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Autore: G RAFFA uwetta    27/07/2019    2 recensioni
Sirius, una sera come altre, si ritrova a fare i conti con i turbamenti causati dallo specchiarsi negli occhi addolorati di Lily. Tra scherzi più o meno riusciti, e l’inossidabile legame che unisce i Malandrini, sarà in grado di fare le scelte giuste?
Dal testo: “Ubriaco per colpa di quelle nuove sensazioni, scivolò lungo il muro nel cubicolo di fronte e rimase fermo come un ladro a spiare la sofferenza di Lily. Incapace di intervenire per fedeltà all’amico, si abbeverò dello strazio di lei.”
La storia segue come traccia la citazione: “Perché a volte nei momenti più impensati, per strada, puoi sentire l’anima lacerarsi, catturata dalla storia di qualcuno che ti è appena passato accanto” ( David Grossman )
Questa storia è il prequel di un mio racconto scritto tempo fa: Ladro cieco. Trovate il link in fondo alla storia.
Questa storia partecipa al contest ‘Diamo spazio alle crackpairing!’ indetto da Elettra.C sul forum
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: I Malandrini, James Potter, Lily Evans, Severus Piton, Sirius Black | Coppie: Sirius/Lily
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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La grande sbandata


Perché a volte nei momenti più impensati, per strada, puoi sentire l’anima lacerarsi, catturata dalla storia di qualcuno che ti è appena passato accanto – David Grossman


Ben nascosto sotto il Mantello dell’Invisibilità, Sirius rovistava tra le scorte di Gazza in cerca di Whisky Incendiario. Fuori dal piccolo sgabuzzino in cui era rintanato, lo raggiunse e poi superò un frenetico scalpiccio che lasciò dietro di sé una scia di singhiozzi.

Spinto dalla curiosità, seguì l’eco delle lamentele proferite dagli personaggi dei quadri fino a un corridoio poco illuminato. Prima che potesse venir soffocato dal buio, un debole luccichio attirò la sua attenzione. È entrata nel bagno di Mirtilla Malcontenta. Sorrise rapace stropicciandosi le mani, già pregustando la nuova preda.

Con cautela, scostò l’uscio per poi scivolare dentro silenziosamente. Trattenendo il respiro e beandosi degli scoppi improvvisi dei singhiozzi, sporse la testa oltre il bordo dell’ultimo cubicolo a sinistra per rimanere folgorato dalla figura della Evans accasciata a terra. In un groviglio stretto di braccia e gambe spuntava il capo della ragazza che ripetutamente cozzava dolcemente contro il muro.

Ma ciò che sconvolse maggiormente il cuore del Malandrino fu specchiarsi nella disperazione stagnante degli occhi verdi di Lily.

«Come ha potuto?» bisbigliava contrita la ragazza mentre grosse gocce le solcavano le gote arrossate.

A quella vista, una fitta lancinante gli strappò il cuore dal petto facendoglielo schizzare in gola. Per un secondo, ebbe l’illusione che sarebbe morto soffocato lì, nascondo dal mantello di James, intento a spiare l’amore della vita del suo migliore amico. Invece, di colpo, il cuore riprese a battere furioso, assordandogli le orecchie e rendendolo cosciente come non mai di essere vivo.

Ubriaco per colpa di quelle nuove sensazioni, scivolò lungo il muro nel cubicolo di fronte e rimase fermo come un ladro a spiare la sofferenza di Lily. Incapace di intervenire per fedeltà all’amico, si abbeverò dello strazio di lei.

Involontariamente, si lasciò sfuggire un sorriso di scherno quando un pensiero gli attraversò il cervello. Credo ci si senta così a essere baciati da un Dissennatore, sospirò piano dal suo angolino contro il muro, arpionato fin dentro l’anima per essere frugato e spogliato di ogni volontà, di ogni libero arbitrio.

Lily rimase quasi tutta la notte a piangere mentre il verde liquido dei suoi occhi dissanguava l’anima di Sirius. Alla fine, visibilmente stremata, si appisolò col capo appoggiato al lavandino sbeccato. Le palpebre calate si muovevano irrequiete.

Mentre il primo raggio dell’alba lo lambiva, Sirius fece scivolare lentamente dalla testa lo strato impalpabile del mantello. Incantato, stese le braccia con la struggente intenzione di abbracciare quella creatura stanca. Invece, dopo aver indugiato ad ammirare il suo volto, inspirando forte l’odore selvatico dei fiori di campo, allungò il collo per sfiorare le labbra della ragazza in un bacio abbozzato.

