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Autore: Gun    25/07/2019    2 recensioni
Sakura aveva sempre voluto vedere Kakashi senza maschera, anche se questo era troppo persino per lei...
Tutto inizia a causa dell'ennesimo ritardo di Kakashi, in una calda mattinata.
Tra imbarazzi, mutandine rubate, inganni ed incomprensioni, Sakura si addentra nel mondo dei piaceri fisici con l'aiuto dell'unico uomo che non avrebbe mai considerato. Ma se dall'amore può nascere il sesso, dal sesso può nascere l'amore?
KakaSaku.
Traduzione precedentemente pubblicata in parte da eveyzonk.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kakashi Hatake, Naruto Uzumaki, Sakura Haruno, Sasuke Uchiha, Tsunade
Note: Lemon, Traduzione | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
Capitoli:
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. 11 .

I semi d’arancia del destino

 

 

 


 

 

Sakura era rimasta fuori casa di sua madre per tempo indefinito prima di trovare il coraggio per bussare alla sua porta. Faceva freddo, aveva la pelle d’oca e di tanto in tanto le cadeva qualche goccia di pioggia sulle ginocchia, come se il cielo avesse voluto avvisarla di doversi spaccare in due, come aveva minacciato di fare per tutto il giorno.

Se ne stava seduta sulle scale del portico e si sentiva un’estranea, pur avendo passato lì metà della sua vita – chiacchierando con Ino, mangiando gelato d’estate, o da sola, come nell’autunno che i suoi passarono interamente a litigare (perché pur potendo semplicemente entrare in casa ed interrompere le loro discussioni con la sua sola presenza, preferiva far finta per sé e per i suoi di non sapere nulla dei problemi che avevano). 
Il panorama che aveva da lì non era cambiato per niente: la casa di fronte alla sua era perfettamente identica a come la ricordava da bambina, con la porta blu e le grondaie grigie; il giardino del vicino a sinistra era curato come sempre, mentre quello del vicino a destra era ancora pieno delle bici vecchie e dei giocattoli dei ragazzini con cui era cresciuta: nonostante questi fossero ormai adulti ed avessero lasciato la loro casa da tempo, quei giochi erano rimasti nelle loro solite posizioni... Come a volerli aspettare, in caso fossero tornati.
La casa di Sakura non era accogliente neanche la metà di quelle del vicinato.

Aveva sperato, in cuor suo, che se fosse rimasta seduta su quella scalinata con gli occhi chiusi e se l’avesse desiderato con tutte le sue forze, sarebbe potuta tornare ai giorni d’infanzia, quando la vita era semplice ed essere una kunoichi era solo un sogno; quando i suoi genitori si sopportavano abbastanza da tirare avanti.
Ma una volta riaperti gli occhi si era ritrovata ad avere ancora diciotto anni, ancora seduta sotto al portico della sua vecchia casa a sperare in un sogno del passato per paura della realtà del futuro.

Tuttavia, i sogni non si avveravano quasi mai.
L’indecisione era sempre stato il veleno della sua vita, vita che aveva finalmente deciso di prendere in mano, a rischio di sembrare uno di quei personaggi sempre di buon umore e stupidamente ottimisti delle soap che guardava.

Inoltre, da un momento all’altro avrebbe cominciato a piovere a dirotto.

Si mise in piedi e bussò alla porta decrepita: era aperta e sapeva di poter entrare senza aspettare risposta, avrebbe potuto raggiungere sua madre in salotto e darle un bacio sulla guancia, come al solito; ma stavolta voleva che fosse lei a raggiungerla.
A notarla.

Dopo una lunga attesa, le si parò davanti il viso di sua madre – affacciata dalla piccola fessura ricavata dalla porta semi-aperta – segnato da un’espressione di pura noia e sonnolenza. Assomigliava troppo al volto che aveva visto nell’illusione che il jutsu di Kakashi le aveva dato, ma cercò di non darvi peso: sua madre era ancora, a modo suo, una donna attraente... soprattutto quando non era imbronciata, non fumava o non si addormentava senza struccarsi. Tutte cose che faceva spesso, sfortunatamente.

« Ma lo sai che ora è? » le chiese la donna, trattenendo a stento uno sbadiglio.

« Non è poi così tardi » le fece notare Sakura. « Sono solo le sette passate. Stavi dormendo? »

« Sì, stavo » rispose lei, con un tono che suggeriva il rammarico nel dover usare il passato.
« Cosa c’è stavolta? Sono sempre tre i motivi che ti portano qui: non possono essere i soldi, perché sai che non ne ho; non sono i vestiti, perché hai già ripulito tutto, quindi sembra che i tuoi sensi di colpa ti abbiano afflitta di nuovo, e sei qui per espiare il peccato di aver lasciato la tua povera vecchia madre da sola ».

Sakura alzò gli occhi al cielo.

