. 11 .
I semi d’arancia del destino
Sakura era rimasta
fuori casa di sua madre per tempo indefinito prima di trovare il coraggio per
bussare alla sua porta. Faceva freddo, aveva la pelle d’oca e di tanto in tanto
le cadeva qualche goccia di pioggia sulle ginocchia, come se il cielo avesse voluto
avvisarla di doversi spaccare in due, come aveva minacciato di fare per tutto
il giorno.
Se ne stava seduta sulle scale del portico e si
sentiva un’estranea, pur avendo passato lì metà della sua vita – chiacchierando
con Ino, mangiando gelato d’estate, o da sola, come nell’autunno che i suoi
passarono interamente a litigare (perché pur potendo semplicemente entrare in
casa ed interrompere le loro discussioni con la sua sola presenza, preferiva
far finta per sé e per i suoi di non sapere nulla dei problemi che
avevano).
Il panorama che aveva da lì non era cambiato per niente: la casa di fronte alla
sua era perfettamente identica a come la ricordava da bambina, con la porta blu
e le grondaie grigie; il giardino del vicino a sinistra era curato come sempre,
mentre quello del vicino a destra era ancora pieno delle bici vecchie e dei
giocattoli dei ragazzini con cui era cresciuta: nonostante questi fossero ormai
adulti ed avessero lasciato la loro casa da tempo, quei giochi erano rimasti
nelle loro solite posizioni... Come a volerli aspettare, in caso fossero
tornati.
La casa di Sakura non era accogliente neanche la metà di quelle del vicinato.
Aveva sperato, in cuor suo, che se fosse rimasta
seduta su quella scalinata con gli occhi chiusi e se l’avesse desiderato con
tutte le sue forze, sarebbe potuta tornare ai giorni d’infanzia, quando la vita
era semplice ed essere una kunoichi era solo un sogno; quando i suoi genitori
si sopportavano abbastanza da tirare avanti.
Ma una volta riaperti gli occhi si era ritrovata ad avere ancora diciotto anni,
ancora seduta sotto al portico della sua vecchia casa a sperare in un sogno del
passato per paura della realtà del futuro.
Tuttavia, i sogni non si avveravano quasi mai.
L’indecisione era sempre stato il veleno della sua vita, vita che aveva
finalmente deciso di prendere in mano, a rischio di sembrare uno di quei
personaggi sempre di buon umore e stupidamente ottimisti delle soap che
guardava.
Inoltre, da un momento all’altro avrebbe
cominciato a piovere a dirotto.
Si mise in piedi e bussò alla porta decrepita: era
aperta e sapeva di poter entrare senza aspettare risposta, avrebbe potuto
raggiungere sua madre in salotto e darle un bacio sulla guancia, come al
solito; ma stavolta voleva che fosse lei a raggiungerla.
A notarla.
Dopo una lunga attesa, le si parò davanti il viso
di sua madre – affacciata dalla piccola fessura ricavata dalla porta
semi-aperta – segnato da un’espressione di pura noia e sonnolenza. Assomigliava
troppo al volto che aveva visto nell’illusione che il jutsu di Kakashi le aveva
dato, ma cercò di non darvi peso: sua madre era ancora, a modo suo, una donna
attraente... soprattutto quando non era imbronciata, non fumava o non si
addormentava senza struccarsi. Tutte cose che faceva spesso, sfortunatamente.
« Ma lo sai che ora è? » le chiese la donna,
trattenendo a stento uno sbadiglio.
« Non è poi così tardi » le fece notare Sakura. «
Sono solo le sette passate. Stavi dormendo? »
« Sì, stavo
» rispose lei, con un tono che suggeriva il rammarico nel dover usare il
passato.
« Cosa c’è stavolta? Sono sempre tre i motivi che ti portano qui: non possono
essere i soldi, perché sai che non ne ho; non sono i vestiti, perché hai già
ripulito tutto, quindi sembra che i tuoi sensi di colpa ti abbiano afflitta di
nuovo, e sei qui per espiare il peccato di aver lasciato la tua povera vecchia
madre da sola ».
Sakura alzò gli occhi al cielo.
« Allora, qual è? » insisté.
« Sensi di colpa » borbottò. « Posso entrare? »
Sua madre esitò. « Fa’ in fretta, c’è la
pubblicità ».
All’improvviso, Sakura prese a chiedersi perché
mai fosse venuta. Seguì sua madre nel salotto e si sedé al tavolo, non potendo
trattenersi dal notare quanto quella stanza fosse simile a quella del genjutsu,
e l’osservare sua madre, ora, era come rivivere la sua più grande paura ancora
una volta.
« Sakura, non fissarmi in quel modo » le disse,
lanciandole un’occhiata obliqua. « È snervante ».
« Scusa » le rispose, volgendo lo sguardo alla TV.
