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Autore: Il cactus infelice    06/08/2019    3 recensioni
La luna piena è prevista per quella notte e Remus sta più male del solito: nausea, mal di testa, febbre... Ma perché Sirius Black sta procrastinando nella loro stanza? Perché quel dannato Black deve fargli quell'effetto? Cosa vuole?
La mia prima Wolfstar, fluff a oltranza (perché questi due ragazzi meritavano di meglio). E fuori piove.
Genere: Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Remus Lupin, Sirius Black | Coppie: Remus/Sirius
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
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UN GIORNO DI PIOGGIA 

 

 

 

Remus mugugnò qualcosa di incomprensibile, il volto mezzo nascosto nel cuscino, e si strinse di più nelle coperte. Sentiva il ticchettio della pioggia contro la finestra e cercò di concentrarsi su quello per riprovare ad addormentarsi e non pensare alla nausea che gli minacciava la bocca dello stomaco. Aveva già vomitato due volte quella mattina, poco prima che i suoi compagni di stanza si alzassero. Purtroppo però il ticchettio della pioggia non aiutava il suo martellante mal di testa. 

 

Proprio mentre forse le braccia di Morfeo avevano deciso di essere gentili con lui e venirgli incontro, sentì la porta del bagno aprirsi. 

 

Merda! Era convinto di essere solo. Chi poteva essere? James? Peter? No, era sicuro di aver sentito James uscire dalla stanza, il suo passo strascicato era inconfondibile. Dei passi morbidi avanzarono sul tappeto del loro dormitorio e Remus impallidì, per quanto ancora potesse impallidire. Anche se non aveva uno specchio davanti era sicuro di essere bianco come un cencio. Serrò gli occhi più forte e si rannicchiò ancora di più sotto le coperte, stringendone il lembo. 

 

Il passo inconfondibile di Sirius si fece più vicino al proprio letto. Dannazione!! Perché non potevano essere James o Peter? Perché doveva essere proprio il ragazzo per il quale aveva una dannata cotta ormai dal quarto anno?
Continuò a fare finta di dormire e tornò a concentrarsi sulla pioggia che ormai batteva sulla loro finestra incessantemente. Tinc. Tinc. Tinc. Quanto ci metteva Sirius a prepararsi? Se continuava con quella velocità si sarebbe perso la colazione e forse persino i primi dieci minuti della prima lezione. Cosa avevano? Pozioni? Sì, pozioni. 

 

Sentì un fruscio e poi qualcosa sbattere con un leggero colpetto. Doveva essere il cassetto dell’armadio, Sirius stava prendendo una camicia pulita. 

 

Ma perché non aveva chiuso le tende attorno al proprio letto? Ah sì, voleva far passare un po’ d’aria per sopravvivere alla nausea ma era del tutto inutile se pensava al nodo che gli stringeva lo stomaco. Odiava l’idea di farsi vedere così - mezzo morente - da Sirius. Se non avesse avuto una cotta per lui non gli sarebbe importato, in fondo i suoi amici lo vedevano trasformarsi tutti i mesi. Ma quello era diverso, quello era lui che stava male e mostrava tutto il suo lato più vulnerabile. Quel giorno la sua maledizione aveva deciso di colpirlo più forte. Si sentiva sempre molto debole e un po’ dolorante nelle ore precedenti alla luna piena, a volte di più e a volte di meno - non sempre gli capitava di vomitare e, anzi, a volte riusciva anche ad andare a lezione - ma quello doveva essere uno dei giorni peggiori. Odiava la sua condizione: c’erano stati dei momenti in cui aveva pensato di farsi fuori solo per non doverlo più sopportare, per liberarsi dalla licantropia che gli rendeva la vita così misera, ma poi… Poi vedeva James, Sirius e Peter e tutti gli sforzi che avevano fatto per diventare Animagi e vedeva Silente seduto al tavolo dei Professori che lo aveva accettato e anzi, aveva fatto in modo che anche lui potesse frequentare Hogwarts senza mettere in pericolo nessuno. E allora si diceva che no, non poteva farlo, non poteva rendere vani i loro sforzi. 

