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Autore: Koa__    31/07/2019    5 recensioni
Questa sarà una raccolta di lettere, scritti, pagine di diario e messaggi, scritti dai personaggi che gravitano attorno a la Norbury e a capitan Sherlock Holmes, il ben noto Pirata Bianco. Il contesto è strettamente legato alla serie Let's Pirate! E a ogni storia da Sherlock Holmes e l'isola del tesoro, in avanti.
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Altro personaggio, John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes, Victor Trevor
Note: AU, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Let's Pirate!'
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Ambientazione: Precedente a: “Sherlock Holmes e l’isola del tesoro”.
Note: Alcuni dei fatti citati qui vengono raccontati nel capitolo 14: Il riaccendersi della fiamma di una candela.

 
 
 
 
 
2.Victor Trevor
 
 
 
 
 
Canterbury,
8 gennaio 1638
 
 
 
 
               Mio amato cugino, mi perdonerai se ti scrivo nuovamente ma come diresti tu stesso: la noia è una cattiva compagna di vita. Non hai risposto a nessuna delle mie precedenti lettere, però non credere che questo mi porti a desistere dai miei intenti. So che sei arrabbiato con me e che ti senti in qualche modo tradito dalla decisione che ho preso di non andar contro a mio padre, ma ti imploro di provare a metterti al mio posto. Cosa mai avrei potuto fare? Non avevo altra scelta se non quella d’accettare il noviziato e abbracciare la vita monastica, alla quale ero destinato fin da bambino. Ho tentato di convincere mio padre a cambiare idea, provando a dimostrargli con i fatti che ero la persona meno adatta, oltre che tra le più prive di una sincera vocazione che ci fosse da qui a Parigi, ma lui è convinto che gli serviranno più appoggi in Vaticano e quindi sono stato costretto ad assecondare il suo volere. In fondo ho soltanto quindici anni e senza la protezione del nome dei Trevor avrei fatto la fame a casa come in Inghilterra. Non credere che io abbia obbedito a cuor leggero e che non me ne sia importato niente di veder scorrere le lacrime sul tuo bel viso pulito. Ancora ricordo le tue parole, ancora mi fanno male perché mai dimenticherò il tuo implorarmi di non andare. Il tuo debole spingermi verso la ribellione. Il tuo sguardo ferito mi tormenta ogni notte.
 
 
               Tu fai sempre tutto facile, ma il mondo non è ai nostri piedi, Sherly. Non possiamo fare come vogliamo, un giorno anche tu sarai costretto ad assoggettarti al volere della tua famiglia e a quel punto capirai il perché di ciò che ho fatto. E allora, di tutto quel che volevamo per il nostro futuro non resteranno che sogni. Ricordi? Desideravamo la libertà, poter andare dove volevamo senza essere costretti da niente e da nessuno. Volevamo vivere secondo le nostre regole e la nostra condotta morale, ma la vita è un’altra cosa, mio amato cugino e un giorno lo capirai sulla tua pelle. E ciò che più mi dispiace, quello che tormenta il mio sonno e che agita i miei pensieri, è che sarai solo. Io non potrò essere al tuo fianco a parare i colpi. Che ne sarà di te dopo che la fredda Inghilterra ti avrà mostrato la sua vera e turpe faccia?
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
Canterbury,
1 dicembre 1639
 
 
 