Inorridito dal gesto incauto, si ritirò prontamente e, con un movimento secco, si rinfilò sotto il mantello. Il cuore gli batteva così forte nel petto che, timoroso che lei lo avvertisse, strinse le braccia intorno al busto. James non lo deve sapere. James non lo deve sapere. James non lo deve sapere, ripeteva ossessivamente, sudando freddo all’idea di avere commesso uno sgarbo nei confronti dell’amico.

Nel frattempo, Lily si destò di soprassalto, scuotendo la testa un paio di volte, come a scrollarsi di dosso le ultime lacrime di quella notte. Si alzò sulle gambe snelle, un po’ impacciata dalla prolungata rigidità, e uscì dal bagno.

Sirius si stava per l’appunto chiedendo se fosse il caso di seguirla quando un oggetto catturò la sua attenzione. Un giglio bianco dal gambo corto e viola giaceva abbandonato sulle piastrelle sbeccate del pavimento. Catatonico, si piegò e colse il fiore tra i polpastrelli ingialliti dalla nicotina. L’avvicinò al suo sguardo grigio e, ormai certo di cosa si trattasse, impossessato da una furia omicida, lo stritolò.

«Mocciosus!» sibilò infuriato, sbuffando fiato dalle narici come un drago. «È suo, lo riconosco! Io stesso l’ho incantato per far diventare viola il gambo quando l’ho beccato dietro le serre a raccogliere fiori. Pensavo servisse a qualche suo strano intruglio. Chi si aspettava invece che fosse per una ragazza!? Quindi è per lui che si strugge Lily,» ringhiò mentre si passava veloce le mani tra i capelli. «È lui che ama!»

Al solo pensiero, una fitta di qualcosa a cui non sapeva dare un nome gli contorse le budella, riversandogli in gola un sapore acre.

Furioso con il mondo, percorse a grandi falcate i corridoi fino a giungere davanti alla Sala Grande. Era ancora troppo presto per fare colazione, così deviò verso il portone uscendo all’aria aperta per schiarirsi le idee.

In un vortice sempre più veloce, mille e più immagini si aggrovigliavano nella sua testa: Lily e Mocciosus che si baciavano; Lily che piangeva nascosta in un cubicolo; James che brindava con il succo di zucca perché finalmente Lily gli aveva sorriso; Lily e i suoi occhi limpidi come un lago montano; Lily, Lily e sempre Lily che, alla fine, sceglie Piton.

L’aria del mattino era decisamente frizzante, i piccoli sbuffi di fiato intorno alle narici lo facevano sembrare un Nundu inferocito.

A testa bassa, le mani poco dignitosamente sprofondate nelle tasche dei pantaloni d’alta sartoria, le lunghe gambe nervose lanciate a passo veloce, Sirius si intrufolò tra i grossi tronchi di un boschetto sul versante opposto al sentiero che conduceva a Hogsmeade. Una volta raggiunta l’estremità del querceto, inforcò il viottolo in terra battuta rossa fino a giungere ai piedi di un grosso spuntone di roccia dove si lasciò cadere sull’erba soffice. Poco più in là, attraverso le fronde, l’acqua del Lago Nero era uno specchio piatto.

Tremando appena, castò un paio di incantesimi riscaldanti mentre portava le ginocchia ossute al petto. Sempre più confuso, chiuse gli occhi e appoggiò la testa alla pietra fredda.

Era imbarazzato; per la prima volta nella sua vita, non aveva idea di cosa fare.

«Per i baffi della mia pro-pro-zia Ursula! Che nottata!» esclamò a voce alta il Grifone, disturbando il cinguettare allegro di un nutrito gruppo di uccellini.

Nonostante la sua mente fosse ancora in subbuglio, archiviò elegantemente il bacio dato a Lily nello scomparto degli errori da Snaso con il raffreddore. Quindi costrinse se stesso a concentrarsi unicamente su Ramoso e il suo folle interesse verso la Evans.

«Ci sarà un modo per sbarazzarmi di quella piaga,» disse pensieroso mentre le lunghe dita della mano pettinavano in un gesto distratto i folti capelli neri. «Potrei fargli esplodere il calderone. Certo, sarebbe una cosa temporanea ma... no, non è fattibile: le sue abilità manderebbero in fumo qualsiasi mio tentativo di alterare la sua pozione,» sospirò mordendosi il labbro inferiore.