 

Remus sospirò impercettibilmente quando sentì un’altra ondata di nausea salire verso l’alto. Oh no. Oh no, non avrebbe vomitato lì per terra davanti a Sirius.
No. No. No. No. 

 

 

 

Sirius aveva procrastinato di più quella mattina in stanza; aveva mandato via James e Peter - promettendo che li avrebbe raggiunti presto - e si era intrattenuto di più nel prepararsi. In realtà volendo ci avrebbe impiegato anche solo venti minuti - giusto per sistemare i capelli perché non voleva davvero avere quella specie di nido in testa che aveva James - ma era rimasto per Remus. Si era accorto che quella mattina il ragazzo stava più male del solito; lo aveva sentito vomitare anche se probabilmente l’altro era convinto che dormissero tutti della grossa - James e Peter forse, ma non di certo lui.
E poi lo aveva sentito mugugnare, più e più volte. La luna piena era sempre fonte di malessere per Remus prima della trasformazione, ma mai in quel modo. Era preoccupato, non solo per il suo migliore amico ma perché… Be’, perché Remus gli piaceva, non lo negava più, non a sé stesso almeno. Non lo avrebbe mai detto a nessuno però, non era certo come avrebbero reagito gli altri. James probabilmente sarebbe stato contento per loro, in fondo, James era come un fratello per lui e più volte si erano trovati a parlare di quali erano i ragazzi più carini di Hogwarts, e Peter… Be’, Peter se la sarebbe fatta andare bene e poi, a essere del tutto onesto, non gli importava tanto del giudizio di Peter. Gli voleva bene ma non lo considerava troppo intelligente o troppo capace di pensare con la propria testa.

 

Diverse volte aveva pensato di confessarlo a Remus. In fondo, alla peggio lo avrebbe rifiutato e sarebbero rimasti amici come prima. Ma non poteva esserne sicuro. Forse avrebbe rischiato di rovinare tutto. Anche se… Anche se in un paio di occasioni gli era sembrato che Remus lo guardasse in un certo qual modo, come se… come se… Sicuramente erano tutte fantasie sue, influenzato troppo dalle ragazze che lo occhieggiavano e ridacchiavano alla sua presenza in ogni angolo.  

 

Non poteva correre quel rischio. Perché mai a Remus sarebbe dovuto piacere uno come lui, proveniente da una famiglia di simpatizzanti con Voldemort, purosangue fin nel midollo, che odiano i Mezzosangue e gli ibridi come Remus, uno come lui che non sa mai dire la cosa giusta quando serve e fa battute idiote quando non dovrebbe. Un come lui, un combina-guai, poco studioso, poco ligio alle regole, poco… Tutto, ecco.

 

In poche parole, Sirius era terrorizzato. Alla faccia del coraggio dei Grifondoro. Era terrorizzato di dichiararsi a Remus, era terrorizzato di perderlo, era terrorizzato di dove sarebbero finite le loro strade una volta finita Hogwarts - ormai erano a metà del settimo anno e chissà… Chissà dove li avrebbe portati la fine della scuola, di quel mondo fatto di giochi e malandrinate. Era certo che con James sarebbero rimasti amici, anzi, fratelli - ormai persino Lily aveva imparato ad accettare la sua presenza costante nella loro vita di coppia - ma Remus? Remus avrebbe sicuramente avuto qualche sogno da inseguire che lo avrebbe portato lontano. Lontano da lui. 

 

Tirò fuori una camicia pulita dal cassetto cercando di scacciare quei pensieri quando sentì un altro mugugno dietro di sé. Remus si era alzato di scatto a sedere, bianco come un cadavere, gli occhi spalancati dal terrore; poi si era voltato verso di lui, aveva buttato le gambe fuori dal letto e si era precipitato in bagno chiudendo la porta con un colpo. 

