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Autore: Mary P_Stark    06/08/2019    3 recensioni
Cosa succederebbe se gli dèi dell'Olimpo e gli eroi greci camminassero tra noi? Quali potrebbero essere le conseguenze, per noi e per loro? Atena, dea della Guerra, delle Arti e dell'Intelletto, incuriosita dal mondo moderno, ha deciso di vivere tra noi per conoscere le nuove genti che popolano la Terra e che, un tempo, lei governava assieme al Padre Zeus e gli Olimpici. In questa raccolta, verranno raccontate le avventure di Atena, degli dèi olimpici e degli eroi del mito greco, con i loro pregi, i loro difetti e le loro piccole stravaganze. (Naturalmente, i miti sono rivisitati e corretti)
Genere: Commedia, Malinconico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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5.
 
 
 
 
Forti dei Pass concessi loro dalla squadra di Achille e Alessandra, la compagnia di Athena poté rimanere fino agli ultimi istanti accanto alla coppia. Quando infine questi partirono sulla loro Subaru con un gran rombo e uno stridio di gomme, il gruppo si portò in fretta in un punto in cui fosse visibile il maxischermo montato ad arte per permettere la visione dell’intero percorso.

Per Alekos fu esaltante vedere una gara dal vivo per la prima volta ed Érebos, nel vederlo così felice, gli promise altri eventi e altri viaggi per conoscere meglio il mondo dei motori.

Athena non poté che essere felice per i due, ma dentro di sé sospirò esasperata al pensiero che, entro breve, il figlio avrebbe chiesto di poter guidare una motocicletta o, peggio, un bolide su strada.

Per quanto semidio, e per quanto legato a lei fino alla sua scomparsa, non era esattamente il caso che suo figlio sperimentasse troppo presto l’ebbrezza della velocità.

Ma tant’era. Alekos stava crescendo ed Érebos si stava dimostrando un padre putativo davvero ingamba.

Miguel sarebbe stato davvero lieto di sapere una cosa simile perché, più di qualsiasi altra cosa, lui aveva pregato perché lei e il figlio fossero felici, e questo stava davvero accadendo.

Preso perciò il cellulare, filmò il figlio ed Érebos dopodiché, cercato il numero di Persefone, le inviò il video ottenuto.

Non appena lo vedi, mostralo anche a Miguel. Credo gli farà piacere.

Da quando Érebos aveva restituito i ricordi a Miguel – quasi un anno addietro – Athena aveva preso l’abitudine di informarlo sugli eventi salienti della vita del figlio e, da quel poco che aveva saputo, l’anima del marito aveva gradito quelle notizie.

Persefone si era detta stupita dalla forza di volontà dell’anima e, a detta dello stesso Ade, nessuno aveva mai dimostrato, nel corso dei millenni, una caparbietà simile. La Dimenticanza non avrebbe mai avuto Miguel, questo era poco ma sicuro. Sarebbe rimasto per sempre un’anima senziente, e per sua stessa volontà.

Con un sorriso, quindi, mise via il cellulare per concentrarsi sulla visione della gara.
 
***

«…100 metri, destra 4, taglia poco, 60 metri frena tornante destro, in sinistra piena, 150 metri, sinistra 3 lunga apre in 80 metri sinistra 4, veloce lunga, taglia poco alla fine…» 1

La voce meccanica e attenta di Alessandra dettava il ritmo ad Achille, spingendolo sempre più veloce, sempre più vicino al risultato finale. La coppa di specialità e il premio per la vittoria al Rally delle Due Valli.

Achille si muoveva rapido, uniformando il movimento del volante a quello dei piedi sui pedali di metallo, il tutto accompagnato dalle indispensabili indicazioni di Alessandra.

Poco contavano la forza centrifuga che li sballottava a ogni curva o i salti sui dossi, che li facevano volare come proiettili verso il successivo tratto di asfalto da divorare. Lui sapeva esattamente come gestire ogni metro di strada, ogni curva, ogni rettilineo, fosse esso in salita o in discesa.

