Anatomia
di un istante
Il
suono
frenetico dei suoi passi rimbomba nel tunnel buio, amplificandosi a
dismisura;
la luce livida, malata, delle fiaccole getta sulle pareti miriadi di
ombre che
paiono correre più forte di lui.
Nonostante
il respiro sempre più affannoso a causa
della mancanza d’aria, Naruto accelera l’andatura, ignorando le fitte
al petto:
anche un solo minuto potrebbe fare la differenza.
A
ogni vicolo cieco, a ogni diramazione che incontra
ricaccia indietro la frustrazione e prosegue dritto, perché ormai è
solo questione
di
attimi prima che ciò che sta cercando gli compaia dinanzi.
«Adesso,
adesso,
adesso!»
Se
lo ripete come un mantra, urlandolo internamente
fino a sovrastare qualunque altro pensiero: non può permettersi di
dubitare.
Per
anni si è preparato
a questo momento, alla cui
attesa ha riservato tutta la sua – poca – pazienza; per anni ha
orientato le
sue scelte in funzione di ciò che ora, arrivati a un punto simile,
deve per forza accadere.
«Tutto
quello
che ho fatto sino a ora, l’ho fatto per te… Sasuke».
Lasciare
Konoha, il suo paese natale, senza sapere se
l’avrebbe rivisto; congedarsi da quei compagni che, dopo tanto penare,
finalmente poteva chiamare “amici”; sottoporsi a un allenamento
estenuante dopo
l’altro, scontrandosi incessantemente con le proprie paure e carenze
in una
perenne lotta contro se stesso; sopportare il freddo, la fame, la
stanchezza e
le ferite fino a crollare a terra, incapace di compiere il più
elementare dei
movimenti.
Ma
la cosa più difficile di tutte – «a
parte, ovviamente, convivere con la tua
assenza» – era stata non dare peso al sottile velo di pietà che,
certe
volte, adombrava il viso del maestro Jiraiya.
Il
vecchio Eremita dei Rospi si era dedicato anima e
corpo ad addestrare Naruto, arrivando persino a rischiare la vita per
permettergli di imparare ad utilizzare il chakra della Volpe a Nove
Code senza
rimanerne sopraffatto; l’aveva spronato a dare sempre il massimo,
sostenendolo
in quella sua buffa maniera scanzonata e un filo paternalistica di cui
il
ragazzo si era accorto ben presto di non poter più fare a meno.
Eppure.
Eppure, a Uzumaki non era sfuggito come,
nell’ascoltarlo parlare di ciò che lo spingeva a impegnarsi tanto
duramente,
l’espressione dell’uomo si facesse sempre stranamente grave, rivelando
d’improvviso tutte le stagioni che i suoi occhi avevano visto passare.
Come se
fosse stato intimamente convinto della vanità di tutti i loro sforzi,
e avesse
biasimato Naruto per non riuscire ad accettarlo.
«In
ogni caso, Naruto, devi smettere di pensare a
Sasuke. Nessuno l’ha costretto a seguire Orochimaru, è
stata
una sua
decisione. Niente può fargli cambiare idea, perciò rassegnati».
Naruto
ricorda ancora quelle parole, tuttavia l’unica
cosa che non è riuscito a fare è
stata, per
l’appunto, rassegnarsi.
E
non ha alcuna intenzione di farlo adesso: dimostrerà
al mondo intero, maestro Jiraiya compreso, che Sasuke non assomiglia
affatto a
Orochimaru; che il suo amico non è
un mostro
assetato di sangue, bensì
un essere
umano lasciato a brancolare nel buio e nel rancore per troppo tempo,
schiacciato dallo sguardo scarlatto del fratello e dalle macerie di un
clan in
rovina; che, oltre la gelida nebbia di cui gli piace ammantarsi, v’è
un cuore
pulsante di orgoglio e senso di giustizia più forti di qualsiasi
desiderio di
vendetta.
«Io
lo so,
Sasuke: l’ho visto. E lo mostrerò a tutti, persino a te. A costo di
farmi
ridurre a pezzettini».
Un
rumore assordante, proveniente da poco lontano, lo
distoglie d’un tratto dalle sue riflessioni, riportandolo bruscamente
alla
realtà.
«Sento
il chakra di Sai!» dice il capitano Yamato
arrestandosi di botto, subito imitato da Sakura e Naruto.