« Oh, ho già visto quest’episodio. È quello in cui Denji
si sveglia dal coma e chiede a Rinoko di sposarlo ».
« Ma prego, rovinami pure la sorpresa... »
« Scusa ».
Non stava andando affatto bene.
Sua madre la guardò e sospirò, prima di allungare
le dita impregnate di odore di fumo ed accarezzarle la nuca. « C’è qualcosa che
non va, tesoro? Sembri giù ».
Sakura la guardò. « Oggi mi è successa una cosa
spaventosa ».
« Beh, sei una kunoichi, credo sia normale per voi...
»
« Non in quel senso » mormorò. « Mamma, posso
farti una domanda? »
« Fa’ pure » le rispose, calma.
« Perché hai sposato papà? »
Sua madre sbuffò una ricca boccata di fumo e
spense un mozzicone di sigaretta nel posacenere di fronte a lei, prima di
raccogliere il pacchetto e tirarne fuori un’altra. « Perché avevo trent’anni e
non sarei di certo ringiovanita ».
Sakura attese un seguito che non sembrava voler
arrivare. « Tutto qui? »
« Quando sarai grande capirai. Tutte le mie amiche
e sorelle erano felicemente sposate, mentre io riuscivo a rimorchiare solo gli
uomini peggiori. Credevo che tuo padre fosse diverso, ma gli ci sono voluti
solo più anni rispetto agli altri per mostrarsi per ciò che era. Lui non era
chi credevo ed io sono di nuovo al punto di partenza... Solo che ora ho cinquant’anni,
e se era difficile trovare qualcuno di decente e libero quando ero giovane, riuscirci
ora sarebbe un miracolo ».
« Non credo che tu non conoscessi nemmeno un uomo decente... » le disse Sakura,
accigliandosi.
Sua madre prese una lunga boccata di fumo ed
espirò lentamente. « Forse un paio... No, uno solo » sbuffò. « Quando avevo
circa la tua età, forse poco più, conobbi un ragazzo piuttosto in gamba. Tutte
le ragazze erano pazze di lui, e con ragione. Galante, intelligente, di buona
famiglia: era praticamente perfetto in ogni senso, fatta eccezione per uno ».
« Quale? » chiese Sakura.
« Gli piacevo io ».
« Oh. E cosa successe? »
« Nulla » brontolò, alzando gli occhi al cielo in
un modo che a Sakura ricordò paurosamente il suo. « Mi intimidiva e scappai,
come facevo con tutte le cose che non reputavo alla mia portata. La più grande stronz– uh, il più grande errore della mia vita. Sarebbe
potuto essere tuo padre se avessi giocato bene le mie carte, e forse ora vivrei
su una grande casa in collina, piuttosto che in questo tugurio ».
Sakura batté le palpebre, sorpresa: non reputava
così male quella casa, ma era lì che era cresciuta e non aveva mai sognato di
avere di più. Forse, sua madre si sentiva intrappolata in quel luogo, allo
stesso modo in cui si era sentita lei nella sua visione.
« Dov’è ora? » chiese, cauta.
« E chi lo sa » rispose, rilassando le spalle stanche.
« Non ci siamo incrociati spesso, dopo che abbiamo rotto, e da un giorno
all’altro non l’ho più rivisto. Era un jonin... quindi potrebbe essere morto; o
peggio: sposato ».
Sakura rifletté per un momento: forse, se fosse
riuscita a trovare quell’uomo... « Come si chiamava? »
« Non importa, Sakura » tagliò corto sua madre. «
Che ti serva da lezione: non lasciare che la paura controlli la tua vita. Non
accontentarti della seconda scelta. Se hai l’occasione di ottenere ciò che
vuoi, coglila; perché se te la lasci scappare... »
La mano di sua madre tremò e della cenere cadde
sul tavolo; il fumo vorticava dalla punta della sigaretta, disperdendosi
nell’aria fino a sparire. La madre di Sakura lo osservò per un istante, prima
di rivolgersi di nuovo al televisore. « Va bene così » disse, con la voce di
nuovo piatta. « Hai fatto il tuo dovere, puoi andare ora ».
Sakura non si mosse. « Ma io– »
« Vorrei che andassi, Sakura ».
Di sicuro quello non era un argomento felice per
sua madre, quindi Sakura comprese. Non insistette, ma annuì e si sporse per
circondarle le spalle in un abbraccio. « Ti voglio bene, mamma » sussurrò, ispirando
il familiare odore di fumo e profumo che era stato una costante della sua
infanzia.
« Ti voglio bene anch’io, tesoro » le rispose,
carezzandole un braccio. « Sta’ attenta ».
Era tempo per Sakura di andare.
Un’incessante pioggia la investì non appena si
richiuse la porta alle spalle: restò per qualche minuto lì, sotto quel portico,
a chiedersi cosa fare.