« Allora, qual è? » insisté.

« Sensi di colpa » borbottò. « Posso entrare? »

Sua madre esitò. « Fa’ in fretta, c’è la pubblicità ».

All’improvviso, Sakura prese a chiedersi perché mai fosse venuta. Seguì sua madre nel salotto e si sedé al tavolo, non potendo trattenersi dal notare quanto quella stanza fosse simile a quella del genjutsu, e l’osservare sua madre, ora, era come rivivere la sua più grande paura ancora una volta.

« Sakura, non fissarmi in quel modo » le disse, lanciandole un’occhiata obliqua. « È snervante ».

« Scusa » le rispose, volgendo lo sguardo alla TV. « Oh, ho già visto quest’episodio. È quello in cui Denji si sveglia dal coma e chiede a Rinoko di sposarlo ».

« Ma prego, rovinami pure la sorpresa... »

« Scusa ».

Non stava andando affatto bene.

Sua madre la guardò e sospirò, prima di allungare le dita impregnate di odore di fumo ed accarezzarle la nuca. « C’è qualcosa che non va, tesoro? Sembri giù ».

Sakura la guardò. « Oggi mi è successa una cosa spaventosa ».

« Beh, sei una kunoichi, credo sia normale per voi... »

« Non in quel senso » mormorò. « Mamma, posso farti una domanda? »

« Fa’ pure » le rispose, calma.

« Perché hai sposato papà? »

Sua madre sbuffò una ricca boccata di fumo e spense un mozzicone di sigaretta nel posacenere di fronte a lei, prima di raccogliere il pacchetto e tirarne fuori un’altra. « Perché avevo trent’anni e non sarei di certo ringiovanita ».

Sakura attese un seguito che non sembrava voler arrivare. « Tutto qui? »

« Quando sarai grande capirai. Tutte le mie amiche e sorelle erano felicemente sposate, mentre io riuscivo a rimorchiare solo gli uomini peggiori. Credevo che tuo padre fosse diverso, ma gli ci sono voluti solo più anni rispetto agli altri per mostrarsi per ciò che era. Lui non era chi credevo ed io sono di nuovo al punto di partenza... Solo che ora ho cinquant’anni, e se era difficile trovare qualcuno di decente e libero quando ero giovane, riuscirci ora sarebbe un miracolo ».

« Non credo che tu non conoscessi nemmeno un uomo decente... » le disse Sakura, accigliandosi.

Sua madre prese una lunga boccata di fumo ed espirò lentamente. « Forse un paio... No, uno solo » sbuffò. « Quando avevo circa la tua età, forse poco più, conobbi un ragazzo piuttosto in gamba. Tutte le ragazze erano pazze di lui, e con ragione. Galante, intelligente, di buona famiglia: era praticamente perfetto in ogni senso, fatta eccezione per uno ».

« Quale? » chiese Sakura.

« Gli piacevo io ».

« Oh. E cosa successe? »

« Nulla » brontolò, alzando gli occhi al cielo in un modo che a Sakura ricordò paurosamente il suo. « Mi intimidiva e scappai, come facevo con tutte le cose che non reputavo alla mia portata. La più grande stronz– uh, il più grande errore della mia vita. Sarebbe potuto essere tuo padre se avessi giocato bene le mie carte, e forse ora vivrei su una grande casa in collina, piuttosto che in questo tugurio ».

Sakura batté le palpebre, sorpresa: non reputava così male quella casa, ma era lì che era cresciuta e non aveva mai sognato di avere di più. Forse, sua madre si sentiva intrappolata in quel luogo, allo stesso modo in cui si era sentita lei nella sua visione.

« Dov’è ora? » chiese, cauta.

« E chi lo sa » rispose, rilassando le spalle stanche. « Non ci siamo incrociati spesso, dopo che abbiamo rotto, e da un giorno all’altro non l’ho più rivisto. Era un jonin... quindi potrebbe essere morto; o peggio: sposato ».

Sakura rifletté per un momento: forse, se fosse riuscita a trovare quell’uomo... « Come si chiamava? »

« Non importa, Sakura » tagliò corto sua madre. « Che ti serva da lezione: non lasciare che la paura controlli la tua vita. Non accontentarti della seconda scelta. Se hai l’occasione di ottenere ciò che vuoi, coglila; perché se te la lasci scappare... »

La mano di sua madre tremò e della cenere cadde sul tavolo; il fumo vorticava dalla punta della sigaretta, disperdendosi nell’aria fino a sparire. La madre di Sakura lo osservò per un istante, prima di rivolgersi di nuovo al televisore. « Va bene così » disse, con la voce di nuovo piatta. « Hai fatto il tuo dovere, puoi andare ora ».

Sakura non si mosse. « Ma io– »

« Vorrei che andassi, Sakura ».