 
               Non sono un ipocrita, Sherly. Non amo questa vita, anzi la detesto! Qui non c’è neanche l’ombra di una femmina e le poche che mi capita d’incontrare e che ogni tanto vengono a domandare carità ai miei fratelli, non sono certo degne dell’attenzione di Monsieur Trevor. E so che dei seni prosperosi sono pur sempre dei seni, ma il mio animo agitato non può desistere dal fare paragoni. Che cosa non era, Sherly, infilarsi sotto le gonne delle dame francesi e ammirare le grazie del paradiso da lì sotto? Cosa non era affondare il viso tra i loro seni e fingere d’essere triste, soltanto per poterne saggiare la morbidezza? So che a te queste cose non sono mai interessate, ma prova a immaginare quanto a me tutto questo stia mancando. Qui la vita è monotona e scandita fin troppo regolarmente da studio e preghiere. Non fraintendermi, io amo i libri che divoro con avidità. Anzi si può dire che sia la sola cosa a tenermi ancorato a questa vita di merda. È l’unica attività che pratico con piacere e che mi permette di non impazzire, perché la realtà è che la tua assenza mi pesa più di quanto non sia disposto ad ammettere. Mi mancano le femmine, cugino carissimo e tu sai quanto mi piacciano, mi mancano le attenzioni della giovane Marie le cui deliziose cosce si aprivano unicamente per me. Ma la loro assenza non è nulla se paragonata alla tua. Il tuo non esser qui mi soffoca, il sapere di non poterti vedere dopo essermi messo semplicemente in viaggio, è terrificante. I pomeriggi scorrono troppo lenti, eccessivamente rigidi in tutte quelle sante regole alle quali sono soggetto. Dal mattutino alla compieta * divento quel che l’abate desidera da un novizio per bene: studioso, diligente e soprattutto devoto. Ma la notte sono libero. Libero di sognarti, di pregare Dio perché ti mandi da me. Spero che tu mi rapisca, che mi conduca via da qui per sempre. Fuggiamo, Sherlock e andiamo lontano dove nessuno potrà mai trovarci. Facciamolo davvero, io e te. Come sognavamo quand’eravamo bambini e ci immaginavamo pirati che solcano i mari in cerca di tesori. Agiamo solo perché lo riteniamo giusto e non perché qualcuno ci impone di fare così, noi due contro il resto del mondo. Ti scongiuro, salvami da tutto questo perché io muoio senza di te. Tu non hai idea della nostalgia che provo. Mi manchi. Mi manchi terribilmente. Mi manchi più delle tette di Marie. Mi mancano i nostri discorsi senza senso, il dormirti addosso, le tue chiacchiere che non finivano mai, gli scherzi a Josephine o a Bernard. Mi manca vederti gioire per delle sciocchezze come il salto di una rana. Mi mancano i tuoi occhi, illuminati dal volere di Dio e mi manca la tua risata. Ridi ancora come facevi quando stavi con me? Di tanto in tanto me lo domando e allora la solitudine torna potente a farsi viva e mi attanaglia le viscere in una morsa dolorosa. Sei felice, Sherly? Senza di me lo sarai mai? Dimmi che non lo sei, poiché io ne sono geloso. Dimmi che io solo ti faccio ridere in quel modo e che a nessuno, fuorché all’amore della tua vita riserverai la parte migliore di te stesso. Dimmelo e in questa prigionia che mi tiene ancorato alla fredda Canterbury, io vivrò sereno.
 
 
              
 
Proscritto. Ah, dimenticavo! Verrò a Londra per il Santo Natale. Il mio abate dice d’avere degli affari lassù proprio con tuo fratello Mycroft, non ne conosco la natura ma sarà senz’altro qualcosa di losco. D’altronde tutto ciò che fa tuo fratello lo è, ma almeno potremo vederci.
 
 
 
 
              
*
 
 
 
 
 
Canterbury
2 febbraio 1640
 
 
 