Non voleva tornare a casa e passare un’altra
serata da sola; non voleva andare a cercare Naruto, perché sarebbe stato
sicuramente in compagnia di Sasuke, e l’ultima cosa che desiderava in quel
momento era stare con qualcuno che la metteva al secondo posto. In due erano
pochi ed in tre troppi, certe volte, o almeno era così da quando Sasuke era
tornato. L’unica scelta che le restava era Ino, ma Sakura sapeva che da lei
avrebbe ottenuto solo un sermone, o peggio, avrebbe provato a rifilarle uno dei
suoi ex.
C’era anche un altro posto in cui sarebbe stata la
benvenuta... ma non voleva nemmeno pensarci.
Sapeva solo di non poter restare lì impalata: con
tutta l’acqua che le scorreva dietro la schiena, sarebbe stata solo questione
di tempo prima di beccarsi un raffreddore; e per quanti meravigliosi jutsu
medici conoscesse, non ne aveva ancora trovato uno che curasse gli starnuti.
Incamminandosi per le vie, sguazzò nelle
pozzanghere e provò invano a proteggere il viso dalla pioggia, mentre cercava
un rifugio.
Lo trovò sotto un ampio tendone da sole
di un negozio chiuso. Con non pochi schizzi di fango, si fermò di scatto
accanto ad una pila di cestini che puzzavano vagamente di cavolo andato a male,
per poi poggiarsi contro la porta del negozio.
Tutta l’umidità accumulata la fece rabbrividire e si lasciò scappare un
sospiro: in quel momento non amava poi così tanto la pioggia, al contrario di
quanto avesse detto a Kakashi il giorno prima.
Oh, Kakashi...
Il cuore perse pateticamente un battito e dovette
resistere al nodo che le si formò in gola.
Era nei guai, grossi guai, se l’unica
persona che riuscisse a capirla e potesse darle ciò che voleva era il suo
maestro jonin, ma non poteva farci nulla. Ultimamente, quando era con lui...
per quanto odiasse ammetterlo, stava bene. L’ascoltava come nessuno mai: Naruto
non sapeva farlo, Sasuke non voleva, Ino la interrompeva ogni volta provasse ad
aprirsi con lei e di sicuro nessuno dei suoi ex aveva mai trovato il tempo di
considerare altro oltre al loro ego gigante. Dopotutto, si disse, era ciò che
si otteneva ad uscire con gli shinobi.
Kakashi, invece, le era sempre apparso
irraggiungibile, fatto di materia diversa rispetto a quelli che frequentava; ma
da quel fatidico – ed orribile – mattino quando l’aveva visto con Kimura Yoshi,
si era resa conto di quanto in realtà fosse umano, non più così intoccabile.
Era riuscito a farla aprire su argomenti dei quali non aveva mai parlato,
l’aveva fatta sentire come nessuno mai prima...
Sakura rabbrividì al ricordo delle sensazioni che
le aveva dato il suo sharingan: una totale esplosione di piacere che le avrebbe
portato via ogni briciolo di sanità mentale, se solo glielo avesse permesso. Il
solo pensarci la faceva tremare di desiderio; desiderio di lui, delle sue mani
ruvide sulla pelle e la sua bocca calda sulla sua, del suo corpo perfetto su di
lei... dentro di lei.
Era andata da sua madre per avere delle risposte,
per capire cosa fare, ma pur essendosi sentita dire proprio quello che desiderava,
era ancora esitante...
Se
hai l’occasione di ottenere ciò che vuoi, coglila – perché se te la lasci
scappare...
L’occasione era lì, pronta per essere colta o
rifiutata: avrebbe potuto mandare le convenzioni al diavolo e buttarsi a
capofitto in quell’assurda situazione, o avrebbe potuto non rischiare ed andare
a casa, standosene in un letto gelido a chiedersi come sarebbe andata se avesse
avuto abbastanza coraggio.
Spingendo a forza un piede dietro l’altro, si
chiese per un attimo quale fosse la cosa giusta da fare.
Dovere o piacere; mente o cuore; fare ciò che doveva o ciò che voleva.
Si morse le labbra ostinatamente e chiuse gli occhi.
Poi decise.
Uscendo fuori dal riparo del tendone, si rimise in
cammino. I piedi le pesavano come blocchi di cemento e non avrebbe potuto
affrettare il passo nemmeno a volerlo. La pioggia le martellava addosso e le
luci tremule ai bordi della strada sembravano fari nel buio, ma Sakura non li
notò. Aveva una sola cosa in mente e vi era così concentrata da non avere
ricordo alcuno di quel viaggio: un attimo prima era sotto il capanno di un
negozio di frutta, quello dopo era fuori al cortile di Kakashi, su quella
vecchia e ripida stradina mentre la pioggia che scorreva dalle grondaie le
inondava i piedi.
La finestra dell’appartamento del suo insegnante
era illuminata, e non essendo lui così sbadato da dimenticare la luce accesa,
poteva significare una sola cosa: era in casa.