Di sicuro quello non era un argomento felice per sua madre, quindi Sakura comprese. Non insistette, ma annuì e si sporse per circondarle le spalle in un abbraccio. « Ti voglio bene, mamma » sussurrò, ispirando il familiare odore di fumo e profumo che era stato una costante della sua infanzia.

« Ti voglio bene anch’io, tesoro » le rispose, carezzandole un braccio. « Sta’ attenta ».

Era tempo per Sakura di andare.

Un’incessante pioggia la investì non appena si richiuse la porta alle spalle: restò per qualche minuto lì, sotto quel portico, a chiedersi cosa fare.

Non voleva tornare a casa e passare un’altra serata da sola; non voleva andare a cercare Naruto, perché sarebbe stato sicuramente in compagnia di Sasuke, e l’ultima cosa che desiderava in quel momento era stare con qualcuno che la metteva al secondo posto. In due erano pochi ed in tre troppi, certe volte, o almeno era così da quando Sasuke era tornato. L’unica scelta che le restava era Ino, ma Sakura sapeva che da lei avrebbe ottenuto solo un sermone, o peggio, avrebbe provato a rifilarle uno dei suoi ex.

C’era anche un altro posto in cui sarebbe stata la benvenuta... ma non voleva nemmeno pensarci.

Sapeva solo di non poter restare lì impalata: con tutta l’acqua che le scorreva dietro la schiena, sarebbe stata solo questione di tempo prima di beccarsi un raffreddore; e per quanti meravigliosi jutsu medici conoscesse, non ne aveva ancora trovato uno che curasse gli starnuti.

Incamminandosi per le vie, sguazzò nelle pozzanghere e provò invano a proteggere il viso dalla pioggia, mentre cercava un rifugio.
 Lo trovò sotto un ampio tendone da sole di un negozio chiuso. Con non pochi schizzi di fango, si fermò di scatto accanto ad una pila di cestini che puzzavano vagamente di cavolo andato a male, per poi poggiarsi contro la porta del negozio.
Tutta l’umidità accumulata la fece rabbrividire e si lasciò scappare un sospiro: in quel momento non amava poi così tanto la pioggia, al contrario di quanto avesse detto a Kakashi il giorno prima.

Oh, Kakashi...

Il cuore perse pateticamente un battito e dovette resistere al nodo che le si formò in gola.
Era nei guai, grossi guai, se l’unica persona che riuscisse a capirla e potesse darle ciò che voleva era il suo maestro jonin, ma non poteva farci nulla. Ultimamente, quando era con lui... per quanto odiasse ammetterlo, stava bene. L’ascoltava come nessuno mai: Naruto non sapeva farlo, Sasuke non voleva, Ino la interrompeva ogni volta provasse ad aprirsi con lei e di sicuro nessuno dei suoi ex aveva mai trovato il tempo di considerare altro oltre al loro ego gigante. Dopotutto, si disse, era ciò che si otteneva ad uscire con gli shinobi.

Kakashi, invece, le era sempre apparso irraggiungibile, fatto di materia diversa rispetto a quelli che frequentava; ma da quel fatidico – ed orribile – mattino quando l’aveva visto con Kimura Yoshi, si era resa conto di quanto in realtà fosse umano, non più così intoccabile. Era riuscito a farla aprire su argomenti dei quali non aveva mai parlato, l’aveva fatta sentire come nessuno mai prima...

Sakura rabbrividì al ricordo delle sensazioni che le aveva dato il suo sharingan: una totale esplosione di piacere che le avrebbe portato via ogni briciolo di sanità mentale, se solo glielo avesse permesso. Il solo pensarci la faceva tremare di desiderio; desiderio di lui, delle sue mani ruvide sulla pelle e la sua bocca calda sulla sua, del suo corpo perfetto su di lei... dentro di lei.

Era andata da sua madre per avere delle risposte, per capire cosa fare, ma pur essendosi sentita dire proprio quello che desiderava, era ancora esitante...

Se hai l’occasione di ottenere ciò che vuoi, coglila – perché se te la lasci scappare...

L’occasione era lì, pronta per essere colta o rifiutata: avrebbe potuto mandare le convenzioni al diavolo e buttarsi a capofitto in quell’assurda situazione, o avrebbe potuto non rischiare ed andare a casa, standosene in un letto gelido a chiedersi come sarebbe andata se avesse avuto abbastanza coraggio.

Spingendo a forza un piede dietro l’altro, si chiese per un attimo quale fosse la cosa giusta da fare.
Dovere o piacere; mente o cuore; fare ciò che doveva o ciò che voleva.
Si morse le labbra ostinatamente e chiuse gli occhi.

Poi decise.