 
               Non sei più il ragazzo che conoscevo. Lo Sherlock che ho amato quand’eravamo bambini e al quale ho donato il mio cuore e tutta la mia anima, a stento l’ho riconosciuto. Avrei voluto dirti queste cose lo scorso Natale, ma temevo di scatenare in qualche modo le tue ire e quindi ho atteso con pazienza che i miei stessi pensieri si riordinassero secondo una logica. Io sono certo di una cosa ovvero che quello Sherlock, il mio Sherlock non se n’è andato per sempre, lo so. L’ho sentito nell’abbraccio disperato che m’hai dato quando mi hai incontrato di nuovo, l’ho letto nei tuoi occhi. Hai il fuoco dentro, mio amato, ce l’hai ancora e nonostante l’Inghilterra ti stia schiacciando sotto il peso della sua falsità. Ed è per questo che ti scrivo e che lo faccio col cuore in mano. Conservati, Sherly. Fallo gelosamente. Nascondi al mondo la tua immensa fragilità, la bellezza del tuo sguardo innamorato, quella delle tue parole pregne d’ogni significato possibile. Conserva la tua risata stupenda poiché temo che la gelida accoglienza che il mondo ti riserva possa spegnere ogni tuo entusiasmo. Mascherati così che la tua famiglia non possa vedere chi sei veramente, temo che la cecità che li contraddistingue e la disattenzione di cui sono cariche le loro intenzioni, possano spezzarti definitivamente. Conservati per me, mio piccolo Sherly. Conservati per chi amerai in futuro, so che esiste. So che è là fuori che ci aspetta. Non permettere a nessuno di sfiorare il tuo cuore, di vedere come sei fatto. Tieni accesa la luce che muove i tuoi pensieri e fa sbrigare le tue azioni. Fallo per me, amore mio.
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
Canterbury
6 settembre 1640
 
 
 

               Ho preso i voti perpetui. ** È successo la settimana passata, ma solo adesso ho trovato il coraggio di scriverti. Fino all’ultimo ho sperato che facessi il miracolo, che piombassi qui e mi portassi via con te. Non è successo. E, che sia dannato se dico il falso, non sono stato capace di trovare una scappatoia per potermene andare. Rifiutarmi era impossibile. Oh, me lo hanno domandato. Quel figlio di un cane di mio padre è persino venuto ad assistere alla cerimonia e mi ha anche chiesto se ne fossi completamente sicuro della mia decisione, come se avessi avuto una qualche scelta! Te lo giuro, mio amato, per la prima volta in tutta la vita ho desiderato picchiarlo. Non l’ho fatto, forse sono troppo vigliacco anche per fare giustizia. E non sono nemmeno fuggito come sognavo di fare. La verità è che ho smesso di lottare perché non so se c’è più qualcosa per cui farlo. Ho smesso di crederci, di sperare così come di chiedermi se provi o meno qualcosa per me. Ti scrivo per abitudine, ma non so neppure se leggi le mie lettere. Rispondermi, non lo hai mai fatto. Io non lo so se ti ricordi delle nostre giornate trascorse insieme, delle notti stretti a dormire o a guardare la volta stellata del cielo. Non so se sai più chi è Victor Trevor e forse non lo so neppure io. Io condannato a una vita che odio, prigioniero di queste fredde mura e schiavo di una fede che non possiedo, mi ritrovo a pregare chiunque ci sia lassù di riaverti finalmente indietro. Ormai non riesco più a riconoscermi, come potresti farlo tu? La sola cosa di cui sono sicuro è il sogno che ho di te, amarti è l’unica cosa che mi sia mai riuscita e non intendo smettere di farlo.
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
Canterbury,
2 giugno 1641
 
 
 