Ma tutto ciò che riusciva a scorgere dalla strada era la sagoma di Mr. Ukki.
Sakura si mosse in avanti, oltrepassando il
cancelletto arrugginito del cortile ed il vialetto pavimentato. Per un attimo
pensò di bussare il citofono, poi ricordò fosse rotto. Probabilmente era
proprio colpa di quello stupido bottoncino col numero dell’appartamento di
Kakashi accanto se ora si trovava in quella situazione: se quella mattina
avesse funzionato, Sakura non sarebbe
andata alla sua finestra, e non vedendolo in quella situazione la sua
percezione di lui non sarebbe mai cambiata. Sarebbe rimasto il suo particolare
ed eccentrico maestro, con una passione esagerata per il porno e nulla più;
mentre lei in quel momento si sarebbe trovata nel suo appartamento, vuota e
sola, ma almeno beatamente ignorante di ciò che non aveva.
Spinse il pomello del portone e lo trovò
scontatamente aperto.
L’androne del condominio era caldo e asciutto ed il contrasto di temperatura
sulla sua pelle fresca la fece tremare; ma sarebbe stato sleale non ammettere che
il freddo non era l’unica causa dei suoi brividi.
Le scale davanti a sé sembravano infinite, ma le
salì gradino per gradino, superando la porta del primo appartamento da cui
arrivava della musica classica ad alto volume, la seconda e la terza che erano
silenziose e la quarta, dalla quale sentiva delle risa.
L’appartamento di Kakashi era il quinto.
Non c’era nulla di spettacolare nella sua porticina verde o nel tappetino con
la scritta “Welcome Home” sull’uscio (a parte il fatto che le ultime due
lettere erano sbiadite e distorcevano di parecchio il senso del messaggio).
Esitò per un solo istante prima di alzare il pugno e battere le nocche
cautamente contro la superficie lignea: una parte di sé sperò che non fosse in
casa...
Ma non era arrivata a quel punto per tirarsi
indietro all’ultimo.
Quando la porta lentamente si aprì, lo stomaco le si
attorcigliò e assunse un’espressione di puro stupore misto ad ansia. Il volto scoperto
di Kakashi e l’asciugamano a turbante che portava come copricapo la sorpresero
non poco, mentre un leggero profumo d’arancia aleggiava tra di loro.
Non sapeva di preciso, secondo la sua fantasia,
quale dio del sesso si era aspettata di trovare, ma ciò che vedeva non era
esattamente quello che aveva sperato.
Kakashi la squadrò da capo a piedi lentamente,
constatando quanto bagnata fosse prima che i loro sguardi si incrociassero, per
poi alzare un sopracciglio come a dire “Ebbene?”.
Sakura, in risposta, alzò il viso e prese un
respiro profondo, per trovare il coraggio di pronunciare le parole che voleva
dirgli fin da quella mattina alla finestra.
« Per favore,
fa’ l’amore con me ».
Lo spicchio d’arancia gli si bloccò in gola e
Kakashi tossì discretamente nel pugno della mano libera. Non era sorpreso dal
fatto che fosse lì per fare sesso, quanto più da come non avesse minimamente esitato
ad ammetterlo.
Sembrava comunque terrorizzata – lì ferma sul suo
pianerottolo; la punta del naso e quelle dei capelli erano grondanti d’acqua,
ed era così pallida che avrebbe potuto confondersi con l’intonaco del muro alle
sue spalle. Tremava come un gattino lasciato al freddo, e per quanto si
divertisse a stuzzicarla e a provocarla, ora le sembrava così fragile che non
ne aveva il coraggio.
« Allora è meglio se entri » le disse, lasciandole
intendere di aver compreso perfettamente.
Fece poi un passo indietro e ad aprì di più la porta per lasciarla passare.
Sakura entrò come un topolino che entra nella tana
del leone, togliendosi rispettosamente le scarpe e guardandosi intorno come se
non avesse mai visto quegli spazi in vita sua.
In effetti, Kakashi non riusciva a ricordare una sola visita da parte della sua
alunna, e di sicuro lui non l’aveva mai invitata ad entrare. Si chiese cosa
pensasse di casa sua: era un tipo piuttosto ordinato per essere uno scapolo, e gli
piaceva tenere le sue cose sotto controllo.
Ma quel giorno aveva il bucato impilato in un angolo della stanza, che
aspettava di essere stirato e riposto. La maggior parte della pila, ovviamente,
era composta dalla sua biancheria intima.
Notò gli occhi di Sakura indugiare per un secondo
di troppo proprio in quell’angolo, per voltarsi poi rapida ad osservare il muro
di fronte. Quando Kakashi sfilò l’asciugamano che aveva in testa per poggiarlo
sui suoi capelli sobbalzò. « Sei bagnata fradicia... Ti sei tuffata nel fiume?