«Potrei incantare la sua scopa e aspettare che… No, questo scherzo l’ho già usato al terzo anno,» sghignazzò con le iridi offuscate dallo scherno: vederlo sofferente in infermeria per un’intera settimana aveva ripagato dei punti tolti ai Grifondoro.

«Potrei, potrei...» snocciolò socchiudendo gli occhi grigi, battendo pensieroso un dito sulle labbra, non pago delle poche idee che gli frullavano in testa.

Dopo vari minuti spesi ad osservare uno scoiattolo nascondere il proprio bottino dentro un albero cavo, Sirius si stiracchiò la schiena allungando le braccia sopra la testa, sbuffando come un treno con la polmonite. Poi, memore del volto severo della McGranitt che lo rimbrottava per i suoi perenni ritardi, si alzò di malavoglia con l’intenzione di tornare alla Torre per darsi una ripulita, prima di raggiungere l’aula di Trasfigurazione.

Sovrappensiero, quando raggiunse la scalinata che portava al quadro della Signora Grassa, venne sfiorato dal profumo di fiori di campo.

«Lily,» sbottò trasognato. Poi, accortosi dell’espressione accigliata della ragazza si corresse immediatamente. «Evans,» disse con sussiego inchinandosi leggermente, «perso qualcosa?» Si finse interessato mentre guardava la ragazza scrutare gli angoli nascosti.

«Niente che ti riguardi,» rispose un po’ acida. «Se non ti spiace, sarei in ritardo per la lezione.» E lo superò senza degnarlo di un secondo sguardo.

Sirius, al centro del corridoio, la guardò andare via con i pugni chiusi e il cuore in fiamme. La rabbia che cresceva a ondate lo sopraffaceva riducendo la sua volontà a un ammasso informe di gelatina.

«Deve assolutamente uscire dalla sua vita così che smetta di pensare a lui,» digrignò tra i denti, ancora più determinato. «Altrimenti, chi lo reggerà un Ramoso melanconico?»

La tavolata dei Grifondoro era sempre stata la più chiassosa. Eppure, quella mattina, quasi di comune accordo, se ne stavano tutti quieti e composti. Sirius, completamente estraniato, rimescolava distrattamente la forchetta nel piatto, la frangia a coprire gli occhi chiari.

Poco distante, incastrata tra due amiche, Lily controllava un libro che teneva in bilico tra le gambe snelle, una ruga a spezzarle la fronte, segno della sua profonda concentrazione. Peter, invece, seduto di fronte a James, parlottava quasi senza trarre respiro, scuotendo le braccia come fossero rami investiti dalla tempesta.

«Ehi, Lupin!» urlò Codaliscia, interrompendo per un attimo il proprio monologo, mentre salutava il nuovo arrivato. «Che brutta cera, rimasto sveglio tutta la notte a pensare alla luna?» ghignò al suo indirizzo. Ramoso, gli occhi che lanciavano bagliori sinistri, rifilò un calcio negli stinchi di Minus che, preso alla sprovvista, si rovesciò addosso il bicchiere colmo di succo di zucca.

«Ciao, Felpato. Cosa potrà mai renderti così silenzioso? La notte appena passata in bianco a sognare Juditte, Charlotte, Margaret…» Remus elencò i nomi di sue ipotetiche conquiste sulla punta delle dita, mentre guardava con poco entusiasmo l’abbondante colazione servita sui tavoli.

«Ti sembro uno che ha problemi con le donne?» Sirius, gonfiato il petto e buttato indietro la frangia, sbatacchiò le ciglia lanciando un paio di baci all’indirizzo di una ragazza mora seduta tra i Tassorosso. Quella, diventata rossa sulle gote in un battere di bacchetta, lanciò un gridolino voltandosi verso le amiche, eccitate al pari di lei. «Visto?» sorrise sardonico all’amico. «Tu piuttosto, come ti senti?» chiese preoccupato notando il pallore del licantropo.

«Che vuoi che ti dica?» gli rispose stanco. «Domani sera ci sarà la luna piena. Tocca a te, vero?» Lo guardò supplichevole, facendo scorrere gli occhi tra lui e Codaliscia. Sirius negò con la testa, già perso in altre faccende.