Le gomme stridevano, il suono secco e preciso del cambio si riverberava nella mano destra di Achille, mentre la sinistra era sempre saldamente ancorata al volante.

I corpi avvinti dai sedili della Sparco e dalle cinture di sicurezza, ricontrollate mille e mille volte, Achille aveva occhi solo per la strada e orecchie per la sua navigatrice.

Il pubblico, il paesaggio, nulla poteva distrarlo in quel momento. Per lui, esistevano solo la sua auto, la sua copilota e il traguardo sempre più vicino.

Piè veloce. Così lo avevano chiamato nella sua prima vita, e così era anche in questa. I suoi movimenti erano rapidi, infallibili, e li avrebbero condotti alla vittoria.

Fu forse questa eccessiva sicurezza che non lo fece reagire per tempo. O forse fu la troppa sorpresa. In ogni caso, quando svoltò in una curva a gomito, tecnicamente molto difficile ma eseguita nel migliore dei modi, Achille si ritrovò di fronte a un mostro in piena regola.

L’imprevisto che non ti aspetteresti mai.

Sgranando gli occhi mentre Alessandra gridava ‘bambino!’ con tono terrorizzato, Achille sterzò brutalmente, mandando gli ammortizzatori a fine corsa nel breve decorrere di un decimo di secondo.

Le pinze si chiusero brutalmente sui dischi autoventilanti della Brembo, mentre ogni lamiera, bullone o guarnizione veniva messa a dura prova da quella brusca, terribile manovra di salvataggio estremo.

Nessuno dei due vide più nulla. Il contraccolpo della forza centrifuga sull’auto fu tale da mandarli quasi in greyout2 ma, quando la Subaru si inclinò pericolosamente su un fianco, entrambi si resero conto di una cosa.

La gara sarebbe finita lì.

L’auto proseguì la sua corsa fino a cappottarsi e, mentre le urla della folla stipata nei prati limitrofi aumentava i suoi decibel, Achille pregò che non succedesse nulla ad Alessandra.

Non avrebbe mai sopportato che, proprio in quell’occasione a lei così cara, perdesse la vita. Si sarebbe dannato a vita, per questo.

Nello stesso momento, all’arrivo del circuito, un coro di disappunto e paura si levò tra i presenti e Athena, levandosi in piedi ricolma di terrore, gridò il nome di Achille al pari della sua famiglia e degli altri spettatori.

Pieni di sgomento, videro l’auto cappottare per ben quattro volte, prima di fermarsi contro un muretto di contenimento in cemento armato.

Fu solo quando la Subaru interruppe la sua carambola impazzita, che Athena si accorse di un particolare impercettibile, ma di vitale importanza.

Gli occhi di Érebos sfavillavano di potere, simili a un universo miniaturizzato nelle sue iridi solitamente del colore del cielo azzurro.

«Érebos…» mormorò atterrita Athena, fissandolo però piena di speranza.

Lui assentì, rilasciando la sua onda di potere prima di sorriderle rassicurante e stringerle una mano, permettendo così al gruppo di poter tirare un sospiro di sollievo.

Fu in quel momento che Artemide, poggiandosi una mano sul cuore per lo scampato pericolo, notò l’assenza di suo fratello. Guardandosi intorno e non trovandolo da nessuna parte, esalò: «Ma dov’è finito?»
 
***

Non riusciva esattamente a capire dove fosse, cosa stesse accadendo, o perché avesse una strana sensazione di straniamento dal proprio corpo.

Gli sembrava di non essere al posto giusto, o nella giusta posizione. Tutto gli sembrava decentrato, come se qualcuno avesse spostato di colpo l’asse terrestre, mandandolo fuori fase.

«Il solito eroe…» brontolò una voce vicino a lui, pur se non fu del tutto certo di aver compreso bene quelle parole.