»
Le strofinò l’asciugamano in testa senza remore. «
Ma mi hai ascoltata? » chiese. « Voglio che tu– »
« Ti ho sentita » la interruppe lui, prima di
indicarle il tavolo della cucina. « Perché non ti siedi un attimo? »
Sakura si bloccò per un attimo, come a voler
protestare, poi ci pensò su e si sedette. Kakashi raccolse un’altra arancia
dalla ciotola sul bancone da cucina e si accomodò di fronte a lei. Le offrì il
frutto con un gesto, ma Sakura scosse la testa.
Kakashi prese a sbucciarlo lo stesso.
« Mangio sempre un’arancia quando sono triste, mi
fa sentire sempre meglio » le disse, tanto per fare conversazione. « Credo sia
per la vitamina C ».
Osservò come Sakura strofinava distrattamente
l’asciugamano sulle braccia – quelle braccia lisce e toniche spruzzate da una
leggera abbronzatura sbiadita. Per essere così forte, aveva una figura straordinariamente
delicata, con avambracci snelli che si snodavano in polsi sottili e mani dalle
dita affusolate. Aveva gli occhi più scuri, quella notte, quasi grigi, e lo
guardavano circospetti, come a voler tirare via dalla sua bocca ogni parola
avesse da dirle.
Kakashi rivolse di nuovo l’attenzione all’arancia
che stava sbucciando. « Perché sei qui, Sakura? »
Calò tra di loro un massiccio silenzio. « Credevo
di essere stata chiara » rispose.
« Okay, lascia che riformuli la frase » le disse, guardandola
con un mezzo sorriso. « Vuoi che ti scopi? »
La sua calma precaria si spezzò e Sakura arrossì.
« Non voglio che mi scopi, voglio che tu
faccia l’amore con me, in modo adeguato. Hai detto che ci saresti stato per me,
in caso di bisogno– »
« Ed hai dedotto che io avrei mandato tutto al
diavolo per scoparti – scusa – per fare
l’amore con te, semmai ti fossi presentata alla mia porta nel bel mezzo
della notte, per soddisfare un tuo prurito? » prese uno spicchio d’arancia dal
palmo della mano e lo mise in bocca.
« Una conclusione piuttosto singolare da trarre da una semplice offerta d’aiuto
».
Sakura lo osservò attentamente. « Mi sbagliavo? »
chiese poi, lentamente.
« No » ammise. « Ma la mia generosità ha dei
limiti, per i quali mi chiedo cosa ti spinga esattamente qui. Sei qui perché lo
vuoi o per quello che hai visto nel jutsu di stamattina? »
Lo sguardo di lei si fece incerto e per qualche minuto
non disse nulla.
Dopo un’attenta osservazione della superficie di pino davanti a lei, sollevò la
testa e rispose.
« Non so di preciso cosa tu intenda, ma è come hai detto tu: tutti a volte ci
sentiamo soli... ma quando sono con te, io quella solitudine non la sento. E tu
lo capisci questo, vero? »
Fin
troppo. Annuì lentamente, donandole un sorriso ben più
caldo del precedente. « Sì » mormorò. « Lo capisco ».
« I-io non lo so » riprese Sakura: tutta la
convinzione che aveva avuto fino ad un istante prima si infrangeva come vetro
intorno a lei, mentre lo sguardo saettava da un punto all’altro del suo
appartamento. « Forse non dovrei essere qui, forse è stato un grosso sbaglio– »
« O forse non lo è » la interruppe. « Forse
dovresti essere proprio qui ».
Sakura lo guardò, incerta. « Dovrei...? »
Stava di nuovo chiedendo a lui la risposta, gli
stava chiedendo cosa fare, di prendere la decisione per lei e renderle le cose
più semplici.
Per quanto fosse tentato dall’idea di convincerla ad andare a letto con lui quella
notte, non toccava a lui fare quella scelta: stava a lei e lei soltanto.
Kakashi osservò gli spicchi d’arancia che aveva in
mano e prese a spezzarli a metà.
« Mi piacciono le arance, ma sono sempre piene di semini. Si dice ci sia circa
il cinquanta percento di possibilità di trovare un semino in ogni spicchio ».
Sakura batté le palpebre, confusa.
« Quindi facciamo una piccola scommessa » le
disse, allegro. « Prendi uno di questi spicchi, a caso, e lo mangi. Se ci
troverai un semino, andrai a casa. Se non lo troverai, dovrai baciarmi ».
Gli occhi di Sakura si spalancarono, mentre il
viso le si impallidì, ma non sapeva se fosse per la prospettiva di andare a
casa o di baciarlo.
« Affare fatto? » propose.
Lentamente, e con cautela, annuì. « Affare fatto
».
Kakashi sorrise pigramente e dispose gli spicchi
d’arancia in fila al centro del tavolo, presentandoli poi con un gesto. «
Avanti: chiudi gli occhi e fa’ la tua scelta ».