Uscendo fuori dal riparo del tendone, si rimise in cammino. I piedi le pesavano come blocchi di cemento e non avrebbe potuto affrettare il passo nemmeno a volerlo. La pioggia le martellava addosso e le luci tremule ai bordi della strada sembravano fari nel buio, ma Sakura non li notò. Aveva una sola cosa in mente e vi era così concentrata da non avere ricordo alcuno di quel viaggio: un attimo prima era sotto il capanno di un negozio di frutta, quello dopo era fuori al cortile di Kakashi, su quella vecchia e ripida stradina mentre la pioggia che scorreva dalle grondaie le inondava i piedi.

La finestra dell’appartamento del suo insegnante era illuminata, e non essendo lui così sbadato da dimenticare la luce accesa, poteva significare una sola cosa: era in casa.
Ma tutto ciò che riusciva a scorgere dalla strada era la sagoma di Mr. Ukki.

Sakura si mosse in avanti, oltrepassando il cancelletto arrugginito del cortile ed il vialetto pavimentato. Per un attimo pensò di bussare il citofono, poi ricordò fosse rotto. Probabilmente era proprio colpa di quello stupido bottoncino col numero dell’appartamento di Kakashi accanto se ora si trovava in quella situazione: se quella mattina avesse funzionato,  Sakura non sarebbe andata alla sua finestra, e non vedendolo in quella situazione la sua percezione di lui non sarebbe mai cambiata. Sarebbe rimasto il suo particolare ed eccentrico maestro, con una passione esagerata per il porno e nulla più; mentre lei in quel momento si sarebbe trovata nel suo appartamento, vuota e sola, ma almeno beatamente ignorante di ciò che non aveva.

Spinse il pomello del portone e lo trovò scontatamente aperto.
L’androne del condominio era caldo e asciutto ed il contrasto di temperatura sulla sua pelle fresca la fece tremare; ma sarebbe stato sleale non ammettere che il freddo non era l’unica causa dei suoi brividi.

Le scale davanti a sé sembravano infinite, ma le salì gradino per gradino, superando la porta del primo appartamento da cui arrivava della musica classica ad alto volume, la seconda e la terza che erano silenziose e la quarta, dalla quale sentiva delle risa.

L’appartamento di Kakashi era il quinto.
Non c’era nulla di spettacolare nella sua porticina verde o nel tappetino con la scritta “Welcome Home” sull’uscio (a parte il fatto che le ultime due lettere erano sbiadite e distorcevano di parecchio il senso del messaggio). Esitò per un solo istante prima di alzare il pugno e battere le nocche cautamente contro la superficie lignea: una parte di sé sperò che non fosse in casa...

Ma non era arrivata a quel punto per tirarsi indietro all’ultimo.

Quando la porta lentamente si aprì, lo stomaco le si attorcigliò e assunse un’espressione di puro stupore misto ad ansia. Il volto scoperto di Kakashi e l’asciugamano a turbante che portava come copricapo la sorpresero non poco, mentre un leggero profumo d’arancia aleggiava tra di loro.

Non sapeva di preciso, secondo la sua fantasia, quale dio del sesso si era aspettata di trovare, ma ciò che vedeva non era esattamente quello che aveva sperato.

Kakashi la squadrò da capo a piedi lentamente, constatando quanto bagnata fosse prima che i loro sguardi si incrociassero, per poi alzare un sopracciglio come a dire “Ebbene?”.

Sakura, in risposta, alzò il viso e prese un respiro profondo, per trovare il coraggio di pronunciare le parole che voleva dirgli fin da quella mattina alla finestra.

« Per favore, fa’ l’amore con me ».

 


 

Lo spicchio d’arancia gli si bloccò in gola e Kakashi tossì discretamente nel pugno della mano libera. Non era sorpreso dal fatto che fosse lì per fare sesso, quanto più da come non avesse minimamente esitato ad ammetterlo.

Sembrava comunque terrorizzata – lì ferma sul suo pianerottolo; la punta del naso e quelle dei capelli erano grondanti d’acqua, ed era così pallida che avrebbe potuto confondersi con l’intonaco del muro alle sue spalle. Tremava come un gattino lasciato al freddo, e per quanto si divertisse a stuzzicarla e a provocarla, ora le sembrava così fragile che non ne aveva il coraggio.

« Allora è meglio se entri » le disse, lasciandole intendere di aver compreso perfettamente.
Fece poi un passo indietro e ad aprì di più la porta per lasciarla passare.

Sakura entrò come un topolino che entra nella tana del leone, togliendosi rispettosamente le scarpe e guardandosi intorno come se non avesse mai visto quegli spazi in vita sua.
In effetti, Kakashi non riusciva a ricordare una sola visita da parte della sua alunna, e di sicuro lui non l’aveva mai invitata ad entrare. Si chiese cosa pensasse di casa sua: era un tipo piuttosto ordinato per essere uno scapolo, e gli piaceva tenere le sue cose sotto controllo.
Ma quel giorno aveva il bucato impilato in un angolo della stanza, che aspettava di essere stirato e riposto. La maggior parte della pila, ovviamente, era composta dalla sua biancheria intima.

