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Autore: LysandraBlack    02/08/2019    5 recensioni
Marian è scampata al massacro di Ostagar. Garrett ha assistito alla distruzione di Lothering, mettendo in salvo la loro famiglia appena in tempo. Senza più nulla, gli Hawke partono per Kirkwall alla ricerca di un luogo dove mettere nuove radici. Ma la città delle catene non è un posto ospitale e i fratelli se ne renderanno conto appena arrivati.
Tra complotti, nuovi incontri e bevute all'Impiccato, Garrett e Marian si faranno ben presto un nome che Kirkwall e il Thedas intero non dimenticheranno facilmente.
Genere: Angst, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash, FemSlash | Personaggi: Altri, Anders, Hawke, Isabela, Varric Tethras
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'The unlikely heroes of Thedas'
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CAPITOLO 14
Poison




 

«Sistemati quei capelli, Garrett. E mi raccomando.»

Gli occhi color ghiaccio della madre lo scrutarono severi, costringendolo ad obbedire e passarsi dell'altra cera tra i capelli nel vano tentativo di farli stare al proprio posto. «Tanto non gli frega niente dei miei capelli, non è per quello che ci hanno invitato a cena.» Commentò acido sistemandosi la giacca con le fibbie dorate.

«Garrett!» Lo rimproverò Leandra, incrociando le braccia e riservandogli lo stesso sguardo di quando da bambino tornava coperto di fango da capo a piedi dopo essersi azzuffato con qualche ragazzino del villaggio. «Frederick Selbrech e sua moglie sono dei cari amici di famiglia, e tu stasera ti comporterai come si conviene ad un Amell, siamo intesi?»

«Continui a dimenticarti che sono un Hawke, non un Amell.» Ribattè lui.

L'espressione della madre sembrò addolcirsi per un attimo. «Non potrei mai dimenticarlo. Nè dimenticare tuo padre o Bethany o Carver.» Allungò una mano a sfiorargli la guancia. «Ma loro non sono più qui, e noi se vogliamo vivere in questa città abbiamo bisogno di riallacciare i rapporti con vecchi amici e formarne di nuovi. I Selbrech sono brave persone, vedrai, e Myranda è una bellissima ragazza, intelligente, colta e a modo.»

Garrett si tirò indietro, scostandosi stizzito. «Sì, beh, non me ne può fregar di meno.»

«Pensi di poter gozzovigliare per tutta la vita, perdere il tuo tempo con ragazze di pessima fama, poco di buono che non fanno altro che distrarti dal tuo dovere?»

«E quale sarebbe esattamente il mio dovere, madre?» Replicò acido. «Perchè per ora ho fatto tutto io, ma sembra che non sia mai abbastanza.»

Quelle parole le rimbalzarono addosso come se niente fosse, per l'ennesima volta. «Sai benissimo che non è vero. Ti sono grata per aver ripreso la casa di famiglia, ma stai sperperando il denaro in inutili feste, per non parlare della gente con cui ti accompagni e della nomea che ti stai facendo nel vicinato. Sai quante volte mi sono vergognata a sentirmi raccontare le tue “imprese”? Passi il tuo tempo al porto, nella città oscura, addirittura-»

«E pensi che affibbiandomi una moglie cambierà qualcosa?» Afferrò la maniglia della porta con forza, aprendola.

«Affibbiarti? Non parlarmi così, sono tua madre!»

«Appunto!» Sbottò esasperato Garrett, sbattendo la porta con un tonfo e facendo sobbalzare Leandra. «Secondo te, aiutare i meno fortunati è sperperare denaro? Oppure dare lavoro a più persone di quante abbia effettivamente bisogno è inutile? E sia, tanto è il mio denaro, ho rischiato la mia pelle per ottenerlo, la mia e quella di Carver! E sono sicurissimo che se lui fosse qui ti direbbe la stessa identica cosa!» La guardò dritto negli occhi, interrompendola prima che potesse ribattere. «E se ti danno tanto fastidio le mie feste, o ti vergogni di me, continua pure a lamentartene con le tue care amiche pettegole, sai, quelle che fino a due anni fa non ti avrebbero offerto nemmeno un tozzi di pane.»

Varcò la soglia di casa come una furia, dando le spalle alla madre e ignorando i suoi richiami. Individuò oltre la siepe gli occhietti da ratto della vicina di casa, seminascosti tra i rami. «E vada a farsi una cazzo di vita, lei!» Le urlò dietro, facendola trasalire e scappare dentro casa di gran carriera in uno scalpiccio di foglie e terriccio.

I Selbrech non abitavano tanto lontano. Dopo qualche minuto di cammino, passato in un silenzio astioso, si trovarono di fronte al portone degli ospiti. Due servitori elfici scattarono a prendere le loro giacche e, tra ossequi ed inchini, li accompagnarono nell'atrio dove Marlein Selbrech li aspettava con un sorriso educato sul volto.

«Leandra, Garrett, benvenuti. Ci fa molto piacere avervi come ospiti questa sera.» Fece vagare lo sguardo dietro di loro, come alla ricerca di qualcuno.

«Purtroppo mia figlia Marian non ha potuto assentarsi dai suoi doveri di Templare, capite quanto siano importanti...» Spiegò Leandra, rispondendo alla tacita domanda dell'altra. «Ma manda i suoi più cari saluti a tutti.»