 
               Amore mio, mi auguro tu stia bene. Continui a non rispondere alle mie lettere, ma sono tranquillo finché non ricevo notizie da tuo fratello. È il suo, di silenzio a essere confortante perché so che se mai ti succedesse qualcosa di grave, lui me lo farebbe subito sapere. Mycroft sa essere fastidioso come una zecca sui sacri gioielli di famiglia, ma non gli si può imputare d’essere distratto nelle faccende formali. Conosco i tuoi pensieri, il modo in cui ragioni e i sentimenti che tieni gelosamente trincerati dietro ai tuoi sguardi abbassati, so cosa dimora nel tuo cuore ed è per questo che mi preoccupo tanto. Stai cambiando, Sherlock. Lo sento dal modo in cui non mi rispondi, da come taci. Da come strappi le mie lettere. Oh, lo fai. So che lo fai. Ma io seguiterò a scriverti finché le forze mi reggeranno perché so che a una parte di te fa piacere ricevere mie notizie. Che tu lo voglia o meno, io continuerò ad amarti e a pensare a te ogni giorno della mia vita. A sognarti la notte. A sperare che tu ti decida a venire a rapirmi e poi a scappare lontano, fuggire da tutto e da tutti e costruire insieme il nostro futuro. Tu continui a esserci, Sherly, dentro di me. Sei qui al mio fianco mentre scrivo questa lettera e mi guardi. Critichi la mia calligrafia, gli errori che commetto per la fretta. Sospiri, le volte in cui la mia mano trema perché preda di un sentimento troppo forte da tenere richiuso in una presa ben salda. Non asciughi le lacrime che bagnano l’inchiostro, al contrario le guardi cadere e sbiadire la scrittura. Sei qui con me e a questo non potrai mai porre rimedio. Tu mi scorri nelle vene.
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
Canterbury,
29 marzo 1644


 
 
 
               A Canterbury sta arrivando la primavera. Finalmente le giornate si alleggeriscono dal peso del invernale, la neve comincia a sciogliersi e le mattine sono un po’ meno buie. Il freddo, tra le mura del convento continua a essere pungente e specialmente la notte quando le braci si spengono, ma il saio che indosso è molto pesante e la lana con cui mi copro aiuta a non morire assiderato. Tra le mura dell’abazia la vita è sempre la stessa: noiosa, lenta, scandita da troppe regole e nessun divertimento. Solo studio e preghiere. È così da talmente tanti anni che quasi non ci faccio più caso. Qualche giorno fa è successo qualcosa di stupefacente e lo so che stenterai a riconoscermi, ma è che le soddisfazioni qui sono ben poche che ci si accontenta anche del nulla. Non te l’ho mai detto ma fin dai primi mesi del mio noviziato l’abate sosteneva di voler fare di me un traduttore. Diceva che il mio greco era ottimo e che un giorno sarei diventato molto bravo e si dà il caso che qualche giorno fa io abbia definitivamente sostituito fratello Gesualdo, ormai fiaccato dal peso dell’età. Non mi sono mai opposto al suo volere, per quale ragione avrei dovuto farlo poi? Qui in questo luogo, per me una cosa vale l’altra e poi i testi greci mi piacciono. Ogni volta che comincio una traduzione mi pare d’esserti accanto e di ascoltarti con la tua pronuncia perfetta e la tua facilità di lettura. Come può riuscirti sempre tutto facile? Tu col tuo giudicare i miei accenti, tutti puntualmente errati. Con la tua bravura immensa, col tuo non rendertene mai del tutto conto. Non sono mai stato bravo come te in greco e delle volte, trattenendo le risa, mi chiedo cosa penserebbe di me il Santissimo abate se ti sentisse leggere un passo di Platone.
 
 
               Tutto questo è solo un passatempo, lo sai vero? È un modo per tirare avanti. Sto ancora aspettando, Sherly, è giusto che te lo dica. Sto aspettando che tu mi venga a prendere. Nel frattempo mi adeguo, la prigionia è un po’ più tollerabile quando si ha qualcosa da fare e impegnarsi in una delle mille attività che l’abate mi propone durante il giorno mi aiuta a non riflettere troppo. Sai, il lavoro è davvero tanto. Lui è tra coloro che ancora non si fidano dei progressi della stampa, qui si fa ancora tutto come trecento anni fa. Il cibo non è nemmeno così orrendo, fratello Thomas è un cuciniere eccezionale e la compagnia degli altri monaci non è poi così tremenda. Si discute di filosofia e teologia, si fanno discorsi impegnati e di tanto in tanto mi chiedo cosa succederebbe se tu fossi qui con me, a sentire questi ragionamenti. Oh, faresti una bellissima figura davanti a tutti questi pomposi monaci così certi d’avere la verità in tasca. Tu sei così intelligente e la tua dialettica era ottima già a sette anni! Non oso immaginare come possa essere adesso. Certe volte cerco d’immaginarmi cosa sei diventato, ma fatico a vederlo in modo nitido. Sarai senz’altro più alto e ti sarai irrobustito. E il tuo carattere? È ancora quello terribile di quando eri bambino? Io credo tu sia abbastanza eccezionale, sì e che lo sia persino nella tua indole impossibile e nel temperamento agitato e mai domo. Di questo ne sono sicuro e non ho bisogno di toccarlo con mano per essene certo, ho fiducia in te. Ho sempre saputo ciò di cui sei capace e, questa, è una di quelle cose che non si dimenticano. Vivo ancora per te, mio amato Sherly. Questo non scordarlo mai.
 