Notò gli occhi di Sakura indugiare per un secondo di troppo proprio in quell’angolo, per voltarsi poi rapida ad osservare il muro di fronte. Quando Kakashi sfilò l’asciugamano che aveva in testa per poggiarlo sui suoi capelli sobbalzò. « Sei bagnata fradicia... Ti sei tuffata nel fiume? »

Le strofinò l’asciugamano in testa senza remore. « Ma mi hai ascoltata? » chiese. « Voglio che tu– »

« Ti ho sentita » la interruppe lui, prima di indicarle il tavolo della cucina. « Perché non ti siedi un attimo? »

Sakura si bloccò per un attimo, come a voler protestare, poi ci pensò su e si sedette. Kakashi raccolse un’altra arancia dalla ciotola sul bancone da cucina e si accomodò di fronte a lei. Le offrì il frutto con un gesto, ma Sakura scosse la testa.
Kakashi prese a sbucciarlo lo stesso.

« Mangio sempre un’arancia quando sono triste, mi fa sentire sempre meglio » le disse, tanto per fare conversazione. « Credo sia per la vitamina C ».

Osservò come Sakura strofinava distrattamente l’asciugamano sulle braccia – quelle braccia lisce e toniche spruzzate da una leggera abbronzatura sbiadita. Per essere così forte, aveva una figura straordinariamente delicata, con avambracci snelli che si snodavano in polsi sottili e mani dalle dita affusolate. Aveva gli occhi più scuri, quella notte, quasi grigi, e lo guardavano circospetti, come a voler tirare via dalla sua bocca ogni parola avesse da dirle.

Kakashi rivolse di nuovo l’attenzione all’arancia che stava sbucciando. « Perché sei qui, Sakura? »

Calò tra di loro un massiccio silenzio. « Credevo di essere stata chiara » rispose.

« Okay, lascia che riformuli la frase » le disse, guardandola con un mezzo sorriso. « Vuoi che ti scopi? »

La sua calma precaria si spezzò e Sakura arrossì. « Non voglio che mi scopi, voglio  che tu faccia l’amore con me, in modo adeguato. Hai detto che ci saresti stato per me, in caso di bisogno– »

« Ed hai dedotto che io avrei mandato tutto al diavolo per scoparti – scusa – per fare l’amore con te, semmai ti fossi presentata alla mia porta nel bel mezzo della notte, per soddisfare un tuo prurito? » prese uno spicchio d’arancia dal palmo della mano e lo mise in bocca.
« Una conclusione piuttosto singolare da trarre da una semplice offerta d’aiuto ».

Sakura lo osservò attentamente. « Mi sbagliavo? » chiese poi, lentamente.

« No » ammise. « Ma la mia generosità ha dei limiti, per i quali mi chiedo cosa ti spinga esattamente qui. Sei qui perché lo vuoi o per quello che hai visto nel jutsu di stamattina? »

Lo sguardo di lei si fece incerto e per qualche minuto non disse nulla.
Dopo un’attenta osservazione della superficie di pino davanti a lei, sollevò la testa e rispose.
« Non so di preciso cosa tu intenda, ma è come hai detto tu: tutti a volte ci sentiamo soli... ma quando sono con te, io quella solitudine non la sento. E tu lo capisci questo, vero? »

Fin troppo. Annuì lentamente, donandole un sorriso ben più caldo del precedente. « Sì » mormorò. « Lo capisco ».

« I-io non lo so » riprese Sakura: tutta la convinzione che aveva avuto fino ad un istante prima si infrangeva come vetro intorno a lei, mentre lo sguardo saettava da un punto all’altro del suo appartamento. « Forse non dovrei essere qui, forse è stato un grosso sbaglio– »

« O forse non lo è » la interruppe. « Forse dovresti essere proprio qui ».

Sakura lo guardò, incerta. « Dovrei...? »

Stava di nuovo chiedendo a lui la risposta, gli stava chiedendo cosa fare, di prendere la decisione per lei e renderle le cose più semplici.
Per quanto fosse tentato dall’idea di convincerla ad andare a letto con lui quella notte, non toccava a lui fare quella scelta: stava a lei e lei soltanto.

Kakashi osservò gli spicchi d’arancia che aveva in mano e prese a spezzarli a metà.
« Mi piacciono le arance, ma sono sempre piene di semini. Si dice ci sia circa il cinquanta percento di possibilità di trovare un semino in ogni spicchio ».

Sakura batté le palpebre, confusa.

« Quindi facciamo una piccola scommessa » le disse, allegro. « Prendi uno di questi spicchi, a caso, e lo mangi. Se ci troverai un semino, andrai a casa. Se non lo troverai, dovrai baciarmi ».

Gli occhi di Sakura si spalancarono, mentre il viso le si impallidì, ma non sapeva se fosse per la prospettiva di andare a casa o di baciarlo.

