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Autore: RaidenCold    03/08/2019    2 recensioni
Fin dai tempi del mito, i cavalieri di Atena proteggono l'umanità dalle minacce più oscure.
Gettato nel loro mondo, sotto l'egida di una severa insegnante in pochi anni Ramiel si trasforma da fragile bambino a cavaliere d'oro; all'arrivo di una nuova minaccia sconosciuta, sembrerebbe che stia per iniziare una nuova guerra, ma lui scoprirà che la posta in gioco è molto più alta di quanto il Grande Sacerdote Saga ed i suoi cavalieri possano immaginare.
Genere: Angst, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gold Saints, Nuovo Personaggio, Sorpresa
Note: AU, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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Ramiel si ritrovò sbalzato dall’altra parte del bosco; si rialzò, vide l’erba rossa e tastandosi la fronte notò che stava sanguinando.

 

“Alzati.”

La voce di Zenovia risuonò imperiosa attraverso la maschera, e poco dopo emerse dagli alberi in tutta la sua possanza.

“S-sto sanguinando…” - uggiolò tremulo Ramiel.

“Lo farai spesso se non allenerai il tuo corpo adeguatamente.”

Zenovia scattò e fece per colpirlo, fermando il colpo all’ultimo momento: constatò che Ramiel, pietrificato dalla paura, non avrebbe reagito in alcun modo.

“Basta così: è più di un mese che sei qui ormai.” - sentenziò alterata - “Non ho tempo da perdere con un bamboccio piagnucoloso.”

A quel punto la ragazza si voltò dall’altra pare e se ne andò, lasciando solo Ramiel a piangere rannicchiato a terra.

Gli mancava la sua famiglia e voleva disperatamente tornare a casa, ma sapeva che sua madre credeva in lui e non voleva assolutamente deluderla.

Inspirò ed asciugandosi le lacrime si rimise lentamente in piedi.

Si guardò intorno, in cerca della sua severa maestra, ma con sommo stupore, l’unica cosa che trovò in mezzo agli alberi, fu un paio di iridi cerulee che aveva già avuto modo di vedere:

pian piano fece per avvicinarsi stupito a quella bimba che, all’ombra delle fronde, impassibile lo osservava con gli occhi sgranati.

“Ciao…” - la salutò timidamente, senza ottenere alcuna risposta.

“Stai sanguinando.” - commentò la bambina senza apparire minimamente turbata.

“Sì.” - inspirò Ramiel cercando di trattenere nuovamente le lacrime.

“Hai bisogno di aiuto?”

“Sì…”

A quel punto la bambina si avvicinò senza troppa fretta, rivelando per bene il suo aspetto: indossava un abito bianco simile a una tunica con maniche decisamente troppo lunghe portate all’altezza della punta delle dita, e aveva i capelli di un tenue color lavanda portati in una specie di caschetto un po’ mosso.

“Io mi chiamo Ramiel.”

Sapeva che una presentazione ne esigeva un’altra in risposta, ma non ottenendone alcuna, proseguì.

“Ti ho vista qualche tempo fa, sai?”

“Sì.”

“Vivi anche tu qui?”

“Sì.”

A quel punto la bambina invitò Ramiel a sedersi su una roccia, dopodiché impose la mano all’altezza della testa.

“Come ti chiami?”

“Non ho un nome.”

Ramiel strabuzzò gli occhi confuso:
“Come sarebbe a dire? Tutti hanno un nome…”

“Io no, sono solo un’ombra.”

“Un’ombra?”

“Sì: nulla di quel che vedi in me è qualcosa di mio, per questo non posseggo neppure un nome.”

In quel momento, Ramiel percepì un piacevole tepore sopra le tempie, dove si era tagliato cadendo, presso lo stesso punto su cui la bambina aveva avvicinato la propria mano: in pochi istanti non solo non sentì più alcun dolore, ma toccandosi constatò come la ferita si fosse chiusa guarendo completamente.

“Ma come hai…?”

“Il mio cosmo.”

“Non sapevo che un cosmo potesse fare queste cose…”

“Il mio è … particolare.”

“Sei qui anche tu per diventare un Cavaliere?”

“Non proprio.”

Ramiel si rialzò come nuovo e la bambina fece per allontanarsi:
“Aspetta…!”

La piccola si arrestò:
“Sì?”

“Grazie…”

“Prego.” - rispose lei senza emozioni facendo nuovamente per andarsene.

“A-aspetta!”

La piccola si arrestò nuovamente.

“Sì?”

“Che ne dici se, per sdebitarmi ti do un nome?”

Lo guardò senza dire nulla per alcuni istanti, infine rispose:

“Per me va bene: come vuoi chiamarmi?”

Ramiel si trovò del tutto impreparato dinnanzi a quella domanda, sebbene la richiesta provenisse proprio da lui stesso:

“Ehm… te lo dico la prossima volta che ci vediamo, ok?”

