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Autore: AidenGKHolmes    30/07/2019    3 recensioni
“Ficcare il naso?” Ripeté Judy, fissandolo in un misto di sgomento e incredulità: davvero si trattava dello stesso Nick con cui fino a poco prima aveva riso e scherzato come se nulla fosse?
“Nick, io sto cercando di aiutarti, tutto qui”
“E io ti ringrazio, Carotina... ma magari sono io a non voler essere aiutato. Ci hai mai pensato, a questa eventualità? Oppure, secondo il tuo punto di vista, ogni abitante di questa città deve accettare a prescindere qualunque aiuto non gradito?”
[Tematiche delicate | Violenza]
Genere: Drammatico, Introspettivo, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Judy Hopps, Nick Wilde
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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WHAT'S LEFT BEHIND

Capitolo 6 - At the bottom of everything


***


La sola vista dell’edificio che Nick e Hudson raggiunsero dopo una quindicina di minuti fu sufficiente per paralizzare quasi del tutto la volpe dagli occhi verdi. Quando suo padre aprì la portiera per farlo scendere, Nick non riuscì a muovere un muscolo e la minaccia della pistola puntata direttamente alla fronte fu altrettanto inefficace.
Hudson fu dunque costretto a trascinarlo di peso fuori dal furgone, obbligandolo ad entrare nell’edificio con una tale irruenza da farlo cadere al suolo.  

Il numero “2389” inciso sulla vetrata scheggiata e malridotta al di sopra del portone fu l’ultimo elemento dell’esterno che Nick ebbe modo di vedere, prima che l’uscio si chiudesse alle spalle di Hudson Wilde. A quel punto, Nick si ritrovò alla mercè dell’unica volpe che avesse mai temuto.

“Te lo ricordi, questo posto, vero?”

Nick non rispose e subito si rimise in piedi… o almeno ci provò. Un violento calcio alle costole lo spedì nuovamente a terra, senza che emettesse neppure un gemito.
Un comportamento innato, risalente a molti anni prima, aveva di nuovo preso il sopravvento, ricordandogli il periodo della sua travagliata infanzia: più Nick piangeva, più si lamentava e più suo padre avrebbe infierito con maggiore violenza.

Tenendosi il fianco con una zampa, Nick si rialzò, ignorando il dolore che si diramava come un’edera lungo tutto il busto.

“Io sì, tu invece… non penso possa ricordarlo. Non c’eri”

Un pugno al lato del volto fu la risposta a ciò che Nick osò controbattere, ma in quel caso non fu sufficiente a farlo cadere al suolo per la seconda volta. La ferita che si aprì al di sotto del suo zigomo cominciò a sanguinare immediatamente, insudiciando il rosso del suo pelo con un’inquietante tonalità scarlatta.

“Lo dici tu, Nicholas. Chi pensi abbia procurato quella museruola a quei ragazzini? Chi credi abbia dato loro l’ordine di piazzartela sul muso?”

Nick lo squadrò per un attimo senza dire nulla, ma ben presto si ritrovò a ridere. Non era una risata celante una qualche forma d’isteria dovuta alla consapevolezza di essere ad un passo dalla morte, bensì una più… liberatoria, qualcosa che si teneva dentro da troppi anni.

“E credi che non l’abbia mai capito, papà? Credi che non sappia che dietro a ciò che ho subito nel corso degli anni ci sia sempre stato tu? Non saresti finito in galera, se così non fosse!” Replicò Nick, arretrando di un altro passo, fino a ritrovarsi con le spalle al muro, di fronte a quella massa di muscoli che ormai non poteva neppure identificare come suo padre.

Non che lo fosse mai stato, d’altro canto.

“Vuoi uccidermi? Fallo. Non ti ripagherà degli anni che hai deciso di buttare via, perché la scelta è stata soltanto tua!” Aggiunse immediatamente dopo. Lì per lì non vi fu una vera e propria risposta, se non un’occhiata dubbiosa e indecisa che incenerì Nick. La volpe dagli occhi color smeraldo non vide neppure arrivare il pugno allo stomaco che lo fece piegare in due dal dolore, crollando sul pavimento in posizione prona.

Tutto l’ambiente si fece più luminoso, ma in un modo strano ed innaturale come se qualcuno avesse acceso una lampadina malfunzionante in grado di donare un alone biancastro e spettrale anche alla più colorata delle stanze.