« Affare fatto? » propose.

Lentamente, e con cautela, annuì. « Affare fatto ».

Kakashi sorrise pigramente e dispose gli spicchi d’arancia in fila al centro del tavolo, presentandoli poi con un gesto. « Avanti: chiudi gli occhi e fa’ la tua scelta ».

Quasi riluttante, Sakura chiuse gli occhi ed avvicinò la mano ai pezzetti. Le dita indugiarono per un istante, per poi posarsi su uno dei più spessi; con gli occhi ancora chiusi, lo afferrò o lo portò alla bocca, mangiandolo per intero.

Se pure avesse trovato un semino e fosse andata a casa, anche il solo guardarla mentre spingeva quel pezzetto di frutta tra le labbra rosee ed umide sarebbe stato abbastanza. Quell’immagine era della stessa sostanza di cui sono fatti i sogni erotici, e quando finalmente ebbe deglutito e le sue labbra si aprirono, sentì l’inguine tirare.

Cose talmente semplici, in genere, non gli davano così tanto alla testa. Se si fosse leccata le labbra, non avrebbe potuto resistere dal ribaltare il tavolo nell’urgenza di averla.

Per fortuna, non lo fece: aprì solo gli occhi e li fissò nei suoi. A Kakashi occorse un attimo per realizzare che Sakura non stava per sputare nessun semino o avesse accennato ad alzarsi per andarsene, e ciò poteva significare solo una cosa.

« Hai intenzione di rispettare il patto? » le chiese.

« È doveroso » rispose lei, debolmente.

Con un ulteriore sorriso disarmante, le tese la mano: le dita fredde di lei si intrecciarono esitanti alle sue e Kakashi le strinse prontamente, per poi avvicinarle e lasciare un leggero e casto bacio sulle nocche. Avvertì senza dubbio il respiro di lei mancare: le dita di Sakura scivolarono sotto le sue, e Kakashi si meravigliò di quanto liscia fosse la sua pelle, tale da far vergognare la più pura delle sete.

Ma non le diede tempo di ritrattare: subito la attirò a sé, lasciandola solo quando fu poggiata per metà sul tavolo. In quella posizione era abbastanza vicina a lui da permettergli di avvicinasi agilmente, spostarle qualche ciocca umida dal viso e sollevarle il mento per baciarla.

Il primo bacio fu breve, casto, atto solo ad assaggiarla; il secondo più appassionato e lascivo. Sakura tenne gli occhi chiusi e le labbra schiuse, ma Kakashi non si spinse oltre il necessario: non aveva mai baciato nessuno con così tanta cura, non ne aveva mai avuto bisogno.
L’unica volta che aveva usato un approccio così delicato era stato quando aveva evocato Pakkun – ancora cucciolo – per la prima volta e gli aveva lasciato annusare una mano in segno di saluto, incerto della reazione che avrebbe scatenato.

Ovviamente, suddetto cucciolo aveva provato a staccargli le dita a morsi, ma proprio a causa di quell’esperienza usava tutta la premura necessaria: sapeva che, se non ci fosse andato abbastanza piano con Sakura, avrebbe potuto perdere molto più che un paio di dita. A volte, poteva essere imprevedibilmente volubile e l’ultima cosa che Kakashi desiderava in quel momento era un labbro bucato.

Ma Sakura sembrava approvare. La sentì sospirare per poi sporgersi verso di lui, offrendo più che la sola bocca.
Poteva sentire il sapore dell’arancia sulle sue labbra e l’odore della pioggia tra i capelli, e quando le sue dita fredde gli sfiorarono il collo Kakashi poté solo pensare a riscaldarle con il suo stesso calore.

Poi, d’un tratto, Sakura si tirò indietro: labbra serrate e sguardo fisso sul tavolo. Kakashi batté le palpebre, sorpreso, ma proprio quando stava per chiederle cosa non andasse, notò l’orologio alle sue spalle.

Era terribilmente in ritardo, perfino per i suoi standard, ai quali Ayame non era abituata come i suoi conoscenti e la quale non avrebbe avuto la stessa indulgenza che in genere gli veniva riservata.
E per quanto desiderasse restare, doveva proprio andare.

« Sakura, ho un appuntamento... »

La ragazza alzò gli occhi al cielo.

« No, davvero, stavo per uscire quando sei arrivata ed ora sono terribilmente in ritardo » le disse, mettendosi in piedi. Gli occhi di Sakura seguirono ogni suo movimento, da quando indossò la maglietta fino a quando non finì di sistemare l’hitai-ate. Si voltò verso di lei mettendo a posto la maschera, notando l’aria da “sedotta e abbandonata” che aveva assunto. « Sarò qui tra un’ora. Forse un’ora e mezza » le disse. « E dovrebbe essere abbastanza per te, credo ».

« Per fare cosa? » mormorò.