«Ah, che peccato, Rodney e suo padre ne saranno dispiaciuti.»

“La solita fortunata, riesce sempre in qualche modo a scampare a queste pagliacciate.” Pensò Garrett seguendo la padrona di casa e la madre nel salone.

I pochi ospiti di quella sera erano tutti già lì: Frederick Selbrech chiacchierava pigramente con il siniscalco Bran Cavin, mentre il figlio di quest'ultimo si faceva versare altro vino da un'elfa particolarmente carina, che dalla postura rigida avrebbe probabilmente preferito essere da qualsiasi altra parte. Myranda Selbrech, l'ultima proposta di sua madre, smise immediatamente di sistemarsi i capelli biondo cenere, lanciandogli uno sguardo malizioso da sotto le lunghe ciglia.

«Ah, benvenuti, benvenuti!» Li salutò entusiasta Frederick Selbrech, alzandosi e facendo segno di avvicinarsi. «Accomodatevi pure, la cena sarà servita a momenti...»

«Vedo che la graziosa Ser Marian non ce l'ha fatta ad essere qui con noi oggi.» Commentò Bran, lanciando uno sguardo di rimprovero al figlio, che smise immediatamente di importunare l'elfa.

«Sì, che peccato!» Esclamò quello in tono falsissimo, scolandosi il calice di vino in pochi lunghi sorsi e soffocando male un rutto.

Garrett rischiò di scoppiare a ridere, un po' immaginandosi la faccia della sorella all'essere definita “la graziosa Ser Marian”, un po' sapendo cosa avrebbe avuto da dire su Rodney Cavin.

Il siniscalco sembrò trattenersi a fatica dall'alzare gli occhi al cielo.

Quando il maggiordomo dei Selbrech annunciò che era pronta la cena, si spostarono nella sala da pranzo, addobbata con i soliti fronzoli pomposi che piacevano tanto ai nobili e che lui giudicava inutili e piuttosto pacchiani.

Leandra e Marlein fecero sedere Garrett e Myranda vicini. La ragazza aveva a malapena spiccicato parola, mentre lui non aveva ancora seppellito l'ascia di guerra con la madre e si limitava ad annuire e rispondere a monosillabi poco convinti ad ogni domanda che gli ponevano.

Si susseguì una serie di portate una più abbondante dell'altra, in una parata di sprechi che non fece altro che peggiorare il suo umore.

Frederick Selbrech fece cenno ad uno dei servitori di versare dell'altro vino agli ospiti. «Allora, Garrett, ho sentito che avete intenzione di acquisire parte della compagnia di spedizioni degli Harvent. Un buon investimento, a mio parere, soprattutto dopo che quasi la metà dei loro clienti hanno minacciato di andarsene.»

La moglie accennò un sorrisetto. «Dopo quello che è successo con il figlio, non mi stupisce. Taddeus è sempre stato un poco di buono, ma arrivare ad essere accusato di sequestro e aggressione... Se il vecchio Laurence non è arrivato a dover vendere l'intera compagnia per risarcire il danno d'immagine e contrastare la fuga di clienti, poco ci manca.»

«Sono rimasto sorpreso dall'indagine accurata che hanno svolto le guardie, piuttosto.» Commentò il siniscalco, sorseggiando il vino con fare pensoso. « Aveline Vallen si è rivelata un ottimo capitano, anche se forse stavolta ha esagerato.»

«Sì, insomma, gli Harvent hanno sempre avuto una certa influenza, avrebbe dovuto gestire la situazione con più... discrezione.» Gli diede ragione il padrone di casa.

«L'intero porto è venuto a conoscenza delle porcate di Taddeus Harvent nel giro di un'ora dall'accaduto, non sarebbero riusciti a zittire le voci nemmeno regalando il loro intero patrimonio.» Si intromise Garrett. «E meno male, è disgustoso quello che ha fatto per anni, le indagini parlano di decine di ragazze.»

«Dimenticavo che siete in buoni rapporti con il Capitano...» Ruppe il silenzio imbarazzato che si era creato Marlein, sbocconcellando un dolcetto al miele.

Rodney Cavin gli lanciò uno sguardo carico di disprezzo. «Discorso di uno che passa la maggior parte del suo tempo in quella bettola piena di pulci giù ai quartieri bassi. Chissà se ti sei pure servito degli avanzi di Taddeus, eh.» Scoppiò a ridere della sua stessa battuta, rovesciandosi un po' di vino addosso e sulla tovaglia, le guance arrossate distorte in un ghigno divertito.

Calò il gelo.

Garrett lo fissò dritto negli occhi, impassibile. «Almeno io non ho bisogno di ricorrere alla droga e al nome del paparino per passare una piacevole serata con una bella ragazza. Forse potrei darti qualche consiglio a riguardo.»

Rodney scattò in piedi, barcollando leggermente e dovendo reggersi al tavolo per non cadere. Aprì la bocca per rispondere, quando un'occhiataccia del padre lo inchiodò sul posto.

Il ragazzo spostò lo sguardo dal padre a Garrett un paio di volte, per poi zittirsi stizzito, strappando di mano la caraffa di vino all'elfo accanto a loro e versandosene un altro bicchiere pieno. «Vado a prendere un po' d'aria.» Annunciò andandosene traballante dalla sala.