 

Sirius lo sentì vomitare. Di nuovo. Sospirò tristemente e si appoggiò contro la porta, premendo un orecchio. Remus aveva aperto l’acqua e premuto lo sciacquone.   

 

“Moony? Stai bene?” 

 

“Sì”, si sentì la voce rotta dall’altra parte. 

 

“Sei sicuro? Vuoi che ti accompagni da Madame Chips?” 

 

“No, non serve”. 

 

Sirius si allontanò dalla porta e cominciò a preparare la borsa. Poi vide Remus uscire dal bagno, gli occhi ancora più stanchi, il corpo molle, le labbra piegate in una smorfia. Quella visione gli spezzò il cuore.
No, non era giusto che il suo MooMoo soffrisse così. No, suo non proprio. Però… quanto avrebbe voluto che fosse suo.
Remus si fermò in mezzo alla stanza e Sirius non si permise di esitare nemmeno un attimo prima di afferrarlo quando lo vide ciondolare in avanti e rischiare di schiantarsi col naso contro il pavimento. 

 

“Woooaaaahh, Remus. Che succede, eh?”
Lo accompagnò fino al letto e lo fece sedere. Lupin si infilò sotto alle coperte chiudendo gli occhi. 

 

“Sei sicuro che non vuoi ti porti in infermeria? Non sei mai stato così male”. 

 

“Non ti preoccupare, Siri. È già successo”, gli rispose l’altro con voce debole. 

 

Black inarcò un sopracciglio; non era sicuro di averlo capito bene. 

 

“Che intendi?”
“Che è già successo. Anche da piccolo sono stato male così un paio di volte. Può capitare. Dipenderà dalla posizione della luna, della Terra o delle dannate costellazioni. Non lo so”. 

 

Sirius sospirò per l’ennesima volta. Remus non aveva aperto gli occhi nemmeno un attimo durante quella spiegazione, troppo debole anche solo per guardarlo. 

 

Si sentiva così impotente. Avrebbe voluto piangere, urlare, prendere a pugni qualcosa. Se avesse potuto avrebbe fatto a cambio e si sarebbe preso lui la licantropia. Non gli importava. Sarebbe solo stato un altro dispetto in faccia alla sua famiglia. 

 

Tutto pur di liberare Remus da quella sofferenza. Remus non si meritava quello; lui era così puro, così gentile, innocente, buono. Perché era toccato a lui? Era per le persone come Greyback - il lupo mannaro che aveva morso Remus da piccolo - che Sirius non avrebbe potuto mai e poi mai unirsi ai Mangiamorte o simpatizzare per loro. 

 

Cosa c’era di bello nel condannare dei bambini? 

 

Sirius si allontanò dal letto di Remus e riprese a preparare la borsa. Ormai era tardi per la colazione, ma dannazione se non gli sarebbe pianto il cuore a lasciare quella stanza, a lasciare Remus così. 

 

Non poteva, non ce la faceva. Doveva fare qualcosa. Ma cosa?
Si girò a guardare il ragazzo, il petto coperto dalla maglietta che si alzava e si abbassava con ritmo regolare, il sudore che gli imperlava la fronte.
Sirius tornò a sedersi sul letto dell’amico senza quasi accorgersene. Remus aprì un occhio, ora perplesso. 

 

Sirius allungò una mano a toccargli la fronte. “Scotti da morire, Remmie!” 

 

Il ragazzo mugugnò qualcosa che somigliava a un mormorio di assenso. 

 

“Posso andare da Madame Chips a chiederle qualcosa”. 

 

“Non serve, Siri, sai che non può aiutarmi niente”. 

 

“Ma…”. Sirius si interruppe a metà frase, boccheggiando. Perché no? Perché non poteva fare niente? “Almeno per abbassare la temperatura. O per la nausea”. 

 

“Passeranno da soli. Dopo la luna piena”. 

 

“E fino ad allora devi soffrire?” 

 

“Cosa dovrei fare, Siri?!” 