Eroe? Perché lo definivano un eroe? Lui era… o meglio, non era più un eroe. O il suo Fato aveva cospirato contro di lui, togliendogli ciò che più desiderava?

Aprendo finalmente gli occhi, Achille se li ritrovò inondati di sangue, forse a causa di un taglio sulla fronte. Dubitava di essersi rotto la testa, visto che il suo casco era il migliore su piazza… ma tutto era possibile, quando c’erano di mezzo le Moire.

Rumori di lamiera si intervallarono al suono delle sirene …delle ambulanze?

Sì, sembravano delle ambulanze. Ma perché c’erano…

A quel punto, Achille ricordò. E la paura tornò ad affollare la sua mente nuovamente lucida.

Il bambino. Un bambino era sfuggito all’attenzione dei genitori, gettandosi in strada per salutarli e finendo con il ritrovarsi sulla traiettoria di tiro di un’auto di diverse tonnellate, lanciata a tutta velocità contro di lui.

La manovra che Achille aveva dovuto compiere per evitarlo era stata ai limiti della fisica conosciuta e, ovviamente, le forze in campo si erano messe tutte contro di lui, facendoli ribaltare.

Non rammentava quante volte, né se ciò che aveva tentato come ultima, disperata via di fuga da un massacro, fosse riuscita o meno. Sperò soltanto che il suo tentativo di salvarli avesse evitato ad Alessandra delle conseguenze tragiche.

Volgendo il capo per cercarla – il collo era integro, per fortuna – la vide mentre veniva estratta dalle braccia forti di un pompiere, apparentemente illesa, o comunque senza ferite visibili.

Il vigile del fuoco che si era rivolto a lui tranciò le sue cinture di sicurezza grazie all’ausilio di un paio di tenaglie e, scocciato, borbottò: «Tu guarda se devo venire a recuperarti.»

Ciò detto, il volto bellissimo e accigliato di Apollo gli si manifestò innanzi, sorprendendo non poco Achille.

Che diavolo ci faceva, lì, il dio solare?

Trascinato fuori dall’abitacolo dalle mani forti della divinità, Achille percepì un forte dolore alla parte inferiore del corpo. Mentre altri vigili del fuoco aiutavano Apollo nel compito di estrarlo, il semidio fissò inorridito il proprio stivaletto completamente ricoperto di sangue.

«Qui c’è bisogno di un medico!» gridò Apollo, depositando a terra il capo di Achille mentre un altro pompiere deponeva il resto del corpo.

«Il… il tallone…il tallone…» cominciò a biascicare Achille, completamente ammantato di terrore.
Non era possibile che Atropo fosse così crudele da farlo morire proprio ora!

«Calmati… non hai nulla» lo redarguì Apollo, ma Achille non lo ascoltò affatto.

Memorie dei suoi molti passati gli riportarono alla mente le sue molteplici morti in battaglia, in una girandola impazzita e infarcita di sangue, dolore e prematura dipartita.

Per le sue sinapsi fu troppo.

Mentre veniva caricato su una barella per essere condotto a Verona, in ospedale, i suoi sensi devastati si presero una pausa e tutto divenne buio. Infinitamente buio e calmo.
 
***

«…quindi, volete dirmi che può essere…»

Alessandra si interruppe quando vide gli occhi nocciola di Achille aprirsi e, sorridendo ai dottori che stavano parlando con lei, li salutò mentre uscivano dalla stanza, dopodiché mormorò: «Ehi, ciao. Sei tornato.»

Il semidio sbatté le palpebre nel vederla, sinceramente lieto di poterle parlare prima della dipartita finale.

Sapeva bene che il sangue che aveva visto sul tallone equivaleva alla morte, per lui. Ogni sua vita gloriosa era stata caratterizzata dallo stesso tipo di finale. Il Tallone d’Achille era davvero letale, nel suo caso, non era soltanto il nome di un tendine, o un sarcastico modo di dire per indicare una mancanza di qualche genere.