Garrett gli avrebbe volentieri urlato dietro qualcosa, ma intercettò il silenzioso avvertimento di Leandra e decise che non era il caso di scatenare un'altra discussione. Si concesse un piccolo ghigno vittorioso, sorseggiando dell'altro vino mentre il siniscalco si scusava con i presenti.

«Gradite un dolce alle mandorle, Garrett?» Gli chiese gentilmente Myranda, cercando di attirare la sua attenzione e cambiare discorso. Sbattè le ciglia, speranzosa.

La ringraziò un po' a disagio, prendendone uno e stupendosi di quanto fosse buono. “Merrill ne andrebbe matta.” «Delizioso.»

«Sì, li abbiamo fatti prendere dalla forneria di Earl, quell'uomo è un genio culinario.» Rispose Marlein, prendendone uno a sua volta. «C'è una tale fila fuori certi giorni...»

«E il profumo certi giorni arriva fin quasi al Palazzo.» Disse il siniscalco, incerto su quale dolcetto scegliere. Ne prese infine uno alla cannella, che infilò in bocca tutto insieme.

«Sì, le frittelle alla crema sono le mie preferite.» Convenne Garrett.

«Ah, non riesco quasi mai a trovarle, vanno a ruba prima ancora di finire di cuocere!» Si lamentò Myranda. «Dovreste portarmene un po' la prossima volta.»

Le sorrise, annuendo. «Volentieri, sempre che riesco a trovarle, in effetti sono le più richieste.» Fece vagare lo sguardo sulla sala, annoiato, soffermandosi sullo scudo decorato sopra il caminetto spento. Portava il simbolo della famiglia Selbrech, un cervo rampante su sfondo verde e blu a quadri. Notò però che il cervo non aveva le corna.

«È una cerva, in realtà.» Rispose alla sua tacita domanda Marlein, intercettando il suo sguardo. «Tanti anni fa ho vinto un torneo per il quarantesimo compleanno dell'allora Visconte Perrin Threnhold. Ero parecchio brava.» Si concesse un sorrisetto fiero di sé, guardando affettuosa il trofeo appeso al muro.

«La migliore.» Le diede ragione il marito, annuendo vigorosamente e brindando nella sua direzione.

«Non lo sapevo, complimenti.»

«Ah, non preoccuparti, ormai ho appeso le armi al chiodo da un po' di tempo. Da quando è nata la mia Myranda, in effetti.»

«E tu, Garrett?» Si intromise Frederick, curioso. «Su quanto tua sorella sia brava a combattere si sentono tessere lodi in lungo e in largo.»

Garrett si trattenne dal rispondergli in malo modo. «Non sono famoso quanto Marian, ma con arco e frecce me la cavo.»

«Beh, si vede che ti tieni in allenamento... non è vero, Myranda?»

All'allusione della madre, la ragazza arrossì di colpo, accennando un sorriso. «Sì, madre.»

Dalla finestra aperta, si sentì un gran trambusto di gente che correva urlando.

Allarmato, Garrett scattò in piedi, affacciandosi per capire costa stesse succedendo, seguito a ruota dal siniscalco e da tutti gli altri.

Rodney irruppe nella sala di corsa, piegato in due dallo sforzo, cercando di riprendere fiato. «Veleno, giù... Il capitano-»

«Rodney, parla chiaro!» Gli intimò il padre, afferrandolo per una spalla e scuotendolo con forza.

«Il Capitano Aveline è corsa nella città bassa, dicono ci sia del veleno nell'aria, o qualcosa del genere!» Spiegò allarmato il ragazzo, improvvisamente sobrio. «L'ho incontrata qui fuori, mi ha detto di avvertire tutti di non uscire dalla città alta.»

«Ha detto esattamente dove stava andando?» Lo interrogò Garrett, già pronto ad uscire.

«Verso l'Enclave, ma non dovremmo-»

“Merrill” fu il suo primo pensiero, seguito da una serie di volti più o meno familiari di tutti gli elfi e gli abitanti del quartiere povero che vedeva tutti i giorni.

«Garrett, non penserai-» cercò di fermarlo la madre, ma lui stava già correndo verso la porta.

Non avendo nemmeno il tempo di prendere il suo arco, si scapicollò per i vicoli secondari, correndo giù per le scale talmente veloce da incespicare un paio di volte e rischiare di cadere. Non ebbe bisogno di chiedere indicazioni, il vociare concitato e la gente che scappava verso la città alta gli dava un'idea abbastanza precisa su dove andare.

«Ci sono i miei figli là dentro!»

Girò l'angolo, andando a sbattere contro una piccola folla fermata da un folto gruppo di guardie cittadine.

Uno degli uomini in armatura stava cercando di calmare i cittadini, con scarso successo. «Mi dispiace, nessuno deve attraversare il perimetro di sicurezza. Ci stiamo già occupando della situazione, non- hei! Hawke!»

Riconoscendolo, Garrett si avviò nella sua direzione. «Lucas, cosa sta succedendo?»

«Non lo sappiamo, dicono che improvvisamente l'aria ha cominciato a puzzare di uova marce e la gente ha iniziato a vomitare, o avere allucinazioni... abbiamo aiutato chi potevamo ad uscire, ma poi abbiamo dovuto chiudere l'area prima che potessero esserci altre vittime.»