Uno scoppio di risa improvviso, riscosse Felpato che, nell’esatto momento in cui alzò gli occhi, sorprese la Evans fissare il tavolo dei Serpeverde. Lo sguardo di lei era ferito, assente. La ruga che le campeggiava in fronte era accentuata mentre un sorriso amaro le piegava le labbra. Per un attimo, a Sirius, parve di essere tornato nel bagno di Mirtilla. Scosse nervoso la testa e, dopo aver dato un’occhiata intorno, lanciò una piccola fattura all’indirizzo del piatto di Lily, così da distrarla perché smettesse di fissare Piton.

Per fortuna che James è concentrato su Remus! pensò frustrato.

«Forza andiamo, è ora!» li incitò alzandosi di scatto, voltando le spalle alla Grifondoro. Tutti lo guardarono meravigliati. «Suvvia, non fate quelle facce da Schiopodo Sparacoda in calore. Alla prima ora abbiamo il mastino di…»

«Signor Black! Spero proprio per lei che non si stesse riferendo a me, vero?» sondò glaciale la professoressa di Trasfigurazione. Il suo volto era una maschera granitica; teneva la bocca stretta in un’unica linea e gli occhi fermi e insondabili. «Venti punti in meno e domani mattina mi porterà una pergamena sull’utilità di trasfigurare un chiodo in una finta bacchetta da applicare durante un duello magico.» Poi si voltò, non prima di lasciare una busta tra le mani di Remus. Sirius sbuffò contrariato ai sorrisi di scherno degli amici, ma non replicò.

Era avvenuto più tardi, davanti al fuoco che languiva nella Sala Comune, mentre era intendo a graffiare con stizza la pergamena destinata alla McGranitt, che un’idea geniale gli si palesò in testa. Al suo fianco, Lunastorta era crollato sui libri da tempo, un leggero ronzio fuoriusciva dalla sua bocca semiaperta.

Eccitato, si batté il palmo della mano sulla fronte. «Ma certo! Come ho fatto a non pensarci prima!?» esclamò mentre, con un gesto affettuoso, copriva le spalle di Remus con il proprio mantello. «Domani sera mi sarai di grande aiuto, amico mio. Sarai il lasciapassare affinché James abbia campo libero con Lily.»

L’indomani, nei sotterranei, il fumo denso che saliva del suo paiolo cominciava a irritare gli occhi chiari di Sirius. La pozione che vi sobbolliva non era verde come richiedeva il procedimento ma a lui non importava. Attraverso la foschia che aleggiava nell’aula, non perdeva di vista un solo movimento di Piton.

Ogni volta che il Serpeverde si girava infastidito, per via del suo sguardo insistente, Sirius gli sorrideva strafottente, mimando con le labbra insulti vari. Poi, chinandosi leggermente verso il compagno di banco, intavolava una finta discussione in cui faceva credere che il soggetto fosse proprio lui.

Questa pantomima si spostò anche nell’aula di Storia della Magia. Proprio fuori da essa, alla fine della lezione, finalmente Sirius gettò la sua esca.

La fiumana degli studenti si dirigeva chiassosa e affamata verso il portone della Sala Grande sbucando dai molteplici corridoi che attraversavano il castello. Sirius, bacchetta ben salda in mano, si fermò nello spazio tra due corsie indugiando un attimo, giusto il tempo di dipingersi addosso una finta espressione entusiasta. Ci siamo, pensò eccitato. Speriamo solo che Piton ci caschi e non si accorga che qui ci siamo solo noi due.

«Sei un grande, James!» esclamò. «Lo sapevo che potevamo contare su di te. Questa sera Remus avrà una bella sorpresa. Ma ne sei certo?» chiese improvvisamente dubbioso mentre rovistava nella propria borsa a tracolla. Mentre allungava il capo di lato, mettendosi fintamente in ascolto della risposta dell’amico, con la coda dell’occhio cercava il rivale.

Sirius sorrise mordace, il cuore che batteva incalzante nel petto. Mocciosus si nascondeva dietro una statua, attento alla conversazione che si svolgeva a pochi passi da lui.