«Alessandra… come stai?» biascicò lui, stordito dai farmaci. La medicina moderna stava rimandando l’inevitabile, evidentemente, ma sapeva di avere ben poco tempo a sua disposizione, per parlare. Doveva agire in fretta.

«A parte una marea di lividi e qualche graffietto, sto benissimo. La cellula di sicurezza ha retto bene, e le cinture non si sono rotte. Tu, piuttosto? Hai un bel bernoccolo e…»

Levando una mano per zittirla, lui mormorò: «So di non avere molto tempo, perciò vorrei che mi ascoltassi. Non posso più tacere, ormai.»

Strabuzzando gli occhi, lei esalò: «Ma guarda che…»

«No, Alessandra. Ti supplico!» la pregò lui, stringendo nella sua una mano della donna. «So già quale destino mi attende, perciò desidero aprirti il mio cuore per non dover morire con il rimorso a farmi da compagno. Non occorre che tu mi dia una risposta, o assecondi ciò che ti dirò… vorrei solo che tu mi ascoltassi.»

La giovane assentì muta e Achille, stringendo maggiormente le dita di lei tra le sue, mormorò: «Quattro anni fa, quando ci incontrammo per la prima volta al Rally di Montecarlo, e finimmo a banchettare con patatine e coca-cola perché avevamo finito i soldi, capii subito che eri una donna speciale, diversa dalle altre. Fu una sorpresa scoprire la tua passione per le corse, e ancor di più rendermi conto di quanto fossi esperta, e portata per ciò che ora fai con una competenza quasi incredibile.»

Alessandra gli sorrise e, ancora, lo lasciò parlare, ligia alla promessa di non interromperlo. I suoi occhi, però, sembravano voler dire mille parole, ma Achille preferì non badare loro e concentrarsi unicamente su ciò che aveva da dire.

Se si fosse crogiolato in quello sguardo, sarebbe morto senza poter dirle la verità.

Achille allora deglutì, prese un gran respiro e aggiunse: «Ti amo. Non so in che altro modo dirtelo. Non sono mai stato un maestro di eloquenza. Per questo servirebbe Apollo, ma dubito mi farebbe questo favore. Vorrei essere stato abbastanza forte per poter diventare la tua famiglia, il tuo porto sicuro ma, a quanto pare, il mio destino è uno e uno solo e, per quanti tentativi io faccia, la morte busserà sempre alla mia porta prima del tempo.»

Le lacrime salirono agli occhi di Alessandra, a quelle parole e, nel carezzare il viso di Achille con la mano libera, mormorò: «Credo che tu te la sappia cavare abbastanza bene, con le parole, credimi.»

«Forse… peccato che non potrò farne ulteriore uso, di qui a poco» sospirò lui prima di inquadrare, sullo specchio della porta, la figura di Athena. «Temo di aver fallito.»

Athena, a sorpresa, gli sorrise divertita, entrò nella stanza ammiccando complice ad Alessandra e, nel sedersi sul bordo libero del letto d’ospedale, ammise: «Beh, credo che dopotutto tua madre avesse ragione. Non morirai in giovane età, stavolta.»

Facendo tanto d’occhi, Achille esalò confuso: «Ma… la ferita al tallone… il sangue… è come tutte le altre volte.»

«Suggestione. Tutto qui. Il colpo che hai ricevuto in testa ha prodotto una lieve commozione celebrale, e questo può averti portato a credere – e vedere – cose che non c’erano» gli spiegò Athena con tono tranquillo. «In realtà, hai solo un bernoccolo, e il taglio che avevi sul sopracciglio sta già guarendo, ma io farei finta di niente e terrei comunque la benda. Spiegare agli umani perché, in poche ore, il tuo corpo si stia rigenerando così in fretta, potrebbe causare un po’ di problemi… e dopo chi lo sente, mio padre?»