“Altre?” Deglutì a vuoto lui, il cuore che batteva in gola. «Aveline è là dentro?»

Lucas annuì. «Con tua sorella. Ma non posso farti passare.»

«Non sto chiedendo il tuo permesso.»

«Hawke, non-»

Gli si avvicinò fin quasi a toccarlo. «Mia sorella è là dentro e potrebbe essere in pericolo. Spostati, o ti faccio spostare io.» Scandì, sfidandolo dall'alto in basso.

L'altro sembrò per un attimo incerto, ma poi annuì, scostandosi e facendo segno ai compagni di fare lo stesso. «Copriti naso e bocca e cerca di respirare il meno possibile.»

Per tutta risposta, Garrett estrasse un fazzoletto dalla tasca, legandoselo attorno al volto e incanalando un po' di mana in un incantesimo di protezione che gli aveva insegnato Anders. Sperò che funzionasse anche contro un veleno aereo.

Si inoltrò nei vicoli, scendendo le scale buie, l'odore di marciume che gli faceva pizzicare gli occhi. Man mano che procedeva, la testa iniziò a girargli leggermente. Si sporse da una balaustra di pietra, guardando il denso fumo verdastro che riempiva il cortile sottostante.

Sentì del trambusto arrivare dalla propria destra. Allarmato, si preparò a lanciare una scarica elettrica, quando da dietro l'angolo comparve Fenris.

«Garrett?!»

«Sì, che-» una serie di violenti colpi di tosse lo colsero impreparato.

L'elfo scosse la testa, portandosi una mano alla bocca e indicandogli con l'altra un barile sotto di loro. Garrett assottigliò gli occhi: sembrava che il fumo uscisse da lì, un oggetto metallico a tenere il coperchio di legno sollevato. Non osando colpirlo direttamente con la magia per paura potesse esplodere, cercò qualcosa da lanciare, maledicendo il fatto di non avere con sé il suo arco.

Fenris gli passò due piccoli coltelli da lancio.

Ne soppesò uno in mano, prendendo la mira.

Il gancio metallico saltò via con un colpo secco, mentre il coperchio del barile si richiudeva di scatto, cessando di rilasciare il veleno.

Delle urla li fecero affrettare verso l'Enclave, dove il fumo verdastro era quasi dissipato. Sulla strada incontrarono un altro barile, che chiusero allo stesso modo.

«Na abelas!» Esclamò una voce familiare. Dopo qualche attimo qualcosa, o meglio qualcuno, venne scaraventato da un enorme pugno di pietra contro uno dei muri dell'edificio accanto.

«Merrill!»

L'elfa si voltò sorpresa, il bastone magico che brillava stretto in mano. «Garrett! Fenris!»

«Ma è-»

«Pericoloso, sì, meglio non parlare troppo.» Lo fermò lei, scostandosi una treccina di capelli neri e finendo con un incantesimo l'ultimo degli assalitori. Gli uomini a terra indossavano delle armature di cuoio e metallo. “Mercenari? Ma assoldati da chi?”

«Aveline e Marian sono più avanti.» Si limitò a dire Fenris, lanciandole un'occhiata carica di disprezzo mentre li superava e si infilava in una stradina alla loro sinistra.

Garrett dovette due volte usare degli incantesimi di guarigione per contrastare gli effetti del veleno, rimpiangendo che Anders non fosse lì con loro e dandosi dell'incapace più volte.

All'improvviso, finirono in un vicolo cieco. Sotto di loro, in bilico sulla tettoia di un negozio, un'elfa minuta dava loro le spalle. Indossava un armatura troppo grossa per lei e stringeva una spada a due mani che aveva visto tempi migliori. Era affiancata da altri tre mercenari. Accanto a loro, due barili identici a quelli che sputavano veleno.

«Avete fatto un grosso sbaglio a venire qui.» Disse quella, rivolta a qualcuno che non riuscivano a vedere. «Ma buon per me, e per la causa. Se tutti penseranno che i Qunari hanno ammazzato il Capitano delle Guardie e una Templare, si rivolteranno contro quei bovini. Molto meglio voi che tutta questa povera gente, comunque.»

«È questo che volevi?!» Garrett riconobbe al volo la voce della sorella. Era furiosa. «Ammazzare centinaia di persone solo per far rivoltare la popolazione contro i Qunari?!»

«Centinaia? No, solo...» L'elfa in armatura strinse l'arma con più forza. «Non importa. Funzionerà.»

Vide Fenris scivolare nell'ombra, raggiungendo un balcone e appiattendosi contro il muro. Uno degli uomini accanto all'elfa si girò, insospettito, costringendoli a nascondersi di nuovo.

«Dobbiamo eliminarla prima che scappi.» Sussurrò Merrill, la voce appena udibile.

«Penso che Marian voglia farla confessare.»

La Dalish annuì, stringendo il suo bastone magico con forza. «In fretta, però.»

«Dimmi chi ti ha aiutato e uscirai viva da qui.» Sentì Marian insistere.