Quasi riluttante, Sakura chiuse gli occhi ed
avvicinò la mano ai pezzetti. Le dita indugiarono per un istante, per poi
posarsi su uno dei più spessi; con gli occhi ancora chiusi, lo afferrò o lo
portò alla bocca, mangiandolo per intero.
Se pure avesse trovato un semino e fosse andata a
casa, anche il solo guardarla mentre spingeva quel pezzetto di frutta tra le
labbra rosee ed umide sarebbe stato abbastanza. Quell’immagine era della stessa
sostanza di cui sono fatti i sogni erotici, e quando finalmente ebbe deglutito
e le sue labbra si aprirono, sentì l’inguine tirare.
Cose talmente semplici, in genere, non gli davano
così tanto alla testa. Se si fosse leccata le labbra, non avrebbe potuto
resistere dal ribaltare il tavolo nell’urgenza di averla.
Per fortuna, non lo fece: aprì solo gli occhi e li
fissò nei suoi. A Kakashi occorse un attimo per realizzare che Sakura non stava
per sputare nessun semino o avesse accennato ad alzarsi per andarsene, e ciò
poteva significare solo una cosa.
« Hai intenzione di rispettare il patto? » le
chiese.
« È doveroso » rispose lei, debolmente.
Con un ulteriore sorriso disarmante, le tese la
mano: le dita fredde di lei si intrecciarono esitanti alle sue e Kakashi le
strinse prontamente, per poi avvicinarle e lasciare un leggero e casto bacio
sulle nocche. Avvertì senza dubbio il respiro di lei mancare: le dita di Sakura
scivolarono sotto le sue, e Kakashi si meravigliò di quanto liscia fosse la sua
pelle, tale da far vergognare la più pura delle sete.
Ma non le diede tempo di ritrattare: subito la
attirò a sé, lasciandola solo quando fu poggiata per metà sul tavolo. In quella
posizione era abbastanza vicina a lui da permettergli di avvicinasi agilmente,
spostarle qualche ciocca umida dal viso e sollevarle il mento per baciarla.
Il primo bacio fu breve, casto, atto solo ad
assaggiarla; il secondo più appassionato e lascivo. Sakura tenne gli occhi
chiusi e le labbra schiuse, ma Kakashi non si spinse oltre il necessario: non
aveva mai baciato nessuno con così tanta cura, non ne aveva mai avuto bisogno.
L’unica volta che aveva usato un approccio così delicato era stato quando aveva
evocato Pakkun – ancora cucciolo – per la prima volta e gli aveva lasciato
annusare una mano in segno di saluto, incerto della reazione che avrebbe
scatenato.
Ovviamente, suddetto cucciolo aveva provato a
staccargli le dita a morsi, ma proprio a causa di quell’esperienza usava tutta
la premura necessaria: sapeva che, se non ci fosse andato abbastanza piano con
Sakura, avrebbe potuto perdere molto più che un paio di dita. A volte, poteva
essere imprevedibilmente volubile e l’ultima cosa che Kakashi desiderava in
quel momento era un labbro bucato.
Ma Sakura sembrava approvare. La sentì sospirare
per poi sporgersi verso di lui, offrendo più che la sola bocca.
Poteva sentire il sapore dell’arancia sulle sue labbra e l’odore della pioggia
tra i capelli, e quando le sue dita fredde gli sfiorarono il collo Kakashi poté
solo pensare a riscaldarle con il suo stesso calore.
Poi, d’un tratto, Sakura si tirò indietro: labbra
serrate e sguardo fisso sul tavolo. Kakashi batté le palpebre, sorpreso, ma proprio
quando stava per chiederle cosa non andasse, notò l’orologio alle sue spalle.
Era terribilmente in ritardo, perfino per i suoi
standard, ai quali Ayame non era abituata come i suoi conoscenti e la quale non
avrebbe avuto la stessa indulgenza che in genere gli veniva riservata.
E per quanto desiderasse restare, doveva proprio andare.
« Sakura, ho un appuntamento... »
La ragazza alzò gli occhi al cielo.
« No, davvero, stavo per uscire quando sei
arrivata ed ora sono terribilmente in ritardo » le disse, mettendosi in piedi. Gli
occhi di Sakura seguirono ogni suo movimento, da quando indossò la maglietta
fino a quando non finì di sistemare l’hitai-ate. Si voltò verso di lei mettendo
a posto la maschera, notando l’aria da “sedotta e abbandonata” che aveva
assunto. « Sarò qui tra un’ora. Forse un’ora e mezza » le disse. « E dovrebbe
essere abbastanza per te, credo ».
« Per fare cosa? » mormorò.
« Per decidere se vuoi davvero essere qui quando
tornerò ».
Sakura arrossì e distolse lo sguardo.
Kakashi si
fermò ad osservarla per un momento. « Pensaci bene » l’avvisò dolcemente, prima
di infilare le scarpe e chiudersi la porta alle spalle.