«Quindi, Peter sarà alle nove al Platano Picchiatore,» diceva entusiasta, «e, dopo che si sarà accertato che non ci sia nessuno, ci verrà a chiamare e, uno alla volta, noi lo seguiremo…»

Trovato ciò che stava cercando nella borsa, Sirius fece un passo verso l’imboccatura del corridoio, fuori dalla visuale del Serpeverde. Con finta casualità, muovendo il capo, spinse indietro una ciocca di capelli scuri come la pece e, in quel preciso istante, finse di riconoscere Piton sgranando gli occhi come una Pluffa.

«Mocciosus! Lurido spione!» sibilò indignato. Poi, lesto, lanciò un incanto verso di lui facendogli franare addosso l’armatura a cui era appoggiato. Nemmeno il clangore della ferraglia coprì la risata canina che invase il corridoio inforcato dal Grifondoro.

Verso sera, il quadro posto a guarda della torre dei Grifondoro si aprì di scatto permettendo a un paio di studenti del quarto anno, intenti a bisticciare tra loro, di entrare. James Potter li seguì a ruota.

La stanza che li accolse era calda, disordinata come conveniva a dei bravi Grifondoro, e rischiarata da candele incantate al profumo di gelsomino. L’idea era stata copiata a Madama Piediburro due mesi prima da una ragazza del settimo anno.

James, capelli umidi e la cravatta di traverso, si guardò intorno spazientito finché non individuò la figura snella e scomposta di Sirius seduta di traverso sulla poltrona più lontana dal camino. Il Grifone aggrottò le ciglia sospettoso.

«Ecco dove ti eri cacciato,» disse cauto all’indirizzo dell’amico. «Ti ho aspettato per una buona mezz’ora giù nell’atrio. Avevamo l’allenamento, ricordi? La partita con i Corvi è tra due giorni.» Sbuffò irritato dall’immobilità di Sirius.

James si accostò alla poltrona e strinse gli occhi alla vista del braccio mollemente adagiato sul volto di Felpato.

«Cosa hai combinato stavolta?» sbottò mentre spingeva di lato una gamba, facendola scivolare dal bracciolo, per prenderne il posto. «Su, forza, confida a paparino i tuoi misfatti.»

Sirius non si mosse, strinse gli occhi in due fessure e girò il capo verso la finestra dove la pece della notte sembrava deriderlo. Si sentiva frustato. Ho agito d’impulso, come avrebbe fatto un buon amico. Dunque, perché sento ancora il cuore battere all’impazzata? Inconsapevole, si passò una mano sul viso stropicciandolo in una vacua carezza. Che incantesimo mi ha lanciato quella strega per farmi stare così male?

«Sirius Black!» strepitò sempre più impaziente, Ramoso. «Quanto è vero che mi chiamo James Potter, ora mi dirai cosa ti turba!»

Il Grifone fece scivolare dalle spalle snelle il mantello e lo lanciò su una pila di libri accatastati più in là. Poi, constatato il perdurare dello stato catatonico dell’amico, dopo aver preso un grosso respiro, evocò un secchio d’acqua ghiacciata che gli rovesciò in testa.

Sirius scattò in piedi imprecando malamente, scuotendo la testa come avrebbe fatto un cane. Mille gocce fredde scolarono dai capelli neri lambendo la pelle del collo, facendolo gemere di disappunto.

«Ma che!?» esclamò, per poi guardare torvo James, già intento ad asciugarlo. «Bell’amico che sei, se finisco in infermeria, dopo, come farai senza di me?» gli disse canzonatorio. Sbuffò sonoramente e si girò, inforcando veloce le scale che portavano alla loro stanza.

Mentre saliva i gradini due a due, l’immagine di un volto dagli occhi profondamente verdi gli fece quasi perdere il passo, mentre una fitta dolorosa gli partiva dal cuore per schiantarsi dritta nel cervello. Non deve sapere, non deve sapere! si ripeteva come un mantra. James, non deve sapere.

«Sei ancora vivo?» La voce preoccupata di James lo riportò nella loro camera, sul letto a baldacchino dove stava rigido con gli occhi puntati in alto.

Non era abituato a tutto quel rimescolamento di emozioni, agli spasmi nel petto, all’inspiegabile desiderio di vedere, toccare, baciare una singola persona.

Inoltre, non riusciva a capire come quel farfugliare dello stomaco si fosse esteso fino al cervello. Sono sotto Imperio? pensò stupito alzandosi di scatto. Un secondo dopo scrollò le spalle e si diede dello gnomo da giardino.