L'elfa scoppiò a ridere, deridendola. «Credi che mi importi? No, lo faccio per la mia gente. Non basta vivere come schiavi, scappano dai Qunari in cerca di una nuova vita, e così li perdiamo due volte. Maledetti.» Sputò per terra. «Ma qualcuno dei vostri è sveglio e sa cosa bisogna fare, così mi hanno dato una mano. Sarete voi a morire, stanotte. E presto, la città prenderà le armi.»

Fece un cenno ai suoi uomini, che si chinarono a prendere gli altri due barili di veleno.

Prima che potessero toccarli, Fenris si lanciò contro di loro, atterrando esattamente dietro ad uno e trapassandolo da parte a parte, la mano conficcata nel petto dell'uomo, i tatuaggi che brillavano sinistri. Ritrasse il braccio di scatto. Quello cadde a terra con un gemito.

Gli altri due vennero colpiti dagli incantesimi lanciati da Merrill e Garrett, che li fecero precipitare giù dalla tettoia con un urlo che si zittì in un tonfo.

L'elfa si girò di scatto, allarmata, in cerca di una via di fuga. Tentò di attaccare Fenris con la spada, ma era troppo grande e pesante per lei, rendendo i suoi movimenti lenti e goffi. L'elfo roteò la lama per buttarla a terra, nel tentativo, Garrett immaginò, di prenderla viva.

Quella incespicò all'indietro, ferita, per poi rivolgere loro uno sguardo folle e gettarsi di sotto con un salto.

Fenris allungò il braccio per afferrarla, mancandola di un soffio.

Il rumore di ossa spezzate li lasciò, sconfitti, con un cadavere inutile.

«Ottimo lavoro.» Commentò sarcastica Marian, rivoltando con la punta del piede il corpo senza vita dell'elfa, il collo spezzato in una forma irregolare. «Ora non sapremo mai chi l'ha aiutata.»

«Prego, Marian, non c'è di che, no, non è stato affatto un problema salvarti le chiappe.» Replicò acido il fratello, incrociando le braccia.

«Ce la stavamo cavando egregiamente molto prima che arrivassi tu. Piuttosto, non dovresti essere a cena dalla tua ragazza?»

«Quando avrò una ragazza, verrai invitata ad ogni singola cena a casa nostra.»

«Dovremmo controllare che non ci siano altri barili.» Li interruppe Fenris, guardandoli male.

Merrill annuì. «E portare alla Chiesa tutti gli intossicati, i maghi del Circolo avranno sicuramente un incantesimo per curarli.»

«Potrei chiedere ad-»

«Non tirare in mezzo il tuo amico, ci sta già creando abbastanza problemi.» Ringhiò Marian, frugando nelle tasche dell'elfa e non trovandovi nulla. «Maledizione.»

Aveline si schiarì la gola, finendo di esaminare un barile poco lontano. «Marian, ho mandato Maecon ad avvisare il resto degli uomini, passeranno di casa in casa a vedere se è rimasto qualcuno da portare ai guaritori. Dannazione, l'Arishok aveva torto e ragione allo stesso tempo, ma la situazione è più grave di quanto pensassimo.»

«L'Arishok?» Chiese incuriosito Garrett, rivolto alla sorella. «Che sta succedendo?»

Marian sospirò. «Ci ha avvisato del furto di un po' di saar-qamek, un gas velenoso... pensavamo che volessero riprodurlo per rivenderlo, non certo che si trattasse di una qualche cospirazione per far ricadere sui Qunari la colpa di un massacro.»

«E quel che è peggio, quell'elfa era solo un ingranaggio in un meccanismo ben più complesso.» Commentò amaramente Aveline. «Dobbiamo capire chi l'ha aiutata.»

«Ha detto “qualcuno dei vostri”...»

«Umani, quindi.»

«Guardie, forse. O Templari.» Riflettè Garrett.

Entrambe le donne rivolsero l'attenzione su di lui.

«Stai insinuando che l'Ordine potrebbe essere coinvolto in un attentato?» Gli chiese fredda Marian, gli occhi blu scuro puntati dritti nei suoi, intimidatori.

Anche Aveline aveva lo sguardo duro. «O la Guardia Cittadina?»

Garrett si sentì rabbrividire. «Forse. Non è da escludere.» L'incidente di anni prima con Sorella Petrice e il suo templare era ancora bene impresso nella sua memoria. La Chiesa e l'Ordine avevano già tentato di incastrare i Qunari con la faccenda di Adaar, potevano essere di nuovo loro.

«In ogni caso, non troveremo risposte stando qua a guardarci nelle palle degli occhi.» Tagliò corto Aveline. «Marian, vai a riferire al Capitano Cullen cosa è successo e poi-»

«Sarà il caso di avvertire i Qunari.» La interruppe la templare. «L'Arishok deve sapere cosa sta succedendo. Se anche solo una parte della popolazione insorge contro di loro, dobbiamo sperare vivamente che i Qunari non scelgano di massacrarli tutti e subito.»

«È una buona idea.» Convenne Fenris. «L'Arishok sembra apprezzare l'onestà con cui l'hai trattato finora. Speriamo che il Visconte Dumar e Meredith siano della stessa opinione.»

Marian annuì. «Voi due, intanto.» Disse, rivolta al fratello e a Merrill. «È meglio che spariate, questa zona sarà piena di guardie e templari nel giro di qualche minuto. Non è la serata giusta per cacciarsi nei guai.»