Quando Kakashi andò via, Sakura sputò i semini con
un sospirò di sollievo: se gli avesse lasciato approfondire quel bacio, di
sicuro avrebbe scoperto il suo piccolo inganno e l’avrebbe presa in giro senza
pietà.
Non che quel dettaglio avesse rovinato minimamente
quel bacio: nessuno l’aveva mai
baciata in quel modo. La maggior parte, se non tutti i baci che aveva ricevuto
in passato, erano solo il preludio del sesso: tutti i suoi ex li ritenevano un
male necessario, o qualcosa da fare mentre le sfilavano la maglietta. Qualche
bacio fugace era l’unico preliminare che avesse mai sperimentato.
Mentre il bacio di Kakashi era stato lento,
generoso e particolarmente attento a ciò che lei desiderava. Racchiudeva la promessa di grandi piaceri, ma non
li richiedeva. Era solo un bacio carico del desiderio delle sole labbra, puro e
vero.
Strano era riceverlo dal più grande pervertito al
mondo, dopo Jiraya.
Ma sicuramente la bravura di Kakashi era frutto di
molta pratica, pensò.
Quando hai storie con donne sposate e rimorchi ragazze nei bar tutte le sere,
di sicuro impari qualche trucchetto. Forse quel bacio
non era così puro e vero, dopotutto... forse sapeva semplicemente baciare bene.
Sakura sospirò e poggiò la fronte sul tavolo,
chiedendosi cosa fare.
Fin dal momento in cui aveva messo piede in casa
sua si era rassegnata all’idea che quello fosse il punto di non ritorno. Ora,
d’improvviso, Kakashi le stava dando un’altra chance di tirarsi indietro. Era
tentata dall’idea di saltare dalla finestra e tornare a casa, per starsene al
sicuro nel suo appartamento, ma sarebbe davvero stata la cosa giusta per lei?
Viceversa, non sarebbe comunque stato un errore restare lì fino al suo ritorno
e fare l’amore con lui? Dormire con il proprio maestro era qualcosa su cui
riflettere bene, e con ragioni: sarebbe stato da irresponsabili cedere a quella
terribile tentazione? Perché Kakashi non poteva mandarla a casa a calci e
renderle le cose più semplici? Perché si prendeva gioco di lei in quel modo?
Sarebbe stato meglio per tutti se fosse andata a
casa, ed il giorno dopo sarebbe riuscita a guardare negli occhi i suoi compagni
di team e far finta che nulla di ciò fosse avvenuto; con un po’ di fortuna,
avrebbero entrambi dimenticato quell’assurda sera in cui si era offerta al suo
insegnante su un piatto d’argento.
Restare era pura follia: con un sospiro rassegnato
si alzò e raccolse gli stivali per andarsene, sapendo di star facendo la cosa
giusta.
Ma se era
davvero quella giusta, perché le faceva così male?
« Kakashi-san, la odio ».
« Scusa, come? Non riesco a sentirti, colpa della
mia meravigliosa performance pianistica–»
Crash!
Kakashi tolse le mani dai tasti giusto in tempo da
schivare la calatoia, che cozzò sul telaio con un
tonfo, colpa dell’ira del suo piano tutor.
« È ufficialmente più bravo di me » disse Ayame,
con aria imbronciata. « Non mi resta assolutamente
niente da insegnarle ».
Kakashi la fissò. « Evviva? » tentò.
« Mi ci sono voluti dodici anni per arrivare a questi livelli – a lei sono bastate tre
lezioni per un totale di quattro ore e mezzo » confessò, portando le mani ai
fianchi. « Ha idea di quanto fastidioso possa essere chi impara in fretta? »
Kakashi pensò alla propria studentessa e alla
rapidità con cui aveva appreso i suoi genjutsu quello stesso pomeriggio. « Li
trovo tollerabili... » disse, vago.
Ayame sospirò ancora e si avvicinò al piano. « A
cosa le serve imparare a suonare? »
Glielo aveva chiesto fin dalla prima lezione e
Kakashi aveva abilmente sviato il discorso ogni volta, dicendole che era una
questione top-secret eccetera, ma se Ayame avesse voluto vendere i segreti di
Konoha l’avrebbe fatto da parecchio, dato che Naruto le raccontava per filo e
per segno ogni dettaglio delle missioni che svolgevano, quando di ritorno si
fermava a mangiare ramen al negozio di suo padre; quindi, forse, non c’era
nulla di male nel placare la sua ira dandole quella piccola informazione.
« Tra un mese ho una missione di spionaggio a
lungo raggio. L’uomo che seguirò viaggia spesso e cambia staff nel suo
entourage ogni due giorni. Gli unici che non licenzia sono i tre musicisti; il
pianista sarà indisposto il mese prossimo, ed io sarò lì a rimpiazzarlo
all’ultimo minuto ».