Già,
Sai. Sai e la sua missione segreta, affidatagli
da Danzo all’insaputa dello stesso Hokage. Sai, che un minuto prima
sembra aver
avuto una sorta di epifania sulla sua esistenza e l’attimo successivo
estrae la
spada per colpire alle spalle. Come ogni ANBU che si rispetti.
Stupido,
stupido – «idiota, diresti tu» – Naruto, che proprio non può fare a meno di
credere nell’altrui bontà d’animo e si lascia ingannare da un semplice
sorriso,
tanto costruito da risultare sincero.
«Se
ti ha
torto anche solo un capello, se ne pentirà amaramente. Parola di
Naruto Uzumaki».
Lo
stesso pensiero pare attraversare anche la mente di
Sakura, che serra ancora di più i pugni – peraltro già
inverosimilmente
contratti.
«Proviene
da là, vero?» domanda, quindi riprende la
corsa senza aspettare risposta.
Questione
di qualche metro e finalmente, in fondo al
corridoio, ecco apparire la luce; in seguito all’esplosione di poco
prima le
pareti del tunnel sono infatti franate su loro stesse, aprendo un
varco con
l’esterno.
E
lì, in piedi al centro dello spiazzo creatosi fra le
macerie, c’è
Sai.
«Aspetta,
Sakura!» grida inutilmente Yamato, mentre la
ragazza copre la distanza che li separa dal loro nuovo compagno di
squadra in
meno di un secondo, per poi attaccarglisi al collo con fare
minaccioso.
Qualcosa,
però, distoglie quasi subito la sua
attenzione dal membro della Radice, giacché
si blocca
all’improvviso, come
paralizzata; le sue mani lasciano lentamente il colletto della giubba
di Sai ed
ella alza lo sguardo dinanzi a sé,
spalancando
gli occhi in modo quasi
disumano.
Naruto
non ha alcun bisogno di vedere, per capire cosa
– chi – Sakura stia
fissando: solo
una persona può essere capace di svuotare l’energica, la volitiva
Sakura Haruno
fino a ridurla a una statua di sale.
Un
battito.
Due
battiti.
Tre
battiti.
«Adesso»
sussurra Naruto, ma le gambe, che pure
l’hanno sempre sorretto nei sentieri più impervi senza mai
un’incertezza, nel
percorrere quel brevissimo tratto gli paiono fatte di piombo, tanto
che
inciampa più volte; la luce del sole lo abbaglia quando, come Sakura,
volge il viso
in alto verso la figura che li sovrasta.
Due
occhi di pece incontrano i suoi, finestre sul
nulla. Non ricordava che fossero così neri.
Un
battito.
Due
battiti.
Tre
battiti.
«Eccoti,
finalmente».
Sasuke.
Note
dell’autore
Salve a
tutti! Devo confessare che sono un tantino
emozionata: erano letteralmente anni che non pubblicavo qualcosa su Efp…
onestamente,
pensavo che mai più l’avrei fatto.
Ma si
sa, “certi amori non finiscono, fanno dei giri
immensi e poi ritornano”: evidentemente la mia passione per le fan
fiction non
era deceduta come credevo.
Tali
(noiose) premesse vorrebbero fungere da scusante
per la brevità della cosa sovrastante; nonostante mi sia approcciata a
Naruto
soltanto da poco, posso già affermare con certezza che la scena da me
così maldestramente dipinta – tratta, come
penso si sia intuito, dall’incipit e dagli episodi 50 e 51 di Naruto
Shippuden –
è già diventata
una delle mie preferite dell’intera serie: mi sono pertanto lasciata
trasportare, ed ecco qua!
Specifico
che i dialoghi sono ripresi dai suddetti
episodi 50 e 51, mentre la frase in grassetto corsivo è stata
pronunciata da
Jiraiya nell'ultimo episodio della prima serie (L'ultimatum di Jiraiya).
Una
precisazione, infine, sul target "Shonen-ai”:
nonostante l'abbia inserito, la natura dei sentimenti che animano le
riflessioni di Naruto sono liberamente interpretabili (anche se devo
ammettere
che io, da brava romanticona, preferisco leggerci del sentimentale).
Ringrazio
in anticipo chi sia giunto fin qui e, ancor
di più, chi eventualmente vorrà lasciare un commento.
Ps: il
titolo non è farina del mio sacco: l’ho preso in prestito
dall’omonimo romanzo di Javier Cercas (anche se i due scritti non
potrebbero
trattare argomenti più diversi!).