I due maghi si guardarono di sottecchi, non sapendo bene se provare a restare per dare una mano o obbedire. Alla fine, scelsero di non dare ulteriori motivi per litigare.

«Se ci sono problemi...»

«Arriverai subito, Garrett, come al solito. Che io lo voglia o meno.»



 

I problemi, come scoprirono nemmeno un'ora dopo, c'erano eccome.

La clinica di Anders era affollata come non mai. Umani, elfi e persino qualche nano erano accasciati per terra o si reggevano a stento contro le pareti, alcuni erano stati portati lì in stato di incoscienza da amici o parenti, altri si erano trascinati fino alla città oscura grazie a quella che sembrava una miracolosa forza di volontà. La gente era talmente tanta che riempiva tutto lo spiazzo di fronte all'entrata e persino le due scalinate pericolanti che portavano al livello superiore.

«Perchè non sono andati alla Chiesa?»

«Perchè la maggior parte di loro non si fida, né della Chiesa né dei suoi templari.» Rispose secco Anders, una scodella con del liquido scuro in mano. Gli porse un mestolo, sbrigativo. «Due sorsi ciascuno, fa che non li vomitino.» Prima che Garrett potesse chiedere come fare per evitarlo, il guaritore era già andato a discutere con Merrill sul quantitativo di radice elfica da mettere nell'intruglio che bolliva sul fuoco.

Garrett si affrettò ad obbedire, cominciando a distribuire la cura agli intossicati.

Un uomo di mezza età tossiva così tanto che dovettero tenerlo fermo in due per evitare i conati e per placare gli spasmi che la pozione gli aveva dato, scorrendo giù per la gola irritata. Quando l'uomo tentò di divincolarsi dalla presa del suo compagno e la benda sull'occhio gli scivolò di lato, rivelando un tatuaggio che correva fin dietro l'orecchio, Garrett lo riconobbe come un membro della Cerchia. “Eccome se non si fida ad andare dai maghi del circolo, questo qui ha una taglia sulla testa di venti sovrane!” Scosse il capo, sapeva bene che laggiù non importava a nessuno, la clinica di Anders era territorio neutrale dove ogni faida, vendetta o rancore venivano messe da parte: tutti avevano diritto a ricevere le cure di cui avevano bisogno.

Un bambino aveva il volto completamente coperto di bolle, il fratello più grande aveva una benda legata sopra gli occhi, l'impacco a base di erbe magiche che colava un poco da sotto la fasciatura.

Finì di distribuire l'intruglio, aiutando come poteva con il poco di magia curativa che conosceva. Merrill, che ne sapeva molto più di lui su erbe e pozioni di guarigione, si dava il cambio con Anders per prepararne altri.

A notte fonda, un piccolo gruppo di elfi e umani arrivò a portare vettovaglie per tutti. La Cerchia inviò una buona dose di erbe dalle loro scorte e persino il Carta, con lo stupore di tutti, mandò alla clinica un nano con una serie di intricati tatuaggi a forma di teschio sul volto e le braccia cariche di sacchetti di muschi, licheni e funghi che Anders apprezzò tantissimo.

Tre donne di mezza età erano rimaste ad aiutare per gran parte della notte, affiancate dalle due elfe sorelle che lavoravano alla forneria di Earl, Elin e Rasiel, che si erano date poi il cambio con due vicine di casa, anche loro provenienti dall'Enclave, che sembravano capirne abbastanza di erbe curative da riuscire a somministrare le dosi senza dover chiedere di continuo al guaritore. Un nano completamente calvo era rimasto ad aiutare a preparare intrugli e pozioni tutta la notte, con abilità e precisione sorprendenti, senza mai aprire bocca nemmeno una volta.


 

Anche se i raggi di sole avessero potuto arrivare fino ai sotterranei della città, per il tanto lavoro non si sarebbero comunque accorti dell'alba: fu solo quando tutti i pazienti vennero stabilizzati, e la maggior parte riportati a casa loro o comunque spostati in un luogo più sicuro, che i tre maghi si concessero un breve attimo di riposo.

«Mythal'enaste, non mi reggo più in piedi.» Esalò Merrill, accasciandosi contro la parete e restando accovacciata per terra, le ginocchia strette tra le braccia. «Così tante persone...»

Garrett annuì, seduto sul pavimento poco lontano, troppo stanco per parlare.

«Avete fatto un ottimo lavoro, tutti e due. Grazie.» Disse loro Anders, mentre finiva di infilare qualche boccetta di vetro ormai vuota in una scatola. Controllò l'impasto di funghi e licheni che si stava raffreddando su una pezzuola stesa, assicurandosi della sua consistenza. «E meno male che non abbiamo dovuto fare affidamento solo alle mie scorte, non sarebbero bastate per la metà di tutta questa gente.»

«Credete che il Carta vorrà qualcosa in cambio?» Chiese Garrett, preoccupato. «La Cerchia aveva parecchi dei suoi uomini coinvolti, ma i nani...»

«Se avessero voluto un pagamento, l'avrebbero chiesto prima di portarci tutta quella roba, credo.» Rispose Anders, sedendosi finalmente anche lui. Si appoggiò al muro di legno, chiudendo un attimo gli occhi cerchiati di ombre scure. «No, penso che questa faccenda abbia davvero risvegliato il meglio che questa città nasconde. Pure dai gruppi criminali.»

