ami veder scorrere il sangue» ci tenne a dire Achille.

«Le arti e la musica sono più semplici, più belle, e recano più gioia di una guerra» sottolineò Apollo, scrollando una spalla.

«Ne convengo» assentì cauto il semidio. Dove voleva andare a parare, con quel discorso?

Volgendosi a scrutarlo, Apollo allora domandò: «Quindi, se sai che i miei doni recano più gioia di quelli offerti da Athena, perché hai dato il tuo amore a lei?»

Ritrovandosi a ridere per l’assurdità di quella domanda, Achille esalò: «Perché in tutta onestà, Febo, mi avreste ucciso di vostra mano, se mi aveste sentito cantare… o suonare. Le mie capacità erano altre. Le Muse non guardarono dalla mia parte, quando nacqui, né mia madre Teti pensò di chiedere il loro sostegno perché io diventassi un artista.»

Levando un sopracciglio con evidente sorpresa, Apollo domandò: «E’ dunque così terribile la tua voce, quando canti? Non mi sembrerebbe, ascoltandoti parlare.»

«Credetemi. Farei sanguinare le orecchie a un sordo» ammise con candore Achille.

Massaggiandosi pensieroso il mento, Apollo allora disse: «Canta. Sarò io a decidere.»

«Come, prego?» gracchiò Achille, impallidendo leggermente.

«E’ l’ordine di un dio. Canta. Sarò io a dirti se il tuo è un caso senza speranza, o meno» lo incitò Apollo, scrollando con impazienza una mano.

“Ma non era meglio se andavo a dormire?”, si domandò Achille, schiarendosi la gola.

Dopo alcuni secondi di imbarazzo, il semidio si esibì quindi in un breve brano ritmato e, come temuto, il volto di Apollo si trasfigurò, divenendo puro dolore.

Bastarono dieci secondi di quello strazio, per convincere Apollo a dire: «E’ davvero il caso che tu rimanga un prediletto di Athena. Io non ti vorrei neppure alla porta del mio tempio.»

«Intendevo appunto questo, prima» sottolineò Achille, facendo spallucce.

Scuotendo il capo, Apollo si ritrovò suo malgrado a sorridere e, ironico, dichiarò: «Tutto sommato sono contento di sapere che il grande paladino di Athena starnazza come un’oca spennata.»

“E’ un dio, porta pazienza, è un dio, porta pazienza…” cominciò a ripetersi Achille, preferendo non aprire un’altra faida con il dio solare. Già sembrava complesso chiudere definitivamente quella, che stava perdurando da diversi millenni.

Quest’ultimo, però, mise alla prova le capacità di resistenza del semidio, continuando a offenderlo in modo più o meno diretto, beandosi della sua bravura nel canto a discapito di quella di Achille.

Per il semidio fu una notte davvero molto lunga.







N.d.A.: scopriamo un po' del passato infelice di Alessandra, e di come Achille voglia fare la differenza per lei e per il suo futuro. Veniamo anche a sapere come Artemide abbia fatto un po' di confusione nel dire la verità al suo Felipe, ma di come l'uomo abbia comunque apprezzato il suo gesto.
Erebos, nel frattempo, ha pensato a sopperire alle "mancanze" di Achille, rendendo partecipe del piano anche Alekos, che si è divertito un mondo nell'essere messo in mezzo.
Che dite? Grazie a questo fantomatico silenziatore, Achille e Alessandra riusciranno finalmente a vincere la loro gara del cuore? 
  
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