Quelle parole così sibilline misero in allarme Achille che, pieno di timore, fissò turbato Alessandra. Quest’ultima, però, si limitò a scrollare le spalle per poi ammettere: «Diciamo che, dopotutto, non mi sbagliavo sui tuoi amici. I loro nomi volevano dire qualcosa.»

«Ma… Athena… non capisco» mormorò Achille, sempre più confuso.

Dopo aver lanciato una seconda occhiata ad Alessandra, che assentì con un lieve rossore, la dea disse: «Quando sei svenuto, e Apollo urlava perché ti portassero via con l’ambulanza, Alessandra si è spaventata molto e temeva che tu potessi davvero morire, così abbiamo dovuto rassicurarla circa la tua salute.»

«Da brava zuccona quale sono, però, non volevo credere alle loro parole asserendo che, non essendo dottori, non potevano essere certi che tu non stessi morendo per un’emorragia interna o qualcos’altro…» aggiunse Alessandra, ridacchiando imbarazzata. «… così Athena mi ha detto chi eri realmente, e hanno fatto in modo che ci credessi

«Ma… mia signora… in questa rinascita io non ho ricevuto doni da mia madre» sottolineò a quel punto Achille, vistosi ormai smascherato.

Athena sorrise divertita, e replicò: «Beh, un bagno in particolare lo hai fatto, se ben ricordi.»

Achille si accigliò per un attimo, prima di spalancare gli occhi ed esalare: «La doccia improvvisata di Alekos?»

La divinità assentì e gli spiegò del piano di Érebos per tenerlo al sicuro, parlandogli così delle acque dello Stige richieste direttamente ad Ade per lui.

«Se ben ricordi, eri completamente bagnato, tallone compreso» gli rammentò lei, ammiccando.

Scoppiando a ridere nonostante tutto, Achille fissò pieno di gratitudine la dea e, con un cenno del capo, disse ossequioso: «Non so davvero cosa dire per ringraziarvi, mia signora. Continuate a essere la mia protettrice anche in questa epoca.»

«Come ti avevo promesso» annuì lei, dandogli una pacca sulla spalla.

«Non mi spiego, però, l’intervento di Apollo. Tra tutti gli dèi, non è certamente un mio sostenitore» commentò a quel punto Achille.

Limitandosi a una scrollatina di spalle, la dea ammise: «Ci ha detto che lo ha fatto per Alessandra. L’ha presa in simpatia, e così è intervenuto perché non soffrisse. Nel frattempo, comunque, Érebos ha attutito il contraccolpo con i suoi poteri, e anche per questo ne siete usciti praticamente indenni.»
«L’auto è demolita, purtroppo» aggiunse Alessandra, con un leggero sospiro. «E’ un vero peccato perché, con le migliorie apportate da tuo fratello, filava che era un piacere. Avremmo vinto di sicuro.»

Achille scosse il capo per il dispiacere, a quell’accenno, e domandò: «Il bambino, almeno, è salvo?»

«Oh, sì. Hai fatto una manovra eccellente, per evitarlo, pur se ci hai spedito direttamente sulla luna. Ora, che io sappia, i genitori del bambino sono in caserma per una lavata di testa coi controfiocchi, e credo che la Federazione sporgerà denuncia contro chi doveva vigilare e, forse, anche contro la famiglia dell’incauto baby-tifoso. Poteva succedere una catastrofe» gli spiegò Alessandra, lanciando poi un’occhiata piena di gratitudine ad Athena. «Fa comodo avere degli amici ai piani alti

«Sì, fa davvero comodo» annuì Achille, sorridendo a sua volta alla dea.

Athena ammiccò a entrambi, si chinò per un bacio sulla fronte al suo protetto e, nel rialzarsi, disse: «Ora che sai che non dovrai morire a breve, penso vorrete parlare di ciò che è saltato fuori in questi minuti. Ci trovate qui fuori, se servirà il nostro intervento.»