« Per decidere se vuoi davvero essere qui quando tornerò ».

Sakura arrossì e distolse lo sguardo.

Kakashi si fermò ad osservarla per un momento. « Pensaci bene » l’avvisò dolcemente, prima di infilare le scarpe e chiudersi la porta alle spalle.

 


 

Quando Kakashi andò via, Sakura sputò i semini con un sospirò di sollievo: se gli avesse lasciato approfondire quel bacio, di sicuro avrebbe scoperto il suo piccolo inganno e l’avrebbe presa in giro senza pietà.

Non che quel dettaglio avesse rovinato minimamente quel bacio: nessuno l’aveva mai baciata in quel modo. La maggior parte, se non tutti i baci che aveva ricevuto in passato, erano solo il preludio del sesso: tutti i suoi ex li ritenevano un male necessario, o qualcosa da fare mentre le sfilavano la maglietta. Qualche bacio fugace era l’unico preliminare che avesse mai sperimentato.

Mentre il bacio di Kakashi era stato lento, generoso e particolarmente attento a ciò che lei desiderava. Racchiudeva la promessa di grandi piaceri, ma non li richiedeva. Era solo un bacio carico del desiderio delle sole labbra, puro e vero.

Strano era riceverlo dal più grande pervertito al mondo, dopo Jiraya.

Ma sicuramente la bravura di Kakashi era frutto di molta pratica, pensò.
Quando hai storie con donne sposate e rimorchi ragazze nei bar tutte le sere, di sicuro impari qualche trucchetto. Forse quel bacio non era così puro e vero, dopotutto... forse sapeva semplicemente baciare bene.

Sakura sospirò e poggiò la fronte sul tavolo, chiedendosi cosa fare.

Fin dal momento in cui aveva messo piede in casa sua si era rassegnata all’idea che quello fosse il punto di non ritorno. Ora, d’improvviso, Kakashi le stava dando un’altra chance di tirarsi indietro. Era tentata dall’idea di saltare dalla finestra e tornare a casa, per starsene al sicuro nel suo appartamento, ma sarebbe davvero stata la cosa giusta per lei?
Viceversa, non sarebbe comunque stato un errore restare lì fino al suo ritorno e fare l’amore con lui? Dormire con il proprio maestro era qualcosa su cui riflettere bene, e con ragioni: sarebbe stato da irresponsabili cedere a quella terribile tentazione? Perché Kakashi non poteva mandarla a casa a calci e renderle le cose più semplici? Perché si prendeva gioco di lei in quel modo?

Sarebbe stato meglio per tutti se fosse andata a casa, ed il giorno dopo sarebbe riuscita a guardare negli occhi i suoi compagni di team e far finta che nulla di ciò fosse avvenuto; con un po’ di fortuna, avrebbero entrambi dimenticato quell’assurda sera in cui si era offerta al suo insegnante su un piatto d’argento.

Restare era pura follia: con un sospiro rassegnato si alzò e raccolse gli stivali per andarsene, sapendo di star facendo la cosa giusta.

Ma se era davvero quella giusta, perché le faceva così male?

 


 

« Kakashi-san, la odio ».

« Scusa, come? Non riesco a sentirti, colpa della mia meravigliosa performance pianistica–»

Crash!

Kakashi tolse le mani dai tasti giusto in tempo da schivare la calatoia, che cozzò sul telaio con un tonfo, colpa dell’ira del suo piano tutor.

« È ufficialmente più bravo di me » disse Ayame, con aria imbronciata. « Non mi resta assolutamente niente da insegnarle ».

Kakashi la fissò. « Evviva? » tentò.

« Mi ci sono voluti dodici anni per arrivare a questi livelli – a lei sono bastate tre lezioni per un totale di quattro ore e mezzo » confessò, portando le mani ai fianchi. « Ha idea di quanto fastidioso possa essere chi impara in fretta? »

Kakashi pensò alla propria studentessa e alla rapidità con cui aveva appreso i suoi genjutsu quello stesso pomeriggio. « Li trovo tollerabili... » disse, vago.

Ayame sospirò ancora e si avvicinò al piano. « A cosa le serve imparare a suonare? »

Glielo aveva chiesto fin dalla prima lezione e Kakashi aveva abilmente sviato il discorso ogni volta, dicendole che era una questione top-secret eccetera, ma se Ayame avesse voluto vendere i segreti di Konoha l’avrebbe fatto da parecchio, dato che Naruto le raccontava per filo e per segno ogni dettaglio delle missioni che svolgevano, quando di ritorno si fermava a mangiare ramen al negozio di suo padre; quindi, forse, non c’era nulla di male nel placare la sua ira dandole quella piccola informazione.

« Tra un mese ho una missione di spionaggio a lungo raggio. L’uomo che seguirò viaggia spesso e cambia staff nel suo entourage ogni due giorni. Gli unici che non licenzia sono i tre musicisti; il pianista sarà indisposto il mese prossimo, ed io sarò lì a rimpiazzarlo all’ultimo minuto ».