 

Forse lo stava un tantino esasperando. Era una cosa che sapeva fare bene, Sirius, esasperare le persone. Ma non voleva farlo con Remus. A Remus non piacevano troppe domande, non gli piaceva quando la gente gli dava troppe attenzioni. Preferiva essere il ragazzo invisibile, ma non sarebbe mai stato invisibile per lui. 

 

“Togliti quel muso lungo dalla faccia e vai a lezione. Sei già in ritardo”, gli disse Lupin girandosi su un fianco. 

 

Sirius si alzò ma non si allontanò di un passo dal letto. Al diavolo le lezioni! 

 

“Non posso andare a lezione e ascoltare gli insegnanti se tu stai così male”. 

 

Remus sospirò pesantemente e si puntellò su un gomito per guardarlo da sotto le palpebre gonfie. “Sirius, non è la prima volta. Lo sai come funziona. Ci vedremo stanotte comunque”. 

 

“È che… mi dispiace”. 

 

Ora l’espressione di Remus si era incattivita. “Non serve. Non voglio la tua compassione”. 

 

“Non-non è quello”. 

 

Bravo, Sirius, hai una sensibilità pari a quella di un Erumpent. 

 

“E allora cosa?” 

 

“È che io…”. 

 

Io ti amo e vorrei che stessimo insieme e che tu mi guardassi come se fossi l’unica persona che conta per te.

 

Ma Sirius rimase in silenzio, di nuovo, come un baccalà. 

 

Remus sprofondò di nuovo nel cuscino, spingendosi le coperte sotto il mento. Merlino!, quanto era carino anche in quello stato? 

 

E se glielo avesse detto? Lì, in quel momento, così… Perché la vita è breve e non sai mai cosa può succedere. 

 

“Remmie, io…”, cominciò senza quasi accorgersene. Non gli sembrava di essere lui quello che parlava, quella non era la sua voce. 

 

“Dai, Siri, smettila di temporeggiare. James e Peter ti aspettano. E Lumacorno non è gentile coi ritardatari. Già gli stai antipatico”. 

 

Sirius si guardò i piedi. Non aveva notato di avere un buco sui calzini. Sua madre non ne sarebbe stata troppo felice, non era da Black indossare vestiti bucati o sgualciti. Perché gli veniva da pensare a sua madre proprio in quel momento? Alla vecchia Walburga probabilmente fischiavano le orecchie in quel momento. 

 

“Non voglio lasciarti”. 

 

Remus non reagì. Forse si era addormentato. I suoi occhi erano chiusi.
Sirius fece per avviarsi quando vide Remus aprire di nuovo gli occhi. “Apprezzo la tua preoccupazione”, gli disse. “Davvero. Ma non ce n’è bisogno. Mi fa stare solo peggio. La mia vita è così purtroppo e… Non posso farci niente. Mi riprenderò e domani torneremo a fare scherzi a Gazza. Promesso”. 

 

Sirius si abbassò sulle ginocchia di fronte al letto di Remus in modo da poterlo guardare in volto. Tremava. E non sapeva nemmeno perché. 

 

“Io non voglio che la tua vita sia così. Io… Io voglio… Vorrei fare qualcosa. Per aiutarti”. 

 

Remus sorrise leggermente, gli occhi ancora chiusi. 

 

“Come mai questo slancio di generosità, così, all’improvviso?”
“Perché… Perché provo qualcosa per te”. 

 

Lo aveva detto? Lo aveva detto sul serio? Oh Morgana, adesso si sarebbe seppellito. No. No. Lui e la sua dannata bocca. Perché non collegava il cervello prima di parlare? Ma quale problema aveva? Sirius vide l’altro ragazzo aprire gli occhi di colpo e posarli su di lui come se gli fossero appena cresciute due teste. 

 

Merda. Era fottuto. 