La bambina fece un cenno di assenso, e prima di congedarsi definitivamente tra gli alberi, lanciò un piccolo e quasi impercettibile sorriso a Ramiel, il quale scordò in quel brevissimo istante tutti i propri affanni.

 

Zenovia camminava per il sentiero, stringendo i pugni ed inspirando spazientita.

 

“Che brutta cera.”

 

Alzò lo sguardo, e dinnanzi a sé notò una figura vestita d’oro che se ne stava a braccia conserte appoggiata su di una parete rocciosa:

“Hai combinato qualche marachella, ragazzina?” - la sfotté il giovane cavaliere dalla chioma violacea.

“No, non è successo niente…” - rispose lei nel modo più pacato che il suo umore le potesse consentire di fare in quel momento.

“Dal grugno che hai non si direbbe; problemi col novellino?”

“Con tutto il rispetto, Milo, come puoi sapere che faccia abbia sotto questa maschera?.”

“Accidenti, ti sei proprio alzata col piede sbagliato” - ridacchiò il cavaliere - “serve una mano?”

“Ti ringrazio, ma devo farcela da sola, non posso deludere…”

“Tuo padre?” - la incalzò il cavaliere.

“… tutti.” - sentenziò Zenovia seccamente.

A quel punto Milo sciolse le braccia e posò una mano sulla spalla della giovane:
“A parte gli scherzi, forse stai prendendo la faccenda dal verso sbagliato.”

“Dici?”

“E’ un mio pensiero; non dico che tu debba essere più comprensiva con quel bambino, nessuno ha mai detto che sia facile diventare cavaliere, però chiediti cosa vuoi fare.”

“Cosa… voglio fare?”

“Sì insomma, hai accettato di addestrarlo perché vuoi dimostrare di essere forte o perché vuoi che lui sia forte?”

Zenovia piegò il capo e posò lo sguardo a terra:
“Forse temo… temo di non aver capito quale sia il mio compito.”

Milo le diede una pacca sulla spalla:
“Su, adesso prendi un respiro e torna dal tuo allievo: avrete molto lavoro da fare!”

“Ti ringrazio, e perdonami se sono stata sgradevole.”

Il cavaliere d’oro la salutò con la mano di sfuggita, mentre si allontanava, dopodiché scomparve dietro la curva del sentiero;

a quel punto Zenovia si fece coraggio, e decise di tornare sui propri passi.

 

 

Nei mesi successivi Zenovia riservò a Ramiel un allenamento intenso e massacrante, ma evitò di accanirsi su di lui e cercò a sua volta di conoscere i limiti dell’allievo: grazie alle parole di Milo, aveva compreso che il primo passo per il miglioramento, era capire da dove poter iniziare.

Marce, flessioni, piegamenti, combattimenti: Zenovia vedeva dove poteva arrivare Ramiel, e quest’ultimo un po’ alla volta cresceva senza rendersene conto.

Ma nonostante la grande determinazione, Ramiel restava pur sempre un bambino di sette anni ed un giorno senza una particolare ragione, logorato dalla stanchezza fisica e psicologica, sentì crollare su di sé i lunghi mesi passati lontano da casa.

 

“Si può sapere che cos’hai oggi?” - lo rimproverò Zenovia, senza ottenere risposta.

“Guardami mentre ti parlo!”

Ramiel alzò lo sguardo, mostrando gli occhi lucidi e il naso gocciolante.

“Che diavolo hai da piagnucolare?”

I modi di Zenovia non erano dettati dalla cattiveria, bensì dall’attitudine: aveva un carattere decisamente rigido, e quando il suo obiettivo, in quel caso l’addestramento, veniva sbarrato da un ostacolo di qualunque genere, finiva per irritarsi facilmente nel tentativo di riportare tutto sotto il proprio controllo.

Dal canto suo Ramiel non aveva il coraggio di rispondere a quelle parole tanto austere che il suo desiderio era quello di riabbracciare la mamma e la sorellina, temendo di essere visto dall’insegnante come un debole vigliacco.

Nonostante le paure del piccolo fossero piuttosto fondate, ironicamente Zenovia avrebbe preferito che le avesse detto cosa gli passasse per la testa: quando chiedeva cosa stesse accadendo lo faceva perché voleva davvero risolvere un problema.

Purtroppo, il carattere rigido della prima ed il senso di smarrimento dell’altro non facevano altro che alimentare le incomprensioni tra i due.

“Allora?” - chiese lei nel tentativo di farlo parlare, ottenendo il risultato esattamente opposto.

Ramiel scoppiò a piangere: lei lo detestava.

Non sopportava l’idea di dover aver a ché fare con un frignone con cui fosse impossibile comunicare, e nonostante stesse dando fondo a tutto il proprio autocontrollo, non trovava modo di uscire da quella situazione: andare a consolarlo era fuori questione, ma sgridarlo senza neanche sapere di preciso il perché non avrebbe certo migliorato la situazione.