Con un ultimo saluto alla coppia, la dea quindi uscì dalla stanza e si richiuse la porta alle spalle, raggiungendo il suo gruppo nella sala d’attesa del reparto di terapia intensiva dell’Ospedale Borgo Roma di Verona.

Artemide fu la prima a domandarle di Achille e la sorella, nel sedersi accanto a lei, dichiarò: «Direi che è sano come un pesce e ha fatto la dichiarazione d’amore più strappalacrime della storia.»

Érebos e Felipe si guardarono dubbiosi e Athena, scoppiando a ridere, aggiunse: «Presenti esclusi, s’intende.»

Alekos, chiaramente sollevato, domandò: «La mia doccia, allora, è servita?»

«Alla grande. Le acque dello Stige stanno lavorando egregiamente e, nel giro di qualche ora, sarà fuori dal suo letto senza neppure un livido a memoria di quel brutto volo.»

«Bene» sorrise soddisfatto Alekos, prima di guardare dubbioso la madre e chiedere: «Se mi facessi un bagno anch’io nello Stige, mi permetteresti di usare i kart?»

Tutti scoppiarono a ridere, a quell’accenno, ma Athena non rise affatto e, serafica, disse: «Se ben ricordo, tu hai già fatto il bagno nello Stige, tesoro, perciò sei già invulnerabile, da quel punto di vista. Il punto è un altro. Sono davvero contraria all’idea che tu salga su una cosa che può carambolare a quel modo.»

«Ma mamma!» esalò scontento Alekos.

Disperato, il ragazzo cercò supporto in Érebos che, però, levò le mani e replicò: «Ti voglio molto bene, Alekos, ma dirti di sì senza il suo benestare vorrebbe dire precludermi a vita l’ingresso in camera da letto, temo.»

«Uffa, ma dai!» protestò a quel punto il ragazzo, fissando alternativamente tutti gli adulti presenti.

Persino Hermes si defilò da quel confronto finché, a sorpresa, Alessandra comparve in mezzo al gruppo e disse: «Potrei insegnargli io… e andremmo piano. Davvero piano.»

Volgendosi a mezzo, Athena le sorrise e domandò: «E’ andato tutto bene, là dentro?»

Pur arrossendo un poco, la donna assentì con vigore e, nel sedersi accanto alla dea, proseguì dicendo: «Ho un debito enorme con tutti voi, perciò mi prenderei cura di Alekos come se fosse figlio mio. So bene cosa voglia dire volere una cosa e non poterla ottenere perciò, vi prego, permettetemi di farlo girare in pista con me.»

A quell’accenno, la dea della guerra storse il naso e mormorò spiacente: «Mi duole per il trofeo. So quanto tu ci tenessi.»

Alessandra, però, scosse il capo e replicò: «Non importa. Sono sicura che mio padre sa con quanto impegno abbiamo tentato di vincere, e ci proveremo ancora. Ma la cosa più importante è che non abbiamo lasciato nulla di intentato. Abbiamo dato il massimo, che è quanto di meglio ci si possa aspettare da una persona.»

Athena allora assentì e dichiarò: «Lo lascerò venire con te.»

«Grazie» mormorò Alessandra prima di ammiccare vittoriosa ad Alekos, che balzò dalla poltroncina mimando una giga, pur senza fare rumore. Dopotutto, erano in ospedale, e Alekos era un ragazzo educato.

«Io andrò con loro, allora» dichiarò a quel punto Apollo, sorprendendo tutti.

«E perché, di grazia?» domandò Athena, curiosa.

«Tu hai il tuo protetto, io ho la mia… e sono sicuro che la mia protetta sa cantare» dichiarò con sussiego Apollo.

Scrollando impotente le spalle, Athena ammise: «Mi dichiaro sconfitta in partenza, credimi. Achille è stonato come una campana, perciò il punto è tuo.»

«Bene» ghignò vittorioso Apollo, poggiando le mani sui fianchi con espressione più che soddisfatta.

Athena allora lo fissò esasperata e borbottò: «Ti accontenti di poco.»