 

 

 

Remus non stava capendo Sirius, non quella mattina almeno. Non che di solito lo capisse, Sirius era tutto fuorché una persona chiara e diretta - a differenza di James che era come un libro aperto e la sua faccia era sempre un mosaico di emozioni - ma quella mattina non voleva nemmeno fare lo sforzo, troppo stanco persino per reggersi in piedi. E poi lo urtava il fatto che proprio Sirius tra tutte le persone - il ragazzo per cui provava qualcosa - provasse tutta quella pena per lui; certo, stava male più del solito quel giorno, ma non voleva fare pena, men che meno a quel dongiovanni lì con lui che andava sotto il nome di Sirius Black. Era già abbastanza imbarazzante il fatto che lo avesse sentito vomitare, perché doveva perseverare? Non se ne poteva andare una buona volta? 

 

Le lezioni stavano per cominciare.
Ma poi… Poi, proprio quando stava cercando di ignorarlo il più possibile, di fare finta che la sua presenza non lo toccasse minimamente, quel maledetto di un Black se ne era uscito con quelle parole.
Perché provo qualcosa per te. 

 

Ma che diamine voleva dire, per Morgana? Cosa provava? Amicizia? Rispetto? Affetto? Poteva essere tutto e niente in quella testa bacata di Sirius. 

 

Remus si mise a sedere e fissò gli occhi sull’altro. Ora gli doveva delle spiegazioni.

 

“Che… Che intendi?” chiese, mordendosi subito dopo il labbro per la voce tremula che gli era uscita. 

 

Sirius abbassò lo sguardo improvvisamente interessato alla coperta. Sembrava un bambino colto con le mani nel sacco. 

 

“Ecco… io…”. 

 

Silenzio. C’era solo la pioggia a interrompere il silenzio creatosi tra loro, un silenzio carico di attesa e tensione.
Non poteva lanciare il sasso e poi nascondere la mano. 

 

Sirius sospirò e chiuse per qualche istante gli occhi come se si sforzasse di fare qualcosa. Trovare le parole forse? O il coraggio? O entrambi.

 

“Siri?” lo chiamò Remus piano. Sperava di riuscire a fargli capire che poteva fidarsi, che non lo avrebbe giudicato o trattato male. Qualsiasi cosa avesse avuto da dirgli. 

 

“Remmie, io… Io provo qualcosa per te, già da un po’ ormai, uno o due anni credo e…”, sorrise imbarazzato guardando l’altro di sottecchi. Sirius imbarazzato era qualcosa di più unico che raro. “Ho pensato diverse volte di dirtelo e non volevo farlo proprio così, però… Insomma, tu stai male e non voglio che tu stia male. Cioè, vederti stare male fa stare male anche me ma io… Io non so cosa fare per aiutarti… Ecco, e tu… Tu magari non sei nemmeno interessato. Lo capirei, se tu non volessi che noi… Che io… Sì, insomma, se io non ti piaccio…”. 

 

Remus scoppiò a ridere. Non voleva farlo, davvero, ma Sirius in quello stato era qualcosa di impagabile. Imbarazzato, gli occhi bassi, insicuro che cercava di snocciolare un discorso senza capo né coda. E il fatto che fosse proprio lui, Remus Lupin, ad essere l’artefice di quello stato d’animo in Black - sempre così sicuro di sé - lo riempiva di un certo orgoglio e piacere. Il problema era che non riuscì a smettere. 

 

Sirius alzò lo sguardo su di lui d’un colpo e alzò un sopracciglio. “Okay, come vuoi, Remus”.

 

“Aspetta!” lo bloccò Lupin afferrandolo per una mano prima che l’altro avesse il tempo di allontanarsi. Tutto il suo malessere era sparito all’improvviso. “Aspetta, Sirius, aspetta… Non volevo, davvero”. 

 

Si costrinse a tornare serio e a fissare gli occhi sull’altro ragazzo, cercando di assumere un’espressione il più dolce possibile. “Sei… Sei serio? Intendo, non mi prendi per il culo, vero?” Doveva chiederlo. Doveva assolutamente farlo. Insomma, c’era sempre la possibilità che lui e James avessero fatto una scommessa a sue spese. 