«Credo di essere in un mare di cacca di Troll,» si lasciò sfuggire voltando le spalle a James. Dentro di lui si scatenò una piccola guerra sulla necessità di confidarsi o meno, che mise a tacere storcendo il naso, spazientito.

«Adesso basta!» sbottò Ramoso scuotendo le spalle di Sirius. «Non ti riconosco più! È da qualche giorno che sei distratto e ciondoli da una lezione all’altra con un’espressione torva. Merlino! Hai fatto scappare a gambe levate Daisy, capisci!? Daisy! La strega per la quale abbiamo passato svegli una notte intera mentre tu ne decantavi le virtù.»

James, serrata la presa, lo scaraventò su una panca sotto la finestra.

«Non costringermi a lanciarti una Fattura Pungente! Ora stai seduto qui e mi dici cosa c’è o, sta pur certo, che domani andrai in giro con delle pustole su tutto il corpo!»

Sirius guardò negli occhi l’amico e capì di non avere scampo. Quando James perdeva il perenne sorriso sghembo sulle labbra sottili era capace di fare qualsiasi cosa, anche ai suoi danni.

Rassegnato, chinò il capo e fece un drammatico respiro. Sotto la minaccia della bacchetta dell’amico, rialzò la testa altezzosamente, fissò un punto oltre il vetro della finestra e raccontò dello straordinario scherzo fatto ai danni di Piton.

Un secondo dopo, Ramoso uscì di corsa dal dormitorio, incurante di aver travolto sulle scale un paio di Grifoni.

Alle nove precise, Severus Piton osserva Minus caracollare verso il Platano, pigiare una radice per fermare i suoi rami e imbucarsi in uno stretto passaggio. Trepidante, attese pochi minuti prima che il nascondiglio venisse riaperto. Soddisfatto, sicuro di aver la vittoria in pugno, ripetuti i gesti del Grifone, scese nel sottosuolo, incontro al proprio glorioso destino.

Poco dopo, nel momento in cui un trafelato James raggiungeva il rifugio, un urlo terrificante invase la notte.

Due ore dopo, una volta rientrato in dormitorio, James cominciò a inveire contro di lui.

«Dovrei cruciarti, stupido cane pulcioso! Hai sostituito il poco cervello in tuo possesso con caccole di Troll?» James camminava infuriato per la stanza, gesticolando come un ossesso. Dietro le lenti i suoi occhi erano sgranati, l’abituale malizia sostituita da una patina di terrore. «Spera solo che il preside non espella Remus perché altrimenti ti accompagno personalmente a calci fino sulla soglia di Azkaban.»

«Vedrai che non lo farà,» motteggiò con sufficienza Sirius, la spalla mollemente appoggiata alla colonna del baldacchino, mentre con indifferenza scrutava le unghie della mano. «Troppa pubblicità e la scuola rischierebbe di chiudere. Credi a me, ci saranno tolti una valanga di punti, saremo in punizione da qui ai M.A.G.O. e la faccenda si chiuderà in una bolla di sapone. Il solito, insomma.»

«Tu non vuoi proprio capire, emerito cretino.» James lo raggiunse e l’agguantò per il colletto della camicia. «Se non fossi arrivato in tempo Lunastorta avrebbe ucciso Mocciosus,» gli sibilò in faccia, gli occhi stretti in due fessure e le narici dilatate dalla furia.

Sirius scrollò le spalle obiettando che si trattava solo di Piton, come se, pronunciando quel nome, ogni azione fatta perdesse di rilevanza. James si allontanò interdetto, scuotendo il capo. Lo fissò ancora per qualche istante prima di voltarsi; raggiunse il suo letto e vi si accasciò sopra, rilasciando un lungo sospiro frustato. Allungò le braccia ancora lievemente tremanti dietro il capo e chiuse gli occhi.

Pensando di aver superato indenne l’ennesima tempesta, Sirius raggiunse l’amico pronto a ridere con lui del brillante scherzo fatto al Serpeverde. Invece, Ramoso sguainò la bacchetta e chiuse con un gesto secco le tende, inchiodando Felpato nell’atto di salire sul materasso. Da dietro il tessuto James borbottò: «Spero che passare una notte all’addiaccio, bloccato in questa assurda posizione, ti aiuti a comprendere meglio la gravità della situazione. In caso contrario, prendilo come uno scherzo ai tuoi danni andato a buon fine. Buona notte.»

