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Autore: Antogno    28/07/2019    1 recensioni
Infelice la sorte di colui che invano tenta di opporsi al compiersi del proprio destino. Ciò che siamo stati, che siamo e che saremo è già stato inciso nell'universo, come se tutto si fosse già compiuto, come se tutto sia già stato...
Genere: Introspettivo, Malinconico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Infelice la sorte di colui che invano tenta di opporsi al compiersi del proprio destino. Ciò che siamo stati, che siamo e che saremo è già stato inciso nell’universo, come se tutto si fosse già compiuto, come se tutto sia già stato.
Mai ho creduto nel destino, mai ho creduto potessero esistere forze più grandi di quelle generate dalla volontà umana. Mai ho creduto che l’uomo dovessere rinunciare a sogni, seppur verosimilmente irragiungibili, per soccombere così ad una forza di volontà che prescinde dalla sua mente, dal proprio volere. Mai ho creduto l’uomo dovesse diventare ciò che il destino abbia stabilito diventasse. Eppure, ancora oggi, io sono intrappolato qui.
Non ricordo da quanto risiedo in questa prigione, in questo castello. Forse da sempre, forse dalla mia nascita.
Mai ricordo di aver toccato mani umane, di avere potuto ammirare le fattezze di un vero volto. Ho confusi e vaghi ricordi, qualcosa di molto fioco che fatica ad affiorare, ricordi di un tempo troppo lontano che sembra addirittura non appartenere a me. Mia unica aspirazione è sempre stata quella di fuggire da questa sventurata guglia, di vedere la luce del sole, il cui ricordo bugiardo mi tortura atrocemente. Ne ammiro la luce che filtra dalle immense finestre troppo annerite perché io riesca a vedere cosa vi sia oltre.
Per quelli che ho creduto essere anni ho fantasticato riguardo cosa potesse essere al di fuori di questa inaccessibile prigione dalla quale ho cercato incessantemente di evadere, ahimè, invano. Mura granitiche troppo solide mi circondano da ogni lato, finestre troppo spesse evitano che io possa romperle, porte astutamente sigillate evitano che io riesca ad aprirle. Ho tentato espedienti del tipo più vario e bizzarro, ma mai sono riuscito a penetrare le barriere innalzate dalla mia prigione, che sembrava non volermi lasciare andar via in modo alcuno. Ogni qualvolta fossi riuscito a scalfire le possenti mura, di giorno in giorno queste tornavano alla loro forma originale, come se mai fossero state toccate. Ogni qualvolta cercavo di lucidare le finestre opache queste divenivano più sporche di prima, lasciando che attraverso i propri vetri filtrasse una luce malata che donava alle sale della mia prigionia un aspetto d’inquietante angoscia. Tentai ancora ed ancora, fino allo stremo delle forze, in preda ad una cieca disperazione.
Bramavo la luce de sole, bramavo la libertà, il poter essere libero, senza che alcun muro ostacolasse il mio cammino.
Mai ho trovato una ragione alla mia cattività, mai ho svelato l’arcano mistero della mia prigione, mai sono riuscito a comprendere perché questo debba essere il mio destino. Intrappolato, non tento più di scalfire le mura, di spalancare le porte o di ripulire gli alti finestroni, né tento più di darmi spiegazioni.
Rimango e rimarrò per sempre intrappolato in questo castello che nient’altro può donarmi che oblio e solitudine.
Succube di una volontà superiore, aspetterò che il pietoso velo dell’oscurità cali su di me, cancellando l’infelice sorte di colui che sarebbe per sempre stato prigioniero del proprio destino.
   
 
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