« Certo che voi ninja avete lavori strani »
borbottò, in soggezione. « Ma come sa che il pianista sarà indisposto? »
Magari perché sarebbe stato lui la causa di quell’indisposizione?
« I ninja sanno tutto » rispose invece.
« Oh, okay » annuì lei. « Beh, buona fortuna
allora. Mando il conto all’Hokage, giusto? »
« Giusto ».
Ayame controllò l’ora sull’orologio da polso. « È
tardi, Kakashi-san, dovrebbe andare prima che mio marito torni ed abbia una
sincope nel trovare uno strano individuo nel salotto ».
« Non sono strano... » protestò, ma Ayame l’aveva
già accompagnato alla porta.
« Arrivederci, Kakashi-san! E semmai la rivedrò,
sarà comunque troppo presto ».
Kakashi sospirò drammaticamente, ma la porta gli
era già stata chiusa in faccia.
La pioggia quella notte aveva deciso di graziarlo,
ed ora Kakashi si avviava lungo le strade umide senza fretta. Di tanto in tanto
buttava un occhio al cielo, per trovarvi la luna crescente che faceva capolino
dalle nuvole, illuminando la strada meglio di tutti quei lampioni.
Fin da quando era uscito da casa sua, si era chiesto se al suo ritorno avrebbe
ritrovato Sakura, peggiorando inoltre qualitativamente la sua performance al
piano (ma il fatto che Ayame non se ne fosse resa conto dimostrava di quanto
ormai l’avesse superata).
Ma a chi importava del pianoforte e della missione
quando poteva esserci una bellissima ragazza ad aspettarlo a casa per fare l’amore
con lui in modo folle e passionale? Cercò di convincersi che fosse troppo bello
per essere vero: a quell’ora, probabilmente era già tornata in sé ed era
scappata dalla finestra. Si promise di non prendersela, quando aprendo la porta
non l’avrebbe trovata lì: c’era da aspettarselo.
Ma aveva comunque il cuore in gola quando girò il
pomello ed entrò in casa, e dando un’occhiata al pavimento si rese conto che
non c’era più traccia dei suoi stivali.
Dannazione.
Ecco
arrivare la delusione: completamente irrazionale ed inappropriata, ma era lì.
Sentendosi notevolmente meno felice di quanto lo
fosse solo pochi attimi prima, Kakashi si sfilò la giacca e l’hitai-ate; e, non
essendo esattamente dell’umore adatto all’ordine, li abbandonò sul tavolo della
cucina, dove si erano materializzati due semini d’arancia da quando era uscito,
ma ci fece caso a stento. Voleva solo andare a letto e dimenticare quanto
idiota fosse stato ad aver pensato a lei in quel modo e quanto lo fosse ancora
a non riuscire a togliersela dalla mente.
Ma entrando in camera da letto si rese conto che
c’era qualcosa fuori posto: data la luce soffusa, a primo impatto credé che il
gatto color pesca con un solo occhio fosse entrato dalla finestra e si fosse
accomodato sul suo letto. Dopo un attimo, la vista si abituò al buio e realizzò
che il groviglio nel suo letto era rosa.
« Credevo fossi andata via » le disse, sentendosi
quasi senza fiato. « I tuoi stivali non c’erano ».
Sakura si mise a sedere, coprendosi fino al petto
con un lenzuolo. Era palese che fosse nuda... o quasi. Gli rivolse un sorriso
timido, per poi indicare il termosifone dove il paio di stivali era stato
poggiato. « Erano bagnati... »
Era adorabile e Kakashi sentiva il cuore fondersi
a guardarla nel suo letto.
« Sei nuda? » strascicò, osservando la figura del suo corpo avvolta
deliziosamente tra le coperte.
« Quasi » disse, schiva. « Te l’ho già detto,
sensei, a letto indosso solo le mutandine ».
« Descrivile ».
« Nere » sussurrò. « Con un cuore bianco sul
davanti ».
Kakashi annuì, pregustando quella meravigliosa
immagine mentale.
« Vuoi vederle? » chiese, timida.
E come avrebbe potuto dire di no a qualsiasi sua
richiesta?
Ho sempre considerato l’undicesimo capitolo un’estensione
del decimo, ma adoro il modo in cui i punti di vista dei protagonisti si
intrecciano per dare una visione a 360° di ciò che li porta al prendere la
fatidica decisione di lasciarsi andare, non dando spazio a buchi di trama o
narrazione e lasciando intendere perfettamente l’intenzione ed il pensiero di
entrambi.
Detto ciò, aggiornamento lampo perché il capitolo (relativamente) breve e
scorrevole lo ha permesso, fossero tutti così avrei già finito! Il prossimo mi
spaventa a morte perché non mi è mai piaciuto descrivere esplicitamente scene
spinte, ma va fatto.
Alla prossima, cià. ♡