L’indomani, l’afa nelle serre, costrinse Sirius ad allentare la cravatta mentre un rivolo di sudore gli appiccicava la camicia alla schiena. Era decisamente stanco e gli occhi arrossati denunciavano la mancanza di sonno.

Quella mattina, quando il dormitorio si era svegliato, lui era ancora imprigionato nella pastoia infertagli da James. Per tutta la notte non aveva fatto altro che rimuginare su quello che era successo la sera prima e su dove avesse sbagliato. Non si era pentito affatto, anzi, se non fosse stato per l’effetto sorpresa ormai evaporato, avrebbe tentato di nuovo di far incontrare Lunastorta con Mocciosus.

Due ore dopo, accolse con entusiasmo la fine della lezione di Erbologia e, costringendo le lunghe gambe a dolorosi passi, si accinse verso la Sala Grande.

«Hai un attimo, James?» Lily, la frangia a coprire gli occhi verdi, si mordicchiava nervosamente la pellicina dell’indice sinistro mentre aspettava la risposta dell’altro ragazzo.

Ramoso, dato uno sguardo veloce ai compagni, le indicò un sentiero acciottolato che risaliva verso il castello. Più in là, protetta da un salice piangente, c’era una panchina in ferro battuto. Una volta giunti lì, Lily, seppure in evidente imbarazzo, non perse tempo.

«Ben sapendo che Severus non lo farà mai, io ti ringrazio a nome suo,» gli disse arrossendo. Poi, visto l’espressione guardinga del ragazzo, si affrettò ad aggiungere: «Ieri sera ero in infermeria e ti ho visto portarlo lì in condizioni pessime. Guardando le ferite ho immaginato a cosa era andato incontro e… sei stato coraggioso ad affrontare Lupin tutto da solo.»

«Ma come?» l’interruppe agitato James. Di rimando, Lily sorrise, uno di quei sorrisi caldi che ti ricordano l’estate con le rondini che solcano i cieli tersi.

Il cuore di Sirius, che spiava impunemente la scena insieme a Minus, perse dei battiti e si contrasse fino a farlo gemere sommessamente. Il ragazzo si portò un pugno al petto per calcarlo sullo sterno, nel vano tentativo di calmarne il ritmo agitato. Sudava freddo e un forte risentimento verso l’amico gli incendiò le vene. Perplesso, fece un paio di passi indietro, mantenendo gli occhi chiari fissi sulla figura snella della ragazza.

«Sì, so anche io cosa affligge Remus,» rivelò. «Lo scoprii per puro caso una sera del nostro secondo anno e, da allora, sono io che preparo la sua pozione per Madama Chips,» gli sorrise raggiante. James, preso alla sprovvista, si grattò distrattamente dietro la nuca, ondeggiando lievemente il corpo avanti e indietro. Per un infinito momento si guardarono negli occhi, quasi avessero interi anni di parole non dette da recuperare.

Sirius, stizzito, non attese oltre e discese il sentiero fino a raggiungere uno spiazzo erboso. Turbato, diede qualche calcio ai fili d’erba borbottando come una pozione impazzita.

«Dovrei essere contento,» sibilò al vento. «James è riuscito nel suo intento. E io dovrei essere con lui a festeggiare e a prenderlo in giro! Non qui a mordermi le mani per non urlare dalla rabbia,» grugnì. «Cosa c’è di sbagliato in me?»

Con gli occhi stretti in due fessure, osservò il gruppetto risalire la china verso il castello. Sembravano tutti contenti mentre parlottavano fra loro e non gli piacque per nulla notare come, quei due, si lanciassero fugaci occhiate. Dalla gola stretta risalì un latrato che sfogò premendo i pugni contro le tempie ripetendo come una litania: «Stupido! Stupido! Stupido!»

Un piccolo gufo dalle morbide ali marroni stridette nell’aria. Aveva appena consegnato a Sirius una pergamena dove era scritto che avrebbe dovuto recarsi immediatamente in presidenza. Il Malandrino scosse piano la testa e, rassegnato, si accinse a fare come richiesto. Ignorando lo stomaco che borbottava e seppellendo il rancore in fondo alla gola, affrettò il passo verso gli amici ormai prossimi all’entrata del castello.

«Lo sai che hai degli occhi stupendi?» Dal prato antistante la casa del custode risalivano la china i due Prefetti di Corvonero, mano nella mano, espressioni ebeti sui volti.