 

Sirius annuì piano. “Mai stato così serio in vita mia. Ma non voglio che ti senta obbligato. Me la farò passare, non ti preoccupare”. 

 

“Siri, stai dando per scontato che io non ricambi i tuoi sentimenti?” 

 

Sirius fissò i propri occhi azzurri in quelli caramellati di Remus e aprì leggermente le labbra in segno di sorpresa per quella strana domanda fatta con quel strano tono di voce, come se Remus la sapesse lunga. 

 

“Perché tu…”.

 

Remus annuì a quella domanda incompleta, ma non c’era bisogno di aggiungere altro. 

 

“Credo da quando eravamo al quarto anno, più o meno”.

 

“Oh Merlino!” esclamò Sirius senza trattenere più alcuna sorpresa. Sembrava piuttosto sconvolto anche. 

 

“Già”. 

 

“Oh”. 

 

“Sì”. 

 

Remus non sapeva a cosa stesse esattamente concordando, ma la sua bocca aveva iniziato ad agire di propria spontanea volontà. 

 

Sirius sorrise con quel sorriso sghembo che aveva fatto innamorare diverse ragazze nel corso degli anni ad Hogwarts e che ora sarebbe stato riservato soltanto a lui, Remus. O almeno Remus così sperava, ma magari non stava facendo altro che illudersi. Tutto quello era troppo bello per essere vero. Iniziava persino a girargli la testa anche se quello poteva essere dovuto alla luna. 

 

Sirius strinse di più la presa sulla mano di Remus e intrecciò le loro dita. Ora lo guardava con una dolcezza infinita. 

 

“Posso baciarti?” gli chiese.

 

“Siri, ho appena vomitato”. 

 

“E quindi?” 

 

“Il mio alito sa di morte probabilmente”. 

 

“Non m’importa”. 

 

Sirius aveva già iniziato ad avvicinarsi e aveva allungato la mano libera dietro la nuca di Remus, accarezzandogli la guancia col pollice, gli occhi azzurri fissi sul suo viso. Remus non aveva mai visto degli occhi così azzurri, sembrava di guardare il cielo senza alcuna nuvola. Il suo cuore batteva all’impazzata, probabilmente tra poco gli sarebbe persino uscito dal petto. Sirius Black voleva la sua morte. 

 

Ben presto le labbra di Sirius si poggiarono sulle sue e Remus quasi non se ne accorse, ma si accorse solo quando la sua bocca morbida entrò a contatto con la propria e Remus venne travolto dal dolce profumo di Sirius e… E poi chiuse gli occhi e smise di pensare, smise di respirare, smise di preoccuparsi. Il rumore del suo cuore si mischiava a quello della pioggia contro la finestra.
Il bacio fu dolce e morbido. Sirius accarezzò con la lingua il labbro inferiore di Remus, glielo afferrò tra i denti senza stringere. Per Godric, se tutti i baci con Sirius fossero stati così di lui non sarebbe rimasto altro che melma. Si sentiva sciogliere.
Quando si separarono, non si allontanarono troppo l’uno dall’altro. Sirius appoggiò la fronte contro quella di Remus e gli sorrise dolcemente. Remus si sentì mancare un battito. 

 

“Dovresti davvero andare a lezione ora”, gli disse Remus quasi sussurrando, le mani strette sulla camicia di Sirius come se in realtà non lo volesse lasciare andare. E infatti era così. La sua bocca diceva una cosa ma il suo cuore ne voleva un’altra. Voleva solo riempire quel silenzio che si era venuto a creare. Sirius lo guardava con quegli occhi da cucciolo innamorato ma Remus si sentiva così inadeguato e piccolo e insignificante. 

 

“Oggi voglio stare con te”. 

 

“Non ce n’è bisogno, davvero. Sto già meglio”.

 

“Lo so, ma… Voglio stare con te, okay? Fammi stare con te”. 