Forse avrebbe dovuto fingersi morto, pensò: rimanere immobile a terra ad incassare i successivi colpi che suo padre gli avrebbe inferto pur vedendolo esanime.  Quella strategia aveva salvato la vita di molti opossum in situazioni di pericolo, ma lui non era uno di loro. Lui era una volpe. La prima volpe poliziotto della storia di Zootropolis… e non avrebbe rinunciato a tale primato solo per comportarsi come una specie di mammiferi a cui non apparteneva.

Tentando di rialzarsi per l’ennesima volta, Nick barcollò di lato e venne afferrato per il collo da Hudson, il quale prontamente lo spinse contro il muro, schiacciandolo con una violenza inaudita e sollevandolo da terra. Le pareti scrostate lasciarono cadere pezzi d’intonaco sul suo capo e sulla schiena, tingendo gli abiti di una tonalità giallo-biancastra.

Il primo istinto fu quello di portare afferrare con entrambe le mani il polso di suo padre, ma la presa ferrea che esercitava su di lui non si sarebbe allentata per così poco: per quanto Nick cercasse di utilizzare ogni muscolo delle proprie braccia, ogni sforzo veniva comunque vanificato dalla forza mostruosa di Hudson, il quale manteneva il suo sguardo assassino fisso sul figlio, in attesa che tirasse le cuoia.
Il sottopelo color crema attorno alla bocca cominciava ad essere macabramente decorato da alcune gocce di sangue provenienti dalla ferita al di sotto del suo occhio destro.

Alcuni leggeri bagliori, simili ai led di qualche albero di Natale, cominciarono ad apparire ai lati del proprio campo visivo, un chiaro segno di come le sue riserve d’ossigeno fossero già al minimo indispensabile per la sopravvivenza. Fu allora che l’istinto prese il posto della razionalità e probabilmente fu proprio questo a salvargli la vita ed impedirgli di svenire.

Sfruttando la potenza delle proprie gambe, Nick sferrò un brutale calcio allo stomaco di Hudson, il quale, colto alla sprovvista, ondeggiò all’indietro e fu costretto a lasciare la presa per qualche istante. Nick crollò a terra a sua volta, tossendo come non aveva mai fatto in vita sua. La sua trachea bruciava come se qualcuno gli avesse infilato un paio di tizzoni ardenti giù per la gola e ben presto, assieme ai colpi di tosse, giunse anche il sangue che Nick si ritrovò a sputare senza neppure accorgersene, gocciolando sul pavimento quasi senza emettere alcun suono.

Quelle forme rossastre sul parquet di legno della stanza furono l’ultimo ricordo nitido di Nick: gli eventi che seguirono si sovrapposero l’uno sopra l’altro, come in una specie di disastroso incidente in autostrada, in cui i veicoli più piccoli vanno ad impattare con altri di stazza ben maggiore, finendo col creare nient’altro che un ammasso di lamiere indistinte.

Qualcuno aveva sfondato la porta della stanza in cui i due si trovavano. Schegge di legno andarono ad unirsi alla vernice scrostata e alla polvere che volteggiava silenziosa nella stanza.

Nick credeva di aver udito grida concitate provenienti sia dall’interno dell’edificio che dalla zona antistante ad esso. Ad esse si erano poi aggiunti i rumori di vetri andati in frantumi e infine una serie di esplosioni aveva finito col chiudere quel raccapricciante concerto nel giro di pochi secondi.

No, non erano detonazioni… quelli erano spari, Nick lo realizzò qualche secondo dopo.

Aveva già udito il rombo generato da un’esplosione, quando assistette alla demolizione di un edificio qualche mese prima, e il suono era totalmente diverso. Oltretutto aveva a che fare settimanalmente con le armi da fuoco, dato il continuo esercizio che, in qualità di poliziotto, era solito svolgere per mantenere al meglio le proprie capacità di tiratore.

La prima delle diversità tra la sede degli Scout Rangers di Zootropolis e il poligono di tiro della centrale erano i rumori: nella seconda nessuno sbraitava in maniera così concitata come invece stava accadendo in quel momento, tra quelle vecchie pareti ingiallite. Al di là degli spari e del rumore dei bersagli colpiti dai proiettili, le conversazioni tra le mura della zona d’esercitazione con le armi erano sempre molto pacate e tranquille, talvolta perfino scherzose.

L’altra differenza ancor più fondamentale era che ritrovarsi sdraiato rantolante a pancia in su e con tre pallottole nello stomaco sarebbe stato pressochè impossibile, in un posto come la centrale di polizia.




 
   
 
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