« Certo che voi ninja avete lavori strani » borbottò, in soggezione. « Ma come sa che il pianista sarà indisposto? »

Magari perché sarebbe stato lui la causa di quell’indisposizione? « I ninja sanno tutto » rispose invece.

« Oh, okay » annuì lei. « Beh, buona fortuna allora. Mando il conto all’Hokage, giusto? »

« Giusto ».

Ayame controllò l’ora sull’orologio da polso. « È tardi, Kakashi-san, dovrebbe andare prima che mio marito torni ed abbia una sincope nel trovare uno strano individuo nel salotto ».

« Non sono strano... » protestò, ma Ayame l’aveva già accompagnato alla porta.

« Arrivederci, Kakashi-san! E semmai la rivedrò, sarà comunque troppo presto ».

Kakashi sospirò drammaticamente, ma la porta gli era già stata chiusa in faccia.

La pioggia quella notte aveva deciso di graziarlo, ed ora Kakashi si avviava lungo le strade umide senza fretta. Di tanto in tanto buttava un occhio al cielo, per trovarvi la luna crescente che faceva capolino dalle nuvole, illuminando la strada meglio di tutti quei lampioni.
Fin da quando era uscito da casa sua, si era chiesto se al suo ritorno avrebbe ritrovato Sakura, peggiorando inoltre qualitativamente la sua performance al piano (ma il fatto che Ayame non se ne fosse resa conto dimostrava di quanto ormai l’avesse superata).

Ma a chi importava del pianoforte e della missione quando poteva esserci una bellissima ragazza ad aspettarlo a casa per fare l’amore con lui in modo folle e passionale? Cercò di convincersi che fosse troppo bello per essere vero: a quell’ora, probabilmente era già tornata in sé ed era scappata dalla finestra. Si promise di non prendersela, quando aprendo la porta non l’avrebbe trovata lì: c’era da aspettarselo.

Ma aveva comunque il cuore in gola quando girò il pomello ed entrò in casa, e dando un’occhiata al pavimento si rese conto che non c’era più traccia dei suoi stivali.

Dannazione. Ecco arrivare la delusione: completamente irrazionale ed inappropriata, ma era lì.

Sentendosi notevolmente meno felice di quanto lo fosse solo pochi attimi prima, Kakashi si sfilò la giacca e l’hitai-ate; e, non essendo esattamente dell’umore adatto all’ordine, li abbandonò sul tavolo della cucina, dove si erano materializzati due semini d’arancia da quando era uscito, ma ci fece caso a stento. Voleva solo andare a letto e dimenticare quanto idiota fosse stato ad aver pensato a lei in quel modo e quanto lo fosse ancora a non riuscire a togliersela dalla mente.

Ma entrando in camera da letto si rese conto che c’era qualcosa fuori posto: data la luce soffusa, a primo impatto credé che il gatto color pesca con un solo occhio fosse entrato dalla finestra e si fosse accomodato sul suo letto. Dopo un attimo, la vista si abituò al buio e realizzò che il groviglio nel suo letto era rosa.

« Credevo fossi andata via » le disse, sentendosi quasi senza fiato. « I tuoi stivali non c’erano ».

Sakura si mise a sedere, coprendosi fino al petto con un lenzuolo. Era palese che fosse nuda... o quasi. Gli rivolse un sorriso timido, per poi indicare il termosifone dove il paio di stivali era stato poggiato. « Erano bagnati... »

Era adorabile e Kakashi sentiva il cuore fondersi a guardarla nel suo letto.
« Sei nuda? » strascicò, osservando la figura del suo corpo avvolta deliziosamente tra le coperte.

« Quasi » disse, schiva. « Te l’ho già detto, sensei, a letto indosso solo le mutandine ».

« Descrivile ».

« Nere » sussurrò. « Con un cuore bianco sul davanti ».

Kakashi annuì, pregustando quella meravigliosa immagine mentale.

« Vuoi vederle? » chiese, timida.

E come avrebbe potuto dire di no a qualsiasi sua richiesta?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ho sempre considerato l’undicesimo capitolo un’estensione del decimo, ma adoro il modo in cui i punti di vista dei protagonisti si intrecciano per dare una visione a 360° di ciò che li porta al prendere la fatidica decisione di lasciarsi andare, non dando spazio a buchi di trama o narrazione e lasciando intendere perfettamente l’intenzione ed il pensiero di entrambi.
Detto ciò, aggiornamento lampo perché il capitolo (relativamente) breve e scorrevole lo ha permesso, fossero tutti così avrei già finito! Il prossimo mi spaventa a morte perché non mi è mai piaciuto descrivere esplicitamente scene spinte, ma va fatto.
Alla prossima, cià.


 

 

 

  
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