 
 
 
 
*
 
 
 
 
 
Canterbury
11 aprile 1645
 
 
 
 
               La notizia del tuo matrimonio è giunta fino alle mura dell’abazia. Quando il nostro amato abate mi ha convocato nelle sue stanze mi sono domandato cosa volesse da me. Lui nulla, ma questo l’ho scoperto soltanto dopo quando ha portato alla mia attenzione una lettera di Mycroft. Il tuo caro fratello aveva scritto pregando quel Santo monaco di far leggere la missiva anche al sottoscritto. Tuo fratello pretende che io partecipi al tuo matrimonio, nelle sue poche e scarne righe come al solito dirette e prive di fronzoli, sosteneva che l’aiuto di un cugino oltre che di un prete avrebbe aiutato il povero Sherlock a trovare la retta via. L’abate ha ritenuto quindi saggio accondiscendere a quell’invito. Sarò quindi al tuo cospetto qualche giorno prima delle nozze. Ma non ti farò da guida, non te lo sognare nemmeno che io avalli un matrimonio obbligato con una persona che nemmeno conosci. Una donna, Sherly? Davvero? A te non sono mai piaciute e non ti piacerà neanche questa Molly o come diavolo si chiama. So che pensi che io sia geloso, ma non è questo a tendere la mia scrittura quanto la rabbia. Accusavi me di non aver avuto la forza di ribellarmi a mio padre e adesso tu stai cadendo nel mio medesimo errore. Non sposarla se non l’ami. E se per lei provi davvero un sentimento tanto forte allora voglio che tu me lo dica in faccia, guardandomi negli occhi. Voglio essere sicuro di darti alla persona giusta perché non accetterò mai che tu sposi qualcuno che non vale la mia benedizione.
 
 
              
 
Proscritto. Darò questa lettera a un bel giovane prestante, chiedendogli di consegnarla il più presto possibile a te personalmente. I favori che ti offrirà saranno il mio regalo di nozze. Spero tu decida una volta e per tutte di farti sodomizzare da un bel ragazzone muscoloso, chissà che delle attività di letto non ti rimettano in testa un po’ d’intelligenza. Pochi giorni, mio amato e saremo di nuovo insieme. Aspettami, ti scongiuro aspettami.
 
 
 
 
 
Annotazioni:
 
*Le giornate nelle abazie così come nei conventi, oggi come all’epoca, sono scandite da orari precisi chiamati appunto: mattutino, laudi, prima, terza, sesta, nona, vespro, compieta.
**Il noviziato dura circa un paio d’anni, dopodiché un ragazzo può scegliere se prendere i voti perpetui oppure se rinunciare.
-A Canterbury c’è per davvero un’abazia: la St. Augusten’s Abbey, risalente al 500 a.C.
 
Ho voluto lasciarvi con diverse lettere invece che una sola, che raccontano del periodo in cui Victor era ufficialmente un monaco. Tornerò su Victor, ma in un modo un po’ diverso e con una vera chicca, anche se non subito. Come già vi ho fatto presente: non aspettatevi aggiornamenti a scadenza regolare perché è una raccolta quindi arriveranno una volta ogni tanto. Quando sono dell’ispirazione.
Intanto grazie a tutti coloro che son giunti fin qui.
Koa
   
 
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