Sirius, schifato, rallentò il passo per non doverli affiancare. Pazienza, il preside aspetterà, pensò già notevolmente infastidito per il colloquio che avrebbe dovuto sostenere da lì a cinque minuti.

«Dici sul serio?» rispose con voce zuccherosa la ragazza mentre sfarfallava le ciglia e chinava il volto arrossito.

Ma guardateli! pensò sdegnoso tra sé. Spero di non avere anch’io gli occhi a cuoricino o, innamorato o meno, mi butto nel Lago Nero e bacio la Piovra Gigante.

Sirius si pietrificò con un piede alzato nell’atto di poggiarlo sul primo gradone antistante il portone d’ingresso quando nella sua testa si propagò un enorme ‘sbam’.

Da qualche parte, nell’universo, un sole era certamente entrato in collisione con un pianeta e aveva creato un immenso vortice a spirale che aveva colpito incautamente il povero Malandrino.

«E questa da dove è uscita?» quasi urlò, troppo sconvolto per tenere a bada le proprie emozioni.

«Tutto bene?» gli chiese apprensivo James mentre gli si avvicinava con cautela. «Sembra che tu abbia bevuto un barile di pozione repellente per le lumache carnivore.»

Sirius, grugnendo un paio di imprecazioni, lo rassicurò che era solo stanchezza, visto che, grazie a lui, aveva passato tutto la notte pietrificato. James gli sorrise con affetto, passò un braccio intorno al suo collo e, tutti insieme, entrarono nell’atrio.

«Andate pure avanti,» li incitò ad entrare in Sala Grande, «vi raggiungo più tardi. Ah, Minus, tienimi da parte un po’ d’arrosto. L’ultima volta ti sei così ingozzato che poi non ce n’è stato più per nessuno.» Rassegnato si affrettò a raggiungere il preside.

Era seduto da almeno cinque minuti e già si era pentito di aver varcato da solo la soglia. Era James quello che sapeva affrontare ogni situazione. Lui era soltanto una testa calda, un rivoluzionario arrabbiato e rabbioso.

In silenzio guardava con odio la cenere che pochi istanti prima era stata una Strilettera a lui indirizzata. Sua madre, con grande godimento, lo avvertiva che, alla fine di quell’anno accademico, avrebbe trovato l’uscio di casa sbarrato. Come se a lui facesse piacere varcare la soglia di quel mausoleo, inno indecoroso alla Magia Oscura.

Però, ciò che più lo tormentava erano le somiglianze che aveva con la sua famiglia d’origine. Usava gli stessi metodi, le stesse angherie, solo rivolte alle persone sbagliate, come si era premurata di sottolineare la ‘deliziosa’ voce della madre.

Sirius serrò i denti e la bocca prese una piega amara. Ciò che mi distingue da voi, cara madre, pensò con scherno, è che io ci tengo agli amici. Loro sono la mia casa, la mia famiglia. E, a differenza vostra, io so come proteggerli perché li amo e li stimo. A dispetto di tutto ciò che rappresentano di sbagliato per voi.

Chiuso in quello studio, con le voce gentile del preside e le dure parole della sua Capo Casa a fare da sfondo, giurò a se stesso che avrebbe fatto tutto ciò che era in suo potere per proteggere gli amici. Avrebbe rinnegato se stesso, violentato la sua anima, perso la propria dignità e la vita stessa pur di renderli fieri di lui.

Per amore di James, avrebbe cercato di soffocare quel piccolo germoglio che il suo cuore si ostinava ad abbeverare. L’avrebbe nascosto nei recessi più bui della sua mente, in un luogo così oscuro che solo la fame dei Dissennatori sarebbe riuscita a riportare a galla.




Note autrice: Devo ammettere che non è stato facile scrivere di Sirius, soprattutto in un contesto così delicato. Ho cercato di mantenerlo il più IC possibile e di farlo muovere in coerenza con i tempi della trama originale dei libri di Harry Potter.

Il tutto si svolge verso la fine del suo quinto anno a Hogwarts. Forse la decisione si abbandonare la propria famiglia è stata presa in po’ in anticipo ma sono certa che il motivo da me evidenziato potrebbe essere plausibile.

In caso di dubbi o scorrettezze fate sapere.

Buona lettura e sono graditi i commenti.

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