«Sapevo che c'era del buono in loro, ricordiamocelo la prossima volta che ci attaccano!» Cercò di scherzare Merrill, suscitando solo dei sorrisi stanchi negli altri due.

«Dici che su alla Chiesa ci saranno state anche più persone?»

Il guaritore annuì. «Sicuramente. I più colpiti erano quelli degli edifici attorno a dove erano stati piazzati i barili, ma il vento della baia ha trasportato quella roba per tutti i quartieri bassi. Domani- anzi oggi,» scosse la testa, correggendosi «ci sarà un bel po' di gente con tosse improvvisa e bruciore agli occhi. Ma credo che la maggior parte dei feriti siano stati ormai trattati, tutti gli altri andranno a farsi dare un'occhiata dai maghi del Circolo.»

«Dobbiamo scoprire chi c'è dietro. Potevano ammazzarne chissà quanti, se non fossero intervenute subito Marian ed Aveline.»

«Credi davvero ci possa essere Sorella Petrice dietro a tutto questo?» Gli chiese Anders.

Garrett si strinse nelle spalle. «O lei, o il suo cane da guardia.»

Anders sospirò, sciogliendosi i capelli che ormai gli cadevano spettinati da tutte le parti. Si sfregò la barba ispida, grattandosi il mento. «Penso che dovresti raccontarlo a tua sorella, allora. Se fiuta una traccia, quella è peggio di un mabari, andrà sicuramente in fondo alla faccenda.»

Accolse quelle parole come un pugno nello stomaco. «Stai dicendo che non dovrei immischiarmi?»

L'altro lo guardò stanco. «Abbiamo già abbastanza problemi, no? I Templari apriranno un'indagine ufficiale, le guardie cittadine anche...»

«Qualcuno nella Resistenza magari sa qualcosa. Se c'entra il suo templare, forse lo stanno tenendo d'occhio.» Provò a convincerlo. L'essere stato fregato ai tempi dalla Sorella della Chiesa gli faceva ancora rodere il fegato, ma l'idea che quella stessa serpe avesse cercato di uccidere mezza città in un nuovo piano per dare la colpa a tutto ai Qunari, quello lo mandava fuori di testa.

«Proveremo a chiedere, allora.» Cedette Anders. «Ma non aspettarti granchè.»

Si guardarono attorno, stravolti. Lo stomaco di Garret brontolò rumorosamente.

Merrill, riuscendo ad allungare un braccio verso il tavolo più vicino, afferrò il cesto del pane che qualcuno aveva portato qualche ora prima. Era rimasta una piccola pagnotta, che divisero equamente e che servì soltanto ad accrescere la loro fame.

«Forse dovremmo fare un pisolino.» Provò a proporre l'elfa. «Insomma, se ci diamo il cambio...»

Anders scosse la testa. «Non possiamo lasciare la clinica scoperta, se dovesse arrivare qualcun altro, o se le condizioni di quelli rimasti peggiorassero...»

«Sarà ormai primo pomeriggio. Non dormiamo da, non so nemmeno più quando, in questo stato non serviamo a nessuno.» Provò a convincerlo Garrett, sapendo comunque che l'altro non avrebbe mai e poi mai accettato di lasciare la clinica in un momento così delicato. «Uno di noi dovrebbe andare a prendere del cibo, gli altri due restano qui. Poi, dopo mangiato, a turno dormiremo qualche ora sull'unico materasso rimasto.»

«Sì ma se-»

«Se esplode qualcosa, Anders, sarai il primo a saperlo, promesso.» Sbadigliò Garrett.

Come un'apparizione della Profetessa Andraste in persona, un meraviglioso odore di pane appena sfornato entrò dalla porta principale.

Elin, il grembiule a scacchi bianco e azzurro sporco di farina e gli occhi rossi dal sonno, sorrideva nonostante la nottata in bianco e la mattina passata a lavorare, un grosso cesto di vimini tra le braccia. «Mi sono liberata appena ho potuto...» Sorrise a mo' di scuse, spostando con un braccio un po' di roba dal tavolo e riuscendo ad appoggiarvi sopra il cibo. «Ho recuperato anche del formaggio, persino il vecchio Earl vi manda i suoi saluti, la nipote gli ha raccontato cosa è successo stanotte, e io che credevo avesse un cuore di pietra...»

«Elin, sei una visione.» La ringraziò Garrett, alzandosi. L'avrebbe abbracciata, non fosse stato per il fatto che probabilmente non sarebbe riuscito ad alzare le braccia sopra l'altezza dei gomiti. E che l'elfa magari non avrebbe apprezzato essere stritolata da uno in quelle misere condizioni.

Quella sorrise, scrollando le spalle. «Per quello che fate per tutti noi, non è niente. Ho chiesto ad un paio di amiche, dovrebbero arrivare a momenti per dare una mano, magari voi volete schiacciare un pisolino per qualche ora... sembra tutto più tranquillo, adesso.»

Merrill sembrò illuminarsi, andando a scoprire il cesto e individuando un po' del formaggio morbido che era il suo preferito. «Ma serannas, Elin, stavamo crollando!» Ne prese un pezzo generoso e lo spalmò sul pane con un piccolo coltellino pulito, addentandolo con voracità. «È il pranzo più buono che abbia mai mangiato!»