 

“Non dovresti saltare le lezioni. Tra poco ci sono i M.A.G.O e…”. 

 

“Remus”, lo interruppe l’altro guardandolo ancora più intensamente, se possibile. Le sue mani si spostarono sui fianchi di Remus. “Smetti di preoccuparti. James e Peter mi copriranno. Oggi siamo io e te”. 

 

“Vuoi- Vuoi venire qui sotto?” gli chiese allora Remus con voce incerta. Forse stava osando troppo. Ma Sirius si aprì in un largo sorrise e annuì. Remus si spostò verso il muro e spostò le coperte per l’altro. Sirius si infilò sotto e si girò subito verso l’altro avvolgendolo con le braccia e stringendolo a sé. Gli diede diversi baci sulle labbra, uno più gentile e morbido dell’altro, una mano ben salda sulla sua schiena. 

 

“Pensavo ti piacessero le ragazze”, disse il licantropo. 

 

“Mi piacciono. Ma non quanto mi piaci tu”. 

 

Quella risposta così genuina e sincera lo fece quasi piangere. Remus non avrebbe mai immaginato, nemmeno nei suoi sogni, che una cosa del genere sarebbe potuta capitargli. Eppure era lì, tra le braccia forte e sicure di Sirius, il viso affondato nel suo petto contro cui sentiva il suo cuore battere a un ritmo forse non del tutto regolare. Era lui il responsabile di quel battito così forte?
La pioggia fuori batteva ancora, rilassante e ritmica. Era una giornata perfetta per starsene a letto abbracciati. Remus da quel giorno in poi avrebbe amato per sempre la pioggia perché Sirius si era dichiarato in una giornata di pioggia. Lui era fatto così, si attaccava ai dettagli. 

 

Remus era felice. Improvvisamente sentiva di poter affrontare tutto, la sua vita, la sua licantropia, il malessere di quel giorno. Sapeva che quella notte, con la luna piena, sarebbe stato più leggero, più facile.
Sirius era con lui, in tutti i sensi. 

 

“Dormi, Moony. Rilassati. Sono qui con te”. 

 

E Remus sorrise, nascosto nell’incavo del collo di Sirius, al caldo, al sicuro.
Tutto sarebbe andato bene. 

 

 

 

Sirius premette Remus di più contro il proprio petto cercando di fargli sentire quanto più possibile la propria presenza.
Aveva immaginato qualcosa del genere nella propria testa mille e mille volte ma la sua immaginazione non era mai riuscita a immaginarselo così bene. 

 

Non aveva mai pensato che Remus avrebbe accettato la sua dichiarazione, nemmeno ricambiato. Eppure lo aveva fatto e forse era un sogno. Ma la presenza di Remus accanto a lui, il suo respiro caldo contro il suo collo erano piuttosto reali. 

 

No, non era un sogno. Remus era lì con lui, tra le sue braccia, si erano appena baciati e Sirius avrebbe fatto di tutto - d’ora in poi - per renderlo felice. 

 

 

 

**** 

 


Fanfiction nata senza troppe pretese quando dovrei preoccuparmi di più di tenere aggiornate le altre. Ma che ci volete fare? Purtroppo quando l’ispirazione colpisce non si può fare altro che obbedirle.
Questa è una piccola Oneshot che ho deciso di pubblicare in questo giorno di pioggia e, anche se non ci sarà un seguito, mi piacerebbe sapere che ne pensate.
È la prima Wolfstar che scrivo e volevo che fosse abbastanza fluff come lo sono quei due. Sirius e Remus meritavano tanto tanto di più, come anche James. Non smetterò mai di scrivere sui Malandrini. 


A questo proposito, vi rimando all’altra mia fanfic in corso, Estate 2020, e a quella completa, Afterwar.
Per chi di voi invece fosse un fan della Drarry, vi rimando a Babygate (una mpreg super fluff e super angst). 

 


Di nuovo, lasciatemi qualche commento. 
C.

 

 

 

   
 
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