“Va bene, resta qui un secondo.”

Zenovia corse via, assecondando l’unica assurda idea che l’era venuta in mente in quel momento.

Tra un singhiozzo e l’altro Ramiel la vide andarsene, e sentendosi abbandonato il suo pianto divenne ancora più inconsolabile.

 

Dopo alcuni minuti passati nella più totale tristezza, Ramiel, mentre se ne stava con la testa rannicchiata tra le gambe, si sentì accarezzare dolcemente:
“Ma guarda qui cosa abbiamo…”

Un tocco morbido e una voce delicata come il miele: per un istante avrebbe giurato che li accanto a lui vi fosse sua madre.

Quando tuttavia alzò lo sguardo vide di fronte a sé una giovane ragazza dalla lunga chioma verde chiaro, probabilmente della stessa età di Zenovia, ma dal fisico meno filiforme; il particolare del look della ragazza che più colpì Ramiel, era il fatto che sopra la tenuta da addestramento indossasse una felpa nera munita di cappuccio, decisamente fuori luogo in quel contesto.

“Che succede piccolo, Zenovia ti ha sgridato?” - gli chiese sedendosi accanto a lui, continuando ad accarezzarlo.

“N-non devo parlare con le persone sconosciute.”

“Hai ragione, in tal caso mi presento: il mio nome è Ria, e mi sto allenando per diventare un cavaliere; tu invece sei Ramiel, giusto?”

“S-sì…”

“Su, non prendertela, conosco Zenovia, e so che a volte può essere dura, ma non è cattiva…”

“Ma non… non sto piangendo per quello…”

“Oh, per cosa dunque?”

“Ecco…” - esitò per un istante, poi inspirò e singhiozzò disperato - “mi manca tanto la mia mamma… e anche la mia sorellina…”

Ria fece un’espressione di stupore, poi sorrise e lo abbracciò dolcemente:

“Piccolo Ramiel, ma è naturale che tu abbia nostalgia di casa… perché non l’hai detto alla tua maestra?”

“P-perché lei vuole che io sia forte e io non voglio che si arrabbi con me…”

“Ma no, vedrai che non si arrabbierà se ci parli.”

“Tu dici?”
“Ne sono certa; su adesso finisci di sfogarti per bene, e se quella cattivona ti fa piangere vieni pure da me.”

Ria si alzò e mentre se ne andava Ramiel la guardò con gli occhi lucidi ma sorridendo estasiato: non aveva conosciuto nessuno così dolce e premuroso, forse nemmeno sua madre, e per la prima volta da quando era giunto al Grande Tempio, si era sentito un po’ a casa.

 

“E tu sei contenta adesso?” - sorrise Ria a Zenovia, che da lontano aveva assistito a tutta la scena nascosta tra gli alberi senza dire nulla.

“Ti ringrazio, non so proprio come avrei potuto fare se non mi avessi aiutata.”

“Posso aiutarti ogni volta che lo desideri, però potrei anche fare di meglio.”

“Sentiamo.”

“Magari potrei mostrarti come essere meno severa nei confronti di quel povero cucciolo…”

Zenovia sbuffò ruotando gli occhi in alto:
“Adesso non esagerare ti prego, aveva solo bisogno di calmarsi un po’.”

“Aveva bisogno di coccole: è pur sempre un bambino.”

“Deve diventare un cavaliere.”

“Anche noi abbiamo bisogno di coccole ogni tanto.” - sorrise Ria facendole l’occhiolino per poi passare oltre.

Più che l’uscita di scena della ragazza, a turbare Zenovia in verità era stato l’apprendere che il suo allievo si sentisse intimorito dal parlare liberamente in sua presenza: certo si era sempre imposta in modo autoritario, ma non aveva mai messo alcun paletto alla libertà di espressione di Ramiel, ed anzi ne gradiva l’educazione ed il fatto che non parlasse mai a sproposito.

Si rese però conto di non aver mai mostrato in alcun modo di apprezzare quelle sue caratteristiche.

 

Zenovia ritornò sul campo di addestramento, dove Ramiel se ne stava seduto immobile intento a scrutare il vuoto.

A quel punto la ragazza chiese una cosa che fece rabbrividire il suo smisurato orgoglio, verso cui in quel momento provava un enorme disprezzo per il modo in cui l’aveva fatta apparire:
“Va tutto bene?”

Ramiel sollevò il capo e la guardò, dopodiché rispose con voce pacata e monocorde:
“Sì.”

La reazione ottenuta non era quella che si aspettava:

Ramiel non disse altro, limitandosi a rimettersi in piedi e a fissare il vuoto con sguardo imperturbabilmente gelido.

Eppure l’aveva visto sorridere fino a un momento prima, quando era ancora con Ria; quel repentino cambio di umore sembrava legato al suo arrivo.

In quel momento Zenovia realizzò con grande amarezza che un seme d’odio da lei stessa piantato in Ramiel stava iniziando a germogliare.

   
 
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