Anche a Garrett sembrava tutto assolutamente delizioso, mentre si cacciava in bocca più cibo di quello che riuscisse a masticare. «Mhf, grazie Elin, è buonissimo!»

«Vedi di non soffocare, non vorrei dover salvare la vita anche a te.» Lo rimproverò Anders, che però stava anche lui mangiando di gusto.

Garrett tentò di sorridere nella sua direzione, rischiando di farsi andare di traverso il boccone. «Figurati, sono troppo bravo io.»

L'altro sollevò un sopracciglio, lanciandogli un'occhiata divertita, ma non commentò.

Finirono di mangiare in pochi minuti, tanta era la fame, lasciando solo le briciole. Nel mentre erano arrivate anche le tre amiche di Elin, di cui una aveva una piccola bancarella di spezie al mercato dell'Enclave. «Posso controllare io gli impacchi, se mi spieghi un po' di cosa sono fatti, così non vi disturbo per niente.» Assicurò ad Anders, che si mise ad illustrarle attentamente ogni singolo dettaglio. Merrill nel frattempo si era appisolata in un angolo. Garrett si alzò e, con un grandissimo sforzo, riuscì a sollevarla per metterla sul materasso di paglia rimasto libero. Recuperò una coperta leggera e gliela sistemò sopra. La ragazza, intontita, lo ringraziò bofonchiando qualcosa in elfico prima di tornare a dormire beatamente.

Elin annunciò che sarebbe andata a casa a riposare, e di mandarla a chiamare per qualsiasi necessità.

Passarono un'ora a ricontrollare le medicazioni dei pazienti ed un'altra a tagliuzzare, rimettere a bollire, mischiare e amalgamare gli ingredienti necessari per crearne altre. Le tre elfe si rivelarono al di sopra delle loro aspettative, erano sveglie e con delle buone basi di partenza.

Fecero un altro giro di tutti i pazienti, ricontrollando le medicazioni e constatando che la maggior parte erano migliorati molto nel giro di poche ore.

Ad un certo punto, arrivò un uomo a lamentarsi dei forti bruciori agli occhi, asserendo che vedeva tutto annebbiato. Anders trovò il modo di alleviare il dolore con la magia, mentre piano piano le bolle sul viso del paziente andavano a diminuire e la vista iniziava a migliorare.

Quando quello uscì dalla clinica, Mavi, una delle tre ragazze, provò a suggerire che i due maghi andassero un attimo a riposarsi.

«Anche solo un paio d'ore.» Le diede man forte Linette, finendo di impastare dei licheni con l'estratto di radice elfica. «Se succede qualsiasi cosa, veniamo a svegliarvi.»

Anders si strofinò gli occhi, incerto sul da farsi. Incrociò lo sguardo di Garrett, in cerca di supporto.

«Se dovesse arrivare gente pericolosa...»

Stava per rispondere che i Templari avevano probabilmente problemi più grossi in quel momento, quando Merrill riemerse dall'altra stanza, stiracchiandosi. «Vi do io il cambio, non preoccupatevi.»

«Sei sicura?» Le chiese il guaritore.

L'elfa annuì. «Ho tutto sotto controllo. Andate a dormire.»

Finalmente, Anders capitolò. «D'accordo, ma qualsiasi cosa...» Venne praticamente spinto verso la stanza adiacente, Garrett che lo seguiva a ruota.

La maggior parte dei pazienti lì dentro dormiva ancora, merito degli antidolorifici che causavano sonnolenza rendendo più facile la guarigione.

Scivolarono silenziosamente verso il materasso libero.

«Ce la giochiamo a dadi?» Scherzò Garrett, preparandosi a dormire per terra.

«Non se ne parla, ci dormi tu.» Lo bloccò Anders, risoluto.

Garrett lanciò un'occhiata critica al materasso. «Sono troppo stanco per discutere, secondo me ci siamo tutti e due, se non scalci come un cavallo.» Aveva dormito in posti peggiori, in fondo.

L'altro portò più volte lo sguardo da lui al saccone di paglia, in silenzio.

Decidendo che non aveva la forza di stare ad aspettare una sua decisione, Garrett si coricò su un lato, rivolto verso la parete e cercando di farsi più piccolo possibile nonostante non fosse esattamente minuto. «Fa' come vuoi, buonanotte.»

Avrebbe scommesso un giro di birre all'Impiccato che il guaritore si sarebbe messo a dormire per terra. E avrebbe perso.

Con un sospiro stanco, Anders si stese accanto a lui, dandogli le spalle. «Nessuno mi ha mai detto che scalcio, comunque.»

Garrett ridacchiò. «Carver mi ha detto che sono un orso abbraccione, una volta.»

«Sopporterò.»
























Note dell'Autrice: si inizia a muovere qualcosa! Mi piaceva l'idea che nonostante la città bassa sia prevalentemente abitata dai più poveri o da poco di buono, quando qualcosa del genere tocca l'intera comunità, tutti si mettano in gioco a dispetto delle varie fazioni e strati sociali.
Il prossimo capitolo arriverà tra tre settimane causa vacanze senza computer, buon agosto a tutti! :D 

  
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