Lui non la stette minimamente ad ascoltare e Alessandra, ridendo sommessamente, chiosò: «Achille è davvero fortunato ad avervi nella sua vita.»

Efesto le sorrise cordiale, battendole una mano sulla spalla e replicò: «Ora anche tu fai parte della famiglia. Esattamente come Felipe, o Achille stesso.»

Alessandra annuì dopo qualche istante, piena di gratitudine e, ammiccando, asserì: «A mamma verrà male quando le dirò che, in un colpo solo, mi sono fatta così tanti amici.»

«Ci faremo volere così bene che non avrà nessun problema» dichiarò ampolloso Hermes.

La giovane assentì, pur immaginandosi la faccia di sua madre di fronte a quella squadra così male assortita, ma assai affiatata. Di certo avrebbe avuto qualcosa da ridire su Hermes – era un po’ sopra agli standard persino per lei – ma, come aveva asserito il dio psicopompo, alla fine avrebbe voluto loro bene.

La cosa più complicata, alla fine, sarebbe stato ammettere con la mamma che lei, proprio lei, il maschiaccio che tutti avevano preso in giro nel corso degli anni, si era appena fidanzata.
 
***

Consegnato che ebbe ad Alessandra il suo biglietto da visita – lasciandola peraltro assai sbigottita – Apollo prese tra le sue le mani della giovane e dichiarò: «Fammi sapere se il ragazzo ti infastidisce in qualche modo. In quanto mia protetta, è mio dovere salvaguardare la tua salute e il tuo benessere.»

Sorridendo vagamente imbarazzata, Alessandra annuì ma disse: «Sono sicura che non succederà nulla… ma grazie.»

«Con lui, non si può mai sapere» brontolò Apollo, fulminando con lo sguardo un esasperato - ma paziente - Achille.

Athena diede di gomito al fratello, lo raggelò con un’occhiata e ringhiò: «Ti ho già detto e ripetuto di piantarla, Apollo. Non puoi continuare a rompere in eterno con questa storia. Avevi detto che avevate chiarito, tu e Achille!»

«Sì, ma adesso ho un nuovo motivo per stare attento alle sue mosse» sottolineò per contro il dio solare.

«Solo perché hai pensato bene di prendere sotto la sua ala proprio la sua fidanzata!» sbottò a quel punto Athena, irritandosi.

«Non è colpa mia se Alessandra è meritevole delle mie attenzioni» replicò altezzoso il dio.

Athena rimbeccò il fratello per diretta conseguenza e Artemide, nel fissare i due con aperto disgusto, borbottò: «E meno male che sono io che prendo di petto la gente.»

Alessandra rise vagamente ansiosa ma Alekos la tranquillizzò, dicendo: «In realtà, si vogliono bene, ma amano battibeccare su tutto. E poi, ora che zia Arty non può farlo, Apollo è praticamente costretto a discutere con mia madre.»

«Oh, credimi, nipote caro, ho ancora tutto il tempo di questo mondo, per battibeccare» sottolineò Artemide, stringendoselo al fianco con un gran sorriso.

«Preferirei di no» ghignò Felipe, prima di stringere le mani ad Alessandra e Achille. «Venite a trovarci quanto prima. Vi aspettiamo. E alla riapertura delle gare, considerateci già lì.»

«Sarete sempre i benvenuti e, alla prima occasione utile, verremo sicuramente» gli garantì Alessandra, prima di strizzare l’occhio ad Alekos e aggiungere: «Noi abbiamo il nostro giro in pista da fare, ricordalo.»

«Non potrei mai dimenticarlo» sorrise tutto contento il ragazzo.

Efesto, allora, abbracciò entrambi e, rivolto al fratello, disse: «Casa mia è sempre aperta, per voi. Venite quando volete, anche senza preavviso. Come hai visto, c’è spazio in abbondanza per la famiglia.»

Achille annuì con un sorriso prima di scoppiare a ridere assieme agli altri quando Hermes, ormai stanco della discussione tra Athena e Apollo, interpose tra di loro un falso scudo di Atena, ripreso direttamente dalla serie di Saint Seiya.

«Piantala Hermes!» sbraitarono in coro i due contendenti prima di prendersela con quest’ultimo, che scappò a gambe levate per non farsi prendere.

Artemide fissò la scena con aria totalmente imbarazzata ed esalò: «Perché non ho dei fratelli normali?»

«Non ti annoieresti mortalmente, se tu li avessi?» celiò per contro Érebos, sorridendo tutto divertito.
«Hai ragione anche tu» ammise dopo qualche attimo la dea, tamburellandosi l’indice sul mento per poi assottigliare le palpebre, ghignare sardonica e borbottare: «Volendo, potrei…»

L’attimo seguente, senza nessun motivo apparente, anche la dea silvana si diede alla caccia di Hermes, unendosi a fratello e sorella e Felipe, sospirando, dichiarò: «Ho idea che abbiano avuto un’infanzia assai repressa.»

Érebos assentì, serio in volto nell’osservare le quattro divinità impegnate in una versione rivisitata e corretta di acchiapparella e, senza mai distogliere lo sguardo da loro, disse: «E’ anche per questo che amo vederli così. Vivere sull’Olimpo è stato tutt’altro che semplice, per loro e, finché sarà in mio potere, vorrò sempre saperli liberi e spensierati.»

Felipe preferì non chiedere nulla in merito, ben sapendo che vi erano dei segreti, nel passato di ognuno di loro, che era meglio non conoscere.

Per quanto potessero apparire infantili, o facili a lasciarsi andare ai sentimenti umani, erano pur sempre divinità dotate di un potere inimmaginabile, e pensare che qualcuno potesse aver condizionato le loro esistenze, aveva dell’incredibile.

Però, se una divinità del calibro di Érebos si dichiarava lieto di vederli comportarsi in quel modo, doveva avere le sue ragioni e Felipe, dal canto suo, era felice di poter vedere coloro che amava con un sorriso sul volto.

Quando, però, Apollo fece comparire il suo arco e Athena la sua spada, anche Érebos sospirò esasperato e, nello schioccare le dite per formare la sua ormai abusata barriera di nebbia, borbottò: «Adesso, però, esagerano…»

Il gruppo rise di gusto, a quel commento e, mentre la nebbia li avvolgeva per rendere ciechi gli occhi dei pochi umani che avrebbero potuto vederli in quell’isolato piazzale fuori Verona, Achille si disse che mai, una gara, era finita in modo migliore.







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1. Il dialogo di Alessandra è un esempio tipico di ciò che un navigatore dice al proprio pilota. All'apparenza, sembra non avere senso ma, se si capisce il gergo, tutto appare più semplice da comprendere. Per esempio, "sinistra 4" indica una curva a sinistra, e il raggio di curvatura che si troverà ad affrontare il pilota è indicato dal numero. Più il numero è piccolo, più la curva è stretta.

2. Greyout: fenomeno che avviene quando la visibilità si riduce progressivamente a causa di una più o meno forte mancanza di sangue al cervello. Ne soffrono in particolar modo i piloti di aereo, sottoposti a forze G piuttosto elevate.


N.d.A.: qui termina l'avventura di Achille, anche se non è detto che possa tornare più avanti.
Apollo ha preso in simpatia Alessandra, perciò Achille dovrà sopportare ancora - e per gli anni a venire - la presenza del dio nella sua vita. 
Nella prossima avventura, affronteremo il passato di Hermes, e scopriremo perché non fu lui ad accompagnare Miguel e Alekos nell'Oltretomba, quando sappiamo - lo dissi in passato in altre storie - che aveva fatto espressa richiesta a Thanatos di poter essere lui a occuparsi dei cari legati ad Athena.
Ci sarà da versare qualche lacrima